"La storia, invece, è stata
concepita spesso in passato - e purtroppo continua in molti casi
ad esserlo - come uno strumento di lotta politica.
Questo era forse comprensibile nei regimi totalitari, il cui obiettivo
era
controllare il presente anche attraverso una parziale interpretazione
del passato; in una democrazia liberale ciò è oggi
inammissibile"
"Se si pone di fronte a un fatto con un pregiudizio moralistico
o di qualsiasi altro tipo,
lo storico fuorvia se stesso e fa perdere al suo lavoro di indagine
quell'oggettività che deve caratterizzare la storia come
disciplina scientifica. La storia così intesa - quando
è faziosa o interessata, così come quando è
strumentale o reticente - finisce con l'essere spesso un insieme
di bugie e non serve a niente". (Stefano Fabei)
CANZANO 1- La ricerca storica oggi, se non si fa su testi ufficiali, si chiama revisionismo. Tu come ti sei orientato e dove hai 'attinto' le notizie storiche dei tuoi libri?
FABEI - Io
attingo a una molteplicità di fonti che vanno dai testi
"ufficiali" a quelli "non ufficiali", alla
documentazione conservata presso gli archivi, pubblici e privati,
ecc. Ritengo che la ricerca della verità storica debba
prescindere da condizionamenti ideologici ed essere del tutto
indipendente da schemi interpretativi preconfezionati, di qualunque
tipo.
La storia, invece, è stata concepita spesso in passato
- e purtroppo continua in molti casi ad esserlo - come uno strumento
di lotta politica. Questo era forse comprensibile nei regimi totalitari,
il cui obiettivo era controllare il presente anche attraverso
una parziale interpretazione del passato; in una democrazia liberale
ciò è oggi inammissibile. Non dovrebbero esistere
tabù storiografici. Senza libertà di giudizio non
è possibile la ricerca storica intesa come conoscenza dei
fatti e del loro effettivo svolgimento, indipendentemente dalle
pur legittime posizioni politico-ideologiche di ciascuno. Insomma,
per dirla con Furet o Sergio Romano, la storia è sempre
revisionista e ogni volta che si scopre un fatto nuovo, o se ne
rilegge uno vecchio, secondo una prospettiva e con un'ottica diversa
si fa un'opera di revisione.
Se si pone di fronte a un fatto con un pregiudizio moralistico
o di qualsiasi altro tipo, lo storico fuorvia se stesso e fa perdere
al suo lavoro di indagine quell'oggettività che deve caratterizzare
la storia come disciplina scientifica. La storia così intesa
- quando è faziosa o interessata, così come quando
è strumentale o reticente - finisce con l'essere spesso
un insieme di bugie e non serve a niente. Il passato deve, invece,
essere considerato tale ed essere letto e interpretato con gli
strumenti della storia e con la consapevolezza che questa non
sempre è lineare e progressiva. La storia è l'opera
di uomini e di Stati che non sono mai stati, non sono e probabilmente
mai saranno, né del tutto buoni né del tutto cattivi.
È errato giudicare in funzione degli effetti desiderati
i fatti, la cui comprensione è possibile soltanto tenendo
ben presenti sia gli interessi e le intenzioni dei protagonisti,
sia l'imponderabile, l'imprevedibile, «caso» o «fortuna»
che dir si voglia.
CANZANO 2- Se lo storico, come tu dici, si dovesse trovare di fronte ad un pregiudizio moralistico, il suo lavoro di indagine perderebbe quell'oggettività che deve caratterizzare la storia come disciplina scientifica; gli storici revisionisti invece, in modo particolare in questi ultimi anni, scrivono o riscrivono la storia in un modo completamente diversa da come ci è stata insegnata a 'scuola', in questo caso la ricerca storica già scritta ha perso la caratteristica di disciplina scientifica?
FABEI - La
storia, per definizione, è la narrazione sistematica, lo
studio e l'interpretazione critica delle vicende dei popoli e
delle nazioni. Più gli eventi passati sono lontani nel
tempo, più è facile analizzarli con atteggiamento
imparziale e mente sgombra da pregiudizi; più sono vicini
a noi e alla nostra realtà più è difficile
valutarli con obiettività e senza i condizionamenti impostici
dalle ideologie. Ciò è particolarmente vero nell'analisi
dei totalitarismi del XX secolo, ma anche nei riguardi di eventi
più lontani nel tempo, ad esempio il Risorgimento o la
Rivoluzione francese.
Rivisitare e rivedere la storia precedente, alla luce di un'ulteriore
documentazione acquisita, non significa necessariamente invalidarla
nelle forme e nei contenuti prima espressi, e comunque le verità
assolute e indiscutibili non esistono, o perlomeno non dovrebbero
esistere. Il dogma è proprio delle religioni, non delle
discipline scientifiche.
La rappresentazione "oleografica" e celebrativa del
nostro Risorgimento è stata fino a tempi recenti funzionale
al potere politico e alla cultura dominante che di volta in volta
lo esprimeva e lo legittimava; prima a quello dell'Italia postunitaria,
poi al Fascismo e alla Resistenza, quindi alla Repubblica nata
dalla Resistenza. Fenomeno elitario, opera di esigue minoranze,
il Risorgimento è stato fino a tempi recenti presentato
come un vasto e generoso moto di popolo, mentre nella realtà
è stato una cosa ben diversa, il sogno di gruppi minoritari
(studenti, intellettuali, militari) che ad un certo punto si è
rivelato funzionale agli interessi dinastici e di prestigio dei
Savoia. Affermare questo oggi non costituisce più motivo
di scandalo data ormai la lontananza di quegli eventi.
CANZANO 3- Oggi non possiamo fare a meno di notare che il revisionismo si è infiltrato nella società da molto tempo
FABEI - Secondo
me verità assolute non esistono, in nessun campo. Non vedo
pertanto come un fatto negativo il rimettere in discussione certe
pagine di storia scritte in fretta e furia, superficialmente o,
peggio, in modo fazioso. La storia, se è di parte, perde
la sua originaria e vera funzione, diventando qualcos'altro e
non serve più a chi vuole conoscere il passato e accostarsi
il più possibile alla verità. Il fatto che poi serva
e sia funzionale alla politica e ai suoi interessi va da sé,
ma allora è un'altra cosa, è propaganda
Fatta dagli uomini, la storia è anche scritta dagli uomini.
Tra questi, alcuni sono stati protagonisti o testimoni dei fatti
che hanno poi narrato. La loro soggettività, emotività,
e talvolta imprecisione, sono comprensibili. Queste stesse caratteristiche
sono molto meno giustificabili in "chi non c'era" o
"chi non aveva l'età", ossia nei ricercatori
che hanno ricostruito gli eventi presi in esame consultando archivi,
documenti, e confrontando anche testimonianze dirette e indirette.
L'onestà intellettuale credo sia un prerequisito indispensabile
per uno storico che ricerchi la verità. Battersi per questa
- come dichiarò il capogruppo dei deputati DS al Parlamento
italiano, Luciano Violante, durante un'intervista al TG1, il 4
novembre 2004 - non è revisionismo.
CANZANO 4- Revisionismo anche per Mussolini?
FABEI - Certo. Perché dovrebbe fare eccezione? Del resto ci sono molti aspetti del fascismo che sono stati finora volutamente ignorati o poco studiati per le ragioni di cui parlavo prima.
CANZANO 5- Libri che hanno cambiato alcune pagine della storia?
FABEI - Ritengo
che in democrazia a tutti debba essere consentito di esporre le
proprie idee e i risultati delle proprie ricerche, in qualunque
campo di indagine: ad Angelo Del Boca che, in un'opera come Italiani,
brava gente?, ha fatto luce su alcune pagine buie della
nostra storia, infrangendo un mito duro a morire che vuole gli
italiani, rispetto ad altri popoli, più tolleranti, più
generosi, insomma incapaci di compiere atti crudeli; a Giampaolo
Pansa che, con libri come Il sangue dei vinti, ha portato
a conoscenza del grande pubblico una verità conosciuta
dalla maggior parte, se non proprio dalla totalità, degli
storici, ma per decenni attentamente tenuta nascosta per ragioni
politiche: la resa dei conti imposta ai fascisti al termine della
guerra civile degli anni 1943-1945. Sia Del Boca sia Pansa ritengo
debbano considerarsi, pur con i necessari distinguo, «revisionisti»
dato che hanno infranto delle false verità che storiche
non erano, in quanto viziate da pregiudizi di fondo. La storia
è una cosa, il mito un'altra ma i miti, proprio perché
miti, sono destinati prima o poi a infrangersi con l'emergere
della verità, per quanto scomoda e fastidiosa questa possa
essere.
Per quanto riguarda i necessari distinguo di cui ho parlato, credo
che occorra tenere conto dei differenti percorsi culturali di
Del Boca e Pansa. Saggista, partigiano, storico, il primo ha prodotto
una fondamentale ricostruzione del colonialismo italiano, scontrandosi
con la storiografia di matrice moderata che, pur non avendo un
diretto legame con il mondo accademico fascista, continuava a
proporre un'interpretazione che giustificava, minimizzava e riabilitava
l'avventura coloniale italiana in tutti i suoi aspetti. In questo
senso Bocca è stato un «revisionista».
Giornalista, autore di romanzi e di numerosi saggi di storia contemporanea,
Pansa, è stato da più parti accusato di aver con
i suoi ultimi libri gettato fango sulla Resistenza. Certi settori
della storiografia accademica lo hanno criticato per una metodologia
di ricerca che non prevede né l'utilizzazione delle note
a piè di pagina né lo stile, non sempre brillante,
che spesso caratterizza la ricerca storica italiana, privilegiando
invece un approccio narrativo. Altra accusa che gli è stata
mossa l'aver utilizzato quasi solo fonti di parte fascista, non
tenendo conto del contesto di violenza da cui quella reazione,
a sua volta sanguinosa, era generata. Insomma, anche a lui è
stato affibbiato il marchio infamante di «revisionista».
Al di là delle etichettature e delle differenze culturali
ciò che conta in chi scrive libri di storia è, ripeto,
l'onestà intellettuale, elemento fondamentale per offrire
al lettore un equilibrato strumento di consultazione. Molto dipende
dalla conoscenza della materia, dalla scelta delle fonti, dalla
capacità di analisi e di sintesi, dalla volontà
di non alterare la realtà selezionando e descrivendo, e
non omettendo volutamente, gli eventi importanti nella loro successione.
Infine rispettando sempre un principio valido per il mondo del
giornalismo e dell'editoria. Prima sempre i fatti, poi eventualmente
le opinioni, comprese quelle personali, se ci sono.
CANZANO 6- L'apologia del fascismo è un reato previsto
dalla legge 20 giugno 1952, n. 645 (contenente "Norme di
attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma
primo) della Costituzione"), anche detta "legge Scelba",
che all'art. 4 sancisce il reato commesso da chiunque "fa
propaganda per la costituzione di un'associazione, di un movimento
o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità"
di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure da
chiunque "pubblicamente esalta esponenti, princìpi,
fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche".
Cosa ne pensa di questa legge?
FABEI - Io ritengo che il fascismo si sia, storicamente
e politicamente concluso nel 1945, con la fine della Seconda guerra
mondiale. Credo che i fenomeni politici, i partiti e i movimenti
che ad esso si sono più o meno direttamente e nostalgicamente
ispirati, abbiano avuto anch'essi, come altre forze politiche,
un ruolo funzionale alla democrazia e non abbiano mai costituito
una vera minaccia per questa. Hanno funto da freno come altre
forze hanno svolto il ruolo di acceleratore. Dal momento che la
storia ha già dato il suo giudizio in merito, a rigor di
logica la stessa legge dovrebbe essere estesa anche al nazismo
e al comunismo, insomma a tutte le "dittature", indipendentemente
dal fatto che gli italiani abbiano sperimentato sulla propria
pelle soltanto il regime fascista.
CANZANO 7- In Italia si pensa ad una legge che regolamenti i siti internet, per colmare 'il vuoto mondiale' della legislazione internet, in questo modo, una volta avviata la 'schedatura' sarà impossibile per chiunque risultasse essere scomodo al sistema aprire blog o diffondere in rete la propria opinione, che ne pensa?
FABEI - Qualunque legge liberticida o, comunque, restrittiva della libertà di ricerca, analisi, discussione e confronto delle tesi di ognuno costituisce di per sé un fatto negativo, a mio giudizio inconcepibile in un sistema "democratico" o sedicente tale. Il termine "schedatura" ha qualcosa di inquisitorio e rimanda mentalmente a un regime poliziesco Anche per internet valgono comunque il codice civile e quello penale. L'importante è non esagerare superando i limiti codificati dalle leggi in vigore.
CANZANO 8- Da
1 a 3 anni di reclusione per chi incita al razzismo e alla xenofobia:
questa la sanzione decisa dai ministri della Giustizia Ue. Secondo
Barrot, - il provvedimento è rivolto contro "coloro
che incitano pubblicamente e intenzionalmente alla violenza e
all'odio, anche attraverso la disseminazione o la distribuzione
di trattati, foto o altro materiale diretto contro un gruppo di
persone o un membro di tale gruppo definito in base alla razza,
al colore, alla religione, discendenza o origini nazionali o etniche".
Nonostante gli articoli 21 e 33 della nostra Costituzione, sono
a rischio in Italia la Libertà di pensiero, la libertà
di stampa, la libertà di insegnamento e di ricerca?
FABEI - Questa domanda andrebbe rivolta a un politico, cosa che io non sono. Ho pubblicato 10 libri in 20 anni, oltre a molti saggi su varie riviste riconducibili ad aree culturali diverse. Nei miei lavori di ricerca storica ho potuto sempre esprimere liberamente le mie opinioni, e continuerò a farlo, a meno che non ci venga imposta un'altra dittatura di qualunque genere e colore. Qualcuno ha affermato che la dittatura è quel tipo di governo in cui tutto ciò che non è proibito è obbligatorio. Spero che questo non avvenga, mai, meglio mai più.
BIOBIBLIOGRAFIA
Nato a Passignano sul Trasimeno il 17
settembre 1960, conseguita la maturità classica, si è
laureato in Lettere moderne all'Università degli studi
di Perugia con una tesi sulle vicende che condussero nel 1914
il sindacalismo rivoluzionario italiano dalla neutralità
all'interventismo, argomento sul quale ha pubblicato nel 1996
Guerra e proletariato.
In Lombardia per circa un decennio, ha insegnato Materie letterarie
al Liceo scientifico di Luino e all'Istituto Tecnico per Geometri
«Don Milani» di Tradate. Attualmente è docente
presso l'Istituto Tecnico per le Attività Sociali «Giordano
Bruno» di Perugia.
La passione per la Storia lo ha portato a compiere ricerche su
un argomento in Italia poco conosciuto non soltanto al grande
pubblico ma anche a molti storici di professione. Si tratta della
storia dei rapporti che, a partire dal primo dopoguerra, intercorsero
tra i movimenti di liberazione del Terzo Mondo, islamici ed indù
in particolare, il fascismo ed il nazionalsocialismo: fenomeno
scarsamente o per niente indagato tanto dagli storici della decolonizzazione
quanto da quelli dei «fascismi».
Tale interesse si è concretizzato nella pubblicazione d'alcuni
testi sull'argomento: nel 1988 di un'indagine sull'attività
di propaganda sviluppata dalla Germania di Hitler nei paesi arabi
nordafricani sottoposti al dominio coloniale francese, intitolata:
La politica maghrebina del Terzo Reich; nel 1990 - era
allora in corso il conflitto tra gli Stati Uniti e l'Iraq di Saddam
Hussein - di una ricostruzione del jihâd che mezzo secolo
prima gli iracheni avevano combattuto per liberarsi dalla pesante
tutela britannica, in Guerra santa nel Golfo.
Suoi studi sono apparsi su «Sacro e Profano»
(L'Islâm e la democrazia, novembre 1990); «Eurasia»,
«Studi piacentini», la rivista dell'Istituto storico
della Resistenza e dell'età contemporanea. Più
recente la sua collaborazione con «Nuova Storia Contemporanea»,
la rivista diretta da Francesco Perfetti e con «I sentieri
della ricerca», il semestrale pubblicato dal Centro
Studi Pietro Ginocchi di Crodo e diretto da Angelo Del Boca.
Nel 2002, dopo il saggio riguardante la politica nazionalsocialista
in Afghanistan negli anni Trenta e Quaranta (Il Reich e l'Afghanistan),
l'autore ha pubblicato, per i tipi del Gruppo Ugo Mursia Editore,
la sua più complessa e documentata indagine sulla politica
italiana e tedesca nei confronti del mondo arabo e dell'Islâm,
dalla fine della prima guerra mondiale al 1945. L'opera, Il
fascio, la svastica e la mezzaluna, è introdotta da
una prefazione di Angelo Del Boca, presidente dell'Istituto storico
della Resistenza di Piacenza e direttore di «Studi piacentini».
Nel 2006 è stata tradotta e pubblicata in Francia, dove
nel 2005 è anche apparso un saggio riguardante la collaborazione
delle comunità maghrebine francesi con le forze di occupazione
tedesche durante la Seconda guerra mondiale: Les arabes de France
sous le drapeau du Reich.
Una vita per la
Palestina (Gruppo
Ugo Mursia Editore, 2003), è la biografia del Gran Mufti
di Gerusalemme, leader politico e religioso che ha avuto un ruolo
di primo piano nella storia del movimento di liberazione palestinese
dalla sua nascita fino al secondo dopoguerra. Il
testo è presentato dall'orientalista Sergio Noja Noseda.
Ultima parte della trilogia dedicata ai rapporti tra il fascismo
e il mondo islamico è Mussolini e la resistenza palestinese,
opera presentata da Angelo del Boca.
Nel 2006 Fabei ha partecipato al II Festival internazionale della
Storia (La Storia in testa, Gorizia 19-21 Maggio) presentandovi
I cetnici nella seconda guerra mondiale, un libro edito
dalla Libreria Editrice Goriziana, prefato da Antonio Sema, sulla
storia dei nazionalisti serbi che collaborarono con gli italiani
in Jugoslavia. Nel 2007 l'Editrice Scarabeo ha pubblicato Carmelo
Borg Pisani. Eroe o traditore?, una biografia del giovane
artista maltese Medaglia d'Oro al Valor Militare. Prefato da Guido
de Marco, Presidente emerito di Malta, e introdotta da Franco
Cardini, questo libro è stato presentato al IV Festival
internazionale della Storia (èStoria - Eroi, Gorizia, 16-18
Maggio 2008) nell'incontro dedicato a «Eroi ed eroine
della Resistenza».
La «Legione straniera» di Mussolini (Mursia,
2008) è l'ultima opera di Fabei, dedicata al collaborazionismo
con l'Italia fascista.
L'autore ha curato anche due pagine per l'Enciclopedia Treccani,
Settore Scuola: La questione arabo-israeliana, Il terrorismo dopo
l'11 settembre 2001.
http://www.stefanofabei.it/index.htm