I. Bruno Bauer, "La questione ebraica" Braunschweig
1843
Gli ebrei tedeschi chiedono
l'emancipazione. Quale emancipazione essi chiedono? L'emancipazione
civile, politica.
Bruno Bauer risponde loro: nessuno in Germania e politicamente
emancipato. Noi stessi non siamo liberi. Come potremmo liberare
voi? Voi ebrei siete egoisti se pretendete un'emancipazione particolare
per voi in quanto ebrei. Voi dovreste, in quanto tedeschi, operare
per l'emancipazione politica della Germania, in quanto uomini,
per la emancipazione umana, e non sentire come un'eccezione alla
regola il modo particolare della vostra oppressione e della vostra
ignominia, ma piùttosto come conferma della regola.
O forse gli ebrei pretendono la parificazione con i sudditi cristiani?
Ma così essi riconoscono, come legittimo lo Statuto cristiano,
così riconoscono il regime dell'asservimento generale.
Perché dispiace loro il proprio giogo particolare, se accettano
il giogo generale? Perché il tedesco dovrebbe interessarsi
alla liberazione dell'ebreo, se l'ebreo non si interessa alla
liberazione del tedesco?
Lo Stato cristiano conosce soltanto privilegi. In esso l'ebreo
possiede il privilegio di essere ebreo. Come ebreo egli ha dei
diritti che i cristiani non hanno. Perché chiede dei diritti
che egli non ha e di cui i cristiani godono?
Volendo essere emancipato dallo Stato cristiano l'ebreo pretende
che lo Stato cristiano abbandoni il suo pregiudizio religioso.
Ma egli, l'ebreo, abbandona il proprio pregiudizio religioso?
Ha dunque egli diritto di esigere da un altro questa rinunzia
alla religione?
Lo Stato cristiano non può, per sua essenza, emancipare
l'ebreo; ma, aggiunge Bauer, l'ebreo per sua essenza non può
venir emancipato. Fino a che lo Stato rimane cristiano e l'ebreo
ebreo, ambedue saranno egualmente incapaci tanto di concedere
che di ricevere l'emancipazione.
Lo Stato cristiano rispetto all'ebreo può comportarsi soltanto
da Stato cristiano, ciòè secondo il sistema del
privilegio, poiché esso permette che l'ebreo sia distinto
dagli altri sudditi, facendogli pero sentire la pressione delle
altre sfere distinte, e facendogliela sentire tanto più
severamente in quanto l'ebreo si trova in contrasto religioso
rispetto alla religione dominante. Ma anche l'ebreo rispetto allo
Stato può comportarsi soltanto da ebreo, ciòè
come uno straniero rispetto allo Stato, poiché egli alla
nazionalità reale contrappone la sua nazionalità
chimerica, alla legge reale la sua legge illusoria, poiché
egli si immagina autorizzato a distinguersi dall'umanita, poiché
egli per principio non prende parte alcuna al movimento storico,
poiché egli spera in un futuro che non ha nulla in comune
con il futuro generale dell'uomo, poiché egli ritiene se
stesso membro del popolo ebraico, e il popolo ebraico il popolo
eletto.
A quale titolo voi ebrei chiedete l'emancipazione? In considerazione
della vostra religione? Ma essa e nemica mortale della religione
dello Stato. Come cittadini? In Germania non vi sono cittadini.
Come uomini? Voi non siete uomini, come non lo sono coloro ai
quali fate appello.
Bauer ha posto in termini nuovi la questione dell'emancipazione
degli ebrei, dopo aver fornito una critica delle posizioni e delle
soluzioni precedenti del problema. Qual e, egli si domanda, la
natura dell'ebreo che deve essere emancipato, dello Stato cristiano
che deve emancipare? Egli risponde con una critica della religione
ebraica, analizza il contrasto religioso tra ebraismo e cristianesimo,
spiega l'essenza dello Stato cristiano, tutto ciò con arditezza,
acutezza, spirito, profondità e con uno stile tanto preciso
quanto robusto ed energico.
Come dunque Bauer risolve la questione ebraica? Qual e il risultato?
Il modo di formulare un problema e già la sua soluzione.
La critica della questione ebraica e già la risposta alla
questione ebraica. Eccone il succo:
Dobbiamo emancipare noi stessi prima di poter emancipare altri.
La forma più rigida
del contrasto tra l'ebreo e il cristiano e il contrasto religioso.
Come si risolve un contrasto? Rendendolo impossibile. Come rendere
impossibile un contrasto religioso? Eliminando tu religione. Quando
ebreo e cristiano riconosceranno che le reciproche religioni non
sono altro che digerenti studi di sviluppo dello spirito umano,
non sono altro che differenti pelli di serpente deposte dalla
storia, e che l'aomo e il serpente che di esse si era rivestito,
allora non si troveranno più in rapporto religioso, ma
ormai soltanto in un rapporto critico, scientifico, umano. La
scienza sarà allora la loro unita. Ma i contrasti nella
scienza si risolvono mediante la scienza stessa.
Invero all'ebreo tedesco si contrappone soprattutto la mancanza
di emancipazione politica in generale e la pronunciata cristianità
dello Stato. Nel senso di Bauer, tuttavia, la questione ebraica
ha un significato generale, indipendente dalla specifica situazione
tedesca. E la questione del rapporto tra religione e Stato, della
contraddizione tra il pregiudizio religioso e l'emancipazione
politica. L'emancipazione dalla religione viene posta come condizione,
sia all'ebreo, che vuole essere emancipato politicamente, sia
allo Stato, che deve emancipare ed essere esso stesso emancipato.
"Bene, si dice, e lo dice lo stesso ebreo, l'ebreo dev'essere
emancipato non come ebreo, non per il fatto di essere ebreo, non
per il fatto di avere un principio cosi squisito, così
universalmente umano della eticità; piùttosto l'ebreo
cederà di fronte al cittadino e sarà cittadino,
sebbene sia ebreo e debba restar tale; ciòè egli
è e resta ebreo, sebbene sia cittadino e viva in rapporti
universalmente umani: alla fine, la sua essenza giudaica e limitata
trionferà sempre sopra i suoi doveri umani e politici.
Il pregiudizio resta, nonostante sia sorpassato da princìpi
generali. Ma se resta, e piùttosto esso a sorpassare di
molto ogni altra cosa.
Solo sofisticamente, in apparenza, l'ebreo potrebbe rimanere tale
nella vita dello Stato; in tal caso, se egli volesse rimanere
ebreo, la mera apparenza sarebbe l'essenziale e trionferebbe,
ciòè la sua vita nello Stato sarebbe soltanto apparenza,
o una momentanea eccezione contro l'essenza e la regola ("La
capacita degli ebrei e dei cristiani d'oggi di diventar liberi".
"Einundzwanzig Bogen", p. 57)."
Vediamo, d'altra parte, come Bauer prospetta il compito dello
Stato:
" La Francia - si dice - ha dato di recente (Dibattiti alla Camera dei deputati del 26 dicembre 1840) riguardo alla questione ebraica, così come sempre per tutte le questioni politiche, lo spettacolo di una vita che e libera, ma che revoca la propria libertà nella legge, quindi anche la dichiara un'apparenza, e d'altra parte confuta la sua libera legge mediante l'azione ("Questione ebraica", p. 64).
La libertà generale
in Francia ancora non e legge, anche la questione ebraica ancora
non e risolta, perché la libertà legale - il fatto
che tutti i cittadini sono eguali - e limitata nella vita, la
quale e ancora dominata e frantumata dai privilegi religiosi,
e questa illibertà della vita reagisce sulla legge e la
costringe a sanzionare la distinzione dei cittadini, in se liberi,
in oppressi e oppressori (p. 65)."
Quando dunque sarebbe risolta per la Francia la questione ebraica?
"L'ebreo, ad esempio, dovrebbe aver cessato di essere ebreo quando non permettesse più alla sua legge di impedirgli di assolvere ai suoi doveri verso lo Stato ed i suoi concittadini, quando, ad es., il sabato si presentasse alla Camera dei deputati e prendesse parte ai dibattiti pubblici. Ogni privilegio religioso, in generale, quindi anche il monopolio di una chiesa privilegiàta, dovrebbe essere abolito, e se alcuni, o parecchi, o anche la stragrande maggioranza, ritenessero di dover adempiere a doveri religiosi, tale adempimento dovrebbe essere loro concesso come una cosa meramente privata (p. 65) [...] "Non vi sarà più religione, se non vi saranno più religioni privilegiàte. Togliete alla religione la sua forza di esclusione, ed essa non esisterà più (p. 66). [...] Come il signor Martin du Nord nella proposta di tralasciare nella legge la menzione della domenica vedeva la proposta di dichiarare che il cristianesimo aveva cessato di esistere, con lo stesso diritto (e tale diritto h perfettamente fondato) la dichiarazione che la legge del sabato non ha più obbligatorietà per l'ebreo sarebbe la proclamazione della fine del giudaismo (p. 71)."
Bauer esige quindi, da un lato, che l'ebreo rinunci al giudaismo, e in generale l'uomo rinunci alla religione, per poter essere emancipato civilmente. D'altro lato, l'eliminazione politica della religione, di conseguenza, equivale per lui all'eliminazione della religione senz'altro. Lo Stato che presuppone la religione non e ancora uno Stato vero, reale.
"Senza dubbio, l'idea religiosa da allo Stato delle garanzie. Ma a quale Stato? A che specie di Stato? (p. 97)."
Si rivela a questo punto l'unilateralita
del modo di porre la questione ebraica.
Non bastava assolutamente chiedersi: chi deve emancipare? Chi
deve essere emancipato? La critica avrebbe dovuto fare una terza
domanda. Essa avrebbe dovuto chiedere: di quale specie di emancipazione
si tratta? Quali condizioni sono implicite nell'essenza dell'emancipazione
richiesta? La critica dell'emancipazione politica in se avrebbe
già costituito la critica conclusiva della questione ebraica
e la sua vera risoluzione nella "questione generale dell'epoca".
Ma poiché Bauer non discute la questione su questo piano,
cade in contraddizioni. Egli pone condizioni che non sono implicite
nell'essenza dell'emancipazione politica stessa. Egli solleva
questioni che non rientrano nel suo compito e risolve compiti
che lasciano irrisolta la sua questione. Quando Bauer dice degli
avversari dell'emancipazione degli ebrei: "Il loro errore
fu solo di presupporre lo Stato cristiano come l'unico vero, e
di non sottoporlo a quella stessa critica con la quale avevano
esaminato il giudaismo" (p. 3), non rileviamo l'errore di
Bauer nel fatto che egli sottopone a critica solo lo "Stato
cristiano", non lo "Stato in se", che non ricerca
il rapporto tra l'emancipazione politica e l'emancipazione umana,
e perciò pone condizioni che sono spiegabili soltanto con
una acritica confusione tra l'emancipazione politica e quella
umana in generale. Se' Bauer domanda agli ebrei: dal vostro punto
di vista avete voi il diritto di chiedere l'emancipazione politica?
noi domandiamo a nostra volta: il punto di vista dell'emancipazione
politica ha il diritto di esigere dagli ebrei l'abolizione del
giudaismo, e dagli uomini in generale l'abolizione della religione?
La questione ebraica assume un aspetto differente secondo lo
Stato nel quale si trova l'ebreo. In Germania, dove non esiste
uno Stato politico, uno Stato in quanto Stato, la questione ebraica
e una pura questione teologica. L'ebreo si trova in contrasto
religioso con lo Stato, il quale riconosce come suo fondamento
il cristianesimo. Tale Stato e teologo ex professo. La critica
e qui critica della teologià, critica a doppio taglio,
critica della teologià cristiana e della teologià
ebraica. Ma così ci muoviamo ancor sempre nel campo della
teologià, per quanto criticamente ci muoviamo.
In Francia, Stato costituzionale, la questione ebraica e la questione
del costituzionalismo, la questione della incompletezza della
emancipazione politica. Poiché qui e conservata l'apparenza
di una religione di Stato, sebbene in una formula vuota e in se
contraddittoria, la formula di una religione della maggioranza,
il rapporto dell'ebreo con lo Stato conserva l'appurenzu di un
contrasto religioso, teologico.
Solo nei liberi Stati dell'America del nord - almeno in una parte
di essi - la questione ebraica perde il suo significato teologico
per diventare una questione realmente mondana. Solo la dove lo
Stato politico esiste nella sua forma compiùta, il rapporto
dell'ebreo, e in generale dell'uomo religioso, con lo Stato politico,
dunque il rapporto della religione con lo Stato, può presentarsi
nella sua peculiarità, nella sua purezza. La critica di
questo rapporto cessa di essere teologica non appena lo Stato
cessi di comportarsi in modo teologico nei riguardi della religione,
non appena esso si comporti verso la religione di Stato, ciòè
politicamente. La critica diviene allora critica dello Stato politico.
A questo punto, nel quale la questione cessa di essere teologica,
la critica di Bauer cessa di essere critica.
"Negli Stati Uniti non esiste né una religione di
Stato, né una religione ufficiale della maggioranza né
un culto predominante sugli altri. Lo Stato è estraneo
a tutti i culti ("Marie ou I'esclavage aux Etats-Units ecc.",
di G. de Beaumont, Paris, 1835, p. 214). Vi sono infatti Stati
nordamericani nei quali "la Costituzione non impone le credenze
religiose e la pratica d'un culto come condizione dei privilegi
politici" (1.c., p. 225). Tuttavia "negli Stati Uniti
non si crede che un uomo senza religione possa essere un uomo
onesto (1.c., p. 224).
Ciònonostante l'America del nord e per eccellenza il paese
della religiosita, come assicurano unanimi Beaumont, Tocqueville,
e l'inglese Hamilton. Gli Stati nordamericani, del resto, ci servono
solo come esempio. La questione e: come si comporta l'emancipazione
politica compiùta nei riguardi della religione. Se perfino
nel paese dell'emancipazione politica compiùta noi troviamo
non soltanto l'esistenza, ma l'esistenza vivace e vitale della
religione, questo fatto testimonia che l'esistenza della religione
non contraddice alla perfezione dello Stato. Ma poiché
l'esistenza della religione e l'esistenza di un difetto, la fonte
di tale difetto può ancora essere ricercata soltanto nell'essenza
dello Stato stesso. La religione per noi non costituisce più
il fondamento, bensì ormai soltanto il fenomeno della limitatezza
mondana. Per questo, noi spieghiamo il pregiudizio religioso dei
liberi cittadini con il loro pregiudizio mondano. Non riteniamo
che essi debbano sopprimere la loro limitatezza religiosa, per
poter sopprimere i loro limiti mondani. Affermiamo che essi sopprimeranno
la loro limitatezza religiosa non appena avranno soppresso i loro
limiti mondani. Noi non trasformiamo le questioni mondane in questioni
teologiche. Trasformiamo le questioni teologiche in questioni
mondane. Dopo che per lungo tempo la storia e stata risolta in
superstizione, noi risolviamo la superstizione in storia. La questione
del rapporto tra l'emancipazione politica e la religione, diviene
per noi la questione del rapporto tra l'emancipazione politica
e l'emancipazione umana Noi critichiamo la debolezza religiosa
dello Stato politico, in quanto critichiamo lo Stato politico,
facendo astrazione dalle debolezze religiose nella sua costruzione
mondana. Noi umanizziamo la contraddizione tra lo Stato e una
determinata religione, ad esempio il giudaismo, nella contraddizione
tra lo Stato e determinati elementi mondani, la contraddizione
dello Stato con la religione in generale nella contraddizione
tra lo Stato e le sue premesse.
L'emancipazione politica dell'ebreo, del cristiano, in generale
dell'uomo religioso, e l'emancipazione dello Stato dal giudaismo,
dal cristianesimo, in generale dalla religione. Nella sua forma,
nel modo proprio alla sua essenza, in quanto Stato, lo Stato si
emancipa dalla religione emancipandosi dalla religione di Stato,
ciòè quando lo Stato come Stato non professa religione
alcuna, quando lo Stato riconosce piùttosto se stesso come
Stato. L'emancipazione politica dalla religione non e l'emancipazione
compiùta, senza contraddizioni, dalla religione, perché
l'emancipazione politica non e il modo compiùto, senza
contraddizioni, dell'emancipazione
Il limite dell'emancipazione politica appare immediatamente nel
fatto che lo Stato può liberarsi da un limite senza che
l'uomo ne sia realmente libero, che lo Stato può essere
un libero Stato senza che l'uomo sia un uomo libero. Bauer stesso
ammette ciò implicitamente, allorché pone all'emancipazione
politica la seguente condizione:
"Ogni privilegio religioso in generale, quindi anche il monopolio
di una Chiesa privilegiàta dovrebbe essere abolito, e se
alcuni o parecchi, o anche la stragrande maggioranza, ritenessero
ancora di dover assolvere a doveri religiosi, tale adempimento
dovrebbe essere loro concesso come una cosa meramente privata
(Bruno Bauer, "Die Judenfrage", p. 65)."
Lo Stato può dunque essersi emancipato dalla religione,
persino se la stragrande maggioranza e ancora religiosa. E la
stragrande maggioranza non cessa di essere religiosa per il fatto
di essere religiosa privatim.
Ma il comportamento dello Stato verso la religione, e particolarmente
dello Stato libero, non e tuttavia altro che il comportamento
degli uomini che formano lo Stato, verso la religione. Ne consegue
che l'uomo per mezzo dello Stato, politicamente, si libera di
un limite, innalzandosi oltre tale limite, in contraddizione con
se stesso, in un modo astratto e limitato, in un modo parziale.
Ne consegue inoltre che l'uomo, liberandosi politicamente, si
libera per via indiretta, attraverso un mezzo, anche se un mezzo
necessario. Ne consegue infine che l'uomo, anche se con la mediazione
dello Stato si proclama ateo, ciòè se proclama ateo
lo Stato, rimane ancor sempre prigioniero del pregiudizio religioso,
appunto perché riconosce se stesso solo per via indiretta,
solo attraverso un mezzo. La religione e appunto il riconoscersi
dell'uomo per via indiretta. Attraverso un mediatore. Lo Stato
e il mediatore tra l'uomo e la libertà dell'uomo. Come
Cristo e il mediatore che l'uomo carica di tutta la sua divinità,
di tutto il suo pregiudizio religioso, così lo Stato e
il mediatore nel quale egli trasferisce tutta la sua mondanità,
tutta la sua spregiudicatezza umana.
L'elevazione politica dell'uomo al di sopra della religione partecipa
di tutti i difetti e i pregi dell'elevazione politica in generale.
Lo Stato in quanto Stato annulla, ad es., la proprietà
privata, l'uomo dichiara soppressa politicamente la proprietà
privata non appena esso abolisce il censo per l'eleggibilita attiva
e passiva, come e avvenuto in molti Stati nordamericani. Hamilton
interpreta assai giustamente questo fatto dal punto di vista politico:
"La grande massa ha trionfato sopra i proprietari e la ricchezza".
Non e forse idealmente soppressa la proprietà privata,
dacché il nullatenente diviene legislatore del proprietario?
Il censo e l'ultima forma politica di riconoscimento della proprietà
privata.
Tuttavia, con l'annullamento politico della proprietà privata
non solo non viene soppressa la proprietà privata, ma essa
viene addirittura presupposta. Lo Stato sopprime alla sua maniera,
le differenze di nascita, di condizione, di cultura, di professione,
dichiarando che nascita, condizione, cultura, professione non
sono differenze politiche, proclamando ciascun membro del popolo
partecipe in egual misura della sovranità popolare, senza
riguardo a tali differenze, trattando tutti gli elementi della
vita reale del popolo dal punto di vista dello Stato. Nondimeno
lo Stato lascia che la proprietà privata, la cultura, la
professione operino nel loro modo, ciòè come proprietà
privata, come cultura, come professione, e facciano valere la
loro particolare essenza. Ben lungi dal sopprimere queste differenze
di fatto, lo Stato esiste piùttosto soltanto in quanto
le presuppone, sente se stesso come Stato politico, e fa valere
la propria universalità solo in opposizione con questi
suoi elementi. Hegel definisce perciò molto esattamente
il rapporto dello Stato politico con la religione, quando dice:
"Affinché [...] lo Stato giunga ad esistere come la
realtà etica consapevole dello spirito, e necessario che
esso si distingua dalla forma dell'autorità e della fede;
ma tale distinzione compare solo in quanto la parte ecclesiastica
in se stessa perviene alla separazione; soltanto cosi al di sopra
delle Chiese particolari lo Stato ha acquistato l'oniversalitu
del pensiero, il principio della sua forma, e li reca ad esistenza
(Hegel, "Filosofia del diritto", I edizione,
p. 346)."
Certamente! Solo così, al di sopra degli elementi particolari,
lo Stato si costituisce come universalità.
Lo Stato politico perfetto e per sua essenza la vita generica
dell'uomo, in opposizione alla sua vita materiale. Tutti i presupposti
di questa vita egoistica continuano a sussistere al di fuori della
sfera dello Stato, nella società civile, ma come caratteristiche
della società civile. La dove lo Stato politico ha raggiunto
il suo vero sviluppo, l'uomo conduce non soltanto nel pensiero,
nella coscienza, bensì nella realtà, nella vita,
una doppia vita, una celeste e una terrena, la vita nella comunità
politica nella quale egli si considera come ente comunitario,
e la vita nella società civile nella quale agisce come
uomo privato, che considera gli altri uomini come mezzo, degrada
se stesso a mezzo e diviene trastullo di forze estranee. Alla
società civile lo Stato politico si rapporta nel modo spiritualistico
in cui il cielo si rapporta alla terra. Rispetto ad essa si trova
nel medesimo contrasto, e la vince nel medesimo modo in cui la
religione vince la limitatezza del mondo profano, ciòè
dovendo insieme riconoscerla, restaurarla e lasciarsi da essa
dominare. Nella sua realtà più immediata, nella
società civile, l'uomo e un essere profano. Qui, dove per
se e per gli altri vale come individuo reale, egli e un fenomeno
non vero. Viceversa, nello Stato, dove l'uomo vale come ente generico,
egli e il membro immaginario di una sovranità immaginaria,
e spogliato della sua reale vita individuale e riempito di una
universalità irreale.
Il conflitto nel quale si trova l'uomo come seguace di una religione
particolare, con se stesso in quanto cittadino, con gli altri
uomini in quanto membri della comunità, si riduce alla
scissione mondana tra lo Stato politico e la società civile.
Per l'uomo in quanto burgeois, "la vita nello Stato e soltanto
apparenza o una momentanea eccezione contro l'essenza e la regola".
Certamente il burgeois, come l'ebreo, rimane nella vita solo sofisticamente,
cosi come solo sofisticamente il citoyen rimane ebreo o burgeois;
ma a fare il sofisma non sono i singoli individui. Essa e la sofistica
dello Stato politico stesso. La differenza tra l'uomo religioso
e il cittadino e la differenza tra il commerciante e il cittadino,
tra il salariato giornaliero e il cittadino, tra il proprietario
fondiario e il cittadino, tra l'indiwiduo vivente e il cittadino.
La contraddizione nella quale si trova l'uomo religioso con l'uomo
politico, e la medesima contraddizione nella quale si trova il
burgeois con il citoyen, nella quale si trova il membro della
società civile con la sua pelle di leone politica.
Questo conflitto mondano, al quale infine si riduce la questione
ebraica, il rapporto dello Stato politico coi suoi presupposti,
siano pur essi elementi materiali come la proprietà privata
ecc., o spirituali, come cultura, religione, il conflitto tra
l'interesse generale e l'interesse privato, la scissione tra lo
Stato politico e la società civile, questi contrasti mondani
Bauer li lascia sussistere, mentre polemizza contro la loro espressione
religiosa.
"Proprio il suo fondamento, il bisogno, che assicura alla società civile la sua sussistenza e garantisce la sua necessita, espone la sua sussistenza a continui pericoli, mantiene in essa un elemento di insicurezza e produce quella mescolanza, in continua vicenda, di miseria e ricchezza, di indigenza e prosperita, l'avvicendarsi in generale (p. 8)."
Si confronti l'intera sezione:
"La società civile" (pp. 8-9) che e abbozzata
secondo le linee fondamentali della filosofia del diritto di Hegel.
La società civile nel suo contrasto con lo Stato politico
si riconosce necessaria, poiché si riconosce necessario
lo Stato politico.
L'emancipazione politica e certamente un grande passo in avanti,
non e bensì la forma ultima dell'emancipazione umana in
generale, ma e l'ultima forma dell'emancipazione umana entro l'ordine
mondiale attuale. S'intende: noi parliamo qui di reale, di pratica
emancipazione.
L'uomo si emancipa politicamente dalla religione confinandola
dal diritto pubblico al diritto privato. Essa non e più
lo spirito dello Stato, dove l'uomo - anche se in modo limitato,
sotto forma particolare e in una particolare sfera - si comporta
come ente generico, in comunità con altri uomini; essa
e divenuta lo spirito della società civile, della sfera
dell'egoismo, del bellum omniam contru omnes. Essa non e più
l'essenza della comunità, ma l'essenza della distinzione.
Essa e divenuta l'espressione della separazione dell'uomo dalla
sua natura comunitaria, da se e dagli altri uomini, ciò
ch'essa era originariamente. Essa e ancora soltanto il riconoscimento
astratto dell'assurdità particolare, del capricciò
privato, dell'arbitrio. L'infinito frazionamento della religione
nell'America del nord, ad es., già esternamente le conferisce
la forma di una faccenda puramente individuale. Essa e stata relegata
nel novero degli interessi privati, e, in quanto essenza della
comunità, esiliata dalla comunità. Ma non ci si
inganni circa i limiti della emancipazione politica. La scissione
dell'uomo nell'uomo pubblico e nell'uomo privato, il trasferimento
della religione dallo Stato alla società civile, non sono
un gradino, sono il compimento dell'emancipazione politica, che
pertanto sopprime la religiosità reale dell'uomo tanto
poco quanto poco tende a sopprimerla.
La scomposizione dell'uomo nell'ebreo e nel cittadino, nel protestante
e nel cittadino, nell'uomo religioso e nel cittadino, questa scomposizione
non e una menzogna contro la qualità di cittadino, non
e un modo di eludere l'emancipazione politica, essa e l'emancipuzione
politica stessa, e il modo politico di emanciparsi dalla religione.
Certamente: in epoche in cui lo Stato politico in quanto Stato
politico viene generato con violenza dalla società civile,
in cui l'auto-liberazione umana tende a compiersi sotto la forma
dell'auto-liberazione politica, lo Stato può e deve procedere
fino alla soppressione della religione, fino all'annientamento
della religione, ma solo così come procede alla soppressione
della proprietà privata, ad imporre un massimo, alla confisca,
all'imposta progressiva, come procede alla soppressione della
vita con la ghigliottina. Nei momenti in cui prevale il suo sentimento
di se, la vita politica cerca di soffocare il suo presupposto,
la società civile e i suoi elementi, e di costituirsi come
la reale e non contraddittoria vita dell'uomo come genere. Essa
può questo, nondimeno, solo attraverso una violenta contraddizione
con le sue proprie condizioni di vita, solo dichiarando permanente
la rivoluzione, e il dramma politico finisce perciò altrettanto
necessariamente con la restaurazione della religione, della proprietà
privata, di tutti gli elementi della società civile, cosi
come la guerra finisce con la pace.
Anzi, non il cosiddetto Stato cristiano, che riconosce il cristianesimo
come proprio fondamento, come religione di Stato e si comporta
perciò in modo esclusivo verso le altre religioni, e lo
Stato cristiano perfetto, ma lo e piùttosto lo Stato ateo,
lo Stato democratico, lo Stato che confina la religione tra gli
altri elementi della società civile. Lo Stato che e ancora
teologo, che fa ancora in forma ufficiale professione di fede
cristiana, che non osa ancora proclamarsi Stato, non e ancora
riuscito a esprimere in forma mondana e umana, nella sua realtà
in quanto Stato, il fondamento umano, la cui espressione esaltata
e il cristianesimo.
Il cosiddetto Stato cristiano e semplicemente il non-Stato, poiché
non il cristianesimo come religione, ma soltanto lo sfondo umano
della religione cristiana Po attuarsi in creazioni realmente umane.
Il cosiddetto Stato cristiano e la negazione cristiana dello Stato,
e per nulla affatto la realizzazione statale del cristianesimo.
Lo Stato che riconosce ancora il cristianesimo nella forma della
religione, non lo riconosce ancora nella forma dello Stato, perché
si comporta ancora religiosamente verso la religione, ciòè
esso non e l'attuazione reale del fondamento umano della religione,
poiché ancora si richiama alla irrealtà, alla figura
immaginaria di questo nocciòlo umano. Il cosiddetto Stato
cristiano e lo Stato incompiùto, e la religione cristiana
gli vale come integrazione e come santificazione della sua incompiùtezza.
La religione diviene quindi per esso necessariamente un mezzo,
ed esso e lo Stato della ipocrisia. E cosa diversa se lo Stato
compiùto, a causa del difetto insito nell'essenza universale
dello Stato, annovera la religione tra i propri presupposti ovvero
se lo Stato incompiùto, a causa del difetto insito nella
sua esistenza particolare, in quanto Stato difettoso, dichiara
proprio fondamento la religione. Nell'ultimo caso la religione
diviene politica incompiùta. Nel primo caso, nella religione,
si mostra la incompiùtezza stessa della politica compiùta.
Il cosiddetto Stato cristiano ha bisogno della religione cristiana
per potersi completare come Stato. Lo Stato democratico, lo Stato
reale, non ha bisogno della religione per il proprio completamento
politico. Esso può anzi astrarre dalla religione poiché
in esso il fondamento umano della religione e attuato mondanamente.
Il cosiddetto Stato cristiano, viceversa, si comporta politicamente
verso la religione e religiosamente verso la politica. Se abbassa
ad apparenza le forme statali, abbassa tuttavia parimenti ad apparenza
la religione.
Per illustrare questa opposizione, esaminiamo la costruzione di
Bauer dello Stato cristiano, che e derivata dalla concezione dello
Stato cristiano-germanico.
"Di recente - dice Bauer - per dimostrare la impossibilità
o non esistenza di uno Stato cristiano si e rimandato molto spesso
a quei precetti del Vangelo, che lo Stato [odierno] non solo non
segue, ma neppure può seguire, se non vuole [come Stato]
dissolversi completamente.
Ma la questione non si risolve con tanta facilita. Che cosa esigono
dunque quei precetti evangelici? La rinunzia soprannaturale a
se stessi, la sottomissione all'autorità della rivelazione,
l'allontanamento dallo Stato, la soppressione dei rapporti mondani.
Orbene, tutto questo esige ed effettua lo Stato cristiano. Esso
si e appropriato dello Spirito del Vangelo, e se anche non lo
ripete con le stesse parole del Vangelo, ciò accade solo
perché esso esprime tale spirito in forme statali, ciòè
in forme che sono bensì prese a prestito dall'essenza dello
Stato e da questo mondo, ma nella rigenerazione religiosa che
devono subire, vengono abbassate ad apparenza. E l'allontanamento
dallo Stato, il quale per attuarsi si serve delle forme statali
(p. 55)."
Bauer spiega quindi come il popolo dello Stato cristiano sia semplicemente
un non-popolo, non abbia più una volontà propria,
ma possegga la sua vera esistenza nel capo al quale e soggetto,
che tuttavia originariamente e per sua natura gli e estraneo,
ciòè gli e dato da dio e gli e capitato senza sua
cooperazione, come le leggi di questo popolo non siano opera sua
bensì rivelazioni positive, come il suo capo supremo abbia
bisogno presso il popolo vero e proprio, presso la massa, di mediatori
privilegiàti, come questa massa stessa si disgreghi in
una quantità di cerchie particolari che il caso forma e
determina, che si differenziano per i loro interessi, per le loro
passioni e i loro pregiudizi particolari, e che, come privilegio,
ricevono il permesso di isolarsi reciprocamente gli uni dagli
altri, ecc. (p. 56).
Ma Bauer stesso dice:
"La politica, se non dev'essere nient'altro che religione, non può essere politica, così come la pulizia delle pentole, se deve avere valore di rito religioso, non può essere considerata una faccenda economica (p. 108)."
Nello Stato cristiano-germanico,
pero, la religione e una "faccenda economica", come
la "faccenda economica" e religione. Nello Stato cristiano-germanico
il dominio della religione e la religione del dominio.
La separazione dello "spirito del Vangelo" dalla "lettera
del Vangelo" e un atto irreligioso. Lo Stato che fa parlare
il Vangelo con la lettera della politica, ciòè con
altra lettera che la lettera dello Spirito Santo, compie un sacrilegio,
se non di fronte agli occhi degli uomini, per lo meno di fronte
ai suoi stessi occhi religiosi. A quello Stato che riconosce il
cristianesimo come sua norma suprema, la Bibbia come sua Charte,
si devono contrapporre le parole della Sacra Scrittura, perché
la Scrittura e sacra fin nella parola. Questo Stato, come pure
l'immondizia umana sulla quale esso si basa, cade in una contraddizione
dolorosa, insormontabile dal punto di vista della coscienza religiosa,
se lo si richiama a quei precetti del Vangelo che esso "non
solo non segue, ma neppure può seguire, se non vuole dissolversi
completamente in quanto Stato". E perché non vuole
dissolversi completamente? Esso stesso non può rispondere
a questa domanda, ne a se ne ad altri. Dinanzi alla sua propria
coscienza, lo Stato cristiano ufficiale e un dover essere, la
cui realizzazione e irraggiungibile; soltanto mentendo a se stesso
esso può constatare la realtà della propria esistenza,
e pertanto rimane sempre per se stesso un oggetto di dubbio, un
oggetto incerto, problematico. La critica ha dunque pienamente
ragione di costringere lo Stato che si appella alla Bibbia a quel
profondo turbamento della coscienza, in cui esso stesso non sa
più se e una fantasia o una realtà, in cui l'infamia
dei suoi scopi mondani, ai quali la religione serve da copertura,
entra in un conflitto insolubile con l'onesta della sua coscienza
religiosa, cui la religione appare come lo scopo del mondo. Questo
Stato può riscattarsi dal suo tormento interiore soltanto
divenendo lo sgherro della Chiesa cattolica. Di fronte ad essa,
che dichiara proprio corpo servente il potere mondano, lo Stato
e impotente, impotente il potere mondano che asserisce di essere
l'autorita dello spirito religioso.
Nel cosiddetto Stato cristiano ha bensì valore l'estraneazione,
ma non l'uomo. L'unico uomo che abbia valore, il re, e un essere
specificamente distinto dagli altri uomini e dunque un essere
ancora religioso, direttamente collegato col cielo, con Dio. Le
relazioni che qui predominano, sono ancora relazioni fideistiche.
Lo spirito religioso, dunque, non e ancora realmente mondanizzato.
E del resto lo spirito religioso non può realmente mondanizzarsi:
che cosa e infatti esso stesso se non la forma non mondana di
un grado di sviluppo dello spirito umano? Lo spirito religioso
può essere realizzato solo in quanto il grado di sviluppo
dello spirito umano, di cui esso e l'espressione religiosa, si
presenta e si costituisce nella sua forma mondana. Ciò
avviene nello Stato democratico. Non il cristianesimo, bensì
il fondamento umano del cristianesimo e il fondamento di questo
Stato. La religione rimane la coscienza ideale, non mondana, dei
suoi membri, poiché essa e la forma ideale del grado di
sviluppo umano che in esso si attua.
I membri dello Stato politico sono religiosi a causa del dualismo
tra la vita individuale e la vita del genere, tra la vita della
società civile e la vita politica, sono religiosi in quanto
l'uomo considera la vita statale, posta al di la della sua vera
individualità, come la sua vita vera, sono religiosi poiché
la religione e qui lo spirito della società civile, l'espressione
della separazione e dell'allontanamento dell'uomo dall'uomo. La
democrazia politica e cristiana perché in essa l'uomo,
non soltanto un uomo, ma ogni uomo, vale come essere sovrano,
come essere supremo; si tratta pero dell'uomo nella sua forma
fenomenica incivile ed asociale, l'uomo nella sua esistenza casuale,
l'uomo cosi come si trova, l'uomo corrotto, perduto e alienato
a se stesso, assoggettato a rapporti ed elementi disumani ad opera
dell'organizzazione della nostra società nel suo insieme,
in una parola, l'uomo che non e ancora un reale ente generico.
La finzione fantastica, il sogno, il postulato del cristianesimo,
ciòè la sovranità dell'uomo, ma in quanto
ente estraneo e differente rispetto all'uomo reale, nella democrazia
e realtà e presenza sensibile, massima mondana. Nella democrazia
perfetta, la stessa coscienza religiosa e teologica ha tanto più
valore religioso, teologico, quanto più in apparenza e
priva di importanza politica, di scopi terreni, affare dell'animo
schivo del mondo, espressione della limitatezza intellettuale,
prodotto dell'arbitrio e della fantasia, quanto più e realmente
una vita nell'aldilà. Qui il cristianesimo giunge ad esprimere
praticamente il suo significato religioso-universale, poiché
le concezioni del mondo più disparate si raccolgono l'una
accanto all'altra nella forma del cristianesimo, e ancor più
perché esso non pone ad altri neppure più l'esigenza
del cristianesimo, bensì ormai solo quella della religione
in generale, di una qualsiasi religione (cfr. il citato scritto
di Beaumont). La coscienza religiosa si bea della ricchezza degli
antagonismi religiosi e della varieta delle religioni. Noi abbiamo
dunque mostrato che l'emancipazione politica dalla religione lascia
sussistere la religione, anche se non una religione privilegiàta.
La contraddizione nella quale il seguace di una religione particolare
si trova con la sua qualità di cittadino, e solo una parte
dell'universale contraddizione mondana tra lo Stato politico e
la società civile. La perfezione dello Stato cristiano
e lo Stato che si riconosce come Stato, e fa astrazione dalla
religione dei suoi membri. L'emancipazione dello Stato dalla religione
non e l'emancipazione dell'uomo reale dalla religione.
Noi non diciamo dunque agli ebrei, con Bauer: voi non potete essere
emancipati politicamente senza emanciparvi radicalmente dal giudaismo.
Piuttosto, diciamo loro: per il fatto che potete essere emancipati
politicamente senza abbandonare completamente e coerentemente
il giudaismo, per quanto l'emuncipazione politica stessa non e
l'emancipazione umana. Se voi ebrei volete essere emancipati politicamente,
senza emancipare voi stessi umanamente, e perché l'incompletezza
e la contraddizione non risiedono in voi soltanto, esse risiedono
nell'essenza e nella categoria della emancipazione politica. Se
voi siete irretiti in questa categoria, e perché partecipate
dell'universale pregiudizio. Come lo Stato agisce secondo il Vangelo,
allorché, sebbene Stato, si comporta cristianamente verso
l'ebreo, così l'ebreo unisce secondo la politica, allorché,
sebbene ebreo, esige di godere dei diritti del cittadino.
Ma se l'uomo, quantunque ebreo, può essere emancipato politicamente,
può ricevere diritti del cittadino, può pretendere
e ricevere i cosiddetti diritti dell'uomo? Bauer lo nega.
"La questione e se l'ebreo in quanto tale, ciòè l'ebreo che spontaneamente ammette di essere costretto dalla sua vera natura a vivere in eterno isolamento dagli altri, sia capace di ricevere gli universuli diritti dell'aorno e di accordarli ad altri. L'idea dei diritti dell'uomo venne scoperta per il mondo cristiano appena nel secolo scorso. Essa non e innata nell'uomo, viene piuttosto conquistata solo nella lotta contro le tradizioni storiche nelle quali venne finora allevato l'uomo. I diritti dell'uomo non sono dunque un dono della natura, non sono stati recati in dote dalla storia trascorsa, bensì sono il premio della lotta contro l'accidentalita della nascita e contro i privilegi, che la storia ha finora trasmesso in eredita di generazione in generazione. Sono il risultato della cultura, e li può possedere solo colui che se li e guadagnati e meritati. Può dunque l'ebreo prenderne realmente possesso? Fino a che egli e ebreo, bisogna che, sulla natura umana, che dovrebbe legarlo in quanto uomo agli uomini, l'essenza limitata che lo fa ebreo riporti la vittoria e lo isoli dai non ebrei. Con tale isolamento egli proclama che l'essenza particolare che fa di lui un ebreo e la sua vera e suprema essenza, dinanzi alla quale l'essenza dell'uomo deve cedere. Allo stesso modo il cristiano, in quanto cristiano, non può concedere diritti dell'uomo (pp. 19, 20). "
L'uomo, secondo Bauer, deve
sacrificare il "privilegio della fede" per essere in
grado di ricevere gli universali diritti dell'uomo. Consideriamo
per un istante i cosiddetti diritti dell'uomo, e ciòè
i diritti dell'uomo nella loro figura autentica, nella figura
che possiedono presso i loro scopritori, i nordamericani e i francesi!
In parte questi diritti dell'uomo sono diritti politici, diritti
che vengono esercitati solo in comunione con gli altri. La partecipazione
alla comunità, e ciòè alla comunità
politica, allo Stato, costituisce il loro contenuto. Essi cadono
sotto la categoria della libertà politica, sotto la categoria
dei diritti del cittadino, che, come vedemmo, non presuppongono
affatto la soppressione coerente e positiva della religione, dunque
neppure del giudaismo. Rimane da considerare l'altra parte dei
diritti dell'uomo, i droits de l'homme in quanto essi sono distinti
dai droits du citoyen.
Fra queste si trova la libertà di coscienza, il diritto
di praticare un qualsivoglia culto. Il privilegio della fede viene
riconosciuto espressamente o come diritto dell'uomo, o come conseguenza
di un diritto dell'uomo, della libertà.
"Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, 1791, art. 10: "Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose". Nel titolo I della Costituzione del 1791 viene garantito come diritto dell'uomo: "La libertà di esercitare il culto religioso al quale aderisce". Dichiarazione dei diritti dell'uomo ecc., 1793, annovera tra i diritti dell'uomo, art. 7: "Il libero esercizio dei culti". Anzi, in relazione al diritto di manifestare pubblicamente i propri pensieri e le proprie opinioni, di riunirsi, di praticare il proprio culto, e detto perfino: "La necessita di enunciare questi diritti presuppone o la presenza o il ricordo recente del dispotismo". Si confronti la Costituzione del 1795, titolo XIV, art. 354. Costituzione della Pennsylvaniu, art. 9, $3: "Tutti gli uomini hanno ricevuto dalla natura l'imprescrittibile diritto di adorare l'Onnipotente secondo l'ispirazione della propria coscienza, e nessuno può essere costretto con la forza della legge ad aderire, a istituire o sostenere contro la sua volontà alcun culto o ministero religioso. In nessun caso l'autorita umana ha la potestà di interferire nelle questioni di coscienza e di controllare le forze dell'anima".
Costituzione del New Hampshire,
articoli 5 e 6: "Dei diritti naturali alcuni sono per loro
natura inalienabili, poiché non ve né alcuno equivalente
che possa sostituirli. Fra questi rientrano i diritti di coscienza"."
L'inconciliabilità della religione con i diritti dell'uomo
e tanto poco implicita nel concetto dei diritti dell'uomo che
il diritto di essere religioso, di essere religioso in qualsiasi
modo, di praticare il culto della propria religione particolare,
viene anzi espressamente annoverato tra i diritti dell'uomo. Il
privilegio della fede e un diritto universale dell'uomo.
I droits de l'homme, i diritti dell'uomo, vengono in quanto
tali distinti dai droits du citoyen, dai diritti del cittadino.
Chi e l'homme distinto dal citoyen? Nient'altro
che il membro della società civile. Perché il membro
della società civile viene chiamato "uomo", uomo
senz'altro, perché i suoi diritti vengono chiamati "diritti
dell'uomo"? Donde spieghiamo questo fatto? Dal rapporto dello
Stato politico con la società civile, dall'essenza dell'emancipazione
politica. Innanzi tutto costatiamo il fatto che i cosiddetti diritti
dell'uomo, i droits de l'homme, come distinti dai droits da citoyen
non sono altro che i diritti del membro della società civile,
ciòè dell'uomo egoista, dell'uomo separato dall'uomo
e dalla comunità. La costituzione più radicale,
la Costituzione del 1793 può dire:
"Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino.
Art. 2. "Questi diritti ecc." (i diritti naturali e imprescrittibili) "sono: l'uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà.""
In che consiste la libertà?
"Art. 6. "La libertà e il potere che appartiene all'uomo di fare tutto ciò che non nuoce ai diritti degli altri", oppure, secondo la Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1791: "La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri"."
La libertà e dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non nuoce ad altri. Il confine entro il quale ciascuno può muoversi senza nocumento altrui, e stabilito per mezzo della legge, come il limite tra due campi e stabilito per mezzo di un cippo. Si tratta della libertà dell'uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. Perché l'ebreo, secondo Bauer, e incapace di ricevere i diritti dell'uomo?
"Fino a che egli e ebreo, bisogna che, sulla natura umana, che dovrebbe legarlo in quanto uomo agli uomini, l'essenza limitata che lo fa ebreo riporti la vittoria e lo isoli dai non ebrei. "
Ma il diritto dell'uomo alla
libertà si basa non sul legame dell'uomo con l'uomo, ma
piuttosto sull'isolamento dell'uomo dall'uomo. Esso e il diritto
a tale isolamento, il diritto dell'individuo limitato, limitato
a se stesso.
L'utilizzazione pratica del diritto dell'uomo alla libertà
e il diritto dell'uomo alla proprietà privata. In che consiste
il diritto dell'uomo alla proprietà privata?
"Art. 16 (Costituzione del 1793): "Il diritto di proprietà e quello che appartiene ad ogni cittadino di godere e disporre a proprio arbitrio dei suoi beni, delle sue rendite, del frutto del suo lavoro e della sua operosità"."
Il diritto dell'uomo alla proprietà
privata e dunque il diritto di godere a proprio arbitrio (a son
gre), senza riguardo agli altri uomini, indipendentemente dalla
società, della propria sostanza e di disporre di essa,
il diritto dell'egoismo. Quella libertà individuale, come
questa utilizzazione della medesima, costituiscono il fondamento
della società civile. Essa lascia che ogni uomo trovi nell'altro
uomo non già la realizzazione, ma piuttosto il limite della
sua libertà. Ma essa proclama innanzi tutto il diritto
dell'uomo di godere e di disporre il proprio arbitrio dei suoi
beni, delle sue rendite, del frutto del suo lavoro e della sua
operosità.
Restano ancora gli altri diritti dell'uomo, l'égalité
e la sûreté. L'égalité, qui nel suo
significato non politico, non e altro che l'uguaglianza della
liberté sopra descritta, e cioè: che ogni uomo viene
ugualmente considerato come una siffatta monade che riposa su
se stessa. La Costituzione del 1795 definisce cosi il concetto
di tale uguaglianza, conforme al suo significato:
"Art. 3 (Costituzione del 1795): "L'uguaglianza consiste nel fatto che la legge e uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca"."
E la sûreté?
"Art. 8 (Costituzione del 1793: "La sicurezza consiste nella protezione accordata dalla società ad ognuno dei suoi membri per la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e della sua proprietà". "
La sicurezza e il più
alto concetto sociale della società civile, il concetto
della polizia, secondo cui l'intera società esiste unicamente
per garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della
sua persona, dei suoi diritti e della sua proprietà. In
tal senso Hegel chiama la società civile: "Lo Stato
del bisogno e dell'intelletto".
Col concetto di sicurezza la società civile non si innalza
oltre il suo egoismo. La sicurezza e piuttosto l'assicurazione
del suo egoismo.
Nessuno dei cosiddetti diritti dell'uomo oltrepassa dunque l'uomo
egoista, l'uomo in quanto e membro della società civile,
cioè individuo ripiegato su se stesso, sul suo interesse
privato e sul suo arbitrio privato, e isolato dalla comunità.
Ben lungi dall'essere l'uomo inteso in essi come ente generico,
la stessa vita del genere, la società, appare piuttosto
come una cornice esterna agli individui, come limitazione della
loro indipendenza originaria. L'unico legame che li tiene insieme
e la necessita naturale, il bisogno e l'interesse privato, la
conservazione della loro proprietà e della loro persona
egoistica.
È già abbastanza enigmatico il fatto che un popolo,
il quale appunto incomincia a liberarsi, ad abbattere tutte le
barriere tra i diversi membri del popolo, a fondare una comunità
politica, che un tale popolo proclami solennemente (Dichiarazione
del 1791) il diritto dell'uomo egoista, isolato dal suo simile
e dalla comunità, anzi ripeta tale proclamazione in un
momento in cui soltanto la più eroica dedizione può
salvare la nazione ed e perciò imperiosamente richiesta,
in un momento in cui dev'essere posto all'ordine del giorno il
sacrificio di tutti gli interessi della società civile
e l'egoismo dev'essere punito come un delitto (Dichiarazione dei
diritti dell'uomo ecc. del 1793). Ancor più enigmatico
diviene questo fatto quando vediamo che la qualità del
cittadino, di membro della comunità politica viene degradato
dagli emancipatori politici addirittura a mero mezzo per la conservazione
di questi cosiddetti diritti dell'uomo, che pertanto il citoyen
viene considerato servo dell'homme egoista, che la sfera nella
quale l'uomo si comporta come ente comunitario viene degradata
al di sotto della sfera nella quale esso si comporta come ente
parziale, infine che non l'uomo come citoyen, bensì l'uomo
come bourgeois viene preso per l'uomo vero e proprio.
"Il fine di ogni associazione politica e la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo (Dichiarazione dei diritti ecc. del 1791, art. 2). Il governo e istituito per garantire all'uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili (Dichiarazione ecc. del 1793, art. 1)."
Cosi, perfino nei momenti di
un entusiasmo ancor giovanile ed esaltato dall'urgere delle circostanze,
la vita politica si dimostra come puro mezzo, il cui scopo e la
vita della società civile. In effetti, la sua prassi rivoluzionaria
si trova in flagrante contraddizione con la sua teoria. Mentre,
ad es., la sicurezza viene dichiarata un diritto dell'uomo, la
violazione del segreto epistolare viene posta pubblicamente all'ordine
del giorno. Mentre la "libertà illimitata di stampa"
(Costituzione del 1793, art. 122) viene garantita come conseguenza
del diritto dell'uomo alla libertà individuale, la libertà
di stampa viene completamente annullata, dacché la "libertà
di stampa non deve essere permessa quando comprometta la libertà
generale" (Robespierre giovane, "Storia parlamentare
della rivoluzione francese" di Buchez e Roux, v. 28, p. 159)
cioè dunque: il diritto dell'uomo alla libertà cessa
di essere un diritto non appena entra in conflitto con la vita
politica, mentre, secondo la teoria, la vita politica e soltanto
la garanzia dei diritti dell'uomo, dei diritti dell'uomo individuale,
dunque deve essere abbandonata non appena contraddice al suo scopo,
a questi diritti dell'uomo. Ma la prassi e soltanto l'eccezione,
e la teoria e la regola. Che se poi si vuol considerare la prassi
rivoluzionaria come la giusta impostazione del rapporto, rimane
tuttavia da risolvere ancora l'enigma, perché nella coscienza
degli emancipatori politici il rapporto venga capovolto, e lo
scopo appaia come mezzo, il mezzo come scopo. Questa illusione
ottica della loro coscienza sarebbe ancor sempre il medesimo enigma,
ancorché un enigma psicologico, teorico.
L'enigma si risolve semplicemente.
L'emancipazione politica e contemporaneamente la dissoluzione
della vecchia società, sulla quale riposa l'essenza dello
Stato estraniato dal popolo, la potestà del sovrano assoluto.
La rivoluzione politica e la rivoluzione della società
civile. Qual era il carattere della vecchia società? Una
sola parola la caratterizza: la feudalità. La vecchia società
civile aveva immediatamente un carattere politico, ciòè,
gli elementi della vita civile, come ad es. la proprietà
o la famiglia, o il tipo di lavoro, nella forma del dominio fondiario,
del ceto e della corporazione erano innalzati a elementi della
vita dello Stato. In tale forma essi determinavano il rapporto
del singolo individuo verso la totalità statale, cioè
il suo rapporto politico, cioè il suo rapporto di separazione
ed esclusione delle altre parti costitutive della società.
Quell'organizzazione della vita del popolo, infatti, non innalzava
ad elementi sociali il possesso o il lavoro, ma piuttosto perfezionava
la loro separazione dalla totalità statale e le costituiva
in società particolari nella società. Così
intanto le funzioni e le condizioni di vita della società
civile erano ancor sempre politiche, anche se politiche nel senso
della feudalità, cioè esse escludevano l'individuo
dalla totalità statale, esse trasformavano il rapporto
particolare della sua corporazione verso lo Stato nel suo proprio
rapporto universale verso la vita del popolo, così come
la sua determinata attività e situazione civile nella sua
attività e situazione universale. L'unita dello Stato,
nonché la coscienza, la volontà e l'attivita di
questa unita, ossia l'universale potere dello Stato, appaiono
necessariamente, in conseguenza di questa organizzazione, come
l'affare del pari particolare d'un sovrano assoluto separato dal
popolo e dei suoi servitori.
La rivoluzione politica che abbatte questa potestà del
sovrano assoluto e innalzo gli affari dello Stato ad affari del
popolo, che costituì lo Stato politico come affare universale,
cioè come Stato reale, spezzo necessariamente tutti i ceti,
le corporazioni, le arti, i privilegi, che erano altrettante espressioni
della separazione del popolo dalla sua essenza comunitaria. La
rivoluzione politica soppresse con ciò il carattere politico
della società civile. Essa spezzo la società civile
nelle sue parti costitutive semplici, da un lato gli individui,
dall'altro gli elementi materiali e spirituali che costituiscono
il contenuto della vita, la situazione civile di questi individui.
Essa svincolo lo spirito politico, che era per cosi dire diviso,
disgiunto, disperso nei diversi vicoli ciechi della società
feudale; raccolse le sparse membra, lo libero dalla mescolanza
con la vita civile e lo costituì come la sfera della comunità,
dell'universale interesse del popolo, in una ideale indipendenza
da quegli elementi particolari della vita civile. La determinata
attività e le determinate condizioni di vita decaddero
a significato solo individuale. Esse non formarono più
il rapporto universale dell'individuo con la totalità dello
Stato. L'interesse pubblico in quanto tale divenne piuttosto l'interesse
universale di ciascun individuo, e la funzione politica divenne
la sua funzione universale.
Ma il compimento dell'idealismo dello Stato fu contemporaneamente
il compimento del materialismo della società civile. L'abbattimento
del giogo politico fu contemporaneamente l'abbattimento dei legami
che tenevano vincolato lo spirito egoista della società
civile. L'emancipazione politica fu contemporaneamente l'emancipazione
della società civile dalla politica, dall'apparenza stessa
di un contenuto universale.
La società feudale fu risolta nel suo fondamento: l'uomo.
Ma l'uomo quale realmente era, in quanto suo fondamento, l'uomo
egoista.
Quest'uomo, il membro della società civile, e ora la base,
il presupposto dello Stato politico. Egli e da esso riconosciuto
come tale nei diritti dell'uomo.
Ma la libertà dell'uomo egoista e il riconoscimento di
questa libertà sono piuttosto il riconoscimento dello sfrenato
movimento degli elementi spirituali e materiali che formano il
contenuto della sua vita.
L'uomo non venne perciò liberato dalla religione, egli
ricevette la libertà religiosa. Egli non venne liberato
dalla proprietà. Ricevette la libertà della proprietà.
Egli non venne liberato dall'egoismo del mestiere, ricevette la
libertà del mestiere.
La costituzione dello Stato politico e la dissoluzione della società
civile negli individui indipendenti - il cui rapporto e il diritto,
così come il rapporto degli uomini dei ceti e delle arti
era il privilegio - si compie in un medesimo atto. L'uomo in quanto
membro della società civile, l'uomo non politico, appare
pero necessariamente come l'uomo naturale. I droits de l'homme
appaiono come droits naturels, dacché l'uttivita autocosciente
si concentra nell'atto politico. L'uomo egoistico e il risultato
passivo ed ereditato dalla società dissolta, oggetto della
certezza immediata, dunque oggetto naturale. La rivoluzione politica
dissolve la vita civile nelle sue parti costitutive, senza rivoluzionare
queste parti stesse ne sottoporle a critica. Essa si comporta
verso la società civile, verso il mondo dei bisogni, del
lavoro, degli interessi privati, del diritto privato, come verso
il fondamento della propria esistenza, come verso un presupposto
non ulteriormente fondato, perciò, come verso la sua base
naturale. Infine l'uomo, in quanto e membro della società
civile, vale come uomo vero e proprio, come l'homrne distinto
dal citoyen, poiché egli e l'uomo nella sua immediata esistenza
sensibile individuale, mentre l'uomo politico e soltanto l'uomo
astratto, artificiale, l'uomo come persona allegorica, morale.
L'uomo reale e riconosciuto solo nella figura dell'individuo egoista,
l'uomo vero solo nella figura del citoyen astratto.
L'astrazione dell'uomo politico e descritta esattamente da Rousseau
nel modo seguente:
"Chi affronta l'impresa di dare istituzioni a un popolo deve,
per così dire, sentirsi in grado di cambiare la natura
umana; di trasformare ogni individuo, che per se stesso e un tutto
perfetto e solitario, in una parte di un tutto più grande
da cui l'individuo riceve, in qualche modo, la vita e l'essere;
di sostituire un'esistenza parziale e morale all'esistenza fisica
e indipendente. Bisogna, in una parola, che tolga all'uomo le
forze che gli sono proprie per dargliene di estranee a lui, di
cui non possa fare uso se non col sussidio di altri ("Contratto
sociale", libro II, Londra 1782, p. 67)."
Ogni emancipazione e un ricondurre il mondo umano, i rapporti
umani all'uomo stesso.
L'emancipazione politica e la riduzione dell'uomo, da un lato,
a membro della società civile, all'individuo egoista indipendente,
dall'altro, al cittadino, alla persona morale.
Solo quando l'uomo reale, individuale, riassume in se il cittadino
astratto, e come uomo individuale nella sua vita empirica, nel
suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali e divenuto
ente generico, soltanto quando l'uomo ha riconosciuto e organizzato
le sue "forces propres" come forze sociali, e perciò
non separa più da se la forza sociale nella figura della
forza politica, soltanto allora l'emancipazione umana e compiuta.
II. Bruno Bauer, "La capacita degli ebrei e dei cristiani d'oggi di diventar liberi" ("Einundzwanzig Bogen", pp. 56-71)
In questa forma Bauer tratta il rapporto della religione ebraica e cristiana, nonché il rapporto di esse verso la critica. Il loro rapporto verso la critica e il loro rapporto "verso la capacita di diventar liberi".
Ne consegue:
"Il cristiano deve sormontare solo un gradino, vale a dire la sua religione, per abbandonare la religione in generale - quindi per diventar libero - l'ebreo, viceversa, deve romperla non soltanto con la sua essenza di ebreo, ma anche con lo sviluppo nel quale la sua religione giunge a compimento, con uno sviluppo che gli e rimasto estraneo (p. 71)."
Bauer dunque trasforma qui la questione dell'emancipazione degli ebrei in una questione puramente religiosa. Lo scrupolo teologico: chi ha maggiore possibilità di salvarsi, l'ebreo o il cristiano? si ripete nella forma illuminata: chi dei due e più cupace di emuncipuzione? In effetti, non ci si domanda più: e il giudaismo o il cristianesimo che rende liberi? ma piùttosto: che cosa rende più liberi, la negazione del giudaismo o la negazione del cristianesimo?
"Se vogliono diventar liberi, gli ebrei non devono professare il cristianesimo, ma un cristianesimo dissolto, una religione dissolta in generale, cioè l'illuminismo, la critica ed il suo risultato: la libera umanità (p. 70)."
Si tratta ancor sempre per
gli ebrei, di fare una professione di fede, ma non più
di professare il cristianesimo, bensì un cristianesimo
dissolto.
Bauer pone agli ebrei l'esigenza di romperla con l'essenza della
religione cristiana, una esigenza che, com'egli stesso dice, non
procede dallo sviluppo del giudaismo.
Dato che alla fine della "Questione ebraica" Bauer aveva
concepito il giudaismo solo come la grossolana critica religiosa
del cristianesimo, e gli aveva quindi conferito un significato
"soltanto" religioso, era da prevedersi che anche l'emancipazione
degli ebrei si sarebbe trasformata in un atto filosofico-teologico.
Bauer intende l'essenza ideale, astratta dell'ebreo, la sua religione,
come la sua intera essenza. A ragione perciò egli conclude:
"L'ebreo non da nulla all'umanità quando sdegna per
se stesso la sua legge limitata", quando sopprime interamente
il suo giudaismo (p. 65).
Il rapporto tra gli ebrei e i cristiani diviene di conseguenza
il seguente: l'unico interesse del cristiano all'emancipazione
dell'ebreo e un interesse universalmente umano, un interesse teoretico.
II giudaismo e un fatto oltraggioso per l'occhio religioso del
cristiano. Non appena il suo occhio cessa di essere religioso,
questo fatto cessa di essere oltraggioso. In se e per se, l'emancipazione
dell'ebreo non e un lavoro per il cristiano.
L'ebreo, viceversa, per liberarsi, deve sostenere non soltanto
il suo proprio lavoro, ma anche il lavoro del cristiano, la "Critica
dei sinottici", la "Vita di Gesù", ecc.
"Questo e affar loro: essi determineranno a se stessi il loro destino; la storia pero non si lascia beffare (p. 71)."
Noi cerchiamo di rompere la
formulazione teologica della questione. La questione della capacita
dell'ebreo ad emanciparsi si trasforma per noi nella questione
di quale particolare elemento sociale sia da superare per sopprimere
il giudaismo. Infatti la capacita ad emanciparsi dell'ebreo d'oggi
sta nel rapporto del giudaismo con l'emancipazione del mondo di
oggi. Tale rapporto risulta necessariamente dalla posizione particolare
del giudaismo nell'asservito mondo odierno.
Consideriamo l'ebreo reale mondano, non l'ebreo del Sabbath, come
fa Bauer, ma l'ebreo di tutti i giorni.
Cerchiamo il segreto dell'ebreo non nella sua religione, bensì
cerchiamo il segreto della religione nell'ebreo reale.
Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno
pratico, l'egoismo.
Qual è il culto mondano dell'ebreo? Il tragico. Qual è
il suo Dio mondano? Il denaro.
Ebbene, l'emancipazione dal trucco e dal denaro, dunque dal giudaismo
pratico e reale, sarebbe l'autoemancipazione del nostro tempo.
Un'organizzazione della società che eliminasse i presupposti
del traffico, dunque la possibilità del traffico, renderebbe
impossibile l'ebreo. La sua coscienza religiosa si dissolverebbe
come un vapore inconsistente nella vitale atmosfera reale della
società. D'altro lato: se l'ebreo riconosce come inconsistente
questa sua essenza pratica e lavora per la sua eliminazione, distaccandosi
dal suo sviluppo passato, lavora per l'emuncipuzione umana senz'altro,
e si volge contro la più alta espressione pratica dell'autoestraneazione
umana.
Noi riconosciamo dunque nel giudaismo un universale elemento attuale
antisociale, il quale, attraverso lo sviluppo storico cui gli
ebrei per questo lato cattivo hanno collaborato con zelo, venne
sospinto fino al suo presente vertice, un vertice sul quale deve
necessariamente dissolversi.
L'emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo e la emancipazione
dell'umanità dal giudaismo.
L'ebreo si e già emancipato in modo giudaico.
"L'ebreo che, ad es. a Vienna, e solo tollerato, con la sua potenza finanziaria determina il destino di tutto l'Impero. L'ebreo, che nel più piccolo Stato tedesco può essere privo di diritti, decide delle sorti dell'Europa. Mentre le corporazioni e le associazioni di mestiere sono chiuse all'ebreo o gli sono ancora ostili, l'audacia dell'industria si fa beffe dell'ostinazione degli istituti medievali (B. Bauer, "Judenfrage", p. 114)."
Questo non e un fatto isolato. L'ebreo si e emancipato in modo giudaico non solo in quanto si e appropriato della potenza del denaro, ma altresì in quanto il denaro per mezzo di lui e senza di lui e diventato una potenza mondiale, e lo spirito pratico dell'ebreo lo spirito pratico dei popoli cristiani. Gli ebrei si sono emancipati nella misura in cui i cristiani sono diventati ebrei.
"Il pio e politicamente libero abitante della Nuova Inghilterra - riferisce ad es. il colonnello Hamilton - e una specie di Laocoonte, il quale non fa neppure il più piccolo sforzo per liberarsi dai serpenti che lo avvincono. Mammona e il loro idolo, essi lo pregano non soltanto con le loro labbra, ma con tutte le forze del loro corpo e del loro animo. La terra ai loro occhi altro non e se non una Borsa, ed essi sono convinti di non avere quaggiù altra destinazione che quella di diventare più ricchi dei loro vicini. Il traffico si e impossessato di tutti i loro pensieri, lo scambio degli oggetti forma il loro unico svago. Quando viaggiàno, si portano in giro, per così dire, la loro mercanzia e il loro ufficiò sulla schiena, e non parlano che di interessi e di guadagno. Se per un istante perdono d'occhio i loro affari ciò avviene soltanto per ficcare il naso in quelli degli altri."
Invero il dominio pratico del giudaismo sul mondo cristiano ha raggiunto nel Nordamerica l'espressione non equivoca, normale del fatto che l'annunzio stesso del Vangelo, la predicazione cristiana e divenuto un articolo di commerciò, e il commerciante fallito traffica in Vangelo come l'evangelista arricchito traffica negli affari.
"Colui che vedete a capo d'una rispettabile congregazione ha cominciato col fare il commerciante; essendogli andato male il commerciò s'è fatto ministro del culto; un altro ha debuttato col sacerdozio, ma appena ha avuto a disposizione una certa somma di denaro ha abbandonato il pulpito per i traffici. Agli occhi di moltissimi il ministero religioso e una vera e propria carriera industriale (Beaumont, op. cit., pp. 185, 186)."
Secondo Bauer,
"è una situazione ipocrita, che in teoria all'ebreo vengano rifiutati i diritti politici, mentre in pratica egli possiede un potere enorme ed esercita en gros la sua influenza politica, che en detail gli viene ridotta" ("Judenfrage", p. 114)."
La contraddizione in cui si
trova la potenza politica pratica dell'ebreo con i suoi diritti
politici, e la contraddizione della politica con la potenza del
denaro in generale. Mentre la prima sta idealmente al di sopra
della seconda, nel fatto ne e divenuta la serva.
Il giudaismo si e mantenuto u lato del cristianesimo non soltanto
come critica religiosa del cristianesimo, non soltanto come dubbio
incarnato sulla nascita religiosa del cristianesimo, ma parimenti
perché lo spirito pratico-giudaico, perché il giudaismo
si e mantenuto nella società cristiana, anzi vi ha ottenuto
la sua massima espansione. L'ebreo, che sta nella società
civile come membro particolare, e solo la manifestazione particolare
del giudaismo della società civile.
Il giudaismo si e conservato non già malgrado la storia,
bensì ad opera della storia.
Dalle sue proprie viscere la società civile genera continuamente
l'ebreo.
Qual era in se e per se il fondamento della religione ebraica?
Il bisogno pratico, l'egoismo.
Il monoteismo dell'ebreo e perciò, nella realtà,
il politeismo dei molti bisogni, un politeismo che persino della
latrina fa un oggetto della legge divina. Il bisogno pratico,
l'egoismo, e il principio della società civile, ed emerge
come tale allo stato puro, non appena la società civile
abbia completamente partorito lo Stato politico. Il dio del bisogno
pratico e dell'egoismo e il denaro. Il denaro e il geloso dio
d'Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere.
Il denaro avvilisce tutti gli dei dell'uomo, e li trasforma in
una merce. Il denaro e il valore universale, per se costituito,
di tutte le cose. Esso ha perciò spogliato il mondo intero,
il mondo dell'uomo e la natura, del loro valore peculiare. Il
denaro e l'essenza, estraniata all'uomo, del suo lavoro e della
sua esistenza, e questa essenza estranea lo domina, ed egli l'adora.
Il dio degli ebrei si e mondanizzato, e divenuto un dio mondano.
La cambiale e il dio reale dell'ebreo. Il suo dio e soltanto la
cambiale illusoria.
La concezione che si acquista della natura sotto la signoria della
proprietà privata e del denaro, e il reale disprezzo, la
pratica degradazione della natura, che esiste bensì nella
religione ebraica, ma esiste soltanto nell'immaginazione.
In questo senso Thomas Munzer dichiara insopportabile
"che tutte le creature siano diventate proprietà, i pesci nell'acqua, gli uccelli nell'aria, le piante sulla terra: anche la creatura dovrebbe diventar libera."
Ciò che si trova astrattamente
nella religione ebraica, il disprezzo della teoria, dell'arte,
della storia, dell'uomo come fine a se stesso, e il reale, consapevole
punto di partenza, la virtù dell'uomo del denaro. Lo stesso
rapporto generico, il rapporto tra uomo e donna ecc., diviene
un oggetto di commerciò! La donna e oggetto di traffico.
La chimerica nazionalità dell'ebreo e la nazionalità
del commerciante, soprattutto del finanziere.
La legge senza patria dell'ebreo e soltanto la caricatura religiosa
della moralità senza patria e del diritto in generale,
dei riti soltanto formali, dei quali si circonda il mondo dell'egoismo.
Anche qui il rapporto più alto dell'uomo e il rapporto
legale, il rapporto verso leggi, che per lui valgono non perché
siano le leggi della sua propria volonta ed essenza, ma perché
esse dominano e perché l'apostasia da esse viene vendicata.
Il gesuitismo giudaico, il medesimo gesuitismo pratico che Bauer
indica nel Talmud, e il rapporto del mondo dell'egoismo con le
leggi che lo dominano, la cui astuta elusione e l'arte suprema
di questo mondo.
Invero, il movimento di questo mondo entro le sue leggi e necessariamente
una costante soppressione della legge.
Il giudaismo, come religione, non poteva svilupparsi ulteriormente,
sul piano teorico, poiché la concezione del mondo propria
del bisogno pratico e, per sua natura, angusta e si esaurisce
in pochi tratti.
La religione del bisogno pratico, per la sua essenza, poteva trovare
il compimento non nella teoria ma soltanto nella prassi, appunto
perché la sua verità e la prassi. Il giudaismo non
poteva creare un nuovo mondo; esso poteva solo attirare nell'ambito
della propria operosità le nuove creazioni ed i nuovi rapporti
del mondo, perché il bisogno pratico, il cui intelletto
e l'egoismo, si comporta passivamente e non si amplia a piacere,
ma si trova ampliato con il progressivo sviluppo delle condizioni
sociali.
Il giudaismo raggiunge il suo vertice col perfezionamento della
società civile; ma la società civile si compie soltanto
nel mondo cristiano. Soltanto sotto la signoria del cristianesimo,
che rende esteriori all'uomo tutti i rapporti nazionali, naturali,
etici, teoretici, la società civile poteva separarsi completamente
dalla vita dello Stato, lacerare tutti i nostri legami dell'uomo
col genere, porre l'egoismo, il bisogno particolaristico, al posto
di questi legami col genere, dissolvere il mondo degli uomini
in un mondo di individui atomistici, ostilmente contrapposti gli
uni agli altri.
Il cristianesimo e scaturito dal giudaismo. Nel giudaismo esso
si e nuovamente dissolto.
Il cristiano era fin da principio l'ebreo teorizzante, l'ebreo
e perciò il cristiano pratico, ed il cristiano pratico
e diventato nuovamente ebreo.
Solo in apparenza il cristianesimo aveva superato il giudaismo.
Esso era troppo nobile, troppo spirituale per rimuovere la grossolanità
del bisogno pratico in altro modo che mediante l'elevazione nel
puro aere.
Il cristianesimo e l'idea sublime del giudaismo, il giudaismo
e la piatta applicazione utilitaristica del cristianesimo, ma
questa applicazione poteva diventare universale soltanto dopo
che il cristianesimo in quanto religione perfetta avesse compiuto
teoricamente l'autoestraneazione dell'uomo da se e dalla natura.
Solo allora il giudaismo poteva pervenire alla signoria universale
e fare dell'uomo espropriato, della natura espropriata oggetti
alienabili, vendibili, caduti in balia del bisogno egoistico,
del traffico.
L'alienazione e la pratica dell'espropriazione. Come uomo, fino
a che e schiavo del pregiudizio religioso, sa oggettivare il proprio
essere soltanto facendone un estraneo essere fantastico, così
sotto il dominio del bisogno egoistico egli può operare
praticamente, praticamente produrre oggetti, soltanto ponendo
i propri prodotti, come la propria attività, sotto il dominio
di un essere estraneo, e conferendo ad essi il significato di
un essere estraneo: il denaro.
Il cristiano egoismo della beatitudine nella sua pratica compiuta
si capovolge necessariamente nell'egoismo fisico dell'ebreo, il
bisogno celeste in quello terreno, il soggettivismo nell'egoismo.
Noi spieghiamo la tenacia dell'ebreo non con la sua religione,
ma piuttosto col fondamento umano della sua religione, il bisogno
pratico, l'egoismo.
Poiché l'essenza reale dell'ebreo si e universalmente realizzata
e mondanizzata nella società civile, la società
civile non poteva convincere l'ebreo della irrealtà della
sua essenza religiosa, che e appunto soltanto la concezione ideale
del bisogno pratico. Dunque non soltanto nel Pentateuco o nel
Talmud, ma nella società odierna noi troviamo l'essenza
dell'ebreo odierno, non come essere astratto ma come essere supremamente
empirico, non soltanto come limitatezza dell'ebreo, ma come limitatezza
giudaica della società.
Non appena la società perverrà a sopprimere l'essenza
empirica del giudaismo, il traffico e i suoi presupposti, l'ebreo
diventerà impossibile, perché la sua coscienza non
avrà più alcun oggetto, perché la base soggettiva
del giudaismo, il bisogno pratico si umanizzerà, perché
sarà abolito il conflitto dell'esistenza individuale sensibile
con l'esistenza generica dell'uomo.
L'emancipazione sociale dell'ebreo è l'emancipazione della
società dal giudaismo.
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