IL PUNTO DI VISTA TRADITIONALISTA
Col presente articolo, attraverso
l'analisi del pensiero e delle conquiste del Sionismo, si intende
far vedere come la formazione dell'attuale Stato di Israele non
risponda alle promesse divine.
All'analisi dell'evolversi dell'idea sionista seguirà lo
studio del movimento sionista e dei suoi rapporti con le Superpotenze
e con i vari Stati europei, compresi quelli nazifascisti, per
arrivare alla questione teologica e dottrinale e al rapporto con
la Chiesa.
Introduzione
Verso la seconda metà del XIX secolo si sviluppava il flusso
migratorio di ebrei verso la Palestina, che non era tuttavia un
fenomeno spontaneo, ma il prodotto del SIONISMO (1), col concorso
di duecento delegati ebrei riunitisi a Basilea e l'adesione di
più di cinquantamila ebrei, e con lo scopo di "lavorare
al riscatto della Palestina, per crearvi uno Stato israelita"
(2).
Il Sionismo non inizia però nel XIX secolo, ma "è
l'espressione moderna del sogno vecchio di millenovecento anni,
di ricostruire Israele, dopo che Roma aveva messo fine all'indipendenza
ebraica in terra d'Israele" (3).
Varie tappe dell'idea sionista
a) Primo periodo: dalla caduta di Gerusalemme fino alla morte
di Giuliano l'Apostata (70- 363).
Sotto il regno di Traiano (Ý 117) un falso Messia,
chiamato Andrea, eccitò il fanatismo di alcuni ebrei al
punto che, fra greci e romani, "duecentomila uomini perirono
uccisi dalla spada e dal furore dei giudei" (4). Marco Turbo
attaccò i rivoltosi e fece pagare loro col sangue un giorno
di trionfo.
Sotto il regno di Adriano (130-135) si ebbe un secondo tentativo,
quando un certo Bar-Cozbad si fece passare per il Messia e i Romani
furono cacciati da Gerusalemme, che tuttavia ricadde ben presto
nelle loro mani; ma mentre Tito aveva lasciato ancora qualche
casa intera, con Adriano la città fu rasa al suolo e al
suo posto fu costruita Elia Capitolina, che solo più
tardi riprese il nome di Gerusalemme.
Sia il terzo tentativo di rivolta, avvenuto sotto il regno di
Antonino (138-161), sia il quarto sotto Marco Aurelio (174-175)
non ebbero successo e furono repressi.
Un'altra volta - la quinta - gli Ebrei, animati dalla speranza
di restaurare politicamente il Regno di Israele, al tempo di Settimio
Severo (193-211), cospirarono in Siria con i Samaritani contro
la dominazione romana, ma ottennero solo di appesantire il giogo
cui erano sottoposti.
Il sesto tentativo di riscossa si verificò sotto Costantino
(321-327), ma venne anch'esso soffocato e "S. Giovanni Crisostomo
nella seconda orazione contro i Giudei, ci racconta che
Costantino, convinto che gli ebrei non avevano rinunciato al loro
spirito di rivolta, fece tagliare loro una parte dell'orecchio,
affinché, dispersi nell'Impero, portassero dappertutto
su di sé il segno della loro ribellione" (5).
Sotto Costanzo si ebbe una settima rivolta, ma Gallo volò
in Giudea, dove sconfisse i rivoltosi e rase al suolo Diocesarea,
seggio dell'insurrezione: gli ebrei furono uccisi a migliaia e
molte città, tra cui Tiberiade, furono bruciate.
L'ultimo tentativo di questo primo periodo è uno dei più
celebri ed ha come cooperatore Giuliano l'Apostata, che non solo
permise agli Ebrei di ricostruire il Tempio, ma li aiutò
con tutti i mezzi: sull'esito finale si veda Sodalitium
n° 39 e 40 (6).
Se un ruolo importante in tutti questi tentativi di rivolta è
da attribuirsi alla tenacia ebraica, il fattore principale è
dovuto, secondo l'ebreo convertito Augustin Lémann, ad
una "interpretazione di certe profezie bibliche"(7);
anzi "è proprio fondandosi su tali profezie che gli
ebrei hanno sempre sperato di ritornare a Gerusalemme, di restaurarvi
il Tempio (8), per gioirvi col Messia una piena e inalterabile
prosperità" (9).
b) Secondo periodo: dalla morte di Giuliano l'Apostata fino
alla Rivoluzione francese (363- 1789).
Questo lungo periodo fu marcato dalla rassegnazione, anche
se si mantenne sempre una se pur sopita speranza, come afferma
anche l'abbé Lémann: "con la morte di Giuliano
l'Apostata e il trionfo definitivo del Cristianesimo, fino alla
Rivoluzione francese, gli ebrei vivono un periodo di rassegnazione,
ma sempre pieno di speranza" (10). Durante questo periodo
"la capacità finanziaria e commerciale degli ebrei
si sviluppa e si estende su tutte le nazioni, in maniera straordinaria
[essi] divengono i finanzieri dei re Ma in mezzo alle preoccupazioni
dei loro traffici e dei loro negozi, non smettono di pensare a
Gerusalemme (11).
Verso il XVI e XVII sec. gli ebrei amanti della Terra Santa si
spostarono verso Safed, a pochi chilometri da Betsaida; nel XVII
sec. si contavano a Gerusalemme circa cento famiglie ebree e,
a partire da quel periodo, i pellegrinaggi alla Città santa
cominciarono a diventare sempre più numerosi.
c) Terzo periodo
Col filosofismo tedesco del XVIII secolo e con la Rivoluzione
francese si assiste all'ABBANDONO dell'idea del ritorno a Gerusalemme
e del dogma del Messia personale.
Quali furono le cause di un tale mutamento?
La prima è proprio il filosofismo impregnato di quello
scetticismo settecentesco, che è stato agente corrosivo
di tutte le religioni, compresa la talmudica, prima con Spinoza
e poi con Mendelshon, che può essere considerato il fondatore
di una sorta di neo-Giudaismo, mascherato da deismo. Comincia
così a diffondersi nei ghetti l'idea che il Messia potrebbe
essere un concetto, un regno, un popolo, ma non una persona, e
sorge anche il problema della collocazione fisica e geografica
di tale regno. È la Rivoluzione francese che concretizza
questo mito. Nel 1791 fu concessa l'EMANCIPAZIONE agli ebrei francesi,
che videro il Messia nei Diritti dell'uomo proclamati dalla
Rivoluzione.
Dalla fine del XVII secolo fino al 1848 il mito del Messia impersonale
ha avuto due scuole principali, di cui la prima fiorì in
Germania sotto l'egida del filosofismo. Nel 1843 a Francoforte
sul Meno si organizza un comitato ebraico riformista, al quale
seguirono tre sinodi, uno nello stesso anno a Brunswick, uno ancora
a Francoforte nel 1845 e un terzo a Breslau nel 1846, nei quali
si affermava che l'unico Messia atteso era la libertà di
essere ammessi tra le Nazioni; da questo il partito talmudista
tedesco fu ferito a morte.
La seconda scuola si formò in Francia, sotto l'egida dell'emancipazione,
che segna anche l'elemento diversificante delle due scuole. Infatti
in Germania, dal momento che l'ebreo non era ancora emancipato
civilmente, il suo pensiero era da considerare ardito e prematuro:
la libertà civile, non ancora conquistata, era la perla
per la quale si era pronti a sacrificare ogni cosa, anche il Messia
personale. In Francia, invece, gli ebrei fin dal 1791 godevano
della libertà civile ed erano quindi più moderati
nell'evoluzione della fede circa il Messia. Nel Gran Sionismo
del 1807 Napoleone era stato riverito ed insignito dei titoli
riservati esclusivamente al Messia, anche se il partito talmudista
era ancora abbastanza forte per fare da contraltare. Fu soltanto
a partire dal 1848 che ogni "repressione" da parte della
Sinagoga talmudica divenne inefficace anche in Francia. Infatti
durante il regno di Luigi Filippo il razionalismo tedesco aveva
esercitato un notevole influsso sull'Ebraismo francese. Nel 1846,
durante l'insediamento del gran Rabbino di Parigi, il colonnello
Cerf-Beer, in un discorso di circostanza gli fece comprendere
che era ormai ora di iniziare con le riforme ("l'aggiornamento")
anche in Germania: il partito talmudista non ebbe più la
forza di reagire come in passato. Ormai anche il mondo ebraico
francese affermava che la "La Rivoluzione era il vero Messia
per gli oppressi" (12).
"La nuova Gerusalemme sarebbe stata la Gerusalemme del denaro,
con un banchiere per Messia, con i fondi pubblici al posto della
Thorà, la Borsa al posto del Tempio" (13). Quasi tutti
i paesi dell'Europa occidentale e degli USA in cui gli ebrei conobbero
l'emancipazione civile, accolsero tali idee sul Messia impersonale,
col conseguente abbandono del dogma del Messia personale e del
ritorno a Gerusalemme.
Breve storia del movimento sionista
Il Canale di Suez e la Gran Bretagna. Il progetto di aprire
il canale di Suez suscitò, verso la metà dell'800,
un vivo interesse in Europa, perché il Mediterraneo avrebbe
riacquistato una notevole importanza. Erano interessate al progetto
soprattutto la Francia, l'Impero asburgico e l'Italia. L'Inghilterra
invece sarebbe stata svantaggiata. Chi si assunse l'onere economico
dei lavori fu, in massima parte, il pascià d'Egitto Said,
ma le finanze egiziane furono dissestate dall'enorme quantità
degli esborsi. Nel 1863 gli succede suo nipote Ismail, al quale
«vennero in aiuto le banche ebraiche Oppeneim e Rothschild,
le quali, bloccato ogni diverso accesso al credito, strinsero
in breve il sovrano in un abbraccio mortale Agli egiziani è
imposto il controllo congiunto anglo-francese sulle loro finanze;
è l'anticamera dell'occupazione coloniale La bancarotta
egiziana e le difficoltà politiche che essa genera coincidono
col destarsi dell'interesse britannico per il canale» (14).
La Gran Bretagna incomincia così a cambiare politica nei
confronti dell'Impero Ottomano, e dopo averlo difeso gelosamente,
in chiave antirussa e antifrancese, decide di non opporsi la suo
declino. Nel 1878 occupa Cipro e s'impossessa delle dogane turche.
La situazione col passare degli anni degenera in violenti disordini
e gli inglesi decidono di intervenire manu militari, per
cui il 10 luglio 1882 le navi inglesi aprono il fuoco su Alessandria
d'Egitto. Con la grande guerra (1914-1918) l'Inghilterra coglie
l'occasione per assestare il colpo di grazia all'Impero Ottomano,
prendendo il controllo della penisola arabica e della Siria,
assicurandosi così la chiave d'accesso dal mediterraneo
verso la Mesopotamia e il Golfo Persico. La Palestina avrebbe
messo al sicuro le comunicazioni con l'India tramite il Canale
di Suez. Il 18 dicembre 1814 la Gran Bretagna occupa l'intero
percorso del canale. Gli inglesi, per essere più sicuri
di aver debellato definitivamente l'Impero Ottomano, svolgono
una politica atta a guastare i rapporti tra i turchi e le popolazioni
dell'ex Impero Ottomano, (15). Contattano inoltre lo sceicco
della Mecca Hussein, discendente della figlia di Maometto Fatima
e perciò carico di un gran prestigio spirituale nel mondo
islamico. (16). Si ruppe così la compattezza del fronte
musulmano. Dopo tre anni di lotta la partita contro i turchi è
vinta dagli arabi. Gli inglesi occupano Gerusalemme e Hussein
Damasco. L'11 novembre 1918 un comunicato anglo-francese rassicura
gli arabi promettendo loro dopo la lunga oppressione turca,
l'insediamento di governi e amministrazioni arabe. Tuttavia gli
arabi dovettero ricredersi e constatare che la Gran Bretagna
non aveva per nulla in vista la liberazione dei popoli arabi
dall'oppressore turco, quanto piuttosto desiderava imporre il
proprio volere ai paesi dei Medio Oriente. Dalla dissoluzione
dell'Impero Ottomano trassero vantaggio soprattutto l'Inghilterra
e la Francia; il trattato di Sévres (10 agosto 1920) segna
la fine definitiva dell'Impero Ottomano, la ratifica inglese di
Cipro e dei poteri sul Canale di Suez. Estromessi i turchi, il
destino dell'Arabia passa nelle mani anglo-francesi. Gli
arabi non vogliono rinunciare all'indipendenza, ma il 24
luglio 1920 i siriani sono sopraffatti dai francesi e Damasco
viene occupata. (17).
Frattanto la nascita del Sionismo, lungi dal risolvere l'eterna
questione ebraica, la complicherà, trasportandola, in un'ottica
conflittuale, nei paesi arabi, accenderà nuovo odio
tra Islàm e Giudaismo, che prima, teologicamente, non esisteva
e che si afferma per motivi nazionalistici e di indipendenza territoriale.
L'Ebraismo internazionale mobilita i propri correligionari inglesi
per ottenere l'intervento nella prima guerra mondiale degli USA.
La Gran Bretagna concede ai capi sionisti impegnatisi a far scendere
in guerra l'America, privilegi eccezionali. (18). Il 2
novembre 1917 il ministro degli esteri britannico lord Balfour
consegna al presidente della federazione sionista britannica lord
Rothschid una lettera che asserisce: . Questo focolare ebraico
è una parola polisemantica, dietro la quale si cela il
concetto di STATO EBRAICO. Tale progetto costerà caro soprattutto
ai palestinesi, anche se l'insediamento ebraico non godrà
mai sonni tranquilli in quella che si rivelerà in oriente,
come già lo era stata in Occidente, un'avventura priva
di certezze fin dal giorno in cui i capi del popolo dissero "Sanguis
eius super nos et super filios nostros", assumendosi
una terribile responsabilità per i figli di Israele fino
a quando non si convertiranno e non rientreranno nella Chiesa
di Dio.
La Palestina: un paese isolato. «Rompere l'unità
della Grande Siria ed enucleare da esssa la Palestina è
il primo passo per assicurare il buon esito del progetto sionista
è una politica che genera nei palestinesi grande disorientamento.
Essi si trovano d'improvviso in un paese occupato militarmente
e tagliato fuori da qualsiasi precedente collegamento amministrativo
e politico. La nuova entità territoriale che aveva sempre
fatto parte di organizzazioni statuali più vaste e mai
aveva manifestato aspirazioni autonomiste, è creata, fin
dall'inizio, con l'obiettivo dello snaturamento etnico. L'originaria
popolazione araba è destinata ad essere sommersa e sostituita»
(19).
La reazione araba contro l'immigrazione e l'occupazione ebraica
(che gli stessi inglesi autorizzavano) offrirà all'Impero
britannico larghe possibilità d'ingerenza. Dietro l'alibi
del mantenimento della pace, l'Inghilterra avrebbe potuto nascondere
facilmente la sua volontà di presenza militare in Palestina
sine die. Solo il processo di decolonizzazione iniziato
alla fine della seconda guerra mondiale spingerà gli inglesi
a lasciare la Palestina. Allora al colonialismo inglese subentrerà
quello sionista.
Il "Libro Bianco". Il 17 maggio 1939 l'Inghilterra
annuncia di voler abbandonare l'idea della spartizione della Palestina
e il Foreign Office con un suo Libro Bianco, s'impegna
a concedere ai palestinesi l'indipendenza; l'effettivo passaggio
dei poteri, tuttavia, sarebbe avvenuto solo dieci anni dopo. Gli
arabi pensano di intravvedere la fine delle loro sofferenze,
ma la proposta inglese è condizionata all'esito della seconda
guerra mondiale. Infatti il Libro Bianco segue di pochi
giorni le garanzie antigermaniche rilasciate dall'Inghilterra
a Polonia, Grecia e Romania, per cui rappresenta solo un diversivo
o un espediente atto a accaparrarsi, in un momento così
difficile, la simpatia e la neutralità del mondo arabo,
la cui posizione è di estrema rilevenza strategica. L'Inghilterra
in sostanza con il Libro bianco ha voluto solo tergiversare
e congelare la questione palestinese e rinviare ogni decisione
al termine del conflitto. Gli ebrei di Palestina si vedono accordare
così una tregua provvidenziale di parecchi anni, una proroga
all'eventuale sfratto e possono continuare ad accogliere nuovi
immigrati. Nel maggio 1942 a New York, all'Hotel Biltmore, si
riunisce una conferenza sionista che reclama la costituzione dello
Stato ebraico e pretende l'annullamento di qualsiasi limite all'immigrazione,
ed infine l'affidamento della supervisione sull'immigrazione alla
Jewish Agency. «In Palestina intanto l'Haganah,
l'organizzazione militare ufficiale dei sionisti che dal 1929
al 1939 si era armata con la connivenza della potenza mandataria
(la Gran Bretagna), rafforza i suoi reparti e si prepara alla
lotta contro gli inglesi nel caso costoro insistano a dare applicazione
a quel Libro Bianco del 1939 col quale avevavo promesso
ai palestinesi l'indipendenza. L'Irgun e la Banda Stern
scatenano una campagna terroristica che si propone di piegare
definitivamente gli inglesi al volere del Sionismo. Prima vittima
illustre della Banda Stern è il ministro britannico
per il medio Oriente, Lord Moyne, che viene assassinato nel novembre
1944» (20). Con la fine della seconda guerra mondiale assistiamo
al coincidere de facto delle aspirazioni del Sionismo con
quelle delle due superpotenze, (USA e URSS). Russi e americani
hannno capito che uno Stato ebraico in Palestina è un valido
elemento destabilizzante in una delle zone geopolitiche più
importanti del mondo, che permetterà loro di interferire
negli affari interni di tutti i paesi del Medio oriente e di innescarvi
una grave conflittualità tra Europa e mondo arabo. Il compito
dell'occupante britannico è ormai finito, ad esso subentreranno
sionisti, USA e URSS. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale
dell'ONU, con la risoluzione 181, approva il piano che prevede
la spartizione della Palestina in due Stati: uno arabo e uno ebarico.
(21). Il 14 maggio 1948 il consiglio Nazionale Ebraico proclama
lo Stato d'Israele, mettendo il mondo davanti al fatto compiuto.
(22). Mentre USA e URSS dietro lo schermo della guerra fredda
collaborano sottobanco alla spartizione dell'Europa e del Medio
Oriente, la stampa filo-ebraica presenta Israele come il bastione
contro il comunismo - mentre in realtà era uno stato laico
e socialista nato col consenso sovietico - tacendo però
che il comunismo era fuori legge in tutti i paesi arabi,
e creando il consenso del pensiero moderato e liberalconservatore.
Con la guerra del 1967 l'intera Palestina è di Israele,
compresa Gerusalemme, che secondo la risoluzione 181 avrebbe dovuto
essere posta sotto amministrazione internazionale (23). Gli Ebrei
non rispettano la decisione dell'ONU, le cui risoluzioni ingiungono
il ritiro dell'esercito israeliano e che restano però lettera
morta. Il 10 novembre 1975 l'ONU, per non perdere la faccia, è
costretta a varare una risoluzione che equipara Sionismo e razzismo,
ma Israele non si ferma, confidando nella irresolutezza dell'ONU,
che di lì a qualche tempo sopprime la risoluzione.
La vittoria del Sionismo fallisce però il suo obiettivo
principale, quello cioè di dare vita ad uno Stato nazionale
pacificato e compatto anche etnicamente, come ha rilevato anche
il giornalista ebreo Paolo Guzzanti in un recente articolo su
La Stampa di Torino: «Questi giovani [di tel Aviv]
così euroamericani, così laici, non hanno affatto
l'aria di coltivare il nostalgico patriottismo dei padri e dei
nonni Questa città sta perdendo la memoria Tel Aviv si
va sempre di più costruendo dentro di sé come una
minuscola simbolica New York l'intera città pullula di
locali per gay, per lesbiche, per transessuali Le sfrenate passioni
adolescenziali di molte ragazze di Tel Aviv per i Che Guevara
di Hamas sono leggendarie Passioni in genere corrisposte da giovani
palestinesi con spirito predatorio a senso unico: non si ha notizia
di sciagurati sbandamenti delle ragazze palestinesi per i giovani
soldati israeliani e matrimoni nei due sensi seguono la stessa
legge: marito palestinese e moglie israeliana, sì. Marito
israeliano e moglie palestinese, no. ()Un uomo che ha combattuto
tutte le guerre mi dice: "La pace non è la fine dell'incubo
I nemici che un tempo erano incapaci di combattere contro di noi
che potevamo sconfiggere in un attimo OGGI SONO BRAVI COME ED
ANCHE PIÙ DEI NOSTRI SOLDATI; sanno per che cosa combattere,
sono bene armati ed addestrati. Da noi il patriottismo cede il
passo al senso di colpa. Gli arabi ci odiano, ma parlano
perfettamente l'ebraico. Noi non parliamo una parola di arabo
e vorremmo essere amati da loro» (24).
IL SIONISMO: nascita
e sviluppo del movimento sionista
a) Il primo Congresso di Basilea (agosto 1897).
Le origini del Sionismo attuale vanno ricercate nell'opera
del giornalista viennese Theodore Herzl che, insieme al parigino
Max Nordan, organizzò tre congressi a Basilea. Nel primo
fu definito il programma del Sionismo, cioè "creare
al popolo ebreo un domicilio garantito dal diritto pubblico in
Palestina". Molto forti e vivaci furono le reazioni, quasi
"una sollevazione massiccia del rabbinato contro tale progetto"
(25), al punto che si parlò di DIVORZIO TRA SINAGOGA E
SIONISMO. "La prima, soddisfatta dell'emancipazione, non
voleva essere nient'altro che una religione. Il secondo, risvegliato
dall'esplosione misteriosa dell'antisemitismo, proclama: noi siamo
un popolo e vogliamo ricostruire la nostra nazionalità
La prima non ha più la fede integrale di Mosé e
dei profeti. IL SIONISMO NON CONSIDERA GLI EBREI CHE COME UN POPOLO,
INVECE DI RICONOSCERE CHE È IL POPOLO, IL POPOLO DI DIO"
(26).
Infatti è "unicamente in un FINE POLITICO E SENZA
RIFARSI AL PASSATO RELIGIOSO D'ISRAELE che il Sionismo vorrebbe
rientrare in possesso di Gerusalemme e resuscitarvi la nazionalità
ebraica" (27).
D'altra parte il Rabbinato occidentale, pur avendo per lo più
abbandonato la speranza di un Messia personale, rifiuta di associarsi
al Sionismo e di incamminarsi verso Gerusalemme. Questo è
il cuore del problema sionista e il principio della sua soluzione
alla luce della fede cristiana, come vedremo in seguito.
Il Gran rabbino di Francia, Zadoc-Fahn spiega mirabilmente che
"Il Sionismo risale alla distruzione del Tempio di Gerusalemme
da parte di Tito Ma vi è un'enorme differenza tra il Sionismo
attuale e quello di diciotto secoli fa. PER I FEDELI DEI TEMPI
ANTICHI ERA IL MESSIA INVIATO DA DIO CHE DOVEVA MIRACOLOSAMENTE
RICOSTRUIRE SION NESSUNO AVREBBE MAI NEPPUR LONTANAMENTE PENSATO
A COGLIERE TALE FINE MEDIANTE VIE NATURALI. Un tale spirito non
poteva resistere all'influsso della Rivoluzione francese L'idea
messianica si trasformò Il Messia divenne il simbolo del
progresso, della fraternità umana, infine realizzata dal
trionfo delle grandi verità morali e religiose che il Giudaismo
ha sparso dappertutto" (28).
Se il Rabbinato occidentale, oramai ben integrato in Europa, rifiutava
anche lo PSEUDO SIONISMO LAICO di Herzl, vi era ancora una frangia
ebrea che attendeva un Messia figlio di David, ma "non avrebbe
mai accettato di ritornare a Gerusalemme fino a che il Messia
non fosse comparso" (29). RISTABILIRE UNO STATO D'ISRAELE
CON MEZZI UMANI - come è avvenuto - NON ERA ACCETTABILE
PER GLI EBREI TALMUDISTI. Gli Archives Israëlites
scrivevano a questo riguardo: "Se per Sionismo si intende
coloro che perseguono attualmente prima del tempo promesso la
ricostruzione della nazionalità ebrea possiamo affermare
che i sionisti di questa specie sono rari nantes in gurgite
vasto" (30). Ed ancora: "Ricostruire il Regno di
Giuda? Noi ebrei ortodossi, fedeli all'idea messianica, crediamo
alla venuta del Messia fondatore di un impero universale. Ma quale
rapporto vi è tra questo ideale religioso e il progetto
del dottor Herzl e dei suoi amici?" (31).
b) Il secondo Congresso di Basilea (agosto 1898).
Durante il secondo Congresso apparve ancora più chiaro
il nodo del problema e la contraddizione immanente al Sionismo
moderno, per il quale il Giudaismo deve essere una nazione e non
una religione, mentre per il rabbinato esso era una religione
piuttosto che una nazione. Perciò il Rabbinato occidentale
emancipato, benché liberal non voleva avere rapporti
con il Sionismo, poiché quest'ultimo era soltanto un nazionalismo
razionalista laicista e naturalista che non aveva alcuna radice
nel suo passato religioso: "Noi non ci immaginiamo facilmente
uno stato ebreo laico, di cui la Thorà non sia la carta
necessaria non si riesce a capire l'esistenza di una società
israelitica che non abbia la fede per suo fondamento. Tale nazionalismo
puramente razionalista sarebbe la negazione della storia e delle
profezie bibliche!" (32).
In sintesi il secondo Congresso segna l'abbandono di Gerusalemme
da parte dei rabbini e l'abbandono della religione, e quindi del
passato di Israele, da parte del Sionismo.
c) Il terzo Congresso di Basilea (agosto 1899).
L'ostilità del rabbinato esplode per la terza volta
e la maggior parte degli ebrei d'Occidente si mostra fermamente
contraria ai progetti dei sionisti. Tuttavia gli ebrei orientali,
non ancora emancipati civilmente e quindi non assimilati, restano
fedeli, per la maggior parte, all'idea del Messia personale e
del ritorno miracoloso a Gerusalemme (33).
Il periodo di rassegnazione speranzosa è sempre sussistente
nel Giudaismo orientale
Migliaia e migliaia di ebrei dell'Austria, della Romania, Polonia,
Russia, dell'Asia e dell'Africa restano fedeli al Talmudismo,
restano cioè estranei all'influsso del filosofismo, delle
idee moderne e non hanno conosciuto la rivoluzione emancipatrice;
perciò mantengono una fede cieca in un Messia bellicoso
e conquistatore che li riporterà a Gerusalemme. Essi sono
più numerosi degli ebrei occidentali. "Su sette, otto
milioni di ebrei che esistono oggi [1901] come all'epoca di Gesù
Cristo, la maggior parte risiede fuori dell'Europa occidentale"
(34). È significativo l'appello indirizzato agli studenti
ebrei dell'università di Praga dal Consiglio eletto del
Corpo degli studenti della nazione ebrea: "Compagni Israeliti,
gli ebrei non sono né tedeschi, né slavi, essi sono
UN POPOLO A PARTE. Gli ebrei sono stati e restano un popolo autonomo
per unità di razza, di storia, di sentimenti! Basta con
le umiliazioni! ebreo, non sei uno schiavo!" (35).
il Sionismo e Il B'naÏ B'rith
Se lo scopo del presente articolo
è quello di affrontare il discorso sul Sionismo alla luce
delle profezie dell'Antico e del Nuovo Testamento ad esso inerenti,
occorre tuttavia fare un costante riferimento al processo storico
della realizzazione del Sionismo in Palestina dalla fine del XIX
secolo ai giorni nostri, rimandando il lettore per gli argomenti
più specifici alla bibliografia indicata alla fine.
Emanuel Ratier ha presentato recentemente uno studio molto interessante
e ricco di documenti inediti sul B'naï B'rith (36), nel quale
vi è un intero capitolo dedicato al Sionismo, la cui documentazione
servirà ora per analizzare quale influsso la potente loggia
dei "Figli dell'Alleanza" abbia avuto nella nascita
dello Stato di Israele.
Fin dalla sua origine il B'naï B'rith è di ispirazione
sionista, fin da quando due rappresentanti del B'naï B'rith
romeno parteciparono nel 1898 al secondo congresso sionista di
Basilea. Tuttavia le logge americane, a differenza di quelle europee,
tutte filosioniste, erano su posizioni molto più moderate;
ma l'evoluzione verso un atteggiamento favorevole al Sionismo
fu rapida e già nel 1917 il giornale ufficiale del B'naï
B'rith americano affermava che la dichiarazione di Balfour era
(37). Anche le logge londinesi esercitarono una capitale influenza
sullo sviluppo del Sionismo, come testimonia anche Paul Goodman
nella storia della prima loggia del B'naï B'rith d'Inghilterra:
(38). Anche il distretto di Germania, inizialmente ostile al
Sionismo si avvicinò successivamente alle posizioni londinesi
filosioniste. Nel 1897 in una dichiarazione del 27 giugno, il
Comitato generale del B'naï B'rith tedesco, si dichiarò
totalmente contrario al Sionismo, ma successivamente in una seconda
risoluzione del Comitato generale del 22 maggio 1921 si schierò
su posizioni assolutamente favorevoli alla creazione di uno Stato
ebraico in Palestina.
Il B'naï B'rith in Palestina
(39). Da centinaia di anni il Giudaismo d'oriente viveva
in uno stato quasi letargico sotto il regime ottomano: (40).
Nel 1865, ventitré anni prima della nascita del Movimento
sionista di Herzl, il B'naï B'rith organizzò una grande
campagna di aiuti alle vittime ebree del colera in Palestina e
da allora non ha mai cessato di finanziare iniziative private
in Israele. Non appena le circostanze politiche lo permisero,
l'ordine si impiantò in Medio Oriente; in Egitto nel 1887
furono create due logge e l'anno seguente fu fondata la prima
loggia di Palestina, il cui primo segretario fu Elieser Ben-Yehouda,
il padre dell'ebraico moderno, allora considerato una lingua morta,
nel quale tradusse la costituzione e il rituale segreto del B'naï
B'rith. (41).
Nell'aprile del 1925 l'Ordine inaugurò la prima Università
ebraica.
La grande Loggia di Palestina
Il B'naï B'rith aveva sempre temuto che la creazione
di un distretto di Palestina insospettisse il regime turco, per
cui la sede del distretto d'Oriente era stata posta a Costantinopoli.
Il mandato inglese e la dichiarazione Balfour autorizzarono la
creazione del XIV distretto il cui primo gran Presidente fu David
Yellin. Nel 1948 il B'naï B'rith contava in Israele quarantotto
logge, nel 1968 centotrentotto, mentre oggi il loro numero supera
le duecento.
Durante il regime turco, tra il 1873 e il 1917, erano già
state fondate sei logge massoniche in Palestina... di cui la prima,
denominata Loggia del re Salomone, a Gerusalemme nel maggio
1873; durante il mandato britannico (1921-1947) la Massoneria
conobbe un rapidissimo sviluppo.
La loggia inglese del B'naï B'rith e la Palestina
Il primo presidente del B'naï B'rith Herbert Bentwich
era stato uno dei primi a condividere le tesi di Theodor Herzl
sul Sionismo e nel 1897 aveva organizzato un pellegrinaggio di
ebrei in Palestina tramite l'Ordine degli anziani Maccabei, a
nome del quale aveva vi acquistato un terreno, a Gezer, dando
inoltre alla First Lodge un orientamento spiccatamente
sionista.
All'inizio della prima guerra mondiale fu creato un Comitato ebraico
d'urgenza, composto esclusivamente da membri del B'naï B'rith,
con lo scopo di fare pressione sui futuri negoziatori di pace,
per ottenere nel dopoguerra una home nazionale ebraica
in Palestina (42).
Henry Monsky
In America l'Ordine fu il principale luogo d'incontro e fusione
tra gli ebrei di origine tedesca (borghesi e riformisti) e gli
ebrei provenienti dall'Europa dell'Est (più poveri, ortodossi
e filosocialisti), che si opponevano all'idea di fusione degli
ebrei con il popolo americano. L'ascesa al potere di Hitler nel
1933 rilanciò l'interesse per la home nazionale
ebraica in Palestina. «Il vecchio antisionista è
così divenuto - scrisse Alfred Cohen, presidente del B'naï
B'rith americano - un non-sionista. Egli guarda senza ostilità
l'operazione Palestina Sarà tuttavia sempre contro il Sionismo
politico, che apparirà, per il momento, come una causa
per la quale non ci può infiammare. Le discussioni accese
tra sionisti e antisionisti si sono raffreddate» (43).
Henry Monsky, eletto presidente del B'naï B'rith nel 1938,
approfittò della seconda guerra mondiale per rilanciare
l'Eretz Israel e dal 1941 rimase in stretto contatto con
i principali dirigenti sionisti. Il B'naï B'rith nel 1942
approvò il programma di Baltimora.
Il 29 agosto 1943 si tenne una storica riunione dell'Ebraismo
americano, voluta da Monsky, alla quale erano presenti sessantaquattro
organizzazioni nazionali ebraiche, con cinquecentoquattro delegati
- di cui almeno duecento fratelli del B'naï B'rith - in rappresentanza
di un milione e mezzo di ebrei. La riunione fu tuttavia boicottata
da due tra le principali organizzazioni ebraiche antisioniste,
il Comitato ebraico americano e il Comitato del lavoro ebraico.
Monsky fu correlatore della risoluzione a sostegno del programma
di Baltimora, approvata quasi all'unanimità (408 voti contro
3), e divenne il presidente della nuova struttura ebraica unitaria,
la Conferenza ebraica americana, che ebbe termine nel 1949, ma
che fu rimessa in piedi nel 1955 da un organismo più modesto,
la Conferenza dei presidenti delle grandi organizzazioni ebraiche,
in seguito al riconoscimento dello Stato di Israele. Samuel Happerin
ha scritto: «Pur non avendo mai ufficialmente avocato a
sé l'ideologia sionista le azioni effettive del B'naï
B'rith hanno compensato tutte le esitazioni. Per valutare l'aumento
di potere del Sionismo americano bisogna tener conto in maniera
preminente della guida, del numero dei membri e dell'assistenza
finanziaria del B'naï B'rith» (44). Il B'naï B'rith
non aveva infatti preso ufficialmente posizione in favore del
Sionismo fino al 1947, volendo evitare ogni divisione in seno
all'Ebraismo americano al cui interno permaneva una minoranza
antisionista.
Il B'naï B'rith fa riconoscere Israele
È stato il "B'naï B'rith" che ha
provocato il riconoscimento (de facto) dello Stato
d'Israele da parte del presidente americano Harry Truman, che
era ostile ad un riconoscimento rapido d'Israele, e che a causa
del suo "ritardismo" veniva accusato dai dirigenti sionisti
di essere un traditore. Nessuno dei leaders sionisti era
ricevuto, in quei frangenti, alla Casa Bianca. Tutti, tranne Frank
Goldman, presidente del "B'naï B'rith",
che non riuscì però a convincere il Presidente.
Allora Goldman telefonò all'avvocato Granoff, consigliere
di Jacobson, amico personale del presidente Truman. Jacobson,
un "B'naï B'rith", pur non essendo sionista,
scrisse tuttavia un telegramma al suo amico Truman, chiedendogli
di ricevere Weizmann (presidente del Congresso Sionista mondiale).
Il telegramma restò senza risposta, allora Jacobson chiese
un appuntamento personale alla Casa Bianca. Truman lo avvisò
che sarebbe stato felice di rivederlo, a condizione che non gli
avesse parlato della Palestina. Jacobson promise e partì.
Arrivato alla Casa Bianca, come scrive Truman stesso nelle sue
"Memorie": «Delle grandi lagrime gli colavano
dagli occhi... allora gli dissi: "Eddie, sei un disgraziato,
mi avevi promesso di non parlare di ciò che sta succedendo
in Medio Oriente". Jacobson mi rispose: "Signor Presidente,
non ho detto neanche una parola, ma ogni volta che penso agli
ebrei senza patria (...) mi metto a piangere" () Allora gli
dissi: "Eddie, basta". E discutemmo d'altro, ma ogni
tanto una grossa lacrima colava dai suoi occhi (...) Poi se ne
andò» (13).
Ebbene poco tempo dopo, Truman ricevette Weizmann in segreto e
cambiò radicalmente opinione, decidendo di riconoscere
subito lo Stato d'Israele. Così il 15 maggio 1948 Truman
chiese al rappresentante degli Stati Uniti di riconoscere de
facto il nuovo Stato. E quando il Presidente firmò
i documenti di riconoscimento ufficiale d'Israele, il 13 gennaio
1949, i soli osservatori non appartenenti al governo degli Stati
Uniti erano tre dirigenti del "B'naï B'rith":
Eddie Jacobson, Maurice Bisyger e Frank Goldman.
È poi da ascrivere al B'naï B'rith il mutamento della
politica americana riguardo alla questione palestinese: infatti
se negli anni cinquanta essa era stata globalmente favorevole
agli Arabi, essa cambiò rapidamente in seguito alle
continue pressioni dell'Ordine sul governo americano per ottenere
enormi aiuti economici e bellici in favore dello Stato di Israele.
Con la "guerra dei sei giorni" si assiste infine alla
sionizzazione definitiva de facto e de jure del
B'naï B'rith e dell'A.D.L.; «Questa vittoria miracolosa
ha permesso un'identificazione tra ebrei e Stato di Israele, del
tutto diversa da quanto era avvenuto agli albori di tale Stato.
È in questo frangente che l'A.D.L. e il B'naï B'rith
pongono come pietra di paragone l'asserto che l'antisionismo equivale
all'antisemitismo» (45).
il Laicismo sionista
L'idea sionista di Teodoro Herzl è assolutamente laica
e (46), come testimoniano le sue parole: (47).
(48).
Ma l'idea sionista era molto forte, al punto da rasentare in tanti
fondatori di Israele l'indifferenza verso il genocidio, come denuncia
lo storico israeliano Tom Segev nel suo libro Le septiem million
(49), e come scrive Barbara Spinelli su La Stampa:
(50). Anche Fiamma Nirestein qualche giorno prima aveva ricordato,
sullo stesso quotidiano, che Ben Gurion aveva fatto affondare
una nave carica di giovani militanti dell'Irgum, perché
erano di ostacolo al riconoscimento dello Stato di Israele.
Vana era stata anche la speranza, di Teodoro Herzl, di ottenere
un riconoscimento da parte della Santa Sede, nonostante l'incontro
con San Pio X il 25 gennaio 1904, preceduto da quello con il cardinale
Merry Del Val il 22. (51).
La conquista della Terra Santa
"Questo piano - scrive il Lémann - sembra essere stato
adottato dai promotori del Sionismo. È così che
l'infiltrazione lenta e dissimulata preparerebbe, a colpo sicuro,
gli elementi costitutivi dello Stato ebraico in Palestina, fino
al giorno in cui un avvenimento propizio ed improvviso [la seconda
guerra mondiale, n.d.r.], permetterà al Sionismo, sia mediante
un tentativo ardito, sia mediante un'abile diplomazia, di mettere
definitivamente la mano sul suolo tanto desiderato di tutta la
Giudea" (52).
Con la dissoluzione dell'Impero ottomano (durante la prima guerra
mondiale) il mondo cattolico cominciò a sperare che la
Palestina sarebbe tornata in mani cristiane: (53). E Pasquale
Baldi, uno dei più noti studiosi della questione dei luoghi
santi, così scriveva: «Oggi per un prodigioso combinarsi
di eventi, che noi riteniamo provvidenziale, Italia, Francia,
Inghilterra, tre nazioni che ebbero tanta parte nelle guerre sante,
tengono Gerusalemme sotto il proprio dominio. Oggi a ragione dunque
i cattolici di tutto il mondo possono attendersi che suoni finalmente
l'ora della giustizia; che per i Santuari della Palestina si rinnovino
gli splendori dell'era costantiniana, gli splendori del primo
secolo delle crociate!» (54).
Ciò che della questione dei Luoghi Santi maggiormente colpì
l'attenzione dell'opinione pubblica europea fu la loro liberazione
dal dominio musulmano e poi le controversie delle diverse confessioni
cristiane circa il loro possesso. La Santa Sede agì diplomaticamente
in vista di questi due obiettivi principali, situare la Palestina
nella sfera di controllo delle potenze cattoliche, e porre un
riparo alle usurpazioni compiute dai greci ortodossi nel 1757
(55). Quando gli Stati dell'Intesa, ormai in procinto di vincere
il conflitto, manifestarono un orientamento favorevole alla INTERNAZIONALIZZAZIONE
della Terra Santa, il mondo cattolico pensò che il primo
obiettivo fosse quasi raggiunto.
L'idea di affidare la Terra Santa ad un governo internazionale
non era nuova, ma fu soltanto nel corso della prima guerra mondiale
che queste proposte assunsero un carattere di attualità.
Con la caduta del regime zarista cessò anche ogni possibilità
di intervento russo-ortodosso in Medio Oriente. (56).
Il Vaticano tuttavia non riteneva che la soluzione di affidare
il governo della Terra Santa ad un governo internazionale fossa
la migliore; lo stesso card. Gasparri puntualizzò che alla
S. Sede sembrava più corretto parlare di «carattere
di nazionalità intendendo sottolineare che i luoghi santi,
anziché essere sottoposti al governo di più nazioni,
avrebbero dovuto essere sottratti al controllo di qualsiasi organismo
politico ed affidati ad istituzioni religiose come la Custodia
di Terra Santa. In questo contesto potrebbero trovare spiegazione
le voci - non però confermate - relative all'eventualità
di un governo pontificio in Palestina. Tuttavia la consapevolezza
dell'impossibilità di tradurre in pratica questo progetto
ne aveva impedito qualsiasi elaborazione concreta ed aveva indotto
la S. Sede a ripiegare sull'ipotesi di un regime internazionale»
(57).
«Dopo la prima guerra mondiale gli sforzi della Santa Sede
si erano indirizzati nel senso di realizzare un progetto di riaffermazione
del Cattolicesimo ispirato dal "proposito di procedere ad
una cristianizzazione non soltanto degli individui, ma della società
e degli Stati da compiere con tutti i mezzi" (58). La codificazione
canonica del 1917, dominata dall'immagine della Chiesa come societas
juridice perfecta, e la politica concordataria degli anni
venti e trenta, volta a restituire alla Chiesa quelle funzioni
pubbliche che le erano state sottratte in epoca liberale, costituirono
le manifestazioni salienti di questo intendimento, cui era sottesa
una ecclesiologia che mirava ad instaurare visibilmente il regno
di Cristo in ogni sfera della vita umana, compresa quella politica»
(59).
Tuttavia le speranze della S. Sede ebbero vita breve, perché
tra il 1917 e il 1918 il quadro politico subì radicali
cambiamenti che portarono all'accantonamento del progetto d'internazionalizzazione.
Vi fu quindi la famosa dichiarazione Balfour, che impegnava la
Gran Bretagna a favorire la creazione di una Casa nazionale ebraica
in Palestina. (60). Il cardinal Gasparri stesso, nel dicembre
1917, aveva detto al rappresentante diplomatico del Belgio che
, aggiungendo anche: (61). Lo stesso pontefice Benedetto XV intervenne
pubblicamente ed affermò che deprecava l'eventualità
di un (62).
Il Papa temeva soprattutto che (63).
Il Consiglio supremo Alleato riunito a Sanremo nell'aprile del
1920 pose definitivamente fine alla speranza di una internazionalizzazione
della Palestina assegnandone il controllo alla Gran Bretagna,
proprio a quel paese, cioè, di cui la S. Sede diffidava
maggiormente, non solo per il sostegno promesso alla causa sionista,
ma anche per l'influenza che la chiesa anglicana avrebbe potuto
esercitare in Terra Santa (64).
La Santa Sede e la "Teologia del Sionismo"
La Santa Sede vedeva nella dichiarazione Balfour per la creazione
di una sede nazionale ebraica in Palestina la conferma del timore
già espresso da Benedetto XV, che si intendesse cioè
concedere agli ebrei in Palestina. Il cardinal Gasparri da parte
sua, aggiungeva in una lettera ai timori prettamente religiosi
espressi dal Pontefice, una nuova motivazione, la difesa delle
"popolazioni indigene" e delle "nazionalità"
minacciate dalle aspirazioni sioniste (65). (66).
L'Osservatore Romano si occupò ampiamente dei problemi
della Terra Santa e del Sionismo, non sottovalutando affatto l'enorme
importanza e la portata escatologica della questione sionista.
«In Europa - scriveva il suo corrispondente da Gerusalemme
- si è troppo facili, con una superficialità che
irrita, a guardare al nuovo fenomeno semitico palestinese con
aria scettica di compatimento. Ma la realtà è una
sola: gli ebrei lavorano con eroica serietà di propositi
L'eventualità di un argine da parte degli arabi
non ha nessuna consistenza. La loro opposizione di prammatica
non arresterà nemmeno di un passo l'avanzata del Sionismo»
(67).
Da questa osservazione nascevano due linee interpretative, l'una
privilegiava una lettura in chiave religiosa del Sionismo, giudicato
un punto di passaggio verso "la conversione degli ebrei al
Cristianesimo" (68); l'altra, invece, insisteva piuttosto
sui pericoli che derivavano alla presenza cristiana in terra Santa,
dal rafforzamento del Sionismo.
La Civiltà Cattolica si segnalò per aver
dato una visione teologica del problema sionista, definendo chimerico
il disegno perseguito dal Sionismo: (69), oltreché ingiusta,
perché (70). Il Sionismo inoltre, per i gesuiti della
Civiltà Cattolica, si mostra incapace di dare una
risposta convincente al problema ebraico: (71). Soprattutto costituiva
(72). Il rimedio proposto per riportare la pace in Palestina
non sarà che (73).
Nel 1943 Mons. Tardini, Segretario per gli affari straordinari
della Santa Sede, confermò tale visione teologica sul Sionismo,
asserendo che (74).
La condanna dell'antisemitismo razzista e biologico espressa da
Pio XI nel 1928 «non implicava in alcun modo l'adozione
di orientamenti più favorevoli al Sionismo. Essa infatti
nasceva dalla preoccupata reazione della S. Sede per il dilagare
in Europa di movimenti e dottrine ispirati a principi di esasperato
razzismo e nazionalismo, ma non presuppone alcuna revisione della
tradizionale concezione cattolica che negava al popolo ebraico,
dopo la venuta di Cristo, qualsiasi ruolo nella storia della salvezza,
che non fosse quello di testimoniare, con le sue sofferenze, la
verità della Rivelazione cristiana. "Dopo la morte
di Cristo, Israele fu licenziato dal servizio della Rivelazione",
disse nel 1933 l'arcivescovo di Monaco, card. Faulhaber»
(75).
Nel 1938 La Civiltà Cattolica ribadì in modo
più esteso la sua posizione: «Tutto il valore del
Giudaismo era nella sua sola ragione di essere la preparazione
dell'Avvento del Messia Venuto il Messia, in persona di Gesù
Cristo, cessò necessariamente e automaticamente il valore
del Giudaismo tutt'insieme, e quale popolo "eletto"
e quale religione» (76).
(78).
Come aveva scritto L'Osservatore Romano «il Sacrificio
di Cristo, voluto da un popolo che se ne proclamò responsabile
per sé e per i suoi figli, nei secoli, davanti al giudice
umano come a quello divino, costituiva di fronte alla storia e
alla civiltà mondiale una tale prescrizione di qualsiasi
diritto sulla terra promessa da non avere certo bisogno di invocare
venti secoli ormai trascorsi a suo favore per essere ratificato
da qualsiasi tribunale politico» (79). Su tale base di natura
teologica si innestavano poi precise ragioni di ordine politico,
che confermavano l'avversione al movimento sionista della Santa
Sede, il cui obiettivo prioritario era quello di mantenere in
mani cristiane il controllo dell'intera Palestina e per la quale
il mandato britannico appariva il male minore a fronte della costituzione
di due stati non cristiani in Terra Santa: (80).
IL VATICANO E LA QUESTIONE PALESTINESE
La Santa Sede continuò a ribadire la sua ferma opposizione
alla costituzione di una home ebraica in Terra Santa. In
una lettera al delegato apostolico a Washington il Segretario
di Stato vaticano il 25 maggio 1943 sosteneva esplicitamente che
(81). Anche Mons. Tardini scriveva: «La Santa Sede si è
sempre opposta alla dominazione ebraica sulla Palestina. Benedetto
XV si è adoperato con successo per evitare che la Palestina
divenisse uno Stato ebraico. In effetti dal punto di vista religioso
(il più importante) la Palestina è una terra sacra,
non solo per gli ebrei, ma molto di più per tutti i cristiani
e specialmente per i cattolici. Darla agli ebrei significherebbe
offendere tutti i cristiani e violare i loro diritti» (82).
L'avversione alla costituzione di una home ebraica in Palestina
non significava però che la Santa Sede fosse favorevole
ad una dominazione araba sulla Terra Santa, (83). Tutta la politica
vaticana riguardo alla Palestina era ispirata dal timore che sia
una dominazione araba sia una dominazione ebraica risultassero
pregiudizievoli per gli interessi cattolici in Terra Santa (84).
Ma la risoluzione approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite
il 29 novembre 1947 introdusse un fatto nuovo nello scenario mediorientale:
la creazione di uno Stato ebraico indipendente, prevista per l'ottobre
del 1948. La prospettiva della costituzione di uno Stato ebraico
in Palestina ebbe un'eco profonda in tutto il mondo cristiano.
La proclamazione dell'indipendenza di Israele fu accolta in Vaticano
con molto riserbo. L'Osservatore Romano asserì che
(85).
i rapporti tra Sionismo e nazionalsocialismo
Nel 1922 Vladimir Jabotinsky si ritirò dall'esecutivo dell'Organizzazione
sionistica e fondò nel 1924 il Partito Revisionista. Il
Nuovo schieramento combatteva la politica dell'Esecutivo sionista
troppo disponibile al compromesso con gli inglesi e con gli arabi
e (86).
A questo proposito il Blondet è più esplicito e
ricco di informazioni: (87).
(88). Conobbe poi un ex ufficiale zarista, mutilato, certo Joseph
Trumpeldor e con lui ideò l'organizzazione di una "legione
ebrea" all'interno di non importa quale esercito alleato.
Proprio Trumpeldor ha dato il suo nome alla principale organizzazione
di gioventù sionista revisionista, il BÉTAR o B'RITH
TRUMPELDOR (Alleanza di Trumpeldor). Bétar è
anche il nome della fortezza dove Bar Kochba condusse la rivolta
contro le legioni di Roma nel secondo secolo.
Durante il dodicesimo Congresso sionista del settembre 1921 a
Karlovy Vary, Jabotinsky, senza informare i dirigenti sionisti,
firmò un accordo con Maxime Slavinsky, rappresentante del
leader del governo ucraino in esilio, Simon Petlioura (accusato
oggi di antisemitismo). Questo accordo con un regime che favoriva
i pogrom, fu giustificato da Jabotinsky con l'affermazione
che se l'Armata Rossa gli avesse fatto la stessa proposta, l'avrebbe
egualmente accettata (89). L'alleanza con l'Ucraina costrinse
Jabotinsky a dimettersi dall'Esecutivo sionista e dall'Organizzazione
sionista. Nel 1923 pubblicò una serie di articoli in cui
mirava ad intraprendere una sorta di REVISIONE del Sionismo, affermando
che si trattava di un ritorno alle tesi originarie di Herzl. Sostenne
così posizioni di ACCESO NAZIONALISMO, il cui unico fine
era di trasferire milioni di ebrei in Israele facendo della Palestina
uno Stato ebraico di fatto. Gli arabi, (91). Jabotinsky
è convinto che lo stato abbia il primato sull'individuo,
per cui non bisogna assolutamente rifarsi all'etica biblica ma
attingere le proprie forze alle teorie del NAZIONALISMO INTEGRALE;
(92). Jabotinsky è assolutamente contrario alla diaspora
e PER IMPEDIRE L'ASSIMILAZIONE degli ebrei, SARÀ ANCHE
PRONTO AD ACCOGLIERE favorevolmente LE IDEE ANTISEMITE, che avrebbero
spinto gli ebrei a ritornare nella loro terra e a riscoprire l'identità
che stavano perdendo. «Per Jabotinsky ogni assimilazione
ai goyim è non solo infausta ma impossibile "La
fonte del sentimento nazionale si trova nel SANGUE dell'uomo nel
suo TIPO FISICO-RAZZIALE È inconcepibile che un ebreo possa
adattarsi alla visione spirituale di un tedesco o di un francese"»
(93). Inoltre elimina l'idea di un Dio trascendente e la sostituisce
con quella di nazione, minando alla base le fondamenta stesse
del Giudaismo ortodosso. A tutto ciò unisce un odio viscerale
per il socialcomunismo, mentre vede, di conseguenza, la forza
principale del Sionismo nel supercapitalismo.
a) Il Bétar (94)
Nel 1923 Jabotinsky fondò il braccio armato del Revisionismo
sionista il Bétar B'rith Trumpeldor, i cui
membri (95). Dal 1934 al 1937 una scuola navale del Bétar
funzionerà in Italia, a Civitavecchia, con 153 cadetti
diplomati. Per Marius Schattner (96). Il Bétar
è un'organizzazione rigida, con un rituale stretto e severo:
ogni betariano deve impegnarsi a consacrare i due primi anni del
suo insediamento in Palestina alla militanza a tempo pieno nel
Bétar, il quale si fonda sostanzialmente sul mito
della forza, sulla potenza del cerimoniale, su una struttura paramilitare.
Negli anni 1931-32 Jabotinsky visse a Parigi, (97). Nel 1935
fondò a Vienna, durante un congresso, la Nuova Organizzazione
Sionista (N.O.S.), che inaugurava una politica molto discussa
con tutti i governi (anche antisemiti) PURCHÉ FOSSERO INTENZIONATI
A REGOLARE LA QUESTIONE EBRAICA IN SENSO SIONISTA, consentendo
cioè l'emigrazione ebraica in Palestina. Ciò non
impedirà per altro a Jabotinsky di pronunciarsi, negli
anni della guerra, a favore della creazione di un esercito ebreo
destinato a combattere la Germania hitleriana.
b) Menahem Begin
Fino alla vittoria di Begin nel 1977 a capo del Likud,
formazione politica erede del Bétar di Jabotinsky,
la maggior parte degli storici del Sionismo avevano relegato il
Revisionismo nel ghetto spirituale dei fanatici o addirittura
dei lunatici esaltati. Ma nel 1977 il "fascista" Begin
sale al potere in Israele e, fin dal suo primo discorso, si rifà
esplicitamente alle idee di Jabotinsky, anche se aveva fatto parte
dell'ala più radicale del Revisionismo, quella più
vicina al fascismo e associata al B'ritj Ha Biryonim (il
gruppo dei bruti), scavalcando a destra lo stesso Jabotinsky!
Dopo la seconda guerra mondiale Begin come leader del partito
Hérout (Libertà) farà lavorare al
quotidiano del partito il suo amico Abba Ahimert, ideologo estremista
revisionista, che aveva scritto: (98).
Quando Begin si recò per la prima volta negli USA nel 1948,
alcuni intellettuali ebrei, tra cui Einstein, Hannah Arendt e
Sydney Hook, scrissero una lettera aperta al New York Times
(4 dicembre 1948) in cui affermavano che il partito di Begin era
. Begin non rinnegherà in nulla le sua vecchie idee estremiste:
dopo di lui diverrà primo ministro di Israele il suo amico
(e terrorista) Yitzhak Shamir, per il quale (99).
c) Revisionismo e nazismo
Nella primavera del 1936 una coppia di ebrei, i Tuchler, inviati
dalla Federazione Sionista di Germania, ed una coppia di
nazisti, i von Mildenstein, inviati dal N.S.D.A.P. e dalle SS.,
si ritrovarono alla stazione di Berlino dove presero il treno
per Trieste e s'imbarcarono sulla Martha Washington per
la Palestina. Lo scopo del viaggio era quello di fare un'indagine
il più possibile completa e documentata sulle POSSIBILITÀ
DI INSEDIAMENTO DI EBREI TEDESCHI IN PALESTINA. «Malgrado
le dichiarazioni di principio e diverse misure specifiche (boicottaggio
degli ebrei tedeschi a partire dal 1 aprile 1933), tutti gli storici
sono d'accordo nell'ammettere che Hitler non aveva una politica
d'insieme precisa sulla questione ebraica fino alla notte dei
cristalli del 9-10 novembre 1938. Ciò lasciò campo
libero all'Ufficio degli Affari ebraici delle SS, per esplorare
le diverse politiche attuabili. Il viaggio del barone von Mildenstein
fu una di esse. Ora Mildenstein era ufficiale superiore delle
SS s'era interessato da molto tempo alla questione ebraica Fervente
sionista, entrò nelle SS. e fu reputato uno dei più
qualificati specialisti del Giudaismo. Fu lui che vide per primo
l'interesse che si poteva trarre dalle organizzazioni sioniste,
specialmente revisioniste Scrisse una serie di dodici lunghi articoli,
molto documenteti, sul quotidiano berlinese Der Angrif
di Goebbels, dal titolo Un nazista viaggia in Palestina. Vi
esprimeva la sua ammirazione per il Sionismo e concludeva che
"il focolare nazionale" ebreo in Palestina "indica
un mezzo per guarire una ferita vecchia di molti secoli: la questione
ebraica". Per commemorare tale visita fu coniata una medaglia,
su richiesta di Goebbels. Una faccia era ornata dalla svastica
nazista e l'altra dalla stella di David Le SS. erano divenute
la componente più filosionista del partito nazista»
(100). In seguito a questo viaggio il giornale delle SS. Das
schwarze Korps proclamò ufficialmente il suo appoggio
al Sionismo (101). Il 26 novembre lo stesso quotidiano rinnovava
il suo appoggio al Sionismo: (102). Ancora, nel maggio 1935 Heyndrich
in un articolo distingueva gli ebrei in due categorie dimostrando
una forte predilezione per quelli che e Alfred Rosemberg scriveva
che (103). Con l'avvento al potere di Hitler il Bétar
fu la sola organizzazione a continuare ad uscire in parata in
uniforme nelle strade di Berlino. Il 13 aprile 1935 la polizia
della Baviera (feudo di Himmler e di Heyndrich) ammetteva eccezionalmente
che gli aderenti al Bétar potessero indossare la
loro uniforme. Questi cercavano così di spingere gli ebrei
di Germania a CESSARE DI IDENTIFICARSI COME TEDESCHI e a farli
innamorare della loro nuova identità nazionale israeliana
(104). La Gestapo fece tutto il possibile per favorire l'emigrazione
verso la Palestina; ancora nel settembre 1939 autorizzò
una delegazione di sionisti tedeschi a partecipare al 21°
Congresso sionista di Ginevra. Jabotinsky invece si era pronunciato
per il boicottaggio della Germania, mentre Kareski, membro del
movimento revisionista, perseguiva una politica di collaborazione
con la Germania in vista di poter costituire lo Heretz Israel.
Nel 1942 restava ancora in attività nella Germania un
Kibbutz a Nevendorf per esercitare dei potenziali emigranti
verso la Palestina. (105).
d) Un patto segreto tra la banda Stern e il terzo Reich
I dirigenti ebrei della gang Stern - incredibile ma
vero - fecero ai nazisti una proposta di alleanza nel 1941 per
lottare contro gli inglesi: la cosa che più colpisce è
che uno di essi era Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di Israele.
«Lo scarso equipaggiamento militare dell'Italia, sia in
Libia che in Grecia, convinse Stern che l'Italia non aveva i mezzi
per condurre a termine la sua politica, mentre la Germania nel
1940, riportava vittoria su vittoria. Tali successi impressionarono
Stern, che si lanciò in un'avventura folle e senza uscita:
formare un'alleanza con la Germania hitleriana. Stern lavora fino
al febbraio 1941 (quando fu ucciso dagli inglesi) a concretizzare
questo obiettivo, fondandosi su un'analisi insolita della situazione
del Giudaismo. Per lui l'Inghilterra è il vero nemico,
mentre la Germania è solo un OPPRESSORE che appartiene
alla linea dei PERSECUTORI che il popolo ebreo ha incontrato durante
la sua storia. Questo è l'errore più grande di Stern:
vede nel Nazismo un movimento animato da un antisemitismo ragionevole»
(106). All'inizio del 1941 Lubentchik, agente segreto della banda
Stern, propone un patto militare tra l'Organizzazione militare
sionista Irgun (una scissione della stessa banda) e la
Germania, proposta nota col nome di testo di Ankara (107),
trasmesso a Berlino l'11 gennaio 1941 e ritrovato tempo fa negli
archivi dell'ambasciata tedesca in Turchia. In esso si legge:
«I principali uomini di stato della Germania nazionalsocialista
hanno spesso insistito sul fatto che un Ordine Nuovo in Europa
richiede come condizione previa una soluzione radicale della questione
ebraica, mediante l'emigrazione. L'evacuazione di masse ebree
d'Europa è la prima tappa della soluzione della questione
ebraica. Tuttavia, il solo mezzo per cogliere tale fine è
l'installazione di queste masse nella patria del popolo ebraico,
la Palestina, mediante lo stabilimento di uno Stato ebraico nelle
sue frontiere storiche» (108). Lo Stato maggiore tedesco,
tuttavia, decise di appoggiarsi nella lotta alla Gran Bretagna,
agli arabi che erano milioni, piuttosto che agli ebrei,
che non erano che un pugno di uomini (109). La veridicità
di questo documento è stata messa in dubbio, ma Israël
Eldadsnab, uno dei capi storici del gruppo Stern, ha confermato
la verità dei fatti (110) e il settimanale Hotam
affermò che tale documento era stato consegnato personalmente
da Shamir e Stern. Quando il 10 ottobre Shamir divenne primo ministro
dello Stato di Israele dopo il dicastero Begin, l'Associazione
Israeliana dei combattenti antifascisti e delle vittime del Nazismo
manifestò la sua indignazione in un telegramma al presidente
Herzog nel vedere il posto di primo ministro occupato da (111).
Se la banda Stern fu l'unico gruppo sionista revisionista
a negoziare col Terzo Reich in piena guerra, le organizzazioni
sioniste moderate non avevano esitato a farlo prima della guerra,
in gran segreto. «I circoli nazionalisti ebrei sono molto
soddisfatti della politica della Germania, poiché la popolazione
ebrea in Palestina sarà da tale linea politica talmente
accresciuta che in un futuro prossimo gli ebrei potranno contare
su una superiorità numerica di fronte agli arabi»
(112).
I rapporti tra Sionismo e Fascismo
a) La scuola navale del Bétar nell'Italia fascista
Già negli anni precedenti la prima guerra mondiale
Jabotinsky aveva sviluppato una teoria sui FONDAMENTI RAZZIALI
DELLE NAZIONI (Razza e nazionalità), i cui postulati
coincideranno con la Dottrina dello Stato di Mussolini (113).
«Sprovvisto di animosità nei confronti degli ebrei,
Benito Mussolini considerava le organizzazioni sioniste revisioniste
come movimenti fascisti. Fu così che fece allenare, a partire
dal novembre 1934, dietro domanda di Jabotinsky, uno squadrone
completo del Bétar a Civitavecchia, presso la scuola
marittima, diretta dalle camicie nere. Durante l'inaugurazione
del quartier generale degli squadroni italiani del Bétar,
nel marzo 1936, un triplice canto ordinato dal comandante dello
squadrone risuonò; "Viva l'Italia, il Re, il Duce!".
Esso fu seguito dalla "benedizione" che il rabbino Aldo
Lattes invocò, in italiano e in ebraico, per Dio, il Re,
il Duce "Giovinezza" (l'inno del partito fascista) fu
intonata dai betariani con molto entusiasmo. Mussolini ricevette
inoltre la promozione di betariano nel 1936» (114). Mussolini
fu anche il primo Capo di Stato a proporre la divisione della
Palestina e la creazione di uno Stato ebraico (115). Jabotinsky
tuttavia, al contrario dei suoi luogotenenti, non si proclamò
mai fascista o nazista, anche se prese le difese di Mussolini
in una serie di articoli scritti negli USA nel 1935 (116), mentre
tale era considerato da molti capi israeliani, al punto che Ben
Gurion lo chiamava Vladimir Hitler. Nel 1935 Mussolini
confidò a David Prato, futuro gran rabbino di Roma che
(117). I dirigenti sionisti non revisionisti fin dal 1922 avevano
preso contatti con Mussolini, che ricevette i primi sionisti poco
dopo la marcia su Roma, il 20 dicembre 1922, assicurando il gran
rabbino di Roma che non avrebbe tollerato alcuna manovra antisemita
(118). Ahimeir, principale leader del movimento revisionista
palestinese negli anni trenta, riaffermò nel marzo 1962:
(119).
b) Mussolini e il Sionismo
Occorre tuttavia precisare con De Felice che (120).
D'altronde «Dopo le sanzioni votate dalla Società
delle Nazioni contro l'Italia, Mussolini tagliò i rapporti
che fino ad allora aveva intrattenuto con i dirigenti sionisti
e si avvicinò agli arabi, nel tentativo di scalzare
le posizioni britanniche e francesi nel Medio Oriente» (121).
Per comprendere meglio l'attitudine di Mussolini verso il Sionismo
giova leggere l'interessante Storia degli ebrei italiani sotto
il fascismo del De Felice, nella quale si vede come l'atteggiamento
di Mussolini sia stato ondivago, a seconda se si trattava del
Sionismo in Palestina o della partecipazione di cittadini italiani
al movimento sionista (122).
«Verso il SIONISMO ITALIANO Mussolini nutriva tutti i pregiudizi
e le diffidenze così diffusi tra nazionalisti e fascisti
La convinzione che i sionisti avessero due "patrie"
e neppure sullo stesso piano tra loro, per cui la prevalente sarebbe
stata quella palestinese, urtava profondante il suo concetto monolitico
ed esclusivistico della patria e gli rendeva automaticamente antipatici
e sospetti i sionisti Verso il SIONISMO INTERNAZIONALE Mussolini
nutriva invece, se non simpatia una certa benevolenza egli vedeva
nel Sionismo (specie nei suoi gruppi di destra più accesi
e antinglesi) un prezioso mezzo per inserire l'Italia negli avvenimenti
mediterraneo-orientali e soprattutto un mezzo per creare difficoltà
in quel settore all'Inghilterra La carta "Sionismo",
così come da un certo momento in poi quella degli "arabi"
era per Mussolini soprattutto un elemento del suo gioco mediterraneo...
Che i sionisti, da parte loro, non rifiutassero il "rapporto"
con l'Italia fascista è ovvio. Prima che Mussolini "cadesse
sotto l'influsso di Hitler", l'Italia era uno dei paesi europei
più liberali verso gli ebrei» (123).
Antisemitismo pagano e Sionismo
Hannah Arendt, filosofa ebrea tedesca (1906-1975) ha scritto considerazioni
di grande interesse sulla natura del Sionismo: (124). E ancora:
(125). La Arendt critica la definizione stessa del Sionismo data
da Herzl, per il quale una nazione e afferma che «la conclusione
cui giunsero questi sionisti fu che SENZA L'ANTISEMITISMO IL POPOLO
EBRAICO NON SAREBBE SOPRAVVISSUTO per cui SI OPPOSERO A QUALUNQUE
TENTATIVO DI LIQUIDARE L'ANTISEMITISMO SU LARGA SCALA. Al contrario,
dichiararono che "I NOSTRI NEMICI, GLI ANTISEMITI, SAREBBERO
STATI I NOSTRI AMICI PIÙ FIDATI E I PAESI ANTISEMITI I
NOSTRI ALLEATI L'antisemitismo era una forza irresistibile e gli
ebrei AVREBBERO DOVUTO UTILIZZARLA o ne sarebbero stati divorati
(L'antisemitismo) era la forza motrice responsabile di tutte le
sofferenze degli ebrei, e avrebbe continuato a causare sofferenza
FINCHÉ GLI EBREI NON AVESSERO IMPARATO AD UTILIZZARLA A
LORO VANTAGGIO. IN MANI ESPERTE QUESTA FORZA MOTRICE SI SAREBBE
DIMOSTRATA IL FATTORE PIÙ SALUTARE NELLA VITA EBRAICA Tutto
ciò che occorreva fare era usare la FORZA MOTRICE dell'antisemitismo
che come l'onda del futuro avrebbe portato gli ebrei nella terra
promessa» (126).
i rapporti tra sionismo usa e urss
«Il periodo della guerra [1939-1945] trasformò la
comunità ebraica di Palestina in un organismo più
forte, cosciente, proteso verso l'affermazione concreta dei propri
ideali Gli anni della guerra avevano reso l'opinione pubblica
americana estremamente sensibile al dramma dell'Ebraismo europeo
ed avevano trasformato notevolmente la comunità ebraica
che si era fatta più omogenea, influente ed aperta al Sionismo.
In pochi anni l'interesse per questo movimento da sentimento prettamente
filantropico si trasformò in una forma di partecipazione
concreta» (127).
Paul Johnson ha affermato recentemente che (128).
Dopo la guerra il gioco decisivo era nelle mani delle grandi superpotenze
(USA e URSS). L'America presentava lo Stato d'Israele come baluardo
del mondo occidentale nel Medio Oriente. La politica miope dei
liberalconservatori vedeva (e continua a vedere) come UNICO pericolo
quello comunista (che è certamente enorme e non va sottovalutato
neppure oggi), ma non riusciva a scorgere la portata apocalittica
e teologica della fondazione dello Stato di Israele, e forse ignorava
che: «Nell'immediato dopoguerra Stalin si presentò
più volte come il paladino dei popoli colpiti dalla dominazione
nazista, mostrandosi propenso a considerare le istanze degli ebrei
che con sei milioni di vittime rivendicavano i propri diritti.
Il rappresentante sovietico alle Nazioni Unite, Andrey Gromiko,
sostenne che non si potava negare al popolo ebraico il diritto
di avere uno Stato Approvò quindi il piano UNSCOP tra la
sorpresa generale» (129). Secondo il Johnson «se complotto
vi fu per fondare Israele, FU L'UNIONE SOVIETICA AD ESSERNE MEMBRO
INFLUENTE. Durante la guerra, per ragioni tattiche, Stalin aveva
sospeso la sua politica antisemita, creando perfino un Comitato
ebraico antifascista. Dal 1944, per un breve momento, aveva adottato
un atteggiamento filosionista in politica esteranel maggio 1947,
Andrey Gromiko sorprese tutti annunciando che il suo governo era
favorevole alla creazione di uno Stato ebraico» (130).
Chi invece comprese molto bene la portata della fondazione dello
Stato d'Israele furono proprio gli ebrei: «In quella circostanza
[la risoluzione del 1948, n.d.r.] gli ebrei di Roma, che tradizionalmente
si erano imposti di non passare più sotto l'Arco di Tito,
testimone del loro asservimento, in una solenne cerimonia ruppero
questo simbolico divieto, attraversando l'Arco di Tito in senso
opposto a quello del trionfo dell'imperatore romano» (131).
(132).
Tuttavia con il 1949 i rapporti tra URSS e Israele cominciano
ad incrinarsi.
Andrew e Leslie Cockburn, in un recente e ben documentato libro,
gettano nuova luce sui rapporti tra USA, URSS e Sionismo: «Dopo
molti decenni ed una guerra fredda, Andrei Gromyko, alzando una
mano avrebbe dichiarato: "Con questa mano ho creato lo Stato
di Israele" L'eloquenza di Gromyko si manifestò su
ordine di Giuseppe Stalin, che, rispetto alla fondazione dello
Stato d'Israele, non si era certo fatto influenzare dai sentimenti
I russi avevano ottime ragioni per sostenere sia la resistenza
armata ebraica contro il dominio britannico in Palestina, che
la creazione dello Stato sionista, dal momento che lo Stato arabo
era allora decisamente nella sfera di influenza dell'occidente.
() Il sostegno diplomatico non fu l'unica forma d'incoraggiamento
che Stalin diede alla lotta d'Israele per costruirsi e sopravvivere
come Stato» (133). Lo Stato di Israele inoltre, ricevette
aiuti bellici «dal regime comunista che prese il potere
in Cecoslovacchia nel febbraio del 1948, un governo sotto l'occhio
attento e vigile di Stalin. Nei mesi che precedettero la dichiarazione
di indipendenza di Israele (maggio 1948), i servizi segreti militari
statunitensi scoprirono l'esistenza di un regolare ponte aereo
per il trasporto di armi tra Praga e il medio oriente (134). ()
Entro l'autunno del 1948 furono addestrati nelle varie basi cecoslovacche
non meno di cinquantamila militari israeliani e quando questi
partirono alla volta di Israele, il loro reparto prese il nome
di Klement Gottwald, il dirigente comunista ceco» (135).
Israele rese inoltre il favore alla Cecoslovacchia, fornendole
preziose informazioni sulle più moderne armi americane,
veri gioielli di un settore di tecnologia bellica altamente avanzata,
nel quale i sovietici erano ancora assai arretrati. «Nel
1948, in almeno due occasioni, gli israeliani consegnarono ai
cecoslovacchi esemplari di moderne armi americane Quando e come
gli israeliani avessero ottenuto questi prodotti della tecnologia
occidentale, poi consegnati ai sovietici, non si è mai
saputo, ma evidentemente per lo Stato ebraico si trattava di un'operazione
che valeva la pena di compiere» (136). Tuttavia il rapporto
privilegiato con l'Est sovietico non doveva essere esclusivo poiché
non era da solo sufficiente a fornire al Sionismo , al cui vertice
vi era il presidente Trumann che inizialmente non si mostrò
entusiasta ad appoggiare la creazione di uno stato ebraico in
Palestina (137). Fu solo nel corso del suo secondo mandato che
Trumann riconobbe formalmente lo Stato ebraico: «Spingere
il presidente americano nel campo filo-israeliano era stata una
mossa importante, ma ciò non comportò affatto per
Israele la rottura dei suoi legami con i paesi dell'Est ed il
suo passaggio nel blocco occidentale [in quanto] Israele voleva
sia i capitali americani sia i due milioni di ebrei dell'Unione
sovietica, ma non sembrava possibile ottenerli entrambi allo stesso
tempo. E d'altra Parte il denaro serviva subito. La comunità
ebraica americana aveva contribuito di tasca propria, e con ingenti
somme, ad operazioni come l'acquisto di armi cecoslovacche»
(138). Se l'Unione Sovietica si accontentava della neutralità
di Israele, nel corso della guerra fredda gli Stati Uniti non
erano per nulla soddisfatti di tale posizione. Tuttavia gli israeliani
«nel timore di alienarsi del tutto i sovietici, tentarono
di mantenere comunque un profilo basso e una certa neutralità
Israele si trovava in un vicolo cieco: da una parte non osava
impegnarsi troppo apertamente con gli americani per timore di
tagliare tutti i legami con l'Est dall'altra, si trovava di fronte
al problema di come continuare a mungere la "mucca"
americana senza essere disposta né capace di dare qualcosa
in cambio (139). In realtà c'era qualcosa che Israele poteva
dare alla "mucca" americana, ma ciò doveva rimanere
segreto» (140). Se era molto difficile per gli USA e la
CIA contattare direttamente gli abitanti dell'Est ed averne preziose
informazioni, «non rimaneva altro che trovare un posto dove
vi fosse molta gente che avesse vissuto di recente in un territorio
controllato dai sovietici. Tanto meglio poi se quel paese (Israele)
aveva anche una consolidata esperienza di lavoro clandestino in
quella parte del mondo ed un'organizzazione di servizi segreti
altamente efficiente e ansiosa di collaborare con gli USA»
(141). Questa tesi trova conferma anche nel libro di Ostrovsky,
il quale asserisce che il Mossad dipende totalmente dagli ebrei
che vivono fuori da Israele, i cosiddetti Sayanim, e non
potrebbe funzionare senza di loro (142).
il sionismo e l'antico testamento
Ma qual è il piano di Dio? Gerusalemme è destinata
dal Signore a ridiventare capitale di uno Stato ebraico? Il modo
in cui si è realizzata la formazione dello Stato d'Israele
corrisponde a ciò che deve essere il regno di Giuda secondo
le profezie? Questa è la chiave della questione sionista:
è una chimera o è una realtà? Lo studio teologico
del piano di Dio darà una risposta.
La risposta si trova nelle profezie bibliche, che vanno però
bene interpretate, in senso spirituale (e non temporale); infatti
esse non predicono il ristabilimento del regno temporale d'Israele,
ma preannunciano la fondazione della Chiesa romana, regno anzitutto
e principalmente spirituale e celeste.
Già ai tempi della venuta di Cristo i dottori gli scribi
e i farisei, interpretando alla lettera le profezie, si facevano
un'idea del tutto terrestre e materiale del regno del Messia,
ed è per questo che condannarono a morte Gesù, che
predicava un regno principalmente spirituale (la Chiesa in terra
e il Cielo nell'al di là) per tutti gli uomini. I sionisti
di allora non furono contenti ed eliminarono il vero Messia. Ed
è ancora con tale falsa interpretazione delle profezie
messianiche che gli ebrei, sin dalla distruzione di Gerusalemme
(70) e fino ai giorni nostri, continuarono a sperare nella ricostituzione
del regno d'Israele.
La causa di tali false interpretazioni è, per la teologia
cattolica, il disconoscimento del duplice oggetto di tali profezie:
uno temporale, riguardante la restaurazione di Gerusalemme e dello
Stato ebraico dopo la cattività babilonese (586 a. C.)
e non dopo la morte del Messia e la distruzione di Tito (70);
l'altro spirituale e riguardante la fondazione della Chiesa, l'Israele
spirituale che deve condurre gli uomini di tutti i popoli in Cielo
(la Gerusalemme celeste).
L'insigne teologo ed esegeta mons. Lémann scrive a questo
riguardo: "È dopo aver misconosciuto il duplice oggetto
delle profezie messianiche, l'uno temporale, relativo all'antica
Gerusalemme terrestre, e l'altro spirituale, relativo alla Gerusalemme
delle anime, opera del Messia, che il popolo ebraico s'è
ingannato e s'inganna ancora. () Purtroppo il popolo ebraico si
è attaccato e si attacca ancora alle IMMAGINI che rivestono
la VERITÀ delle profezie Ed è una seconda e nuova
riedificazione di Gerusalemme e del Regno di Giuda che molti di
loro persistono a volere. CHIMERA! Il duplice oggetto delle profezie
essendosi avverato, uno venticinque secoli fa, grazie alla riedificazione
materiale di Gerusalemme dopo l'esilio babilonese, sotto Esdra
e Nehemia; l'altro, diciannove secoli fa, grazie alla fondazione
della Chiesa: Gerusalemme spirituale
Cercare di ricostruire una Gerusalemme terrestre è lo stesso
che voler edificare l'ombra della realtà. Ora da diciannove
secoli e per sempre la realtà, che è la Chiesa,
ha dissipato l'ombra. Umbram fugat veritas!" (143).
Già Sant'Alfonso Maria de' Liguori aveva individuato questi
errori: «Due furono gl'inganni de' Giudei circa il Redentore
che aspettavano: il primo fu che quanto predissero i profeti de'
beni spirituali ed eterni, de' quali dovea il Messia arricchire
il suo popolo, essi vollero intenderlo de' beni terreni e temporali:
Et erit fides in temporibus tuis, divitiae salutis, sapientia
et scientia, timor Domini, ipse est thesaurus eius (Is. XXXIII,
6). Ecco i beni promessi dal Redentore, la fede, la scienza delle
virtù, il santo timore: queste furon le ricchezze della
salute promesse. Inoltre Egli promise che avrebbe recata la medicina
a' penitenti, il perdono a' peccatori e la libertà a' cattivi
del demonio: Ad annuntiandum mansuetis misit me, ut mederer
contritis corde et praedicarem captivis indulgentiam et clausis
apertiorem (Is. LXI, 1).
L'altro inganno de' Giudei fu che quello ch'era stato predetto
da' profeti della seconda venuta del Salvatore, quando Egli verrà
a giudicare il mondo nella fine de' secoli, vollero intenderlo
della prima venuta. Scrisse bensì Davide del futuro Messia
ch'egli dovea vincere i principi della terra ed abbattere la superbia
di molti e, colla forza della spada, distruggere tutta la terra:
Dominus a dextris tuis: confregit in die irae suae reges. Iudicabit
in nationibus conquassabit capita in terra multorum (PS. CIX,
5 et 6). Ed il profeta (Gioele II, 11) [leggi Geremia XII,
12] scrisse: Gladius Domini devorabit ab extremo terrae usque
ad extremum eius. Ma ciò s'intende già della
seconda venuta, quando verrà da giudice a condannare i
malvagi; ma parlando della prima venuta, nella quale dovea venire
a consumare l'opera della Redenzione, troppo chiaramente predissero
i profeti che il Redentore dovea fare in questa terra una vita
povera e disprezzata. Ecco quel che scrisse il profeta Zaccaria
parlando della vita abbietta di Gesù Cristo: Ecce rex
tuus venit tibi iustus et salvator: ipse pauper et ascendens super
asinam et super pullum filium asinae (Zach. IX, 9)»
(144).
il sionismo e il nuovo testamento
Gesù, per ben quattro volte, ha profetizzato riguardo al
futuro del Tempio di Gerusalemme; una prima volta ha annunciato
il suo abbandono da parte di Dio (Lc. XII, 34,35): "ecco
che la vostra casa sarà ABBANDONATA" (l'aggettivo
deserta riportato nella Vulgata non si trova nel testo
greco). Tale sentenza annuncia l'abbandono del Tempio da parte
di Dio: Gesù non chiama più il Tempio la MIA casa
o la casa del PADRE MIO, ma la VOSTRA casa.
Una seconda volta Gesù predice la distruzione da cima a
fondo del Tempio: "Non lasceranno (i tuoi nemici)
di te PIETRA SU PIETRA" (Lc. XIX, 41-44).
Una terza volta Gesù predice che il Tempio sarà
reso come deserto: "Ed ecco che la vostra casa vi sarà
lasciata DESERTA" (Mt. XXIII, 37-38). Questo è
un nuovo annuncio, più solenne, che Dio avrebbe abbandonato
il Tempio dove abitava. Gesù ripete due volte tale abbandono
del Tempio, poiché gli ebrei avevano la folle confidenza
che il Tempio, essendo la casa di Dio, li avrebbe risparmiati
da qualsiasi calamità. Gesù perciò vuole
togliere loro una tale fiducia, ripetendo l'annuncio dell'abbandono
ed anzi per far meglio capire la gravità di tale abbandono
aggiunge qui la terribile parola deserta, a significare
che il Tempio è destinato a cadere in rovina.
Gesù infine si è pronunciato una quarta volta, giurando
addirittura che il Tempio sarebbe stato distrutto insieme con
le sue stesse rovine: "In verità vi dico non resterà
pietra su pietra CHE NON SIA DISTRUTTA" (Mt. XXIV,
2). Ebbene Dio ABBANDONÒ il Tempio quando Gesù fu
messo a morte ed il velo del Tempio si strappò in due (Mc.
15, 38; Lc, 23, 45). Il Tempio fu DISTRUTTO da Tito, che fece
demolire dai soldati le mura del Tempio incendiato. Restavano
le FONDAMENTA, che, al tempo di Giuliano l'Apostata, FURONO DIVELTE
proprio dagli ebrei stessi i quali le avevano dissotterrate nella
speranza di scavarne delle nuove e di ricostruire il Tempio, cosa
che non fu possibile a causa di un fuoco sprigionatosi dalla terra
e di numerosi terremoti, "che inghiottironociò che
restava delle fondamenta del Tempio" (145). Ecco compiuta
la quarta promessa, le rovine stesse del Tempio sono state distrutte:
"Lapis super lapidem qui non destruatur" (Mt.
XXIV, 2). Tale distruzione, secondo la Tradizione, non è
soltanto totale, ma DEFINITIVA! San Giovanni Crisostomo asserisce:
"nessuno può distruggere ciò che Gesù
Cristo ha edificato, così nessuno può riedificare
ciò che ha distrutto. Egli ha fondato la Chiesa e nessuno
potrà mai distruggerla; Egli ha distrutto il Tempio e nessuno
potrà mai riedificarlo" (146).
CiÒ che GesÙ ha profetizzato riguardo a Gerusalemme
Due cose ha profetizzato Gesù: la distruzione di Gerusalemme
e la sua sorte dopo la distruzione, quando essa dovrà essere
"calpestata dai pagani, sino a che i tempi delle nazioni
siano compiuti" (Lc. XXI, 24).
Dopo la distruzione, operata da Tito nel 70, Gerusalemme fu effettivamente
ancora occupata, saccheggiata, calpestata e dominata da diversi
popoli pagani. Venti volte conobbe l'invasione e il saccheggio!
Cominciarono le legioni di Adriano nel 130; nel 613 fu la volta
dei persiani, ai quali seguì nel 627 Eraclio e nel 636
il califfo Omar. Una quinta ed una sesta volta fu occupata tra
il 643 e l'868, quando la dinastia degli Omniadi cadde e fu sostituita
dagli Abassidi. Nell'arco di circa duecento anni subì nove
invasioni: nel 868 dal sovrano egiziano Ahmed, nel 905 dai califfi
di Baghdad, nel 936 da Maometto-Ikhschid, nel 968 dai Fatimiti,
nel 984 dal turco Ortok, e in seguito dal califfo d'Egitto, nel
1076 dal turco Meleschah, poi dagli Orokidi e ancora nel 1076
dai Fatimiti. La sedicesima volta furono i crociati che entrarono
a Gerusalemme alle quindici del venerdì 15 luglio del 1099,
alla stessa ora della morte di Gesù Cristo. Nel 1188 fu
Saladino che tolse ai cristiani i luoghi santi, nel 1242 il sovrano
d'Egitto Nedjmeddin, nel 1382 i Mammalucchi e infine nel 1516
i Turchi con Séhim I.
Sul versetto evangelico che segue la predizione della soggezione
di Gerusalemme ai pagani "fino a che i tempi delle nazioni
non siano compiuti" si danno due interpretazioni: per
la prima, sostenuta da S. Giovanni Crisostomo (II oratio contra
Judeos) le parole di Cristo significano "fino a che non
vi siano più nazioni", cioè FINO ALLA FINE
DEL MONDO, e quindi esclude la possibilità che Gerusalemme
possa diventare mai la capitale di uno Stato ebraico. Per la seconda,
invece, Gerusalemme sarà calpestata fino a che la pienezza
delle nazioni non sia entrata nella Chiesa con la conversione
di Israele, in base alle parole di San Paolo (Rm. XI, 25-26):
"L'accecamento ha colpito in parte Israele, fino a che
la pienezza dei gentili sia entrata, e così tutto Israele
sia salvato". Questa tesi esclude anche, con l'entrata
progressiva delle nazioni nella Chiesa e la salvezza finale di
Israele, la ricostruzione del regno d'Israele, come dimostrano
anche l'abbé Lémann e Mons. Spadafora (147).
GESÙ E IL REGNO DI ISRAELE
Il giorno dell'Ascensione gli Apostoli, non ancora ripieni di
Spirito Santo, erano imbevuti di sogni di gloria e felicità
temporale, come tutti gli ebrei di quell'epoca che aspettavano
un Regno terrestre del Messia guerriero e conquistatore. E siccome
Gesù aveva parlato loro in quel giorno del Regno di Dio
e della discesa dello Spirito Santo, ecco che le loro speranze
di regalità temporale si risvegliarono e chiesero a Gesù:
"Maestro, è ora che realizzerai il Regno
di Israele?" (148). Nella risposta di Gesù ["Non
spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato
al suo potere. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito
Santo che scenderà su di voi e sarete miei testimoni a
Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria fino alle
estremità della terra" (149)] vi è un insegnamento
indiretto riguardo al ristabilimento del regno di Israele, in
quanto nell'eleggere i discepoli come suoi testimoni fino alle
estremità del mondo, Nostro Signor Gesù Cristo faceva
loro capire che NON SI TRATTAVA per Lui DI RENDERE ALLA NAZIONE
EBREA IL SUO REGNO TEMPORALE, ma di fondare, tramite il loro ministero
apostolico, il Regno di Israele spirituale, la Chiesa (Verus
Israël) che da Gerusalemme avrebbe dovuto diffondersi
in tutto il mondo.
Questo è il Regno di Israele che Gesù Cristo è
venuto a fondare, Regno delle anime, Regno dei Cieli: la Chiesa
qui in via, e il Paradiso in Patria! Nessun accenno
ad uno Stato di Israele che riapparirà a Gerusalemme.
Alla obiezione spontanea che attualmente Gerusalemme è
nuovamente la capitale di uno Stato ebraico, che la Palestina
è il Regno d'Israele occorre dare una risposta ampia e
articolata.
Il fatto che Dio abbia permesso il ritorno di una gran massa di
ebrei in Terra Santa non solo non contraddice le profezie di Gesù
Cristo ma LE COMPIE, in quanto le Scritture ci parlano, anche
della conversione di Israele al Cristianesimo. E Mons. Lémann
stesso vedeva in tale movimento verso la Palestina una PREPARAZIONE
AL RAGGRUPPAMENTO imponente di ebrei che sarà necessario
perché LA LORO CONVERSIONE IN MASSA appaia EVIDENTE AL
MONDO INTERO.
E il ritorno in massa del popolo ebraico nella Terra Santa implica
veramente la realizzazione STRETTA E FORMALE del Sionismo? Prima
della sua conversione al Cristianesimo il popolo ebraico ritroverà
il possesso COMPLETO ED INDIPENDENTE del paese dei suoi avi? La
storia fino ad ora ha risposto. Il possesso non è PIENO,
COMPLETO ed ESCLUSIVO. Inoltre lo Stato di Israele per essere
VERO E LEGITTIMO Regno d'Israele dovrebbe essere teocratico ed
avere perciò il terzo Tempio. Ora, come affermano tutti
gli ebrei ortodossi, il Sionismo attuale non è riuscito
a far rivivere tale stato di cose, anzi non ha voluto neppure
provarci per principio; pertanto lo Stato di Israele è
soltanto MATERIALMENTE, ma non FORMALMENTE, il Regno sognato dai
talmudisti. Inoltre gli ebrei non hanno ancora il pieno possesso
della Terra Santa, che devono spartire, in stato di guerra continua,
con lo Stato palestinese (150).
Secondo Mons. Lémann, anche DOPO LA CONVERSIONE AL CRISTIANESIMO,
gli ebrei non potranno ristabilire il Regno d'Israele, non saranno
cioè rimessi da Dio nel paese dei loro avi in cui godranno
la pace più profonda, perché il ritorno di Israele
nella terra promessa deve essere interpretato in senso spirituale
e metastorico, cioè come la conversione e il rientro d'Israele
nella Chiesa di Cristo, il Verus Israël.
Altri esegeti affermano invece che Israele sarà ristabilito
in Palestina e che vi formerà uno Stato [cristiano, dal
momento che si parla di Israele convertito] (151).
La conversione futura degli ebrei è ammessa comunemente
dai teologi cattolici, tra i quali alcuni affermano che gli ebrei,
ritornati a Cristo e incorporati alla Chiesa, saranno ricondotti
provvidenzialmente in Palestina dove restaureranno Gerusalemme
ed anche il Tempio, ma in onore di Gesù Cristo. S. Beda
afferma, ad esempio: "Quando Israele si convertirà
non è temerario sperare che ritornerà sul suolo
dei suoi padri, che riprenderà il possesso di Gerusalemme
per abitarvi" (152). Questa opinione tuttavia, anche se riprende
quelle profezie che annunciano il ristabilimento del Regno d'Israele
ed è seguita da alcuni esegeti, sembra rinnovare nel fondo
l'errore del Giudaismo talmudico, che si ferma al significato
letterale delle profezie senza coglierne quello spirituale. Anche
l'opinione che gli ebrei convertiti ricostruiranno il Tempio in
onore di Gesù Cristo è respinta da Mons. Lémann
in quanto contraria a tutta l'economia del Nuovo Testamento: infatti
il Tempio aveva, oltre la destinazione immediata al culto divino
dell'Antica Alleanza, - ormai revocata - un significato simbolico
(153), era figura del TEMPIO FUTURO fondato da Dio stesso, la
Chiesa romana. Il Santo rappresentava la Chiesa militante
e il Santo dei Santi quella trionfante. Ora che la realtà
ha sostituito la figura non vi è più motivo di ricostruire
un Tempio che era eminentemente figurativo.
La sorte di Gerusalemme fino alla fine del mondo.
Su questo argomento esistono due tesi; la prima afferma che quando
i tempi delle nazioni saranno compiuti Gerusalemme non conoscerà
la convivenza con l'Islàm e diverrà una capitale
cristiana, mentre l'altra, più sicura, asserisce che GERUSALEMME
SARÀ CALPESTATA FINO ALLA FINE DEL MONDO a causa del deicidio.
Anche le parole di Gesù "Gerusalemme sarà
calpestata dai pagani, fino a che i tempi delle nazioni siano
compiuti" (154), vengono spiegate in modo diverso: per
alcuni significano che Gerusalemme cesserà di essere calpestata
quando il Vangelo sarà predicato ovunque nel mondo intero
e Israele si convertirà divenendo uno Stato cristiano;
la maggior parte degli esegeti, però, sostiene che Gerusalemme
sarà calpestata fino alla fine del mondo, secondo la tesi
di san Giovanni Crisostomo: «Mai Gerusalemme gioirà
di un pieno e tranquillo splendore Essa presenterà sempre
i segni della desolazione decretata. Se arrivasse l'Anticristo,
nell'avvenire, e riuscisse a darle uno splendore anticristiano,
esso sarà soltanto FITTIZIO E PASSEGGERO. Credere il contrario
significa illudersi Se "l'uomo del peccato, il figlio
della perdizione"(II Tess. 2,3), per cercare di far mentire
le profezie, tenterà di rendere a Gerusalemme il suo splendore
passato, immediatamente essa cadrà sotto il colpo di una
maledizione simile a quella che pronunciò Giosuè
contro chiunque tentasse di ricostruire le mura di Gerico: "maledetto
sia davanti al Signore" Lo stesso avverrà per
il tentativo dell'Anticristo Per far sparire lo splendore che
Gerusalemme non deve più conoscere [e qui si vede la gravità
del piano di Giovanni Paolo II in Tertio Millennio Adveniente]
(155) un miracolo di vendetta divina colpirà l'Anticristo
e bloccherà il suo braccio» (156).
Roma contro Gerusalemme
«Vi sono due città quaggiù riguardo alle quali
le macchinazioni degli uomini resteranno impotenti: Roma e Gerusalemme
Roma sede del Vicario di Cristo, non cesserà mai di esserlo.
Leone XIII lo ha proclamato una volta di più nella sua
Enciclica relativa al Giubileo del 1900: "Il segno divino,
che è stato impresso a questa città, non può
essere alterato né dalle macchinazioni umane né
da alcuna violenza. Gesù Cristo Salvatore del mondo, ha
scelto, sola tra tutte, la città di Roma per una missione
più alta ed elevata che le cose umane, e se l'è
consacrata. Ha deciso che il trono del suo Vicario vi restasse
in perpetuo". Ma se Roma deve restare fino alla fine del
mondo la sede indistruttibile del regno di Cristo e del Papato,
Gerusalemme, al contrario, non ridiverrà mai la capitale
né il seggio di un nuovo regno d'Israele. Un marchio divino
è stato ugualmente impresso su di essa, quello del castigo.
Né le combinazioni umane, né alcuna violenza non
saprebbe farlo scomparire» (157).
Il Sionismo e l'Anticristo
È sentenza comune dei Padri della Chiesa (158) che gli
ebrei devono ricevere e acclamare l'Anticristo come loro Messia
e che Gerusalemme non ridiverrà la capitale di uno stato
ebraico (perfettamente e completamente) neanche sotto il
Regno dell'Anticristo e grazie al suo aiuto. Per ben capire la
portata di tale asserzione occorre prima risolvere la questione
di quale sarà la sede dell'Anticristo, per la quale esistono
due opinioni.
Secondo la prima l'Anticristo avrà come sede del suo regno
Gerusalemme; molti sono i sostenitori di questa tesi e tra questi
S. Ireneo (159), Lattanzio (160), Sulpizio Severo (161), San Roberto
Bellarmino (162), Cornelio a Lapide (163), Francisco Suarez (164).
Essa si fonda sull'Apocalisse in cui san Giovanni afferma che
Enoch ed Elia, avversari dell'Anticristo, saranno uccisi (165),
cioè a Gerusalemme dove quindi l'Anticristo, avrà
prima posto la sede del suo regno.
La seconda opinione afferma invece che la capitale del regno dell'Anticristo
sarà Roma, perché, per i sostenitori di questa tesi,
il testo dell'Apocalisse non si riferisce necessariamente a Gerusalemme
come sede dell'Anticristo, il quale potrebbe ordinare la soppressione
dei due testimoni in quella città, avendo però altrove
la sua sede; anzi per opporsi meglio a Cristo (166). Coloro che
preparano il suo regno (gli anticlericali di ogni sorta), sembrano
averlo compreso molto bene, infatti «è CONTRO ROMA
che si sono coalizzati, da svariati anni gli sforzi dei massoni
e degli ebrei, questi formidabili preparatori della potenza dell'Anticristo.
Una volta stabilitosi a Roma, "terra di gloria" nulla
sarà più facile all'Anticristo che rendersi a Gerusalemme.
È là, in effetti che l'attende, secondo la profezia
di Daniele, la vendetta di Dio» (167).
Ma anche nel caso in cui l'Anticristo si stabilisse a Gerusalemme,
non per questo si realizzerà il sogno del Sionismo, perché
questi non avrà come fine quello di ristabilire il Regno
di Israele e di realizzare così le profezie, ma solo di
farsi adorare come Dio, per cui (168) e aperti gli occhi si convertirà
a Gesù Cristo guardando Colui che hanno trafitto.
Per quanto riguarda il Tempio, poi, ci si può chiedere
se l'Anticristo arriverà a ricostruirlo in odio alle profezie
di Gesù Cristo e per cercare di smentirle o screditarle;
alcuni Padri ed esegeti, tra cui san Ireneo, san Cirillo di Gerusalemme,
Suarez, lo affermano, interpretando alla lettera le parole di
san Paolo (169). Molti altri Padri invece intendono metaforicamente
la parola Tempio, che non è quello di Gerusalemme. Per
san Girolamo siederà nel Tempio di Dio: vale a dire o in
Gerusalemme, o nella Chiesa e ciò mi sembra più
vero [vel in Ecclesia, ut verius arbitramur] (170). Della
stessa opinione sono anche san Giovanni Crisostomo (171) e Teodoreto
che spiega anche il modo in cui avverrà: (172).
Ma pur ammesso che l'Anticristo cerchi di ricostruire il terzo
Tempio, non per questo si avvereranno le speranze del Sionismo,
perché lo scopo non sarà la gloria di Jahwé,
ma il suo culto personale in sostituzione di quello di Dio. Inoltre
«tale tentativo sarà talmente imperfetto che il Tempio
non sarà ricostruito NEL SENSO STRETTO o proprie loquendo
Il Tempio non potrà essere ricostruito FORMALITER, poiché
l'impresa avrà per oggetto non il culto del vero Dio, ma
quello dell'Anticristo. Poiché benché all'inizio,
l'Anticristo, per ingannare gli ebrei, simulerà di voler
ricostruire il Tempio per il culto di Dio, in realtà e
nel segreto del suo cuore, agirà solo per la sua gloria
e per farsi adorare» (173).
Conclusione: l'attuale Stato di Israele È il regno messianico?
Il Sionismo attualmente realizzatosi è l'avverarsi di un
BEL SOGNO o è una CHIMERA? Dopo aver visto la risposta
dell'ebreo convertito Augustin Lémann nel 1901 esaminiamo
quanto affermano oggi storici e politologi di diversa estrazione
di pensiero. Secondo Paul Johnson la nuova Sion era stata concepita
come risposta all'antisemitismo del XIX secolo e pertanto non
aveva alcun fondamento né fine religioso, ma era solo «uno
strumento politico e militare per la sopravvivenza del popolo
ebraico L'essenza del Giudaismo era che l'esilio sarebbe finito
per un evento metafisico, in un momento stabilito da Dio, non
per una soluzione politica escogitata dall'uomo. Lo Stato sionista
era semplicemente un nuovo Saul, suggerire che fosse una forma
moderna del Messia era non soltanto sbagliato, ma blasfemo. ()
Poteva soltanto generare un altro falso messia» (174). Gershom
Scholem, grande studioso di mistica ebraica, ammoniva: (175).
«Il Sionismo non aveva posta - secondo il Johnson - per
Dio come tale ecco perché fin dal principio la maggior
parte degli ebrei osservanti considerarono il Sionismo con sospetto
o con decisa ostilità e alcuni ritennero che fosse OPERA
DI SATANA La creazione dello Stato sionista non era un reingresso
ebraico nella storia, un Terzo Stato, ma l'inizio di un esilio
nuovo e molto più pericoloso Il Sionismo era 'ribellione'
contro il Re dei re lo Stato ebraico sarebbe finito in una catastrofe
peggiore dell'olocausto» (176).
Le ultimissime recenti stragi hanno fatto scrivere a Fiamma Nirestein:
«SMARRIMENTO. Israele, che ha per pietra angolare
il concetto della sicurezza dello Stato ebraico, che è
nato deciso a riscattare per sempre la storia giudaica dal sentimento
di inevitabile e continuo pericolo, si trova forse per la prima
volta dal 1948, anno della sua fondazione, a non sapere che fare,
a percepire, a causa degli attacchi omicidi-suicidi che si susseguono
implacabilmente, un senso di vuoto, di perdita, di SMARRIMENTO
appunto» (177).
Lo stesso disagio evidenzia, sempre su La Stampa, Avraham
Ben Yehoshua:
Negli ultimi tempi la stampa israeliana dedica molto spazio all'eventualità
di una guerra civile. Il trauma di una guerra fratricida si accompagna
al ricordo della perdita della sovranità Nell'anno 70 Gerusalemme
fu conquistata ma alla disfatta militare conribuì una guerra
fratricida combattuta tra coloro che si erano scelti per nome
'zeloti' e i cosiddetti 'sadducei'. Questa guerra
interna indebolì lo Stato ebraico e preparò il terreno
alla sconfitta militare definitiva, ed è per questo che
ogni sintomo di possibile lotta di questo genere risveglia un
ricordo doppiamente traumatico In fondo i motivi di divisione
erano gli stessi che si riscontrano oggi nella società
israeliana. Si tratta della lotta tra due diversi codici il codice
religioso e quello nazionale Si è tornati [oggi] in un
certo senso all'antico conflitto tra i due codici non ci si deve
stupire perciò se tra i più violenti oppositori
al governo attuale ci sono numerose persone che esibiscono la
propria religiosità. Sono loro gli esponenti di punta di
un'opposizione che rischia di diventare violenta. Perché
il codice religioso, che si esprime nella sacralizzazione della
terra di Israele, ha la meglio su quello nazionale Come per gli
zeloti non era assurdo ribellarsi contro l'Impero romano.
Così per i religiosi contemporanei non c'è niente
di male nel continuare l'assurda dominazione su un popolo che
rappresenta circa il cinquanta per cento della sua stessa popolazione
senza concedere i diritti civili C'è quindi la possibilità
che questi fattori [USA e Europa, n.d.r.] contribuiscano ad impedire
che i sostenitori del codice religioso scatenino una guerra civile
dagli esiti DIFFICILMENTE PRONOSTICABILI» (178).
«Israele il giorno dopo la grande sciagura [la morte di
Rabin, n.d.r.] la grande paura degli israeliani ha un nome blasfemo:
guerra civile. Inutile nascondersi dietro un dito. Israele corre
e correrà codesto rischio mostruoso, devastante, se colui
che ha raccolto il testimone non agirà in fretta»
(179).
Sembra quasi di cogliere il dubbio o il timore che il Sionismo,
lungi dal rappresentare un magnifico successo, possa trasformarsi
in un TERRIBILE SCACCO.
Al termine dell'analisi del Sionismo si ritorna al punto iniziale:
tutto ciò che riguarda il problema ebraico è problema
esclusivamente religioso: già san Gregorio Magno affermava
che (180). Il motivo può essere trovato nelle parole stesse
della Nirenstein: Israele ha rigettato la vera pietra d'angolo
Nostro Signor Gesù Cristo (che avrebbe dovuto riunire gli
ebrei ai pagani nell'unica chiesa di Dio, come la pietra d'angolo
fa da base a due muri della casa) e ve ne ha sostituita un'altra,
il concetto della SICUREZZA dello Stato ebraico; ma mai l'uomo
sarà sicuro se non fonda ogni sua speranza in Dio e nel
suo Unigenito Gesù Cristo (181). Allora la sostituzione
di un Messia personale con un'idea astratta è alla base
dello scacco del Sionismo, è la ragione profonda della
situazione di SMARRIMENTO constatata dalla Nirenstein, nonostatnte
l'opulenza e la potenza attuale dello Stato d'Israele, perché
il cuore dell'uomo non troverà pace finché non riposerà
in Colui che l'ha redento e che nel Vangelo aveva predetto: «La
pietra [Cristo] che riprovarono gli edificanti [i giudei]
è diventata PIETRA ANGOLARE [che unisce in una sola
Chiesa i due popoli, il pagano e l'israelita]. Chiunque cadrà
su questa si sfracellerà ed essa stritolerà colui
sul quale cade [cioè colui che per disprezzo l'avrà
voluta rimuovere]» (182).
Bibliografia
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Note
1) "Negli ultimi venticinque anni del XIX secolo, un nuovo
tipo di movimento prese forma nell'Europa orientale con l'obiettivo
di promuovere il ritorno degli ebrei nella terra d'Israele Molte
autorità ortodosse si opposero a quanto secondo loro era
un'arrogante appropriazione del ruolo del Messia Nel 1890 un giornalista
viennese, Theodor Herzl, fu inviato a Parigi per riferire dell'affare
Dreyfus Herzl, un ebreo non religioso, fu indignato dall'antisemitismo
di molti oppositori di Dreyfus. Divenne profondamente convinto
che non poteva esservi libertà e uguaglianza per gli ebrei
se non nella loro terra. Così Herzl fondò il Movimento
sionista, un'organizzazione dedicata a promuovere la causa di
uno stato ebraico in terra d'Israele allora dominato dalla Turchia
Durante la prima guerra mondiale (1917) la Gran Bretagna emanò
un documento in cui appoggiava il concetto di Palestina come sede
di un focolare nazionale ebraico. Così dopo aver conquistato
quella terra ai turchi, la Gran Bretagna ricevette un mandato
sui territori della Società delle nazioni Nel 1947 la Gran
Bretagna informò le Nazioni Unite di voler abbandonare
il suo mandato sulla Palestina l'ONU votò la spartizione
della Palestina in due stati separati: uno ebraico e l'altro arabo
e mise Gerusalemme sotto una giurisdizione internazionale. I paesi
arabi si rifiutarono di accettare questa soluzione e cinque di
essi mandarono i loro eserciti in Palestina appena se ne andarono
via gli inglesi La dirigenza ebraica proclamò la nascita
dello Stato d'Israele al termine della sovranità britannica
il 14 maggio 1948. Le forze militari israeliane riuscirono a sconfiggere
sul campo gli eserciti arabi, e Israele si appropriò di
un territorio più vasto di quello previsto dal piano di
spartizione dell'ONU. Lo Stato ebraico riuscì ad occupare
anche una parte di Gerusalemme a eccezione della Città
Vecchia [essa] ed alcuni territori abitati dalla maggioranza di
arabi rimasero occupati dalle forze militari giordane e furono
chiamati la Riva occidentale (West bank) Nel 1967 Israele
lanciò una azione preventiva contro l'Egitto Le forze militari
israeliane riuscirono ad occupare la penisola del Sinai, la Riva
occidentale e la città vecchia di Gerusalemme, il conflitto
durò sei giorni. Nel 1973 l'Egitto attaccò le forze
militari israeliane nel Sinai: in quell'occasione l'esito non
fu conclusivo come per il passato l'Egitto era riuscito a rspingere
un'avanzata israeliana sui suoi territori". Cfr.R. A. ROSEMBERG,
l'Ebraismo, storia, pratica, fede, Mondadori, Milano 1995,
pagg. 170-174.
2) A. Lémann, L'avenir de Jerusalem, Paris 1901,
pag. 3.
3) Che cos'è il Sionismo, a cura del Centro d'informazione
di Israele, Gerusalemme 1990.
4) A. Lémann, op. cit., pag. 11.
5) A. Lémann, op. cit., pag. 353.
6) Sodalitium, n° 39, pagg. 58-61; n° 40, pagg.
54-56.
7) A. Lémann, op. cit., pag. 26.
8) Cfr. M. Blondet, I fanatici dell'Apocalisse, Il Cerchio,
Rimini 1992.
9) A. Lémann, op. cit. , pag. 26.
10) Ibidem, pag. 41.
11) Ibidem, pag. 43. Si veda anche, a questo proposito:
L. Poliakov, I banchieri ebrei e la Santa Sede, Newton
Compton, Roma 1974.
12) Archives isräelites, anno 1862, pag. 309.
13) A. Lemann, op. cit., pag, 65.
14) P. Sella, Prima d'Israele, ed. L'uomo libero, Milano
1990, pagg. 19-21.
15) P. Sella, op. cit, pag. 25.
16) P. Sella, op. cit, pagg. 26.
17) P. Sella, op. cit, pag. 36.
18) P. Sella, op. cit, pag. 162.
19) P. Sella, op. cit, pag169.
20) P. Sella, op. cit, pag. 224.
21) P. Sella, op. cit, pag. 234.
22) P. Sella, op. cit, pag.240.
23) Non può non sorprendere a questo proposito, l'intervista
concessa dall'on. Fini al Jerusalem Post e riportata dal
Secolo d'Italia col titolo Abbiamo un amico a Roma,
a cura di Dennis Eisemberg e Uri Dan, ex agente del Mossad e autore
di Mossad, 50 ans de guerre secrète (Presse de la
cité, Paris 1995). Alla dichiarazione di Fini che
[4 luglio 1995, pag. 5] gli intervistatori commentano: .
24) P. Guzzanti, Tel Aviv, anima ribelle d'Israele, in
La Stampa. 15 /7/1995, pag. 9.
25) A. Lemann, op. cit., pag. 70.
26) A. Lemann, op. cit., pag. 71. Si veda anche Le Réveil
d'Israël, luglio 1898.
27) A. Lemann, op. cit., pag. 71.
28) Archives israëlites, 23 settembre 1897.
29) A. Lemann, op. cit., pag. 77.
30) Archives israëlites, 20 settembre 1897.
31) M. Dreyfuss, Gran rabbino di Parigi, in Archives israëlites,
23 settembre 1897.
32) Archives israëlites, 15 settembre 1898.
33) Cf. Le Réveil d'Israël, ottobre 1899.
34) A. Lemann, op. cit., pag. 122.
35) La croix, 10 marzo 1895.
36) E. Ratier, Mystères et secrets du B'naï
B'rith, ed. Facta, Paris 1993.
37) A. Lemann, op. cit., pag. 180 .
38) B'naï B'rith, The first Lodge of England, 1910- 35,
Paul Goodman, stampato dalla Loggia, Londra 1936.
39) M. Honigbaum, B'naï B'rith journal, giugno
1988.
40) B'naï B'rith Magazine, supplement, febbraio 1925
41) E. Ratier, op. cit., pag.183.
42) E. Ratier, op. cit., pag.188.
43) E. RATIER, op. cit., pag. 190.
44) Samuel Happerin, The Polittical World of American Zionism,
edito da Informations Dynamics Inc., 1985.
45) E. Ratier, op. cit., pag. 202.
46) F. Tagliacozzo-B. Migliau, Gli ebrei nella storia e nella
società contemporanea, La Nuova Italia, Firenze 1993,
pag. 114.
47) Teodoro Herzl, Lo Stato Ebraico, Roma 1955, pag. 77.
48) F. Tagliacozzo- B. Migliau, op. cit., pag. 115.
49) Tom Segev, Le septiem million, ed. Liana Levi, Jerusalem,
1991 (1993).
50) Barbara Spinelli, in La Stampa, 27 aprile 1995, pagg.
1-6.
51) F. Tagliacozzo-B. Migliau, op. cit., pag. 120.
52) A. Lemann, op. cit., pag. 136.
53) S. Ferrari, Vaticano e Israele, Sansoni, Firenze 1991,
pag. 9. Cfr. H. F. Köck, Der Vatikan und Palëstina,
Wien-München, Herold 1973, pag. 40.
54) Pasquale Baldi, La Questione dei Luoghi Santi in generale,
Bona, Torino 1919, pagg. 85-87.
Cfr. A. Baudrillart, Jérusalem délivrée,
Beauchesne, Paris 1918 ed E. Julien, La délivrance de
Jérusalem, Imprimerimeries reunies, Boulogne-sur-Mer
1917.
55)S. Sayegh, Le Statu quo des Lieux Saints, Pontificia
Università Lateranense, Roma 1971.
56) S. Ferrari, op. cit., pag. 11.
57) S. Ferrari, op. cit., pag. 12. cfr. anche: S. I. Minerbi,
Il Vaticano, la Terra Santa e il Sionismo, Bompiani, Milano
1988, pag. 39.
58) G. Verrucci, La Chiesa nella società contemporanea,
Laterza, Bari 1988, pagg. 10-11.
59) S. Ferrari, op. cit., pag. 13. Cfr. Anche: G. Alberigo-A.
Riccardi, Chiesa e papato nel mondo contemporaneo, Laterza,
Bari 1990.
60) S. Ferrari, op. cit., pag. 13-14.
61) S. I. Minerbi, Il Vaticano, la Terra Santa e il Sionismo,
Bompiani, Milano 1988, pag. 189. Dello stesso autore vedasi anche
Il Vaticano e la Palestina durante la prima guerra mondiale,
in Clio 1967, pagg. 433-435, e E. Farhat, Gerusalemme
nei documenti pontifici, Città del Vaticano 1987, Libreria
editrice Vaticana.
62) Allocuzione Causa nobis, 13 giugno 1921, AAS, XII,
1921, pagg. 281-285.
63) Ibidem.
64) Su questo argomento vedasi G. Castelli Cavazzana, L'opera
per la preservazione della fede in Palestina, ed. Cavalieri
del Santo Sepolcro, Milano 1933;
C. Crivelli, Protestanti e cristiani orientali, ed. La
Civiltà Cattolica, Roma 1944, pagg. 397-429;
Osservatore Romano, 20 novembre 1924.
65) Cfr. Osservatore Romano 30 giugno 1922.
66) S. Ferrari, op. cit., pag. 16.
67) L'Osservatore Romano, 14 novembre 1924, "Dalla
Palestina. Le avanguardie dei missionari".
68) Cfr. L'Osservatore Romano, 15 novembre 1924, "Come
divenni cattolico. Hans Herzl, figlio del fondatore del Sionismo,
racconta la sua conversione dal giudaismo". Cfr. Anche: La
Civiltà Cattolica 1937, III, pag. 37, "La questione
giudaica e l'apostolato cattolico".
69) La Civiltà Cattolica 1938, VI, pag. 78, "Intorno
alla questione del Sionismo".
70) La Civiltà Cattolica 1922, III, pag. 117, "Il
Sionismo dinanzi all'opinione dei non ebrei".
71) La Civiltà Cattolica 1937, II, pag. 431, "La
questione giudaica e il Sionismo".
72) La Civiltà Cattolica 1934, IV, pag. 136, "La
questione giudaica e l'antisemitismo nazista".
73) La Civiltà Cattolica 1938, II, pag. 81, "Intorno
alla questione del Sionismo". Vedasi anche La Civiltà
Cattolica 1924, IV, pag. 487, "Un episodio del Sionismo
in Palestina". Cfr. E. Caviglia, Il Sionismo e la Palestina
negli articili dell'Osservatore Romano e della Civiltà
Cattolica, in Clio 1981, pagg. 79-90; R. De Felice, Storia
degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Milano 1961,
pagg. 60-61.
74) Acta Diurna Sancta Sedis, IX, pag. 184, 13 marzo 1943.
75) S. Ferrari, op. cit., pag. 20.
76) La Civiltà Cattolica 1938, II, pag. 76, "Intorno
alla questione del Sionismo".
77) M.J. Dubois, The Catholc Viecu, in Encyclopedia Judaica
Yearbook, 1974, Jerusalem, pag. 168.
78) S. Ferrari, op. cit., pag. 21.
79) L'Osservatore Romano, 20 settembre 1921.
80) S. Ferrari, op. cit., pag.22.
81) Lettera del card. Maglione al card. Cicognani, 18 maggio 1944,
in Acta Diurna Sanctae Sedis,IX, pag. 302.
82) Acta Diurna Sanctae Sedis,XI, pag. 509.
83) S. Ferrari, op. cit., pag. 42.
84) Si possono consultare al riguardo:
G. Vanzini, Il Sionismo e la divinità di Gesù
Cristo, Artigianelli, Pavia 1933; A. Grassi, Contributo
alla soluzione della questione dei Luoghi Santi, Tipografia
dei Padri francescani, Gerusalemme 1935;
dalla Civiltà Cattolica: La rivoluzione mondiale
e gli ebrei, 1922, IV, pag. 111 e segg.; Il pericolo
giudaico e gli Amici d'Israele, 1928, II, pag. 342 e segg.;
La questione giudaica, 1936, IV, Pagg. 37-88; la questione
giudaica e il Sionismo, 1937, II, pagg. 418-99;
G. De Vries, Cattolicesimo e problemi religiosi nel prossimo
Oriente, Roma 1944, La Civiltà Cattlica.
85) L'Osservatore Romano, 28 maggio 1948. Già il
14 maggio, giorno della nascita di Israele aveva scritto: .
Vedasi anche J. Parkers, Il problema ebraico nel mondo
moderno, Nuova Italia, Firenze 1953 e G. LoGiudice, L'essenza
dell'Ebraismo liberale, in Civiltà Cattolica, 1952,
III, pagg. 411-15.
86) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 192.
87) M. Blondet, I fanatici dell'Apocalisse, Il Cerchio,
Rimini 1992, pag. 26.
88) E. Ratier,Les guerriers d'Israël, ed. Facta, Paris
1995, pag. 29.
89)Cfr. J. Schechtman, The Jabotinsky-Slavinsky agreement,
Jewis Social Studies, ottobre 1955.
90) Cfr. P. Giniewski, in Cactus, maggio 1991.
91) E. Ratier, op. cit., pag. 39.
92) E. Ratier, op. cit., pag. 41.
93) E. Ratier, op. cit., pagg. 41-42.
94) Il Bétar, presentato ufficialmente a Parigi [dove il
25 aprile 1925 era stata fondata anche l'Alleanza dei Sionisti
revisionisti] il 5 dicembre 1929 col nome di Berich Trumpledor-Jeunesse
sioniste révisioniste, è nato dal Movimento
sionista revisionista fondato nel 1923 da Jabotinsky a Riga.
. (L'événement du jeudi, 26 settembre 1991).
Tagar in ebraico significa sfida; in Francia rappresenta l'organizzazione
più militante del Bétar e riunisce esclusivamente
studenti dai diciotto ai ventitre anni. La sua sede parigina è
nello stesso edificio del Bétar, 59 Boulevard de Strasbourg,
Xeme arrondissement, e sulla sua carta intestata figura un'altra
organizzazione, il Movimento degli studenti sionisti (che
è in realtà il Tagar stesso). Secondo Emanuel Ratier
è un'organizzazione paramilitare i cui membri hanno il
diritto di indossare l'uniforme; possiede inoltre un suo giornale,
il Cactus, che esce solo sporadicamnete e a cui collabora
il giornalista ultrasionista Paul Giniewski, autore del libro
La croix des Juifs (ed. MJR, Genève 1994 di cui
ha trattato don F. Ricossa in Sodalitium n° 41, pagg.
42-57). A partire dal settembre 1992 il Tagar pubblica anche L'Étudiant
juif; inoltre intrattiene rapporti abbastanza buoni con lo
Tsahal, l'esercito israeliano.GLI ARGOMENTI DEL BÉTAR
SONO SIMMETRICI A QUELLI DEGLI ANTISEMITI: GLI EBREI NON POTREBBERO
MAI ESSERE FRANCESI (O TEDESCHI O ITALIANI) COME GLI ALTRI. QUESTO
PUNTO È MOLTO IMPORTANTE PER GLI ULTRASIONISTI, PERCHÉ
DISTRUGGE COMPLETAMENTE OGNI IDEA DI INTEGRAZIONE O DI ASSIMILAZIONE
E SEMBRA CONFERMARE COME IL SIONISMO E L'ANTISEMITISMO BIOLOGICO
COLLIMINO IDEOLOGICAMENTE. L'HÉRUT francese è
il rappresentante in Francia del partito di Begin e Shamir e riunisce
i sionisti revisionisti seguaci di Jabotinsky. Fu eretto in associazione
legale nel 1905 ed è la casa-madre del Bétar-Tagar.
Il LIKUD (alleanza di diversi partiti di estrema destra)
ha come elemento motore proprio l'Hérut. Chi controlla
ad altissimo livello l'autodifesa ebraica è il MOSSAD,
il cui fondatore Isser Harel ha dichiarato nel 1992, in seguito
ad alcune manifestazioni dei naziskin tedeschi, che se le autorità
germaniche sono incapaci di fermare l'ascesa del neonazismo:
(Le Monde, 26/XI/1992). Harel spiega anche come abbia organizzato
dei gruppi di autodifesa in tutta Europa: «Abbiamo deciso
di soccorrere tutte le comunità ebraiche nei paesi in cui
i governi non potevano o non volevano frenare l'ondata antisemita.
L'abbiamo fatto in Europa e nel mondo intero creando delle organizzazioni
ebraiche di difesa. () Ciò non è stato fatto in
coordinazione con le autorità locali, abbiamo preso questa
iniziativa unilateralmente» (Tribune Juive, 26/I/1993).
95) E. Ratier, op. cit., pag. 46.
96) Cit. in E. Ratier, op. cit., pagg.41-42.
97) E. Ratier, op. cit., pag.50.
98) Citato in Ratier, op. cit., pag.58.
Cfr. Y. Shavit, Jabotinsky and the Revisionist movement,
FrancK Cass, 1988;
A. Dielhoff, L'invention d'une nation, Gallimard, Paris
1993.
99) Citato in Ratier, op. cit., pag. 60.
100) E. Ratier, op. cit., pagg. 75-77.
Cfr. L. Brenner, Zionism in The age of dictators, Corcum
Hell, 1983;
E. Ben elissar, La diplomatie du Troisième reich et
les juifs, Julliard 1969.
101) 15/III/1935, pag. 1.
102) Cit. in E. Ratier, op. cit., pag. 77.
103) Citazioni da E. Ratier, op. cit., pag. 78.
104)Cfr. F. Nicosia, The Third Reich and the Palestine Question,
Tauris [London] 1985.
105) E. Ratier, op. cit., pag. 93.
106) A. Dieck Hoff, L'invention d'une natoin, Israël et
la modernité politique, Gallimard 1993 citato in E.
Ratier, op. cit., pagg. 97-98.
107) Il testo originale è stao pubblicato da D. Yisraëli,
Le problème palestinien dans la politique allemande,
Bar Ilan University, 1974.
108) citato in E. Ratier, op. cit., pag. 98.
109) Cfr. N. Yahim-Mor, Israël, La rainessance, 1978.
110) Cfr. Yediot Aharonot, 4/II/1983.
111) Cfr. Jerusalem Post, 18/IX/1983.
112) L. Brenner. Zionism in the Age of the Dictators, Corcun
Hell, 1983.
113) Cfr. M. Cohen, Du rêve sioniste à la réalité
israélienne, La Découverte, 1990.
114) Ratier, op. cit., pag. 66.
Cfr. la rivista L'idea sionista, in L. Brenner, Zionism
in the Age of the Dictators.
115) Cfr. B. Mussolini in Il Popolo d'Italia, 8/IX/1933
e 17/II/1934.
116) Cfr. Jewish Daily Bulletin, 1935.
117) M. Bar Zohar, Ben Gurion, le prophète armé,
Fayard 1966.
118) Cfr.E. Ratier, op. cit., pag. 68.
119) Cit. in E. Ratier, op. cit., pag. 70.
120) R. De Felice, op. cit., pag. 174.
121) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 198.
122) « Mussolini non era mai stato antisemita, almeno fino
al 1936. Aveva trattato col Sionismo con grande apertura e spregiudicatezza,
ogni volta che gli era stato utile nella sua prospettiva di penetrazione
nel Medio Oriente e di contrapposizione alla prevalenza anglo-francese.
Aveva esaltato il contributo degli ebrei al Risorgimento».
Da G. Spadolini, Gli anni della svolta mondiale, Longanesi,
Milano 1990, pag. 250.
123) R. De Felice, op. cit., pag. 159-161..
124) Hannah Arendt, Ripensare in Sionismo in Ebraismo
e modernità, Feltrinelli, Milano 1993, pag. 26.
125) Hannah Arendt, op. cit., pag. 87.
126) Hannah Arendt, op. cit., pagg. 98-134.
127) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 405-413.
128) Paul Johnson, Storia degli ebrei, Longanesi, Milano
1987, pag. 580.
129) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 419.
130) Paul Johnson, op. cit., pag. 587-588.
131) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 421.
132) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 438.
133) Andrew e Leslie Cockburn, Amicizie pericolose, Gamberetti
editrice, Roma 1993, pagg. 45-46.
134) Cfr. S. Green, Taking Sides, William Mozzow, New York
1984.
135) A. E L. Cockburn, op. cit.,pagg. 46-47.
136) A. E L. Cockburn, op. cit.,pag. 47. Cfr. S. Green,
Living by the sword, Brattleboro, VT, Amana Books, 1988,
pagg. 217-219.
137) cfr. M. J. Stone, Truman and Israel, University of
california press, Berkeley 1990.
138) A. e L. Cockburn, op. cit., pag. 49-55, passim.
139) cfr. U. Bialer, Between East and West, Cambridge University
Press, New York 1990.
140) A. e L. Cockburn, op. cit., pag. 59.
141) A. e L. Cockburn, op. cit., pag. 67.
142) V. Ostrovsky, Mossad. Un agent des services secrets israeliens
parle, Presse de la Cité 1990. Il libro dell'Ostrovsky,
nonostante sia di un agente dei servizi segreti, sembra essere
attendibile, in quanto - come scrive Actualité juive
- «Un ex agente del Mossad, Vistor Ostrovsky, condannato
a trent'anni di prigione per contumacia, persegue legalmente una
catena di televisione candese "per incitamento all'omicidio"
Vistor Ostrovsky è l'autore di due libri di successo sul
Mossad, basati su cinque anni passati nei servizi israeliani La
suddetta catena televisiva denunciata dall'Ostrovsky riceveva
il 5 ottobre 1994 il giornalista israeliano Yosef Lapid che, qualche
giorno prima aveva scritto sul quotidiano israeliano Ma aziv
che Ostrovsky non dovrebbe avere il diritto di vivere. Durante
l'intervista televisiva Lapid ha dichiarato che il Mossad non
assassinerebbe Ostrovsky per non compromettere le relazioni israeliano-candesi.»
da Actualité Juive, n° 417, febbraio 1995, pag.
13.
143) Ibidem, pagg. 165-169.
144) S. Alfonso Maria de' Liguori, Passione di Nostro Signor
Gesù Cristo, Alfonsianum, Roma 1934, pagg. 188-189.
145) A. Lemann, op. cit., pagg. 177-8.
146) S. Giovanni Crisostomo, Homiliae contra Judeos. Cf.
V. Messori, Pati sotto Ponzio Pilato, Sei, Torino 1992
e M. Blondet, I fanatici dell'Apocalisse, Il Cerchio, Rimini
1992.
147) F. Spadafora, Gesù e la fine di Gerusalemme,
Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1950.
148) Atti, I, 6.
149) Atti, I, 7-8.
150) Cfr. J. Pignal, Le Sionisme palestinien et, son attitude
religieuse, in Christus, Lyon 1935, pagg. 482-507.
151) Cfr. T. De Saint Just, Les frères Lémann
juifs convertis, Duculot, Gembloux 1937, pag. 442.
152) Beda, In Luc. XXI, 24 In Rom. XI, 25-26.
153) S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, 1a 2æ
q 102 a 2.
154) Lc. XXI, 24.
155) Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica spiega
che stiamo per entrare nel terzo millennio della Nuova Era
e che il Concilio Vaticano II è stato l'avvenimento che
ha dato inizio alla preparazione del Giubileo del secondo millennio.
(Tertio Millennio Adveniente, n° 20). Il Concilio
è una specie di "Avvento" che ci prepara alla
venuta del Messia (come se il Messia non fosse già venuto
nella persona di Gesù Cristo!). La preparazione dell'anno
duemila è una chiave ermeneutica per capire le encicliche
di Giovanni Paolo II, per il quale (Ibidem, n° 24),
che per Giovanni Paolo II (cfr. N. Lohfink, L'alleanza mai
revocata, Queriniana, Brescia 1991). Il Duemila dovrà
essere accuratamente preparato con una fase PREPARATORIA (dopo
quella IMMEDIATA del Concilio Vaticano II) articolata in due fasi:
a) , dal 1994 al 1996 con carattere ANTEPREPARATORIO (n° 31),
che . In questo periodo non solo si è creato un apposito
Comitato di studio, ma « è giusto che la Chiesa si
faccia carico del peccato dei suoi figli in tutte quelle circostanze
in cui si sono allontanati dallo spirito di Cristo Tra i peccati
che esigono conversione devono essere annoverati quelli che hanno
pregiudicato l'unità voluta da Dio per il suo Popolo».
(Come se la Chiesa non fosse più UNA come recita il Credo!).
Tale periodo servirà a superare le divisioni del secondo
millennio della storia della Chiesa. L'altro peccato di cui si
deve chiedere perdono è il ricorso a (n° 35). Questi
peccati dei cattolici (n° 35). La Chiesa anteconciliare quindi
non è pienamente la Chiesa di Cristo e ciò per almeno
un millennio!
La seconda fase propriamente preparatoria va dal 1997 al 1999.
Nel primo anno (1997) si rifletterà su Gesù Cristo,
nel secondo sullo Spirito Santo e nel terzo sul Padre, il tutto
alla luce del dialogo specialmente con ebrei e musulmani (che
negano il Padre il Figlio e lo Spirito Santo!). Sono poi previsti
incontri comuni a Gerusalemme. Il 1999 [e basta capovolgere le
cifre per avere il numero della Bestia '666] è il trampolino
di lancio per il Giubileo del Duemila «che avverrà
contemporaneamente in Terra Santa e a Roma (n° 55). (n°
55). Se si legge Tertio Millennio Adveniente alla luce
di quanto la Tradizione ha insegnato sulla conversione di Israele,
preceduta dall'avvento dell'Anticristo, non si potrà non
restare terrificati.
156) A. Lémann, op. cit., pag. 333.
157) Ibidem, pagg. 333-334
158) Cfr. Sodalitium,n° 21, pagg. 3-14.
159) S. Ireneo, Adversus Haereses, lib. V, cap. 25.
160) Lattanzio, Institutiones, lib. VI, cap. 15.
161) Sulpizio Severo, Vita Sancti Martini, dial. II.
162) San Roberto Bellarmino, De romano Pontifice, lib.
III, cap. 13.
163) Cornelio a Lapide, In II ad Thessalonicenses, Ii in
Dom., IX, 27.
164) Francisco Suarez, Disputationes LIV, De Antichristo,
sectio V, obj. VI.
165) Apocalisse, XI, 7,8.
166) A. Lémann, op. cit., pag. 220.
167) A. Lémann, op. cit., pag. 220-221.
168) A. Lémann, op. cit., pag. 222.
169) San Paolo, II Tess. , II, 4.
170) San Girolamo, Ad Algasiam, q. II.
171) II ad Thessalonicenses, II.
172) Teodoreto, in II ad Thessalonicenses, II.
173) A. Lémann, op. cit., pag. 229-230.
174) P. Johnson, op. cit., pag. 611.
175) 'With Gershon Scholem: An Interview' in W.J. Dannhauser,
G. S.: Jesus and Judaism in crisis, New York, 1976.
176) P. Johnson, op. cit., pagg. 612-615.
177) Da La Stampa, 10/IV/1995, pag. 7.
178) La Stampa, 22/VIII/1995, pagg. 2-3.
179) Igor Man, Contro la grande paura, in La Stampa,
6/11/95, pag. 1.
180) Comm. In I Reg., II.
181) recita il salmo.
182) Lc. 20,17-18.
Sodalitium 42
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