AAARGH

[ Accoglimento aaargh ] [ Accoglimento italiano ]

Una satira cinica, allegra e scandalosa contro lo sfruttamento dell'Olocausto

 

 

Tova Reich

Il mio Olocausto

 

 

Parte prima

Le principessa dell'Olocausto

 

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Non era la prima volta che la squadra padre & figlio, Mauricee Norman Messer, rispettivamente presidente del consiglio di amministrazione e presidente della Holocaust Connections Inc., tornavano a casa dalla Polonia, ma era di sicuro la più triste. Erano sempre usciti vittoriosi da ogni contrattazione per i loro clienti, ed era così che si erano costtuiti una reputazione invidiabile e un successo leggendario. Ma questa volta, in una faccenda dolorosamente personale che coinvolgeva un membro molto vicino della loro famiglia, per la precisione la loro futura discendenza, avevano fallito su tutta la linea. Nechama, figlia unica di figlio unico,si era categoricamente rifiutata di incontrare il padre o il nonno, né faccia a faccia né in nessun altro modo. E comunque, come vennero esplicitamente informati, aveva fatto voto di silenzio. Queste informazioni furono date ai due uomini da un'imponente suora in occhiali da sole, che li incontrò davanti al cancello del convento delle carmelitane - il convento nuovo cioè, lontano all'incirca cinquecento metri dal perimetro del campo di sterminio di Auschwitz, dove le suore si erano trasferite dopo tutto quel ridicolo scalpore. - Sorella Consolatia vi chiede di rispettare il suodiritto di scelta, - disse loro la suora con risolutezza, in inglese, anche se Maurice ovviamente sapeva il polacco. Dai termini usati, i Messer, padre e figlio, non riuscirono a credere che quella frase fosse altro che una citazione diretta della loro ostinata progenie, ora rinata come sorella Consolatia della croce, la loro Nechama perduta.
Tuttavia, nonostante la delusione genuina e straziante, si misero comodi, come al solito, negli spaziosi sedili di prima classe sul-

[6] l'aereo della Lot. Viaggiavano sempre con compagnie polacche, per una questione di diplomazia, per mantenere buoni rapporti con il governo con cui facevano la maggior parte degli affari, e volavano sempre in prima classe, perche un'alternativa diversa non si sarebbe addetta a uomini come loro, impregnati com'erano di una storia tragica che rasentava il mito, una storia che li contraddistingueva dalla gente comune e che quindi esigeva che si sedessero in disparte. E dal punto di vista degli affari, dal lato più immediatamente pratico, sedersi in classe economica avrebbe dato una cattiva impressione, come se la loro impresa stesse attraversando tempi duri. Tutto, nel loro lavoro, ovviamente, si basava sull'immagine. - Senti, - usava dire Norman, con le solite pausee deglutizioni che preannunciavano l'arrivo di uno dei suoi aforismi, - ci abbiamo già viaggiato nei carri bestiame. D'ora in poi, sarà soltanto prima classe -. I clienti si aspettavano un lavoro coi fiocchi dai Messer, e la Holocaust Connections Inc. di conseguenza presentava dei conti adeguati. Quel viaggio, per esempio, era coperto da un'organizzazione contro le pellicce desiderosa di consolidare il suo status di Olocausto ad honorem, e Norman era riuscito, pur nel mezzo della sua angoscia privata, a fare per loro un lavoretto, anche se poca cosa, che prevedeva un uso creativo dei mucchi di capelli rasati delle vittime delle camere a gas nel museo di Auschwitz - un'idea macabra, in un certo senso, che adesso lui stava truccando ed esaltando per stabilire l'importante legame etico che avrebbe nobilitato l'affare delle pellicce e che gliavrebbe conferito il marchio morale di Olocausto.
Ormai padre e figlio conoscevano tutti gli assistenti di volo della linea aerea, specie le donne. Maurice continuava a chiamarle in modo politicamente scorretto «geishe», una licenza seccante per la quale si cautelava donando loro, se necessario, piccoli omaggi dai lussuosi hotel di Varsavia e Cracovia - bottigliette di shampoo o saponette profumate prese nei bagni, cioccolatini a forma di cuore nella stagnola dorata prelevati dai cuscini sopra le lenzuola ripiegate. Spremeva e tormentava la loro vivace biondezza e la loro formosità elastica a suon di salve e arrivederci e grazie, borbottando: - Tranquille, ragazze, tranquille, non mordo.

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- E la passa liscia, per giunta, - continuava inutilmente a spiegare Norman a sua moglie, Arlene, - perche è un piccolo vecchio botolotto ebreo calvo con le mani tozze e un buffo accento, e quelle cretinette di Czlstochowa pensano che sia innocuo... Vi sbagliate di grosso, ragazze! E cosí finisce tutto nella classica barzelletta polacca.
Salirono sull'aereo prima dei passeggeri normali, indossando fino all'ultimo gli impermeabili che erano il loro marchio di fabbrica - lo stereotipo sexy, almeno cosí pensavano loro, dell'intrigo e del mistero internazionale. Poi una delle assistenti, Magda o Wanda o qualcosa, senza neanche chiedere, col cervello già sintonizzato sulle preferenze di quei due, come se accumulare tali informazioni fosse la sua ragione di vita, si inchinò leggermente con un sorriso di benvenuto spariro da tempo dal repertorio delle loro mogli, sorreggendo davanti alle tette vive e vegete un vassoio con i loro soliti - per Maurice, un bicchiere di Bordeaux («Sono un maschio da vino rosso», amava confidare durante le occasioni ufficiali); per Norman, rum e Coca-Cola, due scarole di cioccolato al latte e una dozzina di sacchetti di noccioline tostate al miele.
Rimasero a lungo seduti fianco a fianco in silenzio, ognuno con i suoi pensieri, a proprio agio, separati ma uniti, Norman che apriva con i denti un sacchetto di noccioline dopo l'altro, versandole nel palmo della mano, scuotendole come fossero dadi, e poi, con la testa piegata indietro, gettandosele in bocca conuno schiocco secco. Continuò a farlo automaticamente, come un robot. Non aveva problemi a trangugiare noccioline in quel modo quando era in viaggio con suo padre. Il vecchio non ci faceva caso, probabilmente non se ne accorgeva nemmeno, come altri genitori sopravvissuti forse si limitava a registrare con riconoscenza che almeno suo figlio stava mangiando, e per Norman erano attimi di piacere rubati, perche quella non era una modalità di spuntino che si sarebbe potuto concedere davanti alla moglie o alla figlia. Quel movimento robotico del braccio, che andava su e giù come una gru, le faceva impazzire, ne percepivano le vibrazioni anche se non lo stavano guardando. Forse era per quello che

[8] Nechama era entrata in convento, pensò Norman, per via delle sue abitudini fastidiose.
E riguardo ad Arlene, be', non aveva intenzione di rovinare tutto pensando al suo imminente incontro con lei mentre stava masticando. Si rifiutò perfino di riflettere su come le avrebbe esposto il problema Nechama una volta arrivato a casa, come avrebbe confermato che, sí, sfortunatamente sembrava, almenoper ora, che la faccenda della suora fosse un fatto compiuto, al momento non c'era nulla che loro potessero fare tranne, per dirla nello stile di Arlene, continuare a essere di aiuto, amare la loro bambina incondizionatamente, non c'è bisogno di dirlo, essere sempre là per lei; ma dobbiamo anche prenderci del tempo per il nostro dolore - in senso figurato, però, senza portare il lutto per tutta la shive come fanno quei fanatici ultraortodossi quando uno dei loro figli si converte - e poi, certo, dobbiamo darci un taglio, dobbiamo andare avanti con le nostre vite, lasciar scorrere via tutta questa brutta storia, buttarcela alle spalle, dare al processo di guarigione un'opportunità di fare la sua parte, bla bla bla. «Vedila cosí, - avrebbe potuto dire ad Arlene, - la cattiva notizia è che ormai è fatta, è una suora, e dunque è una cristiana, immagino, una goy, una shiksa, ancora peggio, una catto-lica, dobbiamo ammetterlo. Ed è anche un problema, suppongo, che per la sua fase da suora sia andata a scegliere di tutti i posti proprio quel convento di carmelitane accanto ad Auschwitz, dove tre quarti della nostra famiglia sono stati inceneriti. Capisciche voglio dire ? D'altro canto, - e qui avrebbe rallentato e inspirato per un maggiore effetto, - la buona notizia è che è al sicuro, ha un tetto garantito sulla testa e da mangiare ogni giorno, i ragazzi non possono più ronzarle intorno e, da un punto di vista genitoriale, adesso sapremo dove si trova in ogni momento».
Ehi, lui amava quella ragazza tanto quanto Arlene, pensò Norman sdegnato. Perche doveva sempre essere lui quello sulla difensiva ? Gli toccava davvero questo dolore in più? Nechama era anche figlia sua, per Dio. Tutto questo casino non era meno imbarazzante per lui di quanto non lo fosse per Arlene. Gesú, potevapure avere un impatto sui loro affari, sul loro stile di vita - hai

[9] sentito, Mister Messer, prontooo ? Che figura avrebbero fatto, chiese a sua moglie tra se e se: «Ereditiera dell'Olocausto scaricagli ebrei». Era una situazione d'emergenza che richiedeva al più presto una soluzione per limitare i danni. Doveva trovare un modo per far tornare a loro vantaggio quella brutta faccenda, per rigirare la frittata - qualcosa come, non so, l'infinito trauma dell'Olocausto, la continua minaccia alla nostra sopravvivenza, l'Olocausto non è ancora finito, eccetera.
Nessun problema; era pronto ad affrontare tutto ciò. Ma c'era una cosa che voleva sapere, una cosa sola: perche era sempre lui a dover essere, per dirla alla Arlene, quello di sostegno, come se fosse una specie di sospensorio ? Perche non poteva essere sua moglie di sostegno a lui almeno per una volta ? Il pensiero che, dovunque andasse, quel povero shlump di suo marito era considerato un pezzo grosso, che veniva salutato come un eroe, aveva percaso penetrato lo strato di ozono che Arlene aveva nella testa ? Era cosciente di quel fatto ? A Varsavia le donne lo adoravano, specie da quando aveva perso tutti quei chili; ma là lo avevano sempre amato, lo amavano sotto ogni forma, lo amavano cosí com'era. Salivano nella sua camera d'albergo con mazzi di fiori e bottiglie di champagne, con i visi splendidamente truccati e i capelli vaporosi, scintillanti scarpe coi tacchi alti e magnifici abitini di vera pelle con cerniere d'acciaio di rinforzo che andavano dal collo fino all'orlo del vestito - non che lui cogliesse l'attimo, non c'è bisogno di dirlo. Negli Stati Uniti lo adoravano, lo idolatravano per la sua aura di sofferenza, come un santo, come un pio uomo uscito dalla penna di Dostoevskij, lo riverivano perche portava avanti la triste faccenda dell'Olocausto, perche ci si immergeva dentro a ogni minuto, perche si portava faticosamente la Shoah sulla schiena giorno e notte, perche sacrificava la sua felicità per tenere accesala fiamma - non per la sua salute, ovvio, ma per la salute morale ed etica dell'umanità. L'angoscia nei suoi occhi, la malinconia agliangoli della bocca, la depressione che si vedeva da come si asciugava i capelli col phon, la dolorosa consapevolezza della disumanità tra uomini che traspariva da come si allacciava la cintura dell'impermeabile - le eccitava, sí, le eccitava.

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Sua moglie non lo apprezzava, e allora ? Sai che novità. Era più felice quando lui era lontano da casa, contentissima che il suo lavoro richiedesse tutto quel viaggiare. Bene, Norman poteva convivere con tutto questo, fintanto che qualcuno lo apprezzava, fintanto che qualcuno da qualche parte era contento di vederlo e gli mostrava un pochino di rispetto. Ma dargli l'intera colpa del fallimento era decisamente un'altra cosa. Andiamo, era stato lui a piazzare la ragazza in mezzo alle suore ? Ma per favore ! E perche adesso stava tornando a casa, di sua spontanea volontà, per sentire tutte quelle stronzate ? Doveva essere fuori di testa, meshuge. Era masochismo, puro e semplice masochismo, un bisogno malato di essere punito - avrebbe dovuto telefonare a uno strizzacervelli, cercare aiuto, come dicono i maniaci della salute mentale. Aveva forse qualche dubbio su quali parole gli avrebbe rovesciato addosso Arlene, con il suo cervello da tergicristallo di assistente sociale e le sue spiegazioni psicologiche preconfezionate ? Oh, era una vecchia canzone, l'aveva sentita già un migliaio di volte. Avrebbe attaccato ancora con quella pallosa tiritera - che era solo colpa sua, tutto quello che era successo era colpa sua. Fin dall'inizio. Per cominciare, che razza di idea è chiamare una bambina Nechama ? Chiamare una povera innocente bambina addirittura Consolazione, come una specie di ebreo di rimpiazzo, come una specie di premio di consolazione dopo la catastrofe, come se contassero tutti su di lei per far funzionare di nuovo le cose dopo il disastro. Era un tale peso, un fardello impossibile da rifilare a un bambino - non c'era da meravigliarsi se quella povera ragazza si era tirata fuori dal mondo. Per caso Norman pensava che i nomi non avessero importanza ? C'era una certa letteratura in proposito, sull'effetto che i nomi hanno sullo sviluppo e l'identità e la propria immagine. Che razza di padre poteva fare una cosa simile alla carne della sua carne e al sangue del suo sangue ? Era da criminali, imperdonabile. Perche non le era stato dato un nome normale, un bel nome pieno di speranza da sogno americano che la gente potesse almeno pronunciare, tipo Stacy, o Tracy?
Per non parlare della faccenda della seconda generazione in cui si era fatto coinvolgere, il trascinarsi dietro Nechama come

[11] una sorta di archetipico agnello sacrificale, come la figlia di Jephta, come Ifigenia. Norman sapeva molto bene che la maggior parte degli assistenti sociali adorava il concetto di seconda generazione, ne andavano pazzi, ma Arlene - sorpresa ! - non ci credeva affatto. Perche ? Era facilmente comprensibile: perche era utile al programma di Norman, ecco perche, perche legittimava e spiegava la sua ossessione, e le dava uno status. Per Arlene non c'era niente. Per Arlene, la seconda generazione era una categoria inventata, un favore fatto a un branco di piagnoni che si autocommiseravano afflitti da un caso terminale di crescita bloccata. I cosiddetti sopravvissuti, loro erano la prima generazione; quelli che erano stati là, quelli che l'avevano vissuto in prima persona, e dopo erano venuti i loro figli, questa finta seconda generazione, attaccati come ventose all'Olocausto, Norman e compagni, che facevano i capricci per avere un pezzo di Shoah. Cosí tutti quei duri, astuti, paranoici rifugiati scampati alla guerra - e non vogliamo neanche cominciare a pensare come ci fossero riusciti - all'improvviso vengono trasformati in santi, sacri sopravvissuti dall'indicibile saggezza, e poi la seconda generazione, nata e cresciuta a Brooklyn o li vicino, lontano, lontano dalle camere a gas e dai forni crematori, viene incoronata come sopravvissuta ad honorem. All'improvviso questi discendenti di nessuna fama vengono dotati di dignità, di importanza, della serietà e delle ricompense che vengono dall'aver servito e riverito la sofferenza. Cosa c'era di meglio ? I vantaggi di Auschwitz senza averne davvero vissuto la malvagità - un Olocausro light.
E che cosa avevano fatto per meritarsi questo onore, quelli della seconda generazione ? Per che cosa soffrono, in buona fede, esattamente ? Be', hanno avuto una vita dura, poveri piccoli - sono stati anche loro delle vittime, non potete negarglielo, come dicevano rassicurandosi a vicenda durante le riunioni del gruppo di sostegno nelle cantine delle sinagoghe. Erano danneggiati dai danneggiati, scontavano le ferite psicologiche di essere stati cresciuti da sospettosi, traumatizzati genirori iperprotettivi dalle aspettative impossibili. Avevano retto il peso di dover trasmettere la fiaccola della memoria, quella candela cosí kitsch, dal passato al

[12] futuro. Avevano sopportaro un colpo durissimo alla propria autostima dopo aver saputo che le loro vite erano un miserabile spettacolino in confronto a quelle epiche dei loro genitori. Era malato, malato, patetico - «invidia dell'Olocausto», una nuova definizione per i professionisti, pronta a figurare nella successiva edizione aggiornata e riveduta del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. E adesso Norman avrebbe dovuto esporre sua figlia a una situazione cosí patologica - andare avanti e rendere cronica questa grave condizione prolungando l'agonia, cercando di passare a Nechama l'intero carico come una condanna a vita, come un contratto di servitú, come una colpa fino alla decima generazione ? Era forse un caso, allora, che lei avesse abbandonato gli ebrei per la religione assoluta dei martiri, il cui valore fondante prevedeva di soffrire per gli altri e che per icona principale aveva un tizio magrolino torturato su una croce ? Era un caso che avesse ritrovato la strada fino ai cancelli di Auschwitz ? Norman non aveva capito dove l'avrebbe portata questa morbosa fissazione per l'Olocausto ?

 

- Forse avremmo dovuto chiamare uno di quei tizi che fannola deprogrammazione, - stava dicendo adesso Maurice. - Forse avremmo dovuto scavalcare il muro del convento come quel rabbino pazzo. .. come si chiamava ?... quando era nell'altro edificio dove tenevano il gas durante la guerra. Forse avremmo dovuto rapirla dalle schwester.
Norman scosse la testa. - Pessima idea, Pa -. Deglutí vistosamente prima di parlare. - Sarebbe stato disastroso per i rapporti polacco-ebraici, un incubo per i rapporti cattolico-ebraici, per non parlare della morte dei rapporti economici.
- Nu, comunque bisogna essere piu giovani per quelle scemenze, arrampicarsi sui muri... sai cosa intendo ? E tu non sei più cosí giovane, Normie, ah ah, e io non sono in gran forma, o come dice tua madre, agile. Non sono più agile come quando ero capo dei partigiani e combattevo contro i nazi nei boschi.
Norman dovette respirare a fondo e stringersi il dorso del na-

[13] so per controllare il forte attacco di nostalgia per sua figlia che lo colpí in quel momento, quando Maurice recitò il ritornello familiare con quelle esatte parole, che era staro capo dei partigiani e aveva combattuto contro i nazi nei boschi. Era uno scherzo privato tra Norman e Nechama. Mimavano quella frase con la bocca, parola per parola, ogni volta che Maurice la recitava, imitando alla perfezione le smorfie e i gesti e l'accento, li mimavano alle spalle del vecchio durante i ritrovi di famiglia e di amici o persino durante le conferenze che teneva con regolarità in sinagoga, nei circoli o nelle scuole sulla sua carriera di combattente della Resistenza, e che si aprivano sempre con la frase: «Sono qui per sfatare il mito che gli ebrei siano andati al macello come un gregge di pecore». Norman e Nechama mimavano anche quella frase, in accessi di strozzata, silenziosa ilarità. Era un innocuo rituale padre-figlia cominciato quando lei aveva piu o meno diciotto o diciannove anni, dopo che Maurice aveva fatto il suo solito discorso, su invito di Nechama, al centro degli studenti ebrei dell'università, iniziando, come sempre, con la frase sul mito-della-pecora-al-macello, e concludendo, come sempre, scattando sull'attenti per richiamare l'attenzione quando partiva l'Inno dei partigiani, Non dire mai che questa è la strada verso la fine.
Rimasto solo con Nechama durante il ricevimento seguito al discorso di Maurice, uno di fronte all'altra con i bicchieri di plastica trasparente colmi di sidro frizzante, come una coppia appena introdotta a un raduno sociale, Norman accennò casualmente - in un altro contesto, non si ricordava piu quale - al fatto che nessuno sapeva con certezza che cosa avesse fatto Maurice Messer durante l'Olocausto, salvo che si era nascosto nei boschi di giorno e aveva rubato galline di notte. Non c'era motivo di vergognarsene, date le circostanze.
- Devi accettare la cosa, piccola, - continuò Norman, in preda a qualcosa che non riusciva a controllare, - non ha sparato neanche una pallottola in quei boschi, ma scoregge sí, e tante !
- Vuoi dire che nonno non è stato un capo partigiano che ha combattuto contro i nazi ?
La bambina sembrava realmente scioccata.

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Norman alzò un sopracciglio. Sua figlia non stava facendo dell'ironia. Forse si era spinto troppo in là, forse lei era davvero innocente, forse era troppo fragile per quel tipo di Realpolitik. Pareva non essersi accorta fino ad allora che la storia di suo nonno era solo un'innocua invenzione per farsi pubblicità. Per un tremendo istante, Norman si senti come se avesse traumatizzato la figlia in modo imperdonabile, irreparabile, ma quando, dopo un lungo silenzio per assorbire la notizia, lei disse con aria maliziosa: - Ok, papà, non sarò io a dire ai negazionisti dell'Olocausto che è tutta una farsa, - riprese a respirare sollevato, impressionato dalla velocità con cui lei aveva capito, da quanto fosse attenta a dove giacevano i suoi interessi e a chi spettava la sua lealtà, da quanto fosse sofisticata nell'accettare la debolezza umana come un altro fatto divertente della vita.
- Senti,- cominciò Norman, - non è che non abbia sofferto. Credi sia facile essere considerati una vittima, vedere la gente che soffre per te, specialmente per un macho come tuo nonno ? Sei grande adesso, Nechama, queste cose le puoi capire. La Shoah è stata un evento castrante, come direbbe tua madre; degli sconosciuti potevano arrivare e strappartelo via sul serio. Per uomini come tuo nonno è stata una cosa molto difficile da accettare, cosí, dopo, è diventato psicologicamente critico per lui trovare la maniera di provare che non era stato castrato, che, per dirla schiettamente, aveva ancora le palle, e si è trasformato in un combattente della Resistenza. In ogni caso, a chi può far male la piccola recita di un vecchio che fa la parte del grande eroe ? - Rallentò con enfasi per far spazio alla frase conclusiva. - Il mercato dell'Olocausto non crollerà per colpa delle patetiche esagerazioni di un vecchio, credimi. I pazzi che dicono che non è accaduto nulla non devono avere alcuna consolazione.
Consolazione aveva detto, non nechama. Comunque, fu da quel momento, se ben ricordava, che cominciò la loro tradizionedi deliziosa ironia, in modo affettuoso, ogni volta che Maurice si scaldava e attaccava con la tirata del partigiano. Era diventata una questione personale padre-figlia. Ed era il ricordo di quell'in-

[15] nocente legame cospiratorio con la sua bambina che adesso si im-padroni di lui e lo schiacciò.
- Nu, Normie, - stava dicendo Maurice, - sí o no ? Perche non parli ? Ricordi il bisticcio con le schwester al convento con quel rabbino pazzo, come lo chiama tua mamma ?
Maurice amava citare ogni volta che poteva sua moglie, cui riconosceva una padronanza superiore della lingua e della pronuncia inglese e che considerava quasi una fonte profetica di buonsenso. Per esempio, ogni volta che si finiva col parlare di quel rabbino che aveva causato un incidente internazionale protestando contro la presenza di un convento cattolico ad Auschwitz, dove più di un milione di ebrei erano stati gasati - lo stesso convento dove, in una collocazione più conveniente stabilita dal papa in persona, la loro nipote Nechama era adesso una suora che pregava per la salvezza delle anime degli ebrei morti -, Blanche spalancava gli occhi ed esclamava:- Ma caro, è pazzo ! - Di conseguenza, Maurice non mancava mai, riferendosi a quell'evento nel vecchio convento delle carmelitane, di includere l'epiteto «quel rabbino pazzo», come se lo stato mentale del rabbino fosse certificato da una diagnosi clinica, dal momento che Blanche, col suo impareggiabile buon senso, aveva detto questo. Il buon senso, secondoMaurice, era una qualità estremamente desiderabile in una donna, e tempo addietro aveva raccomandato a Norman di metterla in cima alla lista nella scelta di una compagna. A quel proposito Blanche sottolineava sempre con riserbo: - Quanto ti dicono che una ragazza ha buon senso, è un codice segreto per dirti che non è molto slurp !, se sai cosa intendo... In altre parole, che non è molto bella.
- Buon senso e bellezza, - interveniva allora Maurice con decisione, - proprio come la mia Blanchie.
Discutevano su tutto, lui e Blanche, anche delle questioni di cui non parlavano. Discutevano ma non parlavano, ad esempio, dell'idea che avevano entrambi sulle limitate capacità del loro Norman - una consapevolezza che non desideravano suggellare a parole. Ma quando vendettero l'azienda di intimo femminile, la Messer's Foundation, che gli aveva permesso una vita più che

[16] agiata, l'Olocausto era diventato di moda, piu di moda persino dei reggiseni imbottiti e dei corsetti di lycra. All'inizio dedicarono le loro giornate da pensionati a diventare capi della comunità di sopravvissuti nonche famosi oratori nel circuito delle testimonianze orali. L'Olocausto andava forte, niente da dire. Poi Bianche spinse Maurice ad avviare la nuova impresa di consulenza, la Holocaust Connections Inc., e a coinvolgere Norman come socio alla pari - «Rendi la tua causa un Olocausto», come aveva recitato quello sfrontato di Norman, davvero insopportabile. La prima e la seconda generazione avrebbero lavorato giocandosela insieme,un'organizzazione ideale, uno sbocco perfetto per il loro Norman, il futzer & putzer originario, come lo chiamavano amorevolmente, i cui impieghi fino a quel momento, e su questo erano d'accordo, non erano stati alla sua altezza, ma anzi insoddisfacenti e poco stimolanti. Adesso Norman poteva starsene in giro tutto il giorno, parlando in modo creativo con i clienti al telefono, dissertandosulle sue brillanti idee, raccontando barzellette maligne, scrivendo di tanto in tanto un articolo per un giornale ebreo, viaggiando e chiacchierando nei canali diplomatici e nei corridoi del potere con gli altri politici e gli addetti ai lavori e i trafficoni - il miglior uso possibile che potesse fare dei suoi considerevoli doni e talenti. Veniva taciuto il fatto che, come entrambi sapevano, Norman aveva bisogno del loro aiuto, che era una persona debole, che non si sarebbe mai saputo gestire da solo. Non importava che fosse andato a Princeton - Princeton Shminceton ! - dove aveva addirittura partecipato a un sit-in nell'ufficio del preside per tre giorni e tre notti, nonostante la madre non avesse esitato a marciare attraverso quell'orgia non-stop per consegnargli di persona il suo antistaminico.
Non importava che avesse conseguito un diploma in Legge da Rutgers, dove addestravano dei poveri stupidotti a diventare un branco di viscidi vermi. Non importava che fosse un adulto, un uomo sotto tutti gli aspetti, con una moglie che faceva l'assistente sociale e una figlia bella ma lunatica. Se l'indomani fosse scoppiata una guerra, in fondo al cuore sapevano che il loro Norman non ce l'avrebbe mai fatta. Senza dirlo ad alta voce, si rendeva

[17] no conto che, a differenza loro, Norman non sarebbe sopravvissuto.
Sopravvivenza, ecco il punto essenziale. Su quello non si discuteva. Era la linea di demarcazione che separava i vivi dai morti. Era la lezione con cui avevano martellato Norman come due disperati: prima sopravvivi, dopo puoi preoccuparti di sottigliezze come la moralità e i sentimenti. Quando qualcuno ti dice che ti ucciderà, devi fare attenzione, prenderlo sul serio, credergli. Il mattino seguente ti svegli prima e lo ammazzi. Se sopravvivi, vinci. Se non sopravvivi, perdi. Se perdi, non sei niente. Qual è la regola numero uno per sopravvivere ? Non fidarsi mai di nessuno, sospettare di tutti, dare per scontato che l'altro è li per distruggerti e mangiarlo vivo prima che abbia l'occasione di farlo. Perché loro erano sopravvissuti ? Fortuna, soltanto fortuna, dicevano sempre. Ma non ci credevano neanche un po'. Era la cosa giusta da dire, per non insultare la memoria di quelli che non erano sopravvissuti, quelli che, diciamolo, avevano fallito, quelli che adesso erano mucchi di cenere grigia e ossa frantumate calpestate dalla gente. Erano sopravvissuti perche erano più forti, migliori, più adatti; era la sola verità, e lo sapevano. Sopravvivere era il successo, ma anche tra chi ha successo ci sono categorie e livelli. Guardate i sopravvissuti oggi, per esempio, quelli che sono usciti dai campi barcollando come zombi. C'erano i classici nuovi arrivati, eterni immigranti, timorosi di offendere qualcuno parlando senza sosta dell'Olocausto - perche farne un caso federale ? - un branco di Signori Nessuno fino a che le loro coscienze non venivano elevate dall'élite dei sopravvissuti, dal giro di Blanche e Maurice, quelli che erano sopravvissuti con stile, quelli senza paura. «Io ? Io non ho mai paura !» diceva sempre Maurice; era il suo motto. Adesso, grazie a loro, Olocausto era una parola familiare. Avevano costruito monumenti e musei. Erano miliardari, pezzigrossi, animatori e trascinatori. Mandavano avanti il Paese. La sopravvivenza dei più adatti. Una volta Blanche aveva letto su una rivista che le cellule del cancro erano la forma di vita più adatta perche mangiavano tutto quello che avevano intorno, si espandevano, si riproducevano, avevano successo, vincevano. Forse

[18] non era granche come esempio; forse non dava un'idea carina di Maurice e degli altri - essere paragonati a delle cellule cancerose. Il cancro era un male, ma in questo mondo se sopravvivi vinci, e se vinci sei bravo.
Erano una squadra formidabile, Blanche e Maurice Messer, una coppia di fiere orgogliosa di essere tale. Per i loro quarant'anni di matrimonio, Norman e Arlene gli avevano regalato una targa con incise le parole «Coi Messer non si scherza», che avevano appeso in «Holocaust Central», lo studiolo accanto al salotto, proprio sopra il tema che Nechama aveva scritto a otto anni, in terza elementare. Il soggetto era Il mio eroe; Nechama aveva scelto Maurice.

Nonno aveva una pistola durante la Seconda guerra mondiale. Con la pistola ha ucciso i tedeschi cattivi. Era un uccisore di luridi tedeschi. Ha salvato la gente ebrea. Amava la pistola. Dava la buonanotte alla pistola ogni sera. Dormiva con la pistola. Dopo la guerra hanno dato un passaggio al nonno con un carrarmato. Lui aveva in mano la pistola. Poi gli hanno portato via la pistola. Nonno era triste. Piangeva perche gli mancava la pistola. Cosí ha sposato la nonna.

La maestra le aveva dato solo «Buono» per quel lavoro, ma Blanche aveva detto: - Cosa ne sa lei ? Non è un caso che faccia la maestra, - e aveva appeso il tema al muro, in una cornice costosa. - Io sono la pistola, - aveva sentenziato con aria di sfida. Neanche a Maurice importava molto del tema. - Perche racconta al gantse velt questa storia partigiana ? È una cosa privata, per la famiglia e basta.
- Di che ti preoccupi, Maurie? - aveva chiesto Blanche. - Ogni sopravvissuto è un partigiano. Sopravvivere vuol dire resistere.
- Non essere cosí paranoico, Pa, - era saltato su Norman. - Adesso puoi venire fuori dall'armadio -. Poi, deglutendo e dopo una pausa significativa, aveva aggiunto: - Ziggy e Manny e Feivel e Yankel, e tutti quelli che erano con te in quei boschi, oggi sono morti, che riposino in pace, e in silenzio.
Di nuovo, era una questione di sopravvivenza, stavolta della sopravvivenza degli ebrei in un' epoca di assimilazione e matrimoni

[19] misti e di declino, coi suoi vantaggi e svantaggi, dell'antisemitismo in America - un altro Olocausto, a dire la verità, in un certo senso ancora piu pericoloso perche insidioso, invisibile, sotterraneo. Blanche e Maurice avrebbero fatto di tutto per assicurare la sopravvivenza degli ebrei, non c'erano sforzo o sacrificio troppo grandi, e, come sapevano molto bene, non c'era niente come l'Olocausto per accalappiare un ebreo randagio - era il best-seller, l'articolo piu caro, conquistava il cliente ogni volta. Perche Dio ci ha dato l'Olocausto ? Per una sola ragione: per ricordarci che una volta che sei ebreo, lo sei per sempre. Potevi provare a mescolarti e a sbiadire piano piano, potevi provare a confonderti tra gli altri, ma era inutile, non c'era speranza. Non c'era posto dove nascondersi, non potevi scappare da nessuna parte. Hitler, con le sue Leggi di Norimberga sulla purezza razziale e di sangue, quasi avesse fatto un patto con i rabbini contro i matrimoni misti, ti avrebbe trovato dovunque fossi e ti avrebbe spazzato viacome uno scarafaggio. Grazie, signor Hitler !
E cosa c'era di più efficace per spargere il messaggio a voce alta e chiara di un capo partigiano e sua moglie - lei stessa sopravvissuta a tre campi di concentramento, forse quattro, dipendeva da come si contava - che raccontavano la loro storia fino a non avere più fiato, martellando giorno e notte con gli insegnamenti dell'Olocausto ? Qualsiasi cosa servisse a diffondere il messaggio, anche se voleva dire spingersi sotto le luci della ribalta in modi brutali che andavano contro la loro natura, anche se significava dare l'ingannevole impressione di approfittare dei morti, l'avrebbero fatto, non per la fama e la gloria, Dio non voglia, ma per la causa, perche quella era la loro missione, quello era il motivo per cui erano stati scelti, era per quello scopo che erano sopravvissuti. Erano la prima generazione, i testimoni oculari. Norman era il filo di connessione. Nechama la continuità.
Sí, la continuità. Lei era il loro Kaddish, la loro candela commemorativa vivente, la terza generazione. E ora era diventata cristiana. Era una tragedia, una tragedia ! Com'era potuto succedere ? Chi mai avrebbe potuto prevedere un esito del genere ? Era al di là di ogni umana immaginazione. Avevano puntato tutto il

[20] possibile su quella ragazza, era stata l'apprendista e protetta ideale da sempre. Era l'immagine sputata della madre di Maurice, come lui era solito dire nei suoi discorsi, Shprintza Chaya Messer, la guerrigliera, uccisa dai nazi durante la retata a Wieliczka mentre urlava a pieni polmoni: - Lottate, Yidelekh, lottate !
Ancora oggi la gente parlava del discorso di Nechama al suo bar mitzvah, di come si era rivolta al fantasma di una ragazza di Vilna, con cui sosteneva di essere gemellata, con le parole: - Rosa, sorella mia, sei stata crudelmente falciata dai nazi durante l'Olocausto. Non hai mai avuto il tuo bar mitzvah. Oggi ti restituisco quello che ti è stato tolto cosí ingiustamente, perche oggi io sono te -. Arlene, con il suo ingenuo atteggiamento americano politicamente corretto, aveva trovato la cosa macabra, morbosa, una forma di abuso di minore, e aveva minacciato di andarsene dal tempio, ma tutti gli altri si erano sentiti spiritualmente innalzati e moralmente rigenerati dalle parole di Nechama, e avevano pianto di soddisfazione. E chi poteva dimenticare le assemblee sull'Olocausto che Nechama aveva organizzato al liceo, dove sia Maurice che Blanche avevano portato la loro testimonianza, e dove perfino Norman, in qualità di ambasciatore della seconda generazione, aveva parlato ad adolescenti con stelle ebraiche di carta gialla appuntate su magliette dei Nine Inch Nails, triangoli rosa per gli omosessuali, triangoli neri per gli zingari, e chi non ricordava il balletto inventato da Nechama, presentato ogni anno al pubblico, dal titolo Requiem per l'assente, con foulard che volteggiavano e si annodavano e braccia che si stendevano dolorosamente verso il cielo ? Era sempre stata cosí fiera della sua famiglia, quelle reliquie dell'Olocausto che avrebbero fatto morire di vergogna qualsiasi adolescente medio, e aveva addirittura in-vitato i suoi nonni e suo padre ad accompagnarla in Polonia per la Marcia dei Vivi, con migliaia di altri ragazzi e ragazze ebrei provenienti da tutto il mondo, ma lei era in una classe a parte, lei era una principessa dell'Olocausto. E non si vergognava del trattamento da Vip che allora riceveva per via della posizione della sua famiglia nella gerarchia dell'Olocausto, e non la imbarazzava camminare con passo più lento accanto ai vecchi nella marcia di tre

[21] chilometri da Auschwitz al vero centro di sterminio di Birkenau, dove c'erano i resti delle camere a gas e dei forni crematori, e sotto i piedi cenere e polvere di ossa; si era voltata verso di loro e aveva detto, non l'avrebbero mai dimenticato: - Li vedo, li sento, li percepisco, i morti camminano al nostro fianco -. Poi c'era stato il tema per la domanda di ammissione all'università, nel quale aveva scritto:

L'unica cosa che potete avere capito o meno da questa domanda di ammissione è che io sono, nel senso più positivo e costruttivo del termine, una patita dell'Olocausto. Questo significa che sono completamente ossessionata dall'Olocausto, l'assassinio di sei milioni di persone appartenenti alla mia gentc, e sono decisa a fare qualsiasi cosa sia in mio potere perche questi morti non siano morti invano.

- Stupendo, stupendo, - aveva dichiarato Maurice, - come la bandiera a stelle e strisce !
Non era stata ammessa a Princeton, nonostante il diritto ereditario, perche sotto sotto la commissione era composta, come diceva Maurice, da «un branco di antisemiti e di puzzoni». Cosí era andata a Brown.
Con delle simili credenziali in Olocausto, chi avrebbe mai potuto prevedere che avrebbe voltato le spalle alla sua gente diventando, di tutte le cose possibili, una suora ? Convento e continuità, due concetti che non andavano d'accordo, non si mescolavano bene, non erano un'accoppiata naturale. L'idea di suora era estranea al pensiero ebraico; tra gli ebrei ogni ragazza si sposava, ogni ragazza aveva dei bambini, e se una non ne aveva...be', non era mai successo, chi ha mai sentito una cosa del genere ? Fin da bambina, Nechama aveva parlato in modo cosí commovente di come avrebbe avuto almeno dodici figli per aiutare a rimpiazzare quei milioni che erano stati uccisi - teste spaccate contro muri di pietra, gente scagliata ancora viva nelle fosse in fiamme, uccisa a fucilate, gasata. Sarebbe diventata una fabbrica di bambini in nome della continuità degli ebrei. Era una bella ragazza, lo dicevano tutti - un po' piena forse, «zaftig» diceva Maurice; «ciccia di bimbo» diceva Blanche. Il suo cibo preferito, secondo la tradizione di famiglia, era il marzapane, e anche

[22] questa preferenza era considerata un segno della sua superiorità; faceva cosí Europa, cosí Vecchio Mondo - quale normale bambino-americano-mangia-Mars sa dell'esistenza del marzapane ? I ragazzi che le andavano dietro erano di solito molto piu grandi, perlo più stranieri. Una delle storie preferite in famiglia narrava che una notte Nechama era rimasta fuori fino a tardi, e quando alla fine era tornata a casa, alle cinque di mattina, si era giustificata con i genitori dicendo che un ragazzo del Salvador di nome Salvador l'aveva invitata a uscire con lui e lei non aveva voluto offenderlo, quindi aveva dovuto spiegargli che non si sarebbe mai messa con un ragazzo non-ebreo per via dell'Olocausto - niente di personale, ma il suo compito era di rimpiazzare quei sei milioni. Poi aveva dovuto raccontargli tutta la storia dell'Olocausto inmodo da fargli capire da dove arrivava, cominciando con l'ascesa al potere di Hitler nel 1933 e cosí via fino alla fine della Seconda guerra mondiale nel 1945, il che aveva richiesto un bel po' di tempo, motivo per cui aveva fatto cosí tardi, sperava che non fossero arrabbiati.
- E cosa ti ha detto Salvador? - aveva chiesto Norman, per nulla arrabbiato, gonfio di orgoglio.
- Oh, ha detto: «Ti ho solo invitato a prendere una tazza di caffè. Non ti ho chiesto di sposarmi». Ma non è questo il punto.
Non era mai uscita con ragazzi non-ebrei, per quel che ne sapevano. In ogni caso, una volta all'università, la sua vita amorosa era diventata per loro un mistero, territorio proibito. È vero che portava a casa un sacco di ragazzi goy, ma erano storie «puramente platoniche», come diceva lei: - Siamo solo amici -. Li conosceva grazie alle sue attività contro la persecuzione dei cristiani nel mondo. - Mentre parliamo sta avendo luogo un Olocausto cristiano, - aveva annunciato durante una cena con uno di questi ospiti, - e in qualità di ebrea che ha rischiato di essere trasformata in un paralume, la mia coscienza non mi permette di rimanere a guardare in silenzio -. Portò a casa uno studente cinese che raccontò di essere stato picchiato e torturato per la sua appartenenza a una chiesa clandestina. Portò a casa un tecnico di laboratorio sudanese la cui famiglia era stata bruciata viva o ridotta in schiavitù per

[23] avere praticato la propria fede. Mentre raccontavano le loro storie a tavola, lei li ascoltava rapita, gli occhi umidi, la bocca leggermente aperta, anche se le aveva già sentite di sicuro.
- Qualunque ragazzo la desideri dovrà mostrarle i segni della tortura, - aveva detto Arlene.
- Per quale motivo fa la stupida con i goyim ? - si era lamentato Maurice con Norman. - Da dove credi che Hitler abbia preso tutte le sue grandi idee sugli ebrei ? Dimmelo ! E il papa, devi scusarmi, sua santità, cosa faceva durante la guerra, giocava a pinnacolo ?
- Stanno cercando di dirottare l'Olocausto, - gemeva Norman. - I cristiani non sono, ripeto, non sono materiale da Olocausto. Tutto ma non questo.
Avevano cercato di sviarla da quella nuova fissazione offrendole un posto nella società - capo del portafoglio Donne dell'Olocausto: aborto, molestie sessuali, mutilazioni genitali femminili, stupro, la gamma completa - ma lei non c'era cascata.
- I cristiani sono i nuovi ebrei, - diceva. - Anche i cristiani hanno diritto a un Olocausto. Da quando in qua gli ebrei hanno il monopolio ? Ecco il problema con gli ebrei. Pensano che sia tutto loro, non dividono mai niente.
Alla fine erano crollati e si erano offerti di inglobare l'Olocausto dei cristiani come parte dell' attività, per quanto fosse loro ripugnante e antipatico, e di lasciarle creare e dirigere un nuovo dipartimento dedicato interamente a quel soggetto.
- Scordatevelo, - aveva detto lei. - Siete troppo compromessi e politicizzati per i miei gusti, ragazzi. Sareste pronti a vendervi tutte le vittime al primo invito a cena all' ambasciata.

 

La famiglia l'aveva vista per l'ultima volta pochi giorni dopo una sua telefonata in cui aveva annunciato che sarebbe entrata come postulante nel convento delle carmelitane vicino ad Auschwitz, e poiche era un ordine meditativo, chiuso, «eremitico», non sarebbe stato facile incontrarla. Insistette sui fattoche sebbene fosse decisa a diventare presto una novizia e poi

[24] forse a prendere i voti, si sarebbe sempre considerata una suora ebrea. Dovevano ricordarselo. Non la stavano perdendo. Non dovevano disperarsi. Fu deciso che Arlene sarebbe andata a farle visita da sola. Arlene accettò la missione nonostante avesse più volte detto ad alta voce di non voler mai mettere piede in «quell'enorme cimitero chiamato Polonia»: - Non è posto per un ebreo vivo; questo viaggio nostalgico di ritorno-allo-shtetl è una cosa oscena; questi tour dei campi di sterminio sono grotteschi -. Il giorno dopo la telefonata di Nechama, Arlene volò a Varsavia. Convertendosi al cattolicesimo, Nechama aveva detto loro che si trattava di un passo necessario alla realizzazione della sua «vocazione», ma dovevano sapere e capire che, come i primi cristiani, sarebbe rimasta anche ebrea.
- Che vuoi dire ? - aveva chiesto Maurice. - Sei con noi o contro di noi, sei una goy o un'ebrea ? Non puoi essere entrambe le cose. Non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca ! Faresti meglio a fingere di essere cattolica solo per un pochino, poi basta, fartig; sarà come se lo fossi stata davvero.
Norman volle sapere se quella storia fosse una specie di Ebrei-per-Gesú, ma no, disse lei, era nella migliore tradizione dei primi padri della Chiesa. Poi Norman fece notare speranzoso alla famiglia che al giorno d'oggi forse si poteva essere sia cristianiche ebrei, proprio come si poteva, come tutti sapevano, essere sia buddhisti che ebrei - un ebreo-buddha, si diceva, qualcosa di parve, niente di cui emozionarsi, né carne né pesce.
Anche cosí, la sua conversione fu un colpo devastante, ben che non inaspettato, vista la sua progressiva immersione nell'Olocausto cristiano. Dopo l'università aveva lavorato a tempo pieno per la causa nel suo quartier generale a Washington, poi aveva programmato quello che lei chiamava il suo «pellegrinaggio», la sua «crociata», per testimoniare in prima persona le persecuzioni in giro per il mondo, e per offrire conforto e sostegno agli oppressi. Era stata buttata fuori dal Pakistan per aver provocato sommosse e disordini. In Etiopia era stata arrestata, e per liberarla erano state necessarie parecchie manovre che, per fortuna, erano stati in grado di mettere a segno in modo riservato grazie

[25] alla posizione della loro famiglia nel mondo e alle loro conoscenze importanti e altolocate - «Una bustarella qui, un piagnucolio lí», come Maurice raccontava con soddisfazione in ogni dettaglio. Quando diventò sempre più chiaro che Nechama stava davvero per convertirsi, Norman provò a farla ragionare sui fatto che avrebbe potuto dare molto di più all'Olocausto cristiano in qualità di ebrea, che il suo essere ebrea era un'esca efficace per i media, stimolava la curiosità della gente - che ci faceva una ragazza ebrea carina come lei in un posto come quello ? La rendeva di gran lunga più interessante e, diciamolo, strana, specialmente dal momento che lei simboleggiava in particolar modo l'essere ebrei, con una famiglia cosí in vista nella cerchia dell'Olocausto, avrebbe attirato sulla causa un'enorme attenzione e visibilità.
- E poi, - aggiunse intenzionalmente Norman, - non devi essere un cristiano per amare l'Olocausto dei cristiani. Quando sostengo l'Olocausto delle balene, divento forse una balena ? Pensaci, Nechama'le. Pensaci bene, piccola.
Dai loro contatti in Polonia seppero quasi subito dell'arrivo di Nechama. Parti con un lento giro dei principali campi di sterminio, fermandosi un paio di giorni in ognuno per digiunare e pregare; cominciò da Treblinka, poi Chelmno, Sobibor, Majdanek, Belzec, fino a che non arrivò, finalmente, ad Auschwitz-Birkenau. Chiamò a casa per dire che aveva acceso una candela commemorativa davanti al convento delle carmelitane per una «suora ebrea benedetta», santa Edith Stein -«Sorella Teresa Benedetta della Croce», come la chiamò lei - che era morta da martire in quelle camere a gas.
- Oy vey,- aveva detto Maurice. - Sta parlando di quella convertita di Edith Stein ? Non mi sento molto bene !
Durante un'altra conversazione telefonica la ragazza aveva osservato che l'ebraismo tradizionale non forniva un vero sfogo spirituale alla donna. - Voglio dire, metti che una donna ebrea voglia dedicarsi con tutto il suo cuore e la sua anima e tutte le sue forze ad amare Dio e a pregarlo. Dov'è un convento ebreo per farlo ? L'ebraismo non prevede l'esistenza della spiritualità di una donna in un contesto che non sia quello della casa e della

[26] famiglia -. Aveva affittato una stanza a Oswiecim per stare vicina alle suore. - Sono donne sante, cosí sante, è umiliante e al tempo stesso ti eleva, è entrambe le cose. Come hanno potuto accusarle di cercare di cristianizzare Auschwitz ? È ridicolo. Qualunque cosa facciano, la fanno per amore.
Nechama aveva dato appuntamento ad Arlene davanti alla grande croce vicino al vecchio convento ora abbandonato, appena al confine con il campo di sterminio, l'edificio dove, durante l'Olocausto, erano state immagazzinate le latte di Zykl0n B con cui gli ebrei erano stati asfissiati. Era già là, inginocchiata a pregare, quando la macchina di Arlene accostò. Arlene chiese all'autista di aspettarla; non aveva alcuna intenzione di visitare il campo. Una volta finito con Nechama, sarebbe andata dritta a Cracavia, sarebbe stata a Varsavia in serata, sarebbe volata via su un aeroplano da quel Paese maledetto la mattina seguente. Mentre si avvicinava alla croce davanti alla quale stava inginocchiata sua figlia, vide due suore con la tonaca appostate poco lontano. Anche Nechama indossava un abito grezzo poco familiare - probabilmente una specie di completo per l'addestramento delle suore, pensò Arlene.
Nechama senti Arlene avvicinarsi, e ancora voltata e dandole la schiena fece a sua madre un segno con il pollice e l'indice piegati ad anello - un gesto imparato da ragazzina durante un viaggio in Israele - per dirle di aspettare ancora qualche secondo mentre finiva le sue preghiere. Poi, dopo aver posato le labbra sui legno della croce e averla baciata con passione, si alzò in piedi. - Mamma, - gridò, e corse ad abbracciare sua madre.
Arlene si sorprese a scoppiare in singhiozzi tormentati chel'attraversarono come una scarica di fulmini. Il mascara le rigò leguance.- Mi dispiace, mi dispiace,- continuava a ripetere.
- Ti dispiace di cosa? Piangi, piangi. Piangere fa bene, pulisce lo spirito. Non c'è nulla di cui vergognarsi.
- Mi dispiace di averli lasciati liberi di rovinarti, - biascicò Arlene nella stoffa ruvida della veste di Nechama. Non avev aprogrammato di esordire in quel modo, ma ora non riusciva a fermarsi. - Mi dispiace di non aver lottato piu duramente per im

[27] pedirgli di avvelenarti con tutta la loro follia sull'Olocausto. Avrei dovuto combattere come una leonessa che difende il suo cucciolo. Ti hanno azzoppata, menomata, hanno distrutto ogni possibilità che avevi di vivere una vita normale, e io non ho fatto niente per impedirlo.
- Mamma ? - Nechama allontanò Arlene con un braccio. -Due cose, mamma. Uno, non sono rovinata, e due, l'Olocausto, che tu ci creda o no, è la cosa migliore che mi sia mai capitata. Mi ha reso quella che sono oggi. Sono fiera di me stessa. Sto facendo un lavoro vitale che redime. Dedicandomi ai morti risano il mondo. Capisci ? Non voglio che tu pensi che sia una cosa patologica, d'accordo, mamma ? Non sono una psicopatica.
Asciugandosi gli occhi con un fazzoletto di carta stretto nel pugno, Arlene si soffermò a guardare da vicino sua figlia. Il viso di Nechama, incorniciato da un foulard che nascondeva la chioma di folti riccioli, la sua caratteristica migliore, era chiaro e benvisibile; niente trucco, e neanche un segno dell'acne che l'aveva tormentata anche dopo i vent'anni. Dunque i conventi fanno bene alla carnagione, concluse amaramente Arlene. Invece delle lenti a contatto portava occhiali con una montatura di plastica trasparente rosa pallido. L'espressione nei suoi occhi era serena e benevola - troppo calma, pensò Arlene, sembrava drogata, comese le avessero fatto il lavaggio del cervello, addormentata. Aveva un'ombra di baffi sul labbro superiore; nella sua nuova vita di povertà, castità e obbedienza, non c'era piu posto per la decolorazione dei baffetti a cui Arlene l'aveva educata come parte del programma di bellezza di ogni donna coi capelli scuri. Al collo pendeva una scoraggiante croce fatta di qualche metallo comune. Contro le gonne premeva la pienezza femminile dei suoi sterili fianchi, spinti inevitabilmente verso il basso dalla forza di gravità, che adempissero o meno alla loro funzione biologica, Arlene lo vedeva. Aveva messo su qualche chilo, non che avesse più molta importanza. Almeno aveva abbastanza da mangiare.
Nechama si accorse in fretta dello sguardo inquisitorio di sua madre, e per un momento fu colta da una familiare irritazione già provata in passato, quando Arlene valutava il suo

[28] aspetto da capo a piedi ed esprimeva una silenziosa disapprovazione. Con uno sforzo di volontà, Nechama si scrollò di dosso quella sensazione che considerava disdicevole e vanitosa.
- Hai un bell'aspetto, - disse alla fine Arlene. Evitò lo sguardo di Nechama, fissando invece la croce di legno alta dieci metri che incombeva alle loro spalle. - Cosí questa è la famosa croce per la quale ebrei e polacchi si scannano.
- Sí, non è ridicolo ? - disse Nechama. - Non credo che riuscirò mai a capire perche gli ebrei ce l'abbiano con una croce. Le Crociate. L'Inquisizione. I Pogrom. Le sanguinose diffamazioni. L'Olocausto. Se non riesce a capire cos'abbiamo contro una croce, pensò Arlene, soprattutto quand'è piantata inquesto preciso punto, dove più di un milione di ebrei sono stati gasati e bruciati, allora ha veramente smarrito la strada verso casa, è andata davvero lontano, l'abbiamo persa.
- Voglio dire, - continuò Nechama, - quello che tutti devono ancora capire, se mai supereremo la questione, è che ogni ebreo ucciso nell'Olocausto è un altro Cristo inchiodato sulla croce. Quando prego Lui, io prego ognuno di loro. Ogni giorno prego ciascuno dei sei milioni di Cristi.
Sofferenza e salvezza. Martirio e redenzione. Erano parole che Arlene non riconosceva. La croce gettava la sua lunga ombra buia su di loro e sui terreno impregnato di sangue. Il pomeriggio stava finendo. Arlene si sistemò sulla spalla la cinghia della borsa di pelle nera alla moda e lanciò uno sguardo alla macchina che la stava aspettando. La cosa che desiderava di più in quel momento era andarsene via da lí, da quella pazzia che generava pazzia, da quello sconosciuto immaginario sacro che giustificava atrocità indescrivibili. Voleva normalità, quotidianità, routine, orari, tabelle di marcia, menu, liste, programmi, beni materiali. - Ti serve qualcosa, Nechama? - chiese Arlene. - Cioè, prima che mene vada; cose come biancheria, vitamine, accessori per il bagno ? Dimmi di cos'hai bisogno, e farò in modo che ti arrivi.
- Oh, non ho più bisogno di nulla, ho finito con l'aver bisogno di cose, - disse Nechama, spezzando il cuore a sua madre. - Viviamo in maniera molto semplice, qui. È altra la gente che

[29] ha delle necessità. Ci mandano lunghe liste di cose che gli servono, e noi preghiamo per loro. Ecco cosa facciamo. Posso pregare anche per te, mamma. Dimmi di cosa hai bisogno.
Di cosa aveva bisogno ? Aveva bisogno di pensare e capire con chiarezza. Aveva bisogno di ricordare tutto quello che aveva dimenticato, o presto si sarebbe convinta di non essere mai esistita. - Ho bisogno che tu torni da me, - disse piano Arlene, con la voce che un tempo usava quando si stendeva sul letto accanto alla figlia, di notte, per farla addormentare.
Nechama sorrise estasiata. - Pregheremo per te, - disse, e losguardo andò dalla madre e dalla croce sovrastante a tutto il suo mondo circoscritto, alle due suore ferme in lontananza, e al milione e passa di morti nel campo che non potevano riposare.

[...]

 



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