Parte prima
[5]
Non era la prima volta che la squadra
padre & figlio, Mauricee Norman Messer, rispettivamente presidente
del consiglio di amministrazione e presidente della Holocaust
Connections Inc., tornavano a casa dalla Polonia, ma era di sicuro
la più triste. Erano sempre usciti vittoriosi da ogni contrattazione
per i loro clienti, ed era così che si erano costtuiti
una reputazione invidiabile e un successo leggendario. Ma questa
volta, in una faccenda dolorosamente personale che coinvolgeva
un membro molto vicino della loro famiglia, per la precisione
la loro futura discendenza, avevano fallito su tutta la linea.
Nechama, figlia unica di figlio unico,si era categoricamente rifiutata
di incontrare il padre o il nonno, né faccia a faccia né
in nessun altro modo. E comunque, come vennero esplicitamente
informati, aveva fatto voto di silenzio. Queste informazioni furono
date ai due uomini da un'imponente suora in occhiali da sole,
che li incontrò davanti al cancello del convento delle
carmelitane - il convento nuovo cioè, lontano all'incirca
cinquecento metri dal perimetro del campo di sterminio di Auschwitz,
dove le suore si erano trasferite dopo tutto quel ridicolo scalpore.
- Sorella Consolatia vi chiede di rispettare il suodiritto di
scelta, - disse loro la suora con risolutezza, in inglese, anche
se Maurice ovviamente sapeva il polacco. Dai termini usati, i
Messer, padre e figlio, non riuscirono a credere che quella frase
fosse altro che una citazione diretta della loro ostinata progenie,
ora rinata come sorella Consolatia della croce, la loro Nechama
perduta.
Tuttavia, nonostante la delusione genuina e straziante, si misero
comodi, come al solito, negli spaziosi sedili di prima classe
sul-
[6] l'aereo della Lot. Viaggiavano sempre
con compagnie polacche, per una questione di diplomazia, per mantenere
buoni rapporti con il governo con cui facevano la maggior parte
degli affari, e volavano sempre in prima classe, perche un'alternativa
diversa non si sarebbe addetta a uomini come loro, impregnati
com'erano di una storia tragica che rasentava il mito, una storia
che li contraddistingueva dalla gente comune e che quindi esigeva
che si sedessero in disparte. E dal punto di vista degli affari,
dal lato più immediatamente pratico, sedersi in classe
economica avrebbe dato una cattiva impressione, come se la loro
impresa stesse attraversando tempi duri. Tutto, nel loro lavoro,
ovviamente, si basava sull'immagine. - Senti, - usava dire Norman,
con le solite pausee deglutizioni che preannunciavano l'arrivo
di uno dei suoi aforismi, - ci abbiamo già viaggiato nei
carri bestiame. D'ora in poi, sarà soltanto prima classe
-. I clienti si aspettavano un lavoro coi fiocchi dai Messer,
e la Holocaust Connections Inc. di conseguenza presentava dei
conti adeguati. Quel viaggio, per esempio, era coperto da un'organizzazione
contro le pellicce desiderosa di consolidare il suo status di
Olocausto ad honorem, e Norman era riuscito, pur nel mezzo
della sua angoscia privata, a fare per loro un lavoretto, anche
se poca cosa, che prevedeva un uso creativo dei mucchi di capelli
rasati delle vittime delle camere a gas nel museo di Auschwitz
- un'idea macabra, in un certo senso, che adesso lui stava truccando
ed esaltando per stabilire l'importante legame etico che avrebbe
nobilitato l'affare delle pellicce e che gliavrebbe conferito
il marchio morale di Olocausto.
Ormai padre e figlio conoscevano tutti gli assistenti di volo
della linea aerea, specie le donne. Maurice continuava a chiamarle
in modo politicamente scorretto «geishe», una licenza
seccante per la quale si cautelava donando loro, se necessario,
piccoli omaggi dai lussuosi hotel di Varsavia e Cracovia - bottigliette
di shampoo o saponette profumate prese nei bagni, cioccolatini
a forma di cuore nella stagnola dorata prelevati dai cuscini sopra
le lenzuola ripiegate. Spremeva e tormentava la loro vivace biondezza
e la loro formosità elastica a suon di salve e arrivederci
e grazie, borbottando: - Tranquille, ragazze, tranquille, non
mordo.
[7]
- E la passa liscia, per giunta, - continuava inutilmente a spiegare
Norman a sua moglie, Arlene, - perche è un piccolo vecchio
botolotto ebreo calvo con le mani tozze e un buffo accento, e
quelle cretinette di Czlstochowa pensano che sia innocuo... Vi
sbagliate di grosso, ragazze! E cosí finisce tutto nella
classica barzelletta polacca.
Salirono sull'aereo prima dei passeggeri normali, indossando fino
all'ultimo gli impermeabili che erano il loro marchio di fabbrica
- lo stereotipo sexy, almeno cosí pensavano loro, dell'intrigo
e del mistero internazionale. Poi una delle assistenti, Magda
o Wanda o qualcosa, senza neanche chiedere, col cervello già
sintonizzato sulle preferenze di quei due, come se accumulare
tali informazioni fosse la sua ragione di vita, si inchinò
leggermente con un sorriso di benvenuto spariro da tempo dal repertorio
delle loro mogli, sorreggendo davanti alle tette vive e vegete
un vassoio con i loro soliti - per Maurice, un bicchiere di Bordeaux
(«Sono un maschio da vino rosso», amava confidare
durante le occasioni ufficiali); per Norman, rum e Coca-Cola,
due scarole di cioccolato al latte e una dozzina di sacchetti
di noccioline tostate al miele.
Rimasero a lungo seduti fianco a fianco in silenzio, ognuno con
i suoi pensieri, a proprio agio, separati ma uniti, Norman che
apriva con i denti un sacchetto di noccioline dopo l'altro, versandole
nel palmo della mano, scuotendole come fossero dadi, e poi, con
la testa piegata indietro, gettandosele in bocca conuno schiocco
secco. Continuò a farlo automaticamente, come un robot.
Non aveva problemi a trangugiare noccioline in quel modo quando
era in viaggio con suo padre. Il vecchio non ci faceva caso, probabilmente
non se ne accorgeva nemmeno, come altri genitori sopravvissuti
forse si limitava a registrare con riconoscenza che almeno suo
figlio stava mangiando, e per Norman erano attimi di piacere rubati,
perche quella non era una modalità di spuntino che si sarebbe
potuto concedere davanti alla moglie o alla figlia. Quel movimento
robotico del braccio, che andava su e giù come una gru,
le faceva impazzire, ne percepivano le vibrazioni anche se non
lo stavano guardando. Forse era per quello che
[8] Nechama era entrata in convento, pensò
Norman, per via delle sue abitudini fastidiose.
E riguardo ad Arlene, be', non aveva intenzione di rovinare tutto
pensando al suo imminente incontro con lei mentre stava masticando.
Si rifiutò perfino di riflettere su come le avrebbe esposto
il problema Nechama una volta arrivato a casa, come avrebbe confermato
che, sí, sfortunatamente sembrava, almenoper ora, che la
faccenda della suora fosse un fatto compiuto, al momento non c'era
nulla che loro potessero fare tranne, per dirla nello stile di
Arlene, continuare a essere di aiuto, amare la loro bambina incondizionatamente,
non c'è bisogno di dirlo, essere sempre là per lei;
ma dobbiamo anche prenderci del tempo per il nostro dolore - in
senso figurato, però, senza portare il lutto per tutta
la shive come fanno quei fanatici ultraortodossi quando
uno dei loro figli si converte - e poi, certo, dobbiamo darci
un taglio, dobbiamo andare avanti con le nostre vite, lasciar
scorrere via tutta questa brutta storia, buttarcela alle spalle,
dare al processo di guarigione un'opportunità di fare la
sua parte, bla bla bla. «Vedila cosí, - avrebbe potuto
dire ad Arlene, - la cattiva notizia è che ormai è
fatta, è una suora, e dunque è una cristiana, immagino,
una goy, una shiksa, ancora peggio, una catto-lica,
dobbiamo ammetterlo. Ed è anche un problema, suppongo,
che per la sua fase da suora sia andata a scegliere di tutti i
posti proprio quel convento di carmelitane accanto ad Auschwitz,
dove tre quarti della nostra famiglia sono stati inceneriti. Capisciche
voglio dire ? D'altro canto, - e qui avrebbe rallentato e inspirato
per un maggiore effetto, - la buona notizia è che è
al sicuro, ha un tetto garantito sulla testa e da mangiare ogni
giorno, i ragazzi non possono più ronzarle intorno e, da
un punto di vista genitoriale, adesso sapremo dove si trova in
ogni momento».
Ehi, lui amava quella ragazza tanto quanto Arlene, pensò
Norman sdegnato. Perche doveva sempre essere lui quello sulla
difensiva ? Gli toccava davvero questo dolore in più? Nechama
era anche figlia sua, per Dio. Tutto questo casino non era meno
imbarazzante per lui di quanto non lo fosse per Arlene. Gesú,
potevapure avere un impatto sui loro affari, sul loro stile di
vita - hai
[9] sentito, Mister Messer, prontooo ?
Che figura avrebbero fatto, chiese a sua moglie tra se e se: «Ereditiera
dell'Olocausto scaricagli ebrei». Era una situazione d'emergenza
che richiedeva al più presto una soluzione per limitare
i danni. Doveva trovare un modo per far tornare a loro vantaggio
quella brutta faccenda, per rigirare la frittata - qualcosa come,
non so, l'infinito trauma dell'Olocausto, la continua minaccia
alla nostra sopravvivenza, l'Olocausto non è ancora finito,
eccetera.
Nessun problema; era pronto ad affrontare tutto ciò. Ma
c'era una cosa che voleva sapere, una cosa sola: perche era sempre
lui a dover essere, per dirla alla Arlene, quello di sostegno,
come se fosse una specie di sospensorio ? Perche non poteva essere
sua moglie di sostegno a lui almeno per una volta ? Il pensiero
che, dovunque andasse, quel povero shlump di suo marito
era considerato un pezzo grosso, che veniva salutato come un eroe,
aveva percaso penetrato lo strato di ozono che Arlene aveva nella
testa ? Era cosciente di quel fatto ? A Varsavia le donne lo adoravano,
specie da quando aveva perso tutti quei chili; ma là lo
avevano sempre amato, lo amavano sotto ogni forma, lo amavano
cosí com'era. Salivano nella sua camera d'albergo con mazzi
di fiori e bottiglie di champagne, con i visi splendidamente truccati
e i capelli vaporosi, scintillanti scarpe coi tacchi alti e magnifici
abitini di vera pelle con cerniere d'acciaio di rinforzo che andavano
dal collo fino all'orlo del vestito - non che lui cogliesse l'attimo,
non c'è bisogno di dirlo. Negli Stati Uniti lo adoravano,
lo idolatravano per la sua aura di sofferenza, come un santo,
come un pio uomo uscito dalla penna di Dostoevskij, lo riverivano
perche portava avanti la triste faccenda dell'Olocausto, perche
ci si immergeva dentro a ogni minuto, perche si portava faticosamente
la Shoah sulla schiena giorno e notte, perche sacrificava la sua
felicità per tenere accesala fiamma - non per la sua salute,
ovvio, ma per la salute morale ed etica dell'umanità. L'angoscia
nei suoi occhi, la malinconia agliangoli della bocca, la depressione
che si vedeva da come si asciugava i capelli col phon, la dolorosa
consapevolezza della disumanità tra uomini che traspariva
da come si allacciava la cintura dell'impermeabile - le eccitava,
sí, le eccitava.
[10]
Sua moglie non lo apprezzava, e allora ? Sai che novità.
Era più felice quando lui era lontano da casa, contentissima
che il suo lavoro richiedesse tutto quel viaggiare. Bene, Norman
poteva convivere con tutto questo, fintanto che qualcuno lo apprezzava,
fintanto che qualcuno da qualche parte era contento di vederlo
e gli mostrava un pochino di rispetto. Ma dargli l'intera colpa
del fallimento era decisamente un'altra cosa. Andiamo, era stato
lui a piazzare la ragazza in mezzo alle suore ? Ma per favore
! E perche adesso stava tornando a casa, di sua spontanea volontà,
per sentire tutte quelle stronzate ? Doveva essere fuori di testa,
meshuge. Era masochismo, puro e semplice masochismo, un
bisogno malato di essere punito - avrebbe dovuto telefonare a
uno strizzacervelli, cercare aiuto, come dicono i maniaci della
salute mentale. Aveva forse qualche dubbio su quali parole gli
avrebbe rovesciato addosso Arlene, con il suo cervello da tergicristallo
di assistente sociale e le sue spiegazioni psicologiche preconfezionate
? Oh, era una vecchia canzone, l'aveva sentita già un migliaio
di volte. Avrebbe attaccato ancora con quella pallosa tiritera
- che era solo colpa sua, tutto quello che era successo era colpa
sua. Fin dall'inizio. Per cominciare, che razza di idea è
chiamare una bambina Nechama ? Chiamare una povera innocente bambina
addirittura Consolazione, come una specie di ebreo di rimpiazzo,
come una specie di premio di consolazione dopo la catastrofe,
come se contassero tutti su di lei per far funzionare di nuovo
le cose dopo il disastro. Era un tale peso, un fardello impossibile
da rifilare a un bambino - non c'era da meravigliarsi se quella
povera ragazza si era tirata fuori dal mondo. Per caso Norman
pensava che i nomi non avessero importanza ? C'era una certa letteratura
in proposito, sull'effetto che i nomi hanno sullo sviluppo e l'identità
e la propria immagine. Che razza di padre poteva fare una cosa
simile alla carne della sua carne e al sangue del suo sangue ?
Era da criminali, imperdonabile. Perche non le era stato dato
un nome normale, un bel nome pieno di speranza da sogno americano
che la gente potesse almeno pronunciare, tipo Stacy, o Tracy?
Per non parlare della faccenda della seconda generazione in cui
si era fatto coinvolgere, il trascinarsi dietro Nechama come
[11] una sorta di archetipico agnello
sacrificale, come la figlia di Jephta, come Ifigenia. Norman sapeva
molto bene che la maggior parte degli assistenti sociali adorava
il concetto di seconda generazione, ne andavano pazzi, ma Arlene
- sorpresa ! - non ci credeva affatto. Perche ? Era facilmente
comprensibile: perche era utile al programma di Norman, ecco perche,
perche legittimava e spiegava la sua ossessione, e le dava uno
status. Per Arlene non c'era niente. Per Arlene, la seconda generazione
era una categoria inventata, un favore fatto a un branco di piagnoni
che si autocommiseravano afflitti da un caso terminale di crescita
bloccata. I cosiddetti sopravvissuti, loro erano la prima generazione;
quelli che erano stati là, quelli che l'avevano vissuto
in prima persona, e dopo erano venuti i loro figli, questa finta
seconda generazione, attaccati come ventose all'Olocausto, Norman
e compagni, che facevano i capricci per avere un pezzo di Shoah.
Cosí tutti quei duri, astuti, paranoici rifugiati scampati
alla guerra - e non vogliamo neanche cominciare a pensare come
ci fossero riusciti - all'improvviso vengono trasformati in santi,
sacri sopravvissuti dall'indicibile saggezza, e poi la seconda
generazione, nata e cresciuta a Brooklyn o li vicino, lontano,
lontano dalle camere a gas e dai forni crematori, viene incoronata
come sopravvissuta ad honorem. All'improvviso questi discendenti
di nessuna fama vengono dotati di dignità, di importanza,
della serietà e delle ricompense che vengono dall'aver
servito e riverito la sofferenza. Cosa c'era di meglio ? I vantaggi
di Auschwitz senza averne davvero vissuto la malvagità
- un Olocausro light.
E che cosa avevano fatto per meritarsi questo onore, quelli della
seconda generazione ? Per che cosa soffrono, in buona fede, esattamente
? Be', hanno avuto una vita dura, poveri piccoli - sono stati
anche loro delle vittime, non potete negarglielo, come dicevano
rassicurandosi a vicenda durante le riunioni del gruppo di sostegno
nelle cantine delle sinagoghe. Erano danneggiati dai danneggiati,
scontavano le ferite psicologiche di essere stati cresciuti da
sospettosi, traumatizzati genirori iperprotettivi dalle aspettative
impossibili. Avevano retto il peso di dover trasmettere la fiaccola
della memoria, quella candela cosí kitsch, dal passato
al
[12] futuro. Avevano sopportaro un colpo durissimo alla propria autostima dopo aver saputo che le loro vite erano un miserabile spettacolino in confronto a quelle epiche dei loro genitori. Era malato, malato, patetico - «invidia dell'Olocausto», una nuova definizione per i professionisti, pronta a figurare nella successiva edizione aggiornata e riveduta del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. E adesso Norman avrebbe dovuto esporre sua figlia a una situazione cosí patologica - andare avanti e rendere cronica questa grave condizione prolungando l'agonia, cercando di passare a Nechama l'intero carico come una condanna a vita, come un contratto di servitú, come una colpa fino alla decima generazione ? Era forse un caso, allora, che lei avesse abbandonato gli ebrei per la religione assoluta dei martiri, il cui valore fondante prevedeva di soffrire per gli altri e che per icona principale aveva un tizio magrolino torturato su una croce ? Era un caso che avesse ritrovato la strada fino ai cancelli di Auschwitz ? Norman non aveva capito dove l'avrebbe portata questa morbosa fissazione per l'Olocausto ?
- Forse avremmo dovuto chiamare uno di
quei tizi che fannola deprogrammazione, - stava dicendo adesso
Maurice. - Forse avremmo dovuto scavalcare il muro del convento
come quel rabbino pazzo. .. come si chiamava ?... quando era nell'altro
edificio dove tenevano il gas durante la guerra. Forse avremmo
dovuto rapirla dalle schwester.
Norman scosse la testa. - Pessima idea, Pa -. Deglutí vistosamente
prima di parlare. - Sarebbe stato disastroso per i rapporti polacco-ebraici,
un incubo per i rapporti cattolico-ebraici, per non parlare della
morte dei rapporti economici.
- Nu, comunque bisogna essere piu giovani per quelle scemenze,
arrampicarsi sui muri... sai cosa intendo ? E tu non sei più
cosí giovane, Normie, ah ah, e io non sono in gran forma,
o come dice tua madre, agile. Non sono più agile come quando
ero capo dei partigiani e combattevo contro i nazi nei boschi.
Norman dovette respirare a fondo e stringersi il dorso del na-
[13] so per controllare il forte attacco
di nostalgia per sua figlia che lo colpí in quel momento,
quando Maurice recitò il ritornello familiare con quelle
esatte parole, che era staro capo dei partigiani e aveva combattuto
contro i nazi nei boschi. Era uno scherzo privato tra Norman e
Nechama. Mimavano quella frase con la bocca, parola per parola,
ogni volta che Maurice la recitava, imitando alla perfezione le
smorfie e i gesti e l'accento, li mimavano alle spalle del vecchio
durante i ritrovi di famiglia e di amici o persino durante le
conferenze che teneva con regolarità in sinagoga, nei circoli
o nelle scuole sulla sua carriera di combattente della Resistenza,
e che si aprivano sempre con la frase: «Sono qui per sfatare
il mito che gli ebrei siano andati al macello come un gregge di
pecore». Norman e Nechama mimavano anche quella frase, in
accessi di strozzata, silenziosa ilarità. Era un innocuo
rituale padre-figlia cominciato quando lei aveva piu o meno diciotto
o diciannove anni, dopo che Maurice aveva fatto il suo solito
discorso, su invito di Nechama, al centro degli studenti ebrei
dell'università, iniziando, come sempre, con la frase sul
mito-della-pecora-al-macello, e concludendo, come sempre, scattando
sull'attenti per richiamare l'attenzione quando partiva l'Inno
dei partigiani, Non dire mai che questa è la strada
verso la fine.
Rimasto solo con Nechama durante il ricevimento seguito al discorso
di Maurice, uno di fronte all'altra con i bicchieri di plastica
trasparente colmi di sidro frizzante, come una coppia appena introdotta
a un raduno sociale, Norman accennò casualmente - in un
altro contesto, non si ricordava piu quale - al fatto che nessuno
sapeva con certezza che cosa avesse fatto Maurice Messer durante
l'Olocausto, salvo che si era nascosto nei boschi di giorno e
aveva rubato galline di notte. Non c'era motivo di vergognarsene,
date le circostanze.
- Devi accettare la cosa, piccola, - continuò Norman, in
preda a qualcosa che non riusciva a controllare, - non ha sparato
neanche una pallottola in quei boschi, ma scoregge sí,
e tante !
- Vuoi dire che nonno non è stato un capo partigiano che
ha combattuto contro i nazi ?
La bambina sembrava realmente scioccata.
[14]
Norman alzò un sopracciglio. Sua figlia non stava facendo
dell'ironia. Forse si era spinto troppo in là, forse lei
era davvero innocente, forse era troppo fragile per quel tipo
di Realpolitik. Pareva non essersi accorta fino ad allora che
la storia di suo nonno era solo un'innocua invenzione per farsi
pubblicità. Per un tremendo istante, Norman si senti come
se avesse traumatizzato la figlia in modo imperdonabile, irreparabile,
ma quando, dopo un lungo silenzio per assorbire la notizia, lei
disse con aria maliziosa: - Ok, papà, non sarò io
a dire ai negazionisti dell'Olocausto che è tutta una farsa,
- riprese a respirare sollevato, impressionato dalla velocità
con cui lei aveva capito, da quanto fosse attenta a dove giacevano
i suoi interessi e a chi spettava la sua lealtà, da quanto
fosse sofisticata nell'accettare la debolezza umana come un altro
fatto divertente della vita.
- Senti,- cominciò Norman, - non è che non abbia
sofferto. Credi sia facile essere considerati una vittima, vedere
la gente che soffre per te, specialmente per un macho come tuo
nonno ? Sei grande adesso, Nechama, queste cose le puoi capire.
La Shoah è stata un evento castrante, come direbbe tua
madre; degli sconosciuti potevano arrivare e strappartelo via
sul serio. Per uomini come tuo nonno è stata una cosa molto
difficile da accettare, cosí, dopo, è diventato
psicologicamente critico per lui trovare la maniera di provare
che non era stato castrato, che, per dirla schiettamente, aveva
ancora le palle, e si è trasformato in un combattente della
Resistenza. In ogni caso, a chi può far male la piccola
recita di un vecchio che fa la parte del grande eroe ? - Rallentò
con enfasi per far spazio alla frase conclusiva. - Il mercato
dell'Olocausto non crollerà per colpa delle patetiche esagerazioni
di un vecchio, credimi. I pazzi che dicono che non è accaduto
nulla non devono avere alcuna consolazione.
Consolazione aveva detto, non nechama. Comunque, fu da
quel momento, se ben ricordava, che cominciò la loro tradizionedi
deliziosa ironia, in modo affettuoso, ogni volta che Maurice si
scaldava e attaccava con la tirata del partigiano. Era diventata
una questione personale padre-figlia. Ed era il ricordo di quell'in-
[15] nocente legame cospiratorio con la
sua bambina che adesso si im-padroni di lui e lo schiacciò.
- Nu, Normie, - stava dicendo Maurice, - sí o no
? Perche non parli ? Ricordi il bisticcio con le schwester
al convento con quel rabbino pazzo, come lo chiama tua mamma ?
Maurice amava citare ogni volta che poteva sua moglie, cui riconosceva
una padronanza superiore della lingua e della pronuncia inglese
e che considerava quasi una fonte profetica di buonsenso. Per
esempio, ogni volta che si finiva col parlare di quel rabbino
che aveva causato un incidente internazionale protestando contro
la presenza di un convento cattolico ad Auschwitz, dove più
di un milione di ebrei erano stati gasati - lo stesso convento
dove, in una collocazione più conveniente stabilita dal
papa in persona, la loro nipote Nechama era adesso una suora che
pregava per la salvezza delle anime degli ebrei morti -, Blanche
spalancava gli occhi ed esclamava:- Ma caro, è pazzo !
- Di conseguenza, Maurice non mancava mai, riferendosi a quell'evento
nel vecchio convento delle carmelitane, di includere l'epiteto
«quel rabbino pazzo», come se lo stato mentale del
rabbino fosse certificato da una diagnosi clinica, dal momento
che Blanche, col suo impareggiabile buon senso, aveva detto questo.
Il buon senso, secondoMaurice, era una qualità estremamente
desiderabile in una donna, e tempo addietro aveva raccomandato
a Norman di metterla in cima alla lista nella scelta di una compagna.
A quel proposito Blanche sottolineava sempre con riserbo: - Quanto
ti dicono che una ragazza ha buon senso, è un codice segreto
per dirti che non è molto slurp !, se sai cosa intendo...
In altre parole, che non è molto bella.
- Buon senso e bellezza, - interveniva allora Maurice con decisione,
- proprio come la mia Blanchie.
Discutevano su tutto, lui e Blanche, anche delle questioni di
cui non parlavano. Discutevano ma non parlavano, ad esempio, dell'idea
che avevano entrambi sulle limitate capacità del loro Norman
- una consapevolezza che non desideravano suggellare a parole.
Ma quando vendettero l'azienda di intimo femminile, la Messer's
Foundation, che gli aveva permesso una vita più che
[16] agiata, l'Olocausto era diventato
di moda, piu di moda persino dei reggiseni imbottiti e dei corsetti
di lycra. All'inizio dedicarono le loro giornate da pensionati
a diventare capi della comunità di sopravvissuti nonche
famosi oratori nel circuito delle testimonianze orali. L'Olocausto
andava forte, niente da dire. Poi Bianche spinse Maurice ad avviare
la nuova impresa di consulenza, la Holocaust Connections Inc.,
e a coinvolgere Norman come socio alla pari - «Rendi la
tua causa un Olocausto», come aveva recitato quello sfrontato
di Norman, davvero insopportabile. La prima e la seconda generazione
avrebbero lavorato giocandosela insieme,un'organizzazione ideale,
uno sbocco perfetto per il loro Norman, il futzer & putzer
originario, come lo chiamavano amorevolmente, i cui impieghi
fino a quel momento, e su questo erano d'accordo, non erano stati
alla sua altezza, ma anzi insoddisfacenti e poco stimolanti. Adesso
Norman poteva starsene in giro tutto il giorno, parlando in modo
creativo con i clienti al telefono, dissertandosulle sue brillanti
idee, raccontando barzellette maligne, scrivendo di tanto in tanto
un articolo per un giornale ebreo, viaggiando e chiacchierando
nei canali diplomatici e nei corridoi del potere con gli altri
politici e gli addetti ai lavori e i trafficoni - il miglior uso
possibile che potesse fare dei suoi considerevoli doni e talenti.
Veniva taciuto il fatto che, come entrambi sapevano, Norman aveva
bisogno del loro aiuto, che era una persona debole, che non si
sarebbe mai saputo gestire da solo. Non importava che fosse andato
a Princeton - Princeton Shminceton ! - dove aveva addirittura
partecipato a un sit-in nell'ufficio del preside per tre giorni
e tre notti, nonostante la madre non avesse esitato a marciare
attraverso quell'orgia non-stop per consegnargli di persona il
suo antistaminico.
Non importava che avesse conseguito un diploma in Legge da Rutgers,
dove addestravano dei poveri stupidotti a diventare un branco
di viscidi vermi. Non importava che fosse un adulto, un uomo sotto
tutti gli aspetti, con una moglie che faceva l'assistente sociale
e una figlia bella ma lunatica. Se l'indomani fosse scoppiata
una guerra, in fondo al cuore sapevano che il loro Norman non
ce l'avrebbe mai fatta. Senza dirlo ad alta voce, si rendeva
[17] no conto che, a differenza loro,
Norman non sarebbe sopravvissuto.
Sopravvivenza, ecco il punto essenziale. Su quello non si discuteva.
Era la linea di demarcazione che separava i vivi dai morti. Era
la lezione con cui avevano martellato Norman come due disperati:
prima sopravvivi, dopo puoi preoccuparti di sottigliezze come
la moralità e i sentimenti. Quando qualcuno ti dice che
ti ucciderà, devi fare attenzione, prenderlo sul serio,
credergli. Il mattino seguente ti svegli prima e lo ammazzi. Se
sopravvivi, vinci. Se non sopravvivi, perdi. Se perdi, non sei
niente. Qual è la regola numero uno per sopravvivere ?
Non fidarsi mai di nessuno, sospettare di tutti, dare per scontato
che l'altro è li per distruggerti e mangiarlo vivo prima
che abbia l'occasione di farlo. Perché loro erano sopravvissuti
? Fortuna, soltanto fortuna, dicevano sempre. Ma non ci credevano
neanche un po'. Era la cosa giusta da dire, per non insultare
la memoria di quelli che non erano sopravvissuti, quelli che,
diciamolo, avevano fallito, quelli che adesso erano mucchi di
cenere grigia e ossa frantumate calpestate dalla gente. Erano
sopravvissuti perche erano più forti, migliori, più
adatti; era la sola verità, e lo sapevano. Sopravvivere
era il successo, ma anche tra chi ha successo ci sono categorie
e livelli. Guardate i sopravvissuti oggi, per esempio, quelli
che sono usciti dai campi barcollando come zombi. C'erano i classici
nuovi arrivati, eterni immigranti, timorosi di offendere qualcuno
parlando senza sosta dell'Olocausto - perche farne un caso federale
? - un branco di Signori Nessuno fino a che le loro coscienze
non venivano elevate dall'élite dei sopravvissuti, dal
giro di Blanche e Maurice, quelli che erano sopravvissuti con
stile, quelli senza paura. «Io ? Io non ho mai paura !»
diceva sempre Maurice; era il suo motto. Adesso, grazie a loro,
Olocausto era una parola familiare. Avevano costruito monumenti
e musei. Erano miliardari, pezzigrossi, animatori e trascinatori.
Mandavano avanti il Paese. La sopravvivenza dei più adatti.
Una volta Blanche aveva letto su una rivista che le cellule del
cancro erano la forma di vita più adatta perche mangiavano
tutto quello che avevano intorno, si espandevano, si riproducevano,
avevano successo, vincevano. Forse
[18] non era granche come esempio; forse
non dava un'idea carina di Maurice e degli altri - essere paragonati
a delle cellule cancerose. Il cancro era un male, ma in questo
mondo se sopravvivi vinci, e se vinci sei bravo.
Erano una squadra formidabile, Blanche e Maurice Messer, una coppia
di fiere orgogliosa di essere tale. Per i loro quarant'anni di
matrimonio, Norman e Arlene gli avevano regalato una targa con
incise le parole «Coi Messer non si scherza», che
avevano appeso in «Holocaust Central», lo studiolo
accanto al salotto, proprio sopra il tema che Nechama aveva scritto
a otto anni, in terza elementare. Il soggetto era Il mio eroe;
Nechama aveva scelto Maurice.
Nonno aveva una pistola durante la Seconda guerra mondiale. Con la pistola ha ucciso i tedeschi cattivi. Era un uccisore di luridi tedeschi. Ha salvato la gente ebrea. Amava la pistola. Dava la buonanotte alla pistola ogni sera. Dormiva con la pistola. Dopo la guerra hanno dato un passaggio al nonno con un carrarmato. Lui aveva in mano la pistola. Poi gli hanno portato via la pistola. Nonno era triste. Piangeva perche gli mancava la pistola. Cosí ha sposato la nonna.
La maestra le aveva dato solo «Buono»
per quel lavoro, ma Blanche aveva detto: - Cosa ne sa lei ? Non
è un caso che faccia la maestra, - e aveva appeso il tema
al muro, in una cornice costosa. - Io sono la pistola, - aveva
sentenziato con aria di sfida. Neanche a Maurice importava molto
del tema. - Perche racconta al gantse velt questa storia
partigiana ? È una cosa privata, per la famiglia e basta.
- Di che ti preoccupi, Maurie? - aveva chiesto Blanche. - Ogni
sopravvissuto è un partigiano. Sopravvivere vuol dire resistere.
- Non essere cosí paranoico, Pa, - era saltato su Norman.
- Adesso puoi venire fuori dall'armadio -. Poi, deglutendo e dopo
una pausa significativa, aveva aggiunto: - Ziggy e Manny e Feivel
e Yankel, e tutti quelli che erano con te in quei boschi, oggi
sono morti, che riposino in pace, e in silenzio.
Di nuovo, era una questione di sopravvivenza, stavolta della sopravvivenza
degli ebrei in un' epoca di assimilazione e matrimoni
[19] misti e di declino, coi suoi vantaggi
e svantaggi, dell'antisemitismo in America - un altro Olocausto,
a dire la verità, in un certo senso ancora piu pericoloso
perche insidioso, invisibile, sotterraneo. Blanche e Maurice avrebbero
fatto di tutto per assicurare la sopravvivenza degli ebrei, non
c'erano sforzo o sacrificio troppo grandi, e, come sapevano molto
bene, non c'era niente come l'Olocausto per accalappiare un ebreo
randagio - era il best-seller, l'articolo piu caro, conquistava
il cliente ogni volta. Perche Dio ci ha dato l'Olocausto ? Per
una sola ragione: per ricordarci che una volta che sei ebreo,
lo sei per sempre. Potevi provare a mescolarti e a sbiadire piano
piano, potevi provare a confonderti tra gli altri, ma era inutile,
non c'era speranza. Non c'era posto dove nascondersi, non potevi
scappare da nessuna parte. Hitler, con le sue Leggi di Norimberga
sulla purezza razziale e di sangue, quasi avesse fatto un patto
con i rabbini contro i matrimoni misti, ti avrebbe trovato dovunque
fossi e ti avrebbe spazzato viacome uno scarafaggio. Grazie, signor
Hitler !
E cosa c'era di più efficace per spargere il messaggio
a voce alta e chiara di un capo partigiano e sua moglie - lei
stessa sopravvissuta a tre campi di concentramento, forse quattro,
dipendeva da come si contava - che raccontavano la loro storia
fino a non avere più fiato, martellando giorno e notte
con gli insegnamenti dell'Olocausto ? Qualsiasi cosa servisse
a diffondere il messaggio, anche se voleva dire spingersi sotto
le luci della ribalta in modi brutali che andavano contro la loro
natura, anche se significava dare l'ingannevole impressione di
approfittare dei morti, l'avrebbero fatto, non per la fama e la
gloria, Dio non voglia, ma per la causa, perche quella era la
loro missione, quello era il motivo per cui erano stati scelti,
era per quello scopo che erano sopravvissuti. Erano la prima generazione,
i testimoni oculari. Norman era il filo di connessione. Nechama
la continuità.
Sí, la continuità. Lei era il loro Kaddish,
la loro candela commemorativa vivente, la terza generazione. E
ora era diventata cristiana. Era una tragedia, una tragedia !
Com'era potuto succedere ? Chi mai avrebbe potuto prevedere un
esito del genere ? Era al di là di ogni umana immaginazione.
Avevano puntato tutto il
[20] possibile su quella ragazza, era
stata l'apprendista e protetta ideale da sempre. Era l'immagine
sputata della madre di Maurice, come lui era solito dire nei suoi
discorsi, Shprintza Chaya Messer, la guerrigliera, uccisa dai
nazi durante la retata a Wieliczka mentre urlava a pieni polmoni:
- Lottate, Yidelekh, lottate !
Ancora oggi la gente parlava del discorso di Nechama al suo bar
mitzvah, di come si era rivolta al fantasma di una ragazza
di Vilna, con cui sosteneva di essere gemellata, con le parole:
- Rosa, sorella mia, sei stata crudelmente falciata dai nazi durante
l'Olocausto. Non hai mai avuto il tuo bar mitzvah. Oggi
ti restituisco quello che ti è stato tolto cosí
ingiustamente, perche oggi io sono te -. Arlene, con il suo ingenuo
atteggiamento americano politicamente corretto, aveva trovato
la cosa macabra, morbosa, una forma di abuso di minore, e aveva
minacciato di andarsene dal tempio, ma tutti gli altri si erano
sentiti spiritualmente innalzati e moralmente rigenerati dalle
parole di Nechama, e avevano pianto di soddisfazione. E chi poteva
dimenticare le assemblee sull'Olocausto che Nechama aveva organizzato
al liceo, dove sia Maurice che Blanche avevano portato la loro
testimonianza, e dove perfino Norman, in qualità di ambasciatore
della seconda generazione, aveva parlato ad adolescenti con stelle
ebraiche di carta gialla appuntate su magliette dei Nine Inch
Nails, triangoli rosa per gli omosessuali, triangoli neri per
gli zingari, e chi non ricordava il balletto inventato da Nechama,
presentato ogni anno al pubblico, dal titolo Requiem per l'assente,
con foulard che volteggiavano e si annodavano e braccia che si
stendevano dolorosamente verso il cielo ? Era sempre stata cosí
fiera della sua famiglia, quelle reliquie dell'Olocausto che avrebbero
fatto morire di vergogna qualsiasi adolescente medio, e aveva
addirittura in-vitato i suoi nonni e suo padre ad accompagnarla
in Polonia per la Marcia dei Vivi, con migliaia di altri ragazzi
e ragazze ebrei provenienti da tutto il mondo, ma lei era in una
classe a parte, lei era una principessa dell'Olocausto. E non
si vergognava del trattamento da Vip che allora riceveva per via
della posizione della sua famiglia nella gerarchia dell'Olocausto,
e non la imbarazzava camminare con passo più lento accanto
ai vecchi nella marcia di tre
[21] chilometri da Auschwitz al vero centro di sterminio di Birkenau, dove c'erano i resti delle camere a gas e dei forni crematori, e sotto i piedi cenere e polvere di ossa; si era voltata verso di loro e aveva detto, non l'avrebbero mai dimenticato: - Li vedo, li sento, li percepisco, i morti camminano al nostro fianco -. Poi c'era stato il tema per la domanda di ammissione all'università, nel quale aveva scritto:
L'unica cosa che potete avere capito o meno da questa domanda di ammissione è che io sono, nel senso più positivo e costruttivo del termine, una patita dell'Olocausto. Questo significa che sono completamente ossessionata dall'Olocausto, l'assassinio di sei milioni di persone appartenenti alla mia gentc, e sono decisa a fare qualsiasi cosa sia in mio potere perche questi morti non siano morti invano.
- Stupendo, stupendo, - aveva dichiarato
Maurice, - come la bandiera a stelle e strisce !
Non era stata ammessa a Princeton, nonostante il diritto ereditario,
perche sotto sotto la commissione era composta, come diceva Maurice,
da «un branco di antisemiti e di puzzoni». Cosí
era andata a Brown.
Con delle simili credenziali in Olocausto, chi avrebbe mai potuto
prevedere che avrebbe voltato le spalle alla sua gente diventando,
di tutte le cose possibili, una suora ? Convento e continuità,
due concetti che non andavano d'accordo, non si mescolavano bene,
non erano un'accoppiata naturale. L'idea di suora era estranea
al pensiero ebraico; tra gli ebrei ogni ragazza si sposava, ogni
ragazza aveva dei bambini, e se una non ne aveva...be', non era
mai successo, chi ha mai sentito una cosa del genere ? Fin da
bambina, Nechama aveva parlato in modo cosí commovente
di come avrebbe avuto almeno dodici figli per aiutare a rimpiazzare
quei milioni che erano stati uccisi - teste spaccate contro muri
di pietra, gente scagliata ancora viva nelle fosse in fiamme,
uccisa a fucilate, gasata. Sarebbe diventata una fabbrica di bambini
in nome della continuità degli ebrei. Era una bella ragazza,
lo dicevano tutti - un po' piena forse, «zaftig»
diceva Maurice; «ciccia di bimbo» diceva Blanche.
Il suo cibo preferito, secondo la tradizione di famiglia, era
il marzapane, e anche
[22] questa preferenza era considerata
un segno della sua superiorità; faceva cosí Europa,
cosí Vecchio Mondo - quale normale bambino-americano-mangia-Mars
sa dell'esistenza del marzapane ? I ragazzi che le andavano dietro
erano di solito molto piu grandi, perlo più stranieri.
Una delle storie preferite in famiglia narrava che una notte Nechama
era rimasta fuori fino a tardi, e quando alla fine era tornata
a casa, alle cinque di mattina, si era giustificata con i genitori
dicendo che un ragazzo del Salvador di nome Salvador l'aveva invitata
a uscire con lui e lei non aveva voluto offenderlo, quindi aveva
dovuto spiegargli che non si sarebbe mai messa con un ragazzo
non-ebreo per via dell'Olocausto - niente di personale, ma il
suo compito era di rimpiazzare quei sei milioni. Poi aveva dovuto
raccontargli tutta la storia dell'Olocausto inmodo da fargli capire
da dove arrivava, cominciando con l'ascesa al potere di Hitler
nel 1933 e cosí via fino alla fine della Seconda guerra
mondiale nel 1945, il che aveva richiesto un bel po' di tempo,
motivo per cui aveva fatto cosí tardi, sperava che non
fossero arrabbiati.
- E cosa ti ha detto Salvador? - aveva chiesto Norman, per nulla
arrabbiato, gonfio di orgoglio.
- Oh, ha detto: «Ti ho solo invitato a prendere una tazza
di caffè. Non ti ho chiesto di sposarmi». Ma non
è questo il punto.
Non era mai uscita con ragazzi non-ebrei, per quel che ne sapevano.
In ogni caso, una volta all'università, la sua vita amorosa
era diventata per loro un mistero, territorio proibito. È
vero che portava a casa un sacco di ragazzi goy, ma erano
storie «puramente platoniche», come diceva lei: -
Siamo solo amici -. Li conosceva grazie alle sue attività
contro la persecuzione dei cristiani nel mondo. - Mentre parliamo
sta avendo luogo un Olocausto cristiano, - aveva annunciato durante
una cena con uno di questi ospiti, - e in qualità di ebrea
che ha rischiato di essere trasformata in un paralume, la mia
coscienza non mi permette di rimanere a guardare in silenzio -.
Portò a casa uno studente cinese che raccontò di
essere stato picchiato e torturato per la sua appartenenza a una
chiesa clandestina. Portò a casa un tecnico di laboratorio
sudanese la cui famiglia era stata bruciata viva o ridotta in
schiavitù per
[23] avere praticato la propria fede.
Mentre raccontavano le loro storie a tavola, lei li ascoltava
rapita, gli occhi umidi, la bocca leggermente aperta, anche se
le aveva già sentite di sicuro.
- Qualunque ragazzo la desideri dovrà mostrarle i segni
della tortura, - aveva detto Arlene.
- Per quale motivo fa la stupida con i goyim ? - si era
lamentato Maurice con Norman. - Da dove credi che Hitler abbia
preso tutte le sue grandi idee sugli ebrei ? Dimmelo ! E il papa,
devi scusarmi, sua santità, cosa faceva durante la guerra,
giocava a pinnacolo ?
- Stanno cercando di dirottare l'Olocausto, - gemeva Norman. -
I cristiani non sono, ripeto, non sono materiale da Olocausto.
Tutto ma non questo.
Avevano cercato di sviarla da quella nuova fissazione offrendole
un posto nella società - capo del portafoglio Donne dell'Olocausto:
aborto, molestie sessuali, mutilazioni genitali femminili, stupro,
la gamma completa - ma lei non c'era cascata.
- I cristiani sono i nuovi ebrei, - diceva. - Anche i cristiani
hanno diritto a un Olocausto. Da quando in qua gli ebrei hanno
il monopolio ? Ecco il problema con gli ebrei. Pensano che sia
tutto loro, non dividono mai niente.
Alla fine erano crollati e si erano offerti di inglobare l'Olocausto
dei cristiani come parte dell' attività, per quanto fosse
loro ripugnante e antipatico, e di lasciarle creare e dirigere
un nuovo dipartimento dedicato interamente a quel soggetto.
- Scordatevelo, - aveva detto lei. - Siete troppo compromessi
e politicizzati per i miei gusti, ragazzi. Sareste pronti a vendervi
tutte le vittime al primo invito a cena all' ambasciata.
La famiglia l'aveva vista per l'ultima volta pochi giorni dopo una sua telefonata in cui aveva annunciato che sarebbe entrata come postulante nel convento delle carmelitane vicino ad Auschwitz, e poiche era un ordine meditativo, chiuso, «eremitico», non sarebbe stato facile incontrarla. Insistette sui fattoche sebbene fosse decisa a diventare presto una novizia e poi
[24] forse a prendere i voti, si sarebbe
sempre considerata una suora ebrea. Dovevano ricordarselo. Non
la stavano perdendo. Non dovevano disperarsi. Fu deciso che Arlene
sarebbe andata a farle visita da sola. Arlene accettò la
missione nonostante avesse più volte detto ad alta voce
di non voler mai mettere piede in «quell'enorme cimitero
chiamato Polonia»: - Non è posto per un ebreo vivo;
questo viaggio nostalgico di ritorno-allo-shtetl è
una cosa oscena; questi tour dei campi di sterminio sono grotteschi
-. Il giorno dopo la telefonata di Nechama, Arlene volò
a Varsavia. Convertendosi al cattolicesimo, Nechama aveva detto
loro che si trattava di un passo necessario alla realizzazione
della sua «vocazione», ma dovevano sapere e capire
che, come i primi cristiani, sarebbe rimasta anche ebrea.
- Che vuoi dire ? - aveva chiesto Maurice. - Sei con noi o contro
di noi, sei una goy o un'ebrea ? Non puoi essere entrambe
le cose. Non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca ! Faresti
meglio a fingere di essere cattolica solo per un pochino, poi
basta, fartig; sarà come se lo fossi stata davvero.
Norman volle sapere se quella storia fosse una specie di Ebrei-per-Gesú,
ma no, disse lei, era nella migliore tradizione dei primi padri
della Chiesa. Poi Norman fece notare speranzoso alla famiglia
che al giorno d'oggi forse si poteva essere sia cristianiche ebrei,
proprio come si poteva, come tutti sapevano, essere sia buddhisti
che ebrei - un ebreo-buddha, si diceva, qualcosa di parve,
niente di cui emozionarsi, né carne né pesce.
Anche cosí, la sua conversione fu un colpo devastante,
ben che non inaspettato, vista la sua progressiva immersione nell'Olocausto
cristiano. Dopo l'università aveva lavorato a tempo pieno
per la causa nel suo quartier generale a Washington, poi aveva
programmato quello che lei chiamava il suo «pellegrinaggio»,
la sua «crociata», per testimoniare in prima persona
le persecuzioni in giro per il mondo, e per offrire conforto e
sostegno agli oppressi. Era stata buttata fuori dal Pakistan per
aver provocato sommosse e disordini. In Etiopia era stata arrestata,
e per liberarla erano state necessarie parecchie manovre che,
per fortuna, erano stati in grado di mettere a segno in modo riservato
grazie
[25] alla posizione della loro famiglia
nel mondo e alle loro conoscenze importanti e altolocate - «Una
bustarella qui, un piagnucolio lí», come Maurice
raccontava con soddisfazione in ogni dettaglio. Quando diventò
sempre più chiaro che Nechama stava davvero per convertirsi,
Norman provò a farla ragionare sui fatto che avrebbe potuto
dare molto di più all'Olocausto cristiano in qualità
di ebrea, che il suo essere ebrea era un'esca efficace per i media,
stimolava la curiosità della gente - che ci faceva una
ragazza ebrea carina come lei in un posto come quello ? La rendeva
di gran lunga più interessante e, diciamolo, strana, specialmente
dal momento che lei simboleggiava in particolar modo l'essere
ebrei, con una famiglia cosí in vista nella cerchia dell'Olocausto,
avrebbe attirato sulla causa un'enorme attenzione e visibilità.
- E poi, - aggiunse intenzionalmente Norman, - non devi essere
un cristiano per amare l'Olocausto dei cristiani. Quando sostengo
l'Olocausto delle balene, divento forse una balena ? Pensaci,
Nechama'le. Pensaci bene, piccola.
Dai loro contatti in Polonia seppero quasi subito dell'arrivo
di Nechama. Parti con un lento giro dei principali campi di sterminio,
fermandosi un paio di giorni in ognuno per digiunare e pregare;
cominciò da Treblinka, poi Chelmno, Sobibor, Majdanek,
Belzec, fino a che non arrivò, finalmente, ad Auschwitz-Birkenau.
Chiamò a casa per dire che aveva acceso una candela commemorativa
davanti al convento delle carmelitane per una «suora ebrea
benedetta», santa Edith Stein -«Sorella Teresa Benedetta
della Croce», come la chiamò lei - che era morta
da martire in quelle camere a gas.
- Oy vey,- aveva detto Maurice. - Sta parlando di quella
convertita di Edith Stein ? Non mi sento molto bene !
Durante un'altra conversazione telefonica la ragazza aveva osservato
che l'ebraismo tradizionale non forniva un vero sfogo spirituale
alla donna. - Voglio dire, metti che una donna ebrea voglia dedicarsi
con tutto il suo cuore e la sua anima e tutte le sue forze ad
amare Dio e a pregarlo. Dov'è un convento ebreo per farlo
? L'ebraismo non prevede l'esistenza della spiritualità
di una donna in un contesto che non sia quello della casa e della
[26] famiglia -. Aveva affittato una stanza
a Oswiecim per stare vicina alle suore. - Sono donne sante, cosí
sante, è umiliante e al tempo stesso ti eleva, è
entrambe le cose. Come hanno potuto accusarle di cercare di cristianizzare
Auschwitz ? È ridicolo. Qualunque cosa facciano, la fanno
per amore.
Nechama aveva dato appuntamento ad Arlene davanti alla grande
croce vicino al vecchio convento ora abbandonato, appena al confine
con il campo di sterminio, l'edificio dove, durante l'Olocausto,
erano state immagazzinate le latte di Zykl0n B con cui gli ebrei
erano stati asfissiati. Era già là, inginocchiata
a pregare, quando la macchina di Arlene accostò. Arlene
chiese all'autista di aspettarla; non aveva alcuna intenzione
di visitare il campo. Una volta finito con Nechama, sarebbe andata
dritta a Cracavia, sarebbe stata a Varsavia in serata, sarebbe
volata via su un aeroplano da quel Paese maledetto la mattina
seguente. Mentre si avvicinava alla croce davanti alla quale stava
inginocchiata sua figlia, vide due suore con la tonaca appostate
poco lontano. Anche Nechama indossava un abito grezzo poco familiare
- probabilmente una specie di completo per l'addestramento delle
suore, pensò Arlene.
Nechama senti Arlene avvicinarsi, e ancora voltata e dandole la
schiena fece a sua madre un segno con il pollice e l'indice piegati
ad anello - un gesto imparato da ragazzina durante un viaggio
in Israele - per dirle di aspettare ancora qualche secondo mentre
finiva le sue preghiere. Poi, dopo aver posato le labbra sui legno
della croce e averla baciata con passione, si alzò in piedi.
- Mamma, - gridò, e corse ad abbracciare sua madre.
Arlene si sorprese a scoppiare in singhiozzi tormentati chel'attraversarono
come una scarica di fulmini. Il mascara le rigò leguance.-
Mi dispiace, mi dispiace,- continuava a ripetere.
- Ti dispiace di cosa? Piangi, piangi. Piangere fa bene, pulisce
lo spirito. Non c'è nulla di cui vergognarsi.
- Mi dispiace di averli lasciati liberi di rovinarti, - biascicò
Arlene nella stoffa ruvida della veste di Nechama. Non avev aprogrammato
di esordire in quel modo, ma ora non riusciva a fermarsi. - Mi
dispiace di non aver lottato piu duramente per im
[27] pedirgli di avvelenarti con tutta
la loro follia sull'Olocausto. Avrei dovuto combattere come una
leonessa che difende il suo cucciolo. Ti hanno azzoppata, menomata,
hanno distrutto ogni possibilità che avevi di vivere una
vita normale, e io non ho fatto niente per impedirlo.
- Mamma ? - Nechama allontanò Arlene con un braccio. -Due
cose, mamma. Uno, non sono rovinata, e due, l'Olocausto, che tu
ci creda o no, è la cosa migliore che mi sia mai capitata.
Mi ha reso quella che sono oggi. Sono fiera di me stessa. Sto
facendo un lavoro vitale che redime. Dedicandomi ai morti risano
il mondo. Capisci ? Non voglio che tu pensi che sia una cosa patologica,
d'accordo, mamma ? Non sono una psicopatica.
Asciugandosi gli occhi con un fazzoletto di carta stretto nel
pugno, Arlene si soffermò a guardare da vicino sua figlia.
Il viso di Nechama, incorniciato da un foulard che nascondeva
la chioma di folti riccioli, la sua caratteristica migliore, era
chiaro e benvisibile; niente trucco, e neanche un segno dell'acne
che l'aveva tormentata anche dopo i vent'anni. Dunque i conventi
fanno bene alla carnagione, concluse amaramente Arlene. Invece
delle lenti a contatto portava occhiali con una montatura di plastica
trasparente rosa pallido. L'espressione nei suoi occhi era serena
e benevola - troppo calma, pensò Arlene, sembrava drogata,
comese le avessero fatto il lavaggio del cervello, addormentata.
Aveva un'ombra di baffi sul labbro superiore; nella sua nuova
vita di povertà, castità e obbedienza, non c'era
piu posto per la decolorazione dei baffetti a cui Arlene l'aveva
educata come parte del programma di bellezza di ogni donna coi
capelli scuri. Al collo pendeva una scoraggiante croce fatta di
qualche metallo comune. Contro le gonne premeva la pienezza femminile
dei suoi sterili fianchi, spinti inevitabilmente verso il basso
dalla forza di gravità, che adempissero o meno alla loro
funzione biologica, Arlene lo vedeva. Aveva messo su qualche chilo,
non che avesse più molta importanza. Almeno aveva abbastanza
da mangiare.
Nechama si accorse in fretta dello sguardo inquisitorio di sua
madre, e per un momento fu colta da una familiare irritazione
già provata in passato, quando Arlene valutava il suo
[28] aspetto da capo a piedi ed esprimeva
una silenziosa disapprovazione. Con uno sforzo di volontà,
Nechama si scrollò di dosso quella sensazione che considerava
disdicevole e vanitosa.
- Hai un bell'aspetto, - disse alla fine Arlene. Evitò
lo sguardo di Nechama, fissando invece la croce di legno alta
dieci metri che incombeva alle loro spalle. - Cosí questa
è la famosa croce per la quale ebrei e polacchi si scannano.
- Sí, non è ridicolo ? - disse Nechama. - Non credo
che riuscirò mai a capire perche gli ebrei ce l'abbiano
con una croce. Le Crociate. L'Inquisizione. I Pogrom. Le sanguinose
diffamazioni. L'Olocausto. Se non riesce a capire cos'abbiamo
contro una croce, pensò Arlene, soprattutto quand'è
piantata inquesto preciso punto, dove più di un milione
di ebrei sono stati gasati e bruciati, allora ha veramente smarrito
la strada verso casa, è andata davvero lontano, l'abbiamo
persa.
- Voglio dire, - continuò Nechama, - quello che tutti devono
ancora capire, se mai supereremo la questione, è che ogni
ebreo ucciso nell'Olocausto è un altro Cristo inchiodato
sulla croce. Quando prego Lui, io prego ognuno di loro. Ogni giorno
prego ciascuno dei sei milioni di Cristi.
Sofferenza e salvezza. Martirio e redenzione. Erano parole che
Arlene non riconosceva. La croce gettava la sua lunga ombra buia
su di loro e sui terreno impregnato di sangue. Il pomeriggio stava
finendo. Arlene si sistemò sulla spalla la cinghia della
borsa di pelle nera alla moda e lanciò uno sguardo alla
macchina che la stava aspettando. La cosa che desiderava di più
in quel momento era andarsene via da lí, da quella pazzia
che generava pazzia, da quello sconosciuto immaginario sacro che
giustificava atrocità indescrivibili. Voleva normalità,
quotidianità, routine, orari, tabelle di marcia, menu,
liste, programmi, beni materiali. - Ti serve qualcosa, Nechama?
- chiese Arlene. - Cioè, prima che mene vada; cose come
biancheria, vitamine, accessori per il bagno ? Dimmi di cos'hai
bisogno, e farò in modo che ti arrivi.
- Oh, non ho più bisogno di nulla, ho finito con l'aver
bisogno di cose, - disse Nechama, spezzando il cuore a sua madre.
- Viviamo in maniera molto semplice, qui. È altra la gente
che
[29] ha delle necessità. Ci mandano
lunghe liste di cose che gli servono, e noi preghiamo per loro.
Ecco cosa facciamo. Posso pregare anche per te, mamma. Dimmi di
cosa hai bisogno.
Di cosa aveva bisogno ? Aveva bisogno di pensare e capire con
chiarezza. Aveva bisogno di ricordare tutto quello che aveva dimenticato,
o presto si sarebbe convinta di non essere mai esistita. - Ho
bisogno che tu torni da me, - disse piano Arlene, con la voce
che un tempo usava quando si stendeva sul letto accanto alla figlia,
di notte, per farla addormentare.
Nechama sorrise estasiata. - Pregheremo per te, - disse, e losguardo
andò dalla madre e dalla croce sovrastante a tutto il suo
mondo circoscritto, alle due suore ferme in lontananza, e al milione
e passa di morti nel campo che non potevano riposare.
[...]