SOGETTO CHOMSKY : TRE ARTICOLI
Il New York Times,
che non ama affatto Chomsky (è reciproco), riconosce comunque
che può essere annoverato fra i più grandi intellettuali
viventi. Ma le sue doti, se si eccettuano i dipartimenti di linguistica
e i lettori di Le Monde diplomatique, sono per lo più
ignorate in Francia.
Quando viene evocato, il suo nome è infatti troppo spesso
associato a quello di Robert Faurisson o di Pol Pot.
Chomsky sarebbe l'archetipo dell'intellettuale impegnato a minimizzare
o negare tutti quei genocidi la cui evocazione potrebbe finire
per favorire l'imperialismo occidentale.
In Francia, d'altronde, ha trovato solo un editore marginale -
Spartacus - per pubblicare, nel 1984, le sue Réponses
inédites à mes détracteurs parisiens
(Risposte inedite ai miei detrattori parigini), una raccolta
di lettere e un'intervista, mai pubblicate o pubblicate solo in
stralci, che aveva inviato a giornali come Le Monde, Le Matin
de Paris, Les Nouvelles littéraires, per controbattere
agli attacchi di vari personaggi, tra cui Jacques Attali
e Bernard-Henri Lévy. Da ciò l'importanza
della recente pubblicazione di alcuni suoi scritti (1).
Durante la guerra del Vietnam, i testi di Chomsky avevano un certo
seguito in Francia. Ma, già all'epoca, un implicito malinteso
cominciava a prendere piede. Tra i movimenti anti-imperialisti
dominava una mentalità «faziosa». Bisognava
fare una scelta di campo: o per l'Occidente o per le rivoluzioni
nazionaliste del terzo mondo. Una tale attitudine è invece
completamente estranea a Chomsky, razionalista nel senso più
classico del termine. Non che Chomsky voglia rimanere «al
di sopra della mischia» - sono pochi gli intellettuali più
impegnati di lui - ma la sua militanza è basata su principi
come la verità e la giustizia, e non sul sostegno ad un
determinato campo storico e sociale, qualunque esso sia. La sua
opposizione alla guerra non derivava dalla previsione che la rivoluzione
vietnamita avrebbe offerto un futuro radioso ai popoli d'Indocina,
ma dall'osservazione che l'aggressione americana sarebbe stata
una catastrofe perché, motivata da principi ben diversi
dalla difesa della democrazia, mirava ad impedire ogni forma di
sviluppo indipendente in Indocina e nel terzo mondo.
Gli scritti di Chomsky, con il loro rigore, offrivano agli oppositori
alla guerra del Vietnam strumenti intellettuali preziosi; la differenza
di prospettiva tra lui e i suoi sostenitori in Francia poteva
allora passare in secondo piano. La contro-offensiva politica
e ideologica sarebbe stata scatenata nel momento in cui, nel 1975,
cominciavano a partire dal Vietnam i primi boat people e, ancor
di più, quando i khmer rossi cominciarono a perpetrare
i loro massacri. Venne allora messo in atto un meccanismo di colpevolizzazione
nei confronti di coloro che si erano opposti alla guerra occidentale,
e più in generale all'imperialismo, che permise di attribuire
loro la responsabilità di questi avvenimenti. Ma, come
sottolineerà lo stesso Chomsky, non sarebbe meno assurdo
rimproverare agli avversari dell'invasione dell'Afghanistan da
parte dell'Urss nel 1979 le atrocità commesse dai ribelli
afghani dopo il ritiro delle truppe sovietiche: opponendosi all'invasione,
essi avevano voluto evitare una catastrofe le cui responsabilità
sono di coloro che l'hanno decisa, non di coloro che l'hanno osteggiata.
Un'argomentazione di questo tipo, pressoché scontata, è
considerata quasi un'eresia nel campo occidentale. In Francia,
la mentalità faziosa aveva portato numerosi oppositori
alle guerre coloniali a cullarsi nell'illusione della possibilità
di un «futuro radioso» per le società decolonizzate.
Ciò ha reso più efficace il processo di colpevolizzazione,
tanto più che la fine della guerra del Vietnam ha coinciso
con la grande svolta dell'intellighenzia francese, che l'avrebbe
portata a prendere le distanze dal marxismo e dalle rivoluzioni
del terzo mondo e ad assumere gradualmente, con il movimento dei
«nouveaux philosophes», posizioni favorevoli alla
politica occidentale in Ciad e in Nicaragua. Molti intellettuali
francesi, soprattutto quelli della «generazione del sessantotto»,
già piuttosto passivi nella lotta contro gli euro-missili
(1982-1983), sono diventati apertamente bellicisti al momento
della guerra del Golfo e dell'intervento della Nato in Kosovo.
Avendo ben poche illusioni da perdere, Noam Chomsky non doveva
sconfessare nessuna delle sue battaglie. È quindi rimasto
in prima fila nella lotta contro gli interventi militari e gli
embarghi che, dall'America centrale all'Iraq, hanno provocato
centinaia di migliaia di vittime.
Ma per coloro che avevano promosso la «grande svolta»,
Chomsky diventava un bizzarro e pericoloso anacronismo. Come poteva
non aver capito che il campo dei buoni era l'Occidente, la patria
dei diritti umani?
E che quello dei cattivi, della «barbarie dal volto umano»,
era costituito dai paesi socialisti e dalle dittature post-coloniali?
L'analisi del suo metodo intellettuale permette di dare risposta
a questi interrogativi. Buona parte dell'opera di Chomsky è
dedicata allo studio dei meccanismi ideologici delle società
occidentali.
Quando uno storico studia l'Impero romano, cerca di mettere in
relazione le azioni dei dirigenti dell'epoca con i loro interessi
economici e politici, o almeno con il modo in cui essi li percepivano.
Invece di limitarsi alle intenzioni dichiarate dei dirigenti,
lo storico mette in luce la struttura «nascosta» della
società (relazioni di potere, vincoli istituzionali) per
decriptare l'ideologia ufficiale.
Questo metodo, tanto naturale che neanche c'è bisogno di
giustificarlo, è stato applicato ieri a società
come l'Unione sovietica e viene applicato oggi alla Cina e all'Iran.
Nessun esperto serio spiegherebbe il comportamento dei dirigenti
di questi paesi attraverso le motivazioni da loro addotte per
giustificare le proprie azioni.
Questa attitudine metodologica generale muta radicalmente nel
momento in cui ci si rivolge alle società occidentali.
Diventa allora quasi obbligatorio ammettere che le intenzioni
proclamate dai governanti sono le cause effettive delle loro azioni.
Possiamo avanzare dubbi sulla loro capacità nel raggiungere
determinati obiettivi, o sulla loro intelligenza. Ma mettere in
discussione la genuinità delle loro motivazioni, cercare
di spiegare le loro azioni mediante le costrizioni imposte da
forze più potenti di loro vuol dire promuovere deliberatamente
un pensiero «non rispettabile».
Così, durante la guerra del Kosovo, si sono potuti mettere
in discussione i mezzi e le strategie adottati dalla Nato, ma
non l'idea che si trattasse di una guerra umanitaria. Si sono
spesso criticati i mezzi usati dagli Stati uniti negli anni '80
in America centrale, ma raramente si è messo in dubbio
che volessero proteggere questi paesi dalla minaccia sovietica
o cubana. L'argomento che giustifica questo curioso dualismo nello
studio dei fenomeni politici è che le nostre società
sono «davvero differenti», sia rispetto alle società
del passato che a quelle di paesi come l'Urss e la Cina, perché
i nostri governi sarebbero «davvero» preoccupati del
rispetto dei diritti umani e della democrazia.
Ma il fatto che i principi democratici sono più spesso
rispettati «da noi» che altrove non ci impedisce assolutamente
di giudicare empiricamente la tesi della singolarità occidentale.
Possiamo ad esempio paragonare due tragedie (come una guerra,
una carestia, un attentato, ecc.) più o meno simili e osservare
la reazione dei nostri governi e dei nostri media. Quando la responsabilità
di queste situazioni è imputabile ai nostri nemici, l'indignazione
è totale e gli eventi sono presentati senza la minima indulgenza.
In compenso, se i governi occidentali o i loro alleati sono in
qualche modo coinvolti, gli orrori vengono spesso minimizzati.
Eppure, se le azioni dei nostri governi fossero davvero motivate
da quelle intenzioni altruiste che essi tanto proclamano, dovrebbero
agire soprattutto sulle tragedie di cui sono responsabili, invece
di dare la priorità a quelle che possono attribuire ai
propri nemici.
La constatazione che accade quasi sistematicamente il contrario
autorizza ad avanzare l'accusa di ipocrisia. Buona parte dell'opera
di Chomsky è dedicata a confronti di questo tipo. Le conclusioni
che ne derivano non sono lusinghiere né per i governi occidentali
né per il modo in cui i media presentano la loro azione
(2).
In particolare, nel caso dell'Indocina e della Cambogia, gli scritti
di Chomsky, definiti spesso una «difesa di Pol Pot»,
hanno cercato di confrontare le reazioni dei governi e dei media
occidentali nei riguardi di due atrocità quasi simultanee:
i massacri dei khmer rossi in Cambogia e quelli degli indonesiani
al momento dell'invasione di Timor est. Rispetto alla Cambogia
ci fu un'indignazione tanto viva quanto ipocrita (3). In
compenso, al momento dell'azione militare indonesiana, i media
e gli intellettuali «mediatici» osservavano un silenzio
quasi totale, mentre gli Stati uniti e i loro alleati, fra cui
la Francia, consegnavano armi all'Indonesia, ben sapendo che sarebbero
state utilizzate a Timor (4). Per stilare la lunga lista di non-indignazioni
di questo tipo dovremmo ritornare sulla Turchia e sui kurdi, su
Israele e i palestinesi, senza dimenticare l'Iraq dove, in nome
del diritto internazionale, diverse centinaia di migliaia di persone
vengono lasciate morire a fuoco lento. Proponendo questo tipo
di confronti, Chomsky ha operato un vero e proprio ribaltamento
di quella mentalità faziosa tanto vituperata dopo la grande
svolta: poiché il Bene (l'Occidente e i suoi alleati) combatteva
il Male (i nazionalismi del terzo mondo e i cosiddetti paesi socialisti)
ogni analogia era vietata. Ma Chomsky ha fatto anche di peggio.
Rifiutandosi di adottare l'atteggiamento ipocrita di cui accusa
i nostri governi e i nostri media, ha sempre ritenuto di dovere
denunciare soprattutto i crimini commessi da governi su cui poteva
avere una qualche possibilità d'azione, cioè i nostri.
Pur non nutrendo alcuna illusione sui regimi «rivoluzionari»
o alcuna volontà assolutoria rispetto ai crimini commessi
dagli «altri», Chomsky ha dovuto inevitabilmente subire
le accuse di coloro che già avevano coltivato tali illusioni
e accettato tali assoluzioni, e lo accusavano pertanto di ripetere
i loro errori. Possiamo ben comprendere la reazione di una parte
dell'intellighenzia francese, preoccupata di bruciare i suoi vecchi
idoli e adorare i suoi vecchi demoni, e ansiosa di addossare ad
altri gli errori un tempo commessi. Un atteggiamento che, più
che divertirlo, ha spesso infastidito Chomsky.
Bisogna poi considerare il «caso Faurisson», che ha
scatenato in Francia gli attacchi più violenti contro Chomsky.
Professore di letteratura all'università di Lione, Robert
Faurisson venne sospeso dalle sue funzioni alla fine degli
anni '70 e messo sotto accusa perché aveva, tra l'altro,
negato l'esistenza delle camere a gas durante la Seconda Guerra
Mondiale. Cinquecento persone - fra cui Chomsky - firmarono allora
una petizione per difendere la sua libertà d'espressione.
Per rispondere alle violente reazioni suscitate dal suo gesto,
Chomsky scrisse allora un piccolo testo in cui spiegava che riconoscere
il diritto di una persona di esprimere le proprie opinioni non
equivaleva assolutamente a condividere tali opinioni. Questa distinzione,
scontata negli Stati uniti, sembrava difficilmente comprensibile
in Francia.
Ma Chomsky ha commesso un solo errore in questa vicenda. Ha consegnato
il suo scritto ad un amico di allora, Serge Thion, consentendogli
di farne ciò che voleva. Thion pensò bene di pubblicarlo,
come «opinione», all'inizio del testo pubblicato per
difendere Faurisson. Chomsky non ha mai smesso di ripetere che
non aveva mai voluto veder pubblicato il suo testo in quel modo
e che aveva cercato, sia pur troppo tardi, di impedirne l'uscita
(5). Coloro che condannano Chomsky per questa vicenda devono
quanto meno dire esattamente ciò che gli rimproverano:
un errore tattico o lo stesso principio di una difesa incondizionata
della libertà d'espressione?
Nel secondo caso, bisogna dire che la Francia non ha, in materia
di libertà d'espressione, la tradizione libertaria degli
Stati uniti, dove la posizione di Chomsky non sconvolge nessuno.
L'equivalente statunitense della Lega dei diritti umani, l'American
Civil Liberties, in cui militano numerosi antifascisti, non esita
a rivolgersi in tribunale se qualcuno decide di proibire al Ku
Klux Klan o a gruppuscoli nazisti di manifestare, anche in uniforme,
in quartieri a maggioranza nera o ebrea... (6) In questo
dibattito si fronteggiano quindi due diverse tradizioni politiche,
dominanti rispettivamente in Francia e negli Stati uniti, e non
un Noam Chomsky, presunto rappresentante di un'ultra-sinistra
scriteriata, e una Francia repubblicana. In un mondo in cui schiere
di intellettuali disciplinati e di media asserviti sono tanti
sacerdoti laici al servizio dei potenti, leggere Chomsky rappresenta
un atto di autodifesa. Può consentire di evitare le false
evidenze e le indignazioni selettive del pensiero dominante.
Ma insegna anche che, per cambiare il mondo, bisogna comprenderlo
in modo oggettivo e che esiste una grande differenza tra il romanticismo
rivoluzionario - che fa spesso più danni che benefici -
e una critica sociale al tempo stesso radicale e razionale. Dopo
anni di disincanto e rassegnazione, una contestazione globale
al sistema capitalista sembra sul punto di rinascere. Essa non
può che trarre vantaggio da quella combinazione di lucidità,
coraggio e ottimismo che caratterizza l'opera e la vita di Noam
Chomsky.
note:
*Professore all'Università di Lovanio (Belgio). Questo testo è la versione ridotta della prefazione ad una raccolta di scritti di Noam Chomsky, pubblicata in Francia dalle edizioni Agone di Marsiglia con il titolo De la guerre comme politique étrangère des Etats-Unis.
(1) Tra le opere più recenti pubblicate in Italia Egemonia americana e stati fuorilegge, Dedalo, 2001 e Il nuovo umanitarismo militare. Gli insegnamenti del Kosovo, Asterios, 2000.
(2) Si legga Edward S. Herman e Noam Chomsky, La fabbrica del consenso, Marco Tropea, 1999 e Noam Chomsky, Necessary Illusion. Thought Control in Democratic Societies, Pluto Press, Londra, 1989.
(3) Quando, nel 1979, i vietnamiti
misero fine al regime di Pol Pot, gli occidentali decisero di
sostenere i khmer rossi, a livello diplomatico, alle Nazioni unite,
ma anche, indirettamente, sul piano militare.
All'opposto, nel caso dell'Indonesia sarebbe bastata una semplice
pressione occidentale per fermare i massacri.
(4) Louis de Guiringaud, ministro degli esteri francese dell'epoca, andò a Jakarta per firmare un accordo militare. Ha poi dichiarato che la Francia non avrebbe messo l'Indonesia in una situazione imbarazzante alle Nazioni unite rispetto a Timor. Su Le Monde, 14 settembre 1978.
(5) La versione inglese di questo
testo, «Some elementary comments on the rights of freedom
of expression» è disponibile all'indirizzo www.
zmag.org/chomsky/articles/8010-free-expression.html
(6) È quello che è successo a Skokie (Illinois)
nel 1978.
Traduzione di S.L.
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Aprile-2001/0104lm22.01.html
"La guerra contro il terrorismo è pura propaganda, ed i mezzi d'informazione, compresi quelli europei, fanno il gioco dei potenti distraendo il pubblico dalle questioni realmente importanti". Non risparmia parole Noam Chomsky, linguista, coscienza critica degli Stati Uniti, e da oggi anche dottore honoris causa in psicologia. L'onore glielo ha concesso l'Università di Bologna. Ma varie ore prima della cerimonia il professore ha voluto incontrare gli studenti della facoltà di Psicologia che gli hanno tributato un ricevimento molto caloroso. Nell'aula magna, con 200 posti a sedere, c'erano circa 500 persone. Lui non le ha deluse. Nell'ora e mezza di lezione su "mezzi d'informazione e terrorismo", vestito in modo molto più informale che le decine di professori presenti all'atto, ha accusato l'informazione mondiale ed i governi del suo stesso paese - inclusi i predecessori di George W.Bush - snocciolando fatti con un grande senso della provocazione.
Chomsky prende il caso Terri Schiavo, che nelle ultime settimane ha lasciato in secondo piano le altre notizie internazionali, come esempio di tema enfatizzato dalla propaganda per mantenere il gran pubblico disinformato sugli altri fatti. "In questo viaggio per l'Europa ha richiamato molto la mia attenzione quanto gli intellettuali europei si sottomettano all'agenda politica degli USA. Se Bush, per puro cinismo politico, decide che il caso Schiavo è il problema più importante, i mezzi d'informazione europei non parlano d'altro" dice il professore, "basta dare un'occhiata alla stampa di oggi: La Repubblica, ad esempio, dedica cinque pagine a questo tema. Solo alla pagina 18, in fondo, in un piccolo riquadro, parla del rapporto dell'ONU nel quale si documenta che la denutrizione infantile in Iraq è raddoppiata a causa della guerra. È questa la cultura della vita che invoca Bush?"
Dall'Iraq a John Negroponte, che fino a qualche settimana fa era l'ambasciatore a Baghdad ed è appena stato nominato capo dello spionaggio statunitense, il passo è breve. Secondo Chomsky, Negroponte è "uno dei terroristi internazionali più importanti" per la sua attività come ambasciatore in Honduras all'inizio degli anni '80, quando nel piccolo paese centroamericano gli statunitensi addestravano terroristi per lottare contro il governo sandinista del Nicaragua. "Ancora oggi, dal momento che gli USA rifiutano di pagare le indennizzazioni ordinate dall'ONU, il 60% dei bambini nicaraguensi minori di due anni è denutrito". La conclusione? "Se realmente c'importasse della cultura della vita, ci preoccuperemmo di questi bambini, non di Terri Schiavo. Ma se per la cultura occidentale la preoccupazione per il terrorismo è uguale a zero, evidentemente la preoccupazione per la cultura della vita sta sotto zero".
Secondo Chomsky, per vendere agli statunitensi la guerra contro il terrorismo ("quando un stato la dichiara, significa che sta per perpetrare gravi atti terroristici") bisogna spaventare continuamente le persone. L'apparato mediatico ha un'importanza strategica nel momento in cui si preparano i conflitti: "Negli anni '80 si diceva che alcuni sicari libici vagabondassero per Washington, e si attuarono i bombardamenti sulla Libia. Nel 1989 si provocò un'isteria collettiva intorno al narcotraffico, e si produsse l'attacco a Panama. Nel caso dell'Iraq, fu la bugia delle armi di distruzione di massa: ancora oggi, benché il governo abbia riconosciuto che era tutto falso, il 50% degli statunitensi crede che quelle armi esistessero realmente". Ma le vere minacce per la popolazione, secondo Chomsky, sono altre: "Negli ultimi 25 anni i salari reali sono scesi nel paese. Hanno aumentato le ore lavorative e si è limitato il diritto all'assistenza sanitaria. Se la gente mettesse a fuoco questo, il potere non l'avrebbe tanto facile. Per questo motivo si dà tanta importanza a storie come quella di Terri Schiavo, che distraggono il pubblico dai problemi reali".
Crede che gli Stati Uniti attaccheranno l'Iran? domanda un studente. Chomsky è scettico: "Se vuoi attaccare un paese non annunci i tuoi propositi per anni, altrimenti dai vantaggio all'avversario". La questione, per Chomsky, è altra: l'invasione dell'Iraq ed il tira e molla con l'Iran sull'arricchimento dell'uranio con fini nucleari ("Teheran ha tutto il diritto a farlo se è con finalità pacifiche") trasmettono un messaggio pericoloso. "È evidente che gli USA attaccano solo un paese incapace di difendersi. In tal modo la lezione per il resto del mondo è: sarà meglio che vi dotiate di difese affinché gli USA non vi attacchino".
L'ultimo tema che ha affrontato Chomsky è stato il futuro dell'ONU, messo in dubbio dalla guerra dell'Iraq e dallo scandalo "Petrolio in cambio di alimenti". Per il professore "il destino delle Nazioni Unite dipende dal fatto che le nazioni occidentali arrivino ad essere vere democrazie. In USA, contrariamente a ciò che vogliono far credere i mezzi d'informazione, la maggioranza della gente appoggia l'ONU, vuole che gli USA saldino i loro debiti con l'organizzazione e perfino che rinuncino al diritto di veto. In modo che, se gli USA si trasformassero in una democrazia, il futuro dell'ONU sarebbe più lusinghiero". Anche nello scandalo "Petrolio in cambio di alimenti", a giudizio di Chomsky, la propaganda di Washington ha avuto una ruolo di rilievo: "I mezzi d'informazione danno importanza ad alcune decine di migliaia di dollari che forse si sono intascati un funzionario dell'ONU ed il figlio di Kofi Annan. Ma nessuno dice niente dei 15.000 milioni di dollari che gli USA hanno sottratto al programma per compensare i loro alleati, come Turchia e Giordania. E che ne è dei 18.000 milioni per la ricostruzione dell'Iraq, che sono svaniti? Qualcuno ha scritto qualcosa? Come che sia, l'obiettivo è quello di screditare l'ONU".
Traduzione dallo spagnolo a cura di Adelina Bottero e Luciano Salza
www.resistenze.org - popoli resistenti - iraq
da: www.rebelion.org - 06-04-2005
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=13533
Articolo n. 11048 postato il 12-apr-2005 08:29 ECT
http://www.uruknet.info/?s1=1&p=11048&s2=12
È sempre la solita solfa. Appena si tocca Chomsky anche chi ha fatto le elmentari ti ricorda che si tratta di un "illustre" linguista. Fa nulla che pure Giovanni Gentile o Martin Heidegger fossero "illustrissimi" filosofi. Ma titoli e fama accademica qui contano poco. E anche se certo Chomsky non sta al fascismo e al nazismo proprio come Gentile o Heiddegger, la storia merita di essere approfondita, perche' non e' affatto candida.
Pierre Vidal-Naquet non fa parte della banda dei cattivi liber-imperialisti e neppure della fantasmagorica e malvagia lobby pluto-giudaica-massonica alla conquista del mondo. È un intellettuale ebreo di sinistra, protagonista della lotta contro la guerra d'Algeria e pro-palestinese. Partecipo' alla petizione contro l'embargo all'Irak ed e' contrario all'odierna eventualita' dell'intervento militare (Quindi su questo non sono affatto d'accordo con lui). Storico dell'antichita', e' direttore di studi all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales. I brani qui citati a proposito di Chomsky si trovano sullo splendido libro edito in italia da Editori Riuniti, "Gli assassini della memoria", edizione 1993, pagine 57 ss.
Tutto ha inizio quando nel 1980 va alle stampe un libro revisionista che, fra le altre cose, nega l'Olocausto, a firma di Robert Faurisson. Commenta Vidal-Naquet :
È un bel colpo : sostenere che il genocidio degli ebrei e' una menzogna storica ed ottenere la prefazione di un illustre linguista , figlio di un professore di ebraico, libertario e nemico di tutti gli imperialismi, e' qualcosa che e' veramente piu' efficace dell'appoggio di Jean-Gabriel Cohn-Bendit...
La prefazione di tale libro di Faurisson si fregia appunto della firma di Chomsky e fa tre affermazioni assai interessanti, sia prese isolatamente che messe in relazione fra loro.. La prima affermazione e' la seguente :
[dalla prefazione di Chomsky] : "Non diro' nulla qui degli scritti di Robert Faurisson ne' delle relative critiche , su cui non so molto, ne' degli argomenti che tratta, su cui non ho cognizioni particolari"
e dopo, in relazione al fatto che Faurisson e' accusato di essere antisemita :
[dalla prefazione di Chomsky]
: "Come ho detto, non conosco molto bene i suoi scritti.
Ma da cio' che ho letto, in gran parte per la natura degli attacchi
di cui e' stato oggetto, non vedo nessuna prova che appoggi tali
conclusioni [ossia l'antisemitismo di Faurisson].
E ancora piu' avanti parla di Faurisson come di : "una specie
di liberale relativamente apolitico"
Eppure Chomsky conosceva gli articoli di Pierre Vidal-Naquet e addirittura le lettere personali che quest'ultimo gli aveva inviato sul personaggio e l'opera di Faurisson. E cosa c'era nell'opera di Faurisson ? Ecco cosa dice Vidal-Naquet :
L'antisemitismo personale di Faurisson, a dire il vero, m'interessa poco. Esiste e posso testimoniarlo, ma non e' nulla a paragone dell'antisemitismo dei suoi testi. Scrivere con la massima tranquillita' che imponendo agli ebrei di portare la stella gialla a partire dai sei anni " Hitler si preoccupava forse non tanto della questione ebraica quanto di assicurare l'incolumita' del soldato tedesco " (Faurisson, Vérité, pag. 190) e' forse antisemitismo ? Certamente no, nella logica di Faurisson, poiche' al limite non vi e' antisemitismo pratico possibile. Ma nella logica di Chomsky ? Inventare di sana pianta una immaginaria dichiarazione di guerra a Hitler in nome della comunita' ebraica internazionale da parte di un immaginario presidente del Congresso ebraico mondiale (Faurisson, Vérité, pag. 187) e' antisemitismo o e' un falso ? Forse Chomsky puo' spingere l'immaginazione linguistica fino al punto di scoprire che vi sono dei falsi antisemiti ?
Ricapitoliamo, perche' e' molto
semplice. Supponete di essere nei panni di Chomsky e di avere
una corrispondenza con qualcuno, un accademico di fama internazionale
nel campo della storia, come Pierre Vidal-Naquet, che vi mette
al corrente di chi sia Faurisson (c'e' la testimonianza dell'antisemitismo
personale di Faurisson) e su cosa scriva Faurisson (c'e'
l'antisemitismo che ritiene che far portare la stella gialla ai
bambini tedeschi di sei anni difenda il soldato tedesco, oltre
alla negazione dell'Olocausto).
Ora, dopo aver saputo queste cose di questo personaggio voi scrivereste
che "non avete letto molto di lui" e che da quel poco
che avete letto non vedete nulla che appoggi tale conclusioni
per finire dicendo che si tratta di una specie di liberale relativamente
apolitico ? E facendo passare il tutto come una tirata sulla liberta'
di espressione ? Il 6 dicembre, Chomsky scriveva a Serge Thion
[l'editore dei testi revisonisti], a proposito dello stesso testo
: "Se la pubblicazione non e' gia' in corso, La pregherei
vivamente di non metterlo in un libro di Faurisson..." [Peccato
che il libro fosse uscito gia' in ottobre, era tardi].
Anche Chomsky aveva capito che non andava bene la cosa, ma non
era solo questo, Chomsky intanto con Faurisson in persona si
era spinto oltre. Torniamo a cosa scrive Vidal-Naquet :
Se Chomsky si fosse limitato
a difendere il diritto di Faurisson di dire la sua, un problema
Chomsky non ci sarebbe, almeno per me. Ma non di questo si tratta.
... Constato semplicemente : 1) che Chomsky e' andato molto piu'
in la' di quanto si pensasse nell'appoggio personale a Faurisson,
corrispondendo amichevolmente con lui, e accettando persino di
avere come prefatore il capo della lega revisionista, P. Guillaume
(mentre pretendeva - falsamente - di non essere stato prefatore
di Faurisson): un P. Guillaume da lui definito "libertario
e antifascista per principio", cosa che per quanto riguarda
il secondo appellativo deve aver fatto sbellicare dalle risa l'interessato,
il quale considera l'antifascismo una menzogna bella e buona;
2) che Chomsky non tiene fede ai propri principi libertari, poiche'
e' giunto a minacciare di far causa (lui che da' letteralmente
in smanie per il minimo processo intentato a Faurisson) a un editore
che si accingeva a pubblicare sulla sua persona una notizia biografica
contenente alcune frasi che avevano la sventura di dispiacergli.
E in effetti ha ottenuto che la notizia in questione fosse affidata
a un redattore piu' devoto.
Certo, non e' vero che le tesi di Chomsky siano assimilabili a
quelle dei neonazisti. Ma perche' Chomsky trova tanta energia,
e tanta tenerezza, nel difendere coloro che dei nenazisti si fanno
editori e difensori ?, e tanto furore nell'attaccare chi si permette
di combatterli ? Questa e' la mia semplice domanda. La logica,
quando funziona solo per difendere se stessi, impazzisce.
Ma non ci ricorda qualcosa di
attuale, dico io, questo strano modo di difendere i principi ?
Sotto il pulpito da cui si parla , sottoterra e nascosto, ma
presente e una cosa sola con quel pulpito, c'e' la reale consistenza
di cio' che si finisce per difendere, esattamente come nella vignetta
che apre il nostro post.
posted by IloveAmerica | 02:22 |
sabato, marzo 15, 2003
Vedi l'ignominia
iloveamerica.splinder.com/archive/2003-03
L'indirizzo elettonico (URL) di questo documento è: <http://aaargh-international.org/ital/
3chom.html>