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A pag. 64 Pressac ci intrattiene a proposito di una "sbavatura architettonica" di peso» commessa da Dejaco (processato e assolto) sul piano n. 2003, datato 19 dicembre 1942. Senonché... il piano n. 2003 arrivò troppo tardi per le strutture 30 e 30a, il cemento degli scivolatoi era già stato colato» (pag. 65). Lo specifico progetto "criminale" di cui al piano non fu, quindi, mai realizzato! Ma il ragionamento merita che ci si fermi su di esso: Se ci si attiene alle legende del piano (!?) la scalinata nord diventa il solo accesso possibile agli obitori, e questo implica che i morti dovranno discendere la scalinata camminando. » Ma, se non ci si attiene alle legende del piano arrivato troppo tardi (!), si constata che la Leichenkeller 2 possiede un accesso consistente nella sua propria scalinata. Si constata anche che il piano Dejaco era stato sostituito da un piano più elaborato di Werkmann, firmato da Kam-mler (pag. 29). È assurdo vedere una prova» in un piano non realizzato, e probabilmente la successiva soppressione dell'utilizzazione degli scivolatoi derivava dalla constatazione che questi scivolatoi, concepiti dagli ingegneri, si dimostravano poco pratici, e questo per la semplice ragione che, poiché i corpi arrivavano in una rozza barella portata da due uomini, la loro manipolazione alla parte alta dello scivolatoio e, poi, alla parte bassa, quando, finalmente, dovevano venir deposti nella Leichenkeller, si dimostrava un'operazione più complicata di quella consistente nel portare i corpi in continuità, passando per la scalinata, fino al loro luogo di deposito. L'idea che l'assenza di scivolatoio implichi che i "morti" discendessero camminando, e quindi fossero vivi, è un'idea pressacchiana che si distrugge da sola. I pochi obitori che mi è capitato di frequentare in occasione del decesso di qualche parente non avevano scivolatoio; a due di essi si accedeva tramite una scalinata che i morti non discendevano camminando! Ma il colmo è che il piano n. 2003, che concerneva un dettaglio di esecuzione tecnica riguardante l'accesso al sottosuolo, poteva perfettamente, senza esser l'indizio di un bel nulla, lasciar nel vago un determinato altro dettaglio riguardante una determinata altra parte dei fabbricati. E Pressac ci ha dato la foto di uno dei famosi scivolatoi la cui assenza su un piano proverebbe che i morti erano vivi! (Auschwitz, Technique and operation... , pag. 545, foto 14, by the author»).
A pag. 70 Pressac ci intrattiene a proposito di un'altra sbavatura criminale»: Indicare che questa soffieria era in legno generò una sbavatura tecnica inevitabile: ciò provava che l'aria estratta non era più quella di un obitorio, carica di miasmi, bensì l'aria mescolata ad un prodotto aggressivo che non doveva essere aspirato altro che da una soffieria che non potesse essere corrosa, quindi interamente di legno (preferibilmente di cipresso) [documento 26]. Il tossico gassoso utilizzato nelle camere a gas omicide era acido cianidrico a forte concentrazione (20 gr. /m3) e gli acidi sono corrosivi. » Si noti che la concentrazione di acido cianidrico sovranamente decretata da Pressac annienterebbe gli "argomenti" addotti dal compianto Georges Wellers per spiegare come si potesse penetrare nella camera, immediatamente dopo la morte delle vittime, senza maschera antigas; e perché nei muri dei locali di cui si pretende che siano stati camere a gas omicide, o non si trovino tracce di composti cianidrici, o se ne trovino di infinitesimali. Il colmo è che il progetto di montare una soffieria di legno è considerato come una sbavatura criminale», una prova, ma che poi, a pag. 77, si venga a sapere da Pressac stesso: Le SS decidevano di sostituire la soffieria di legno (del progetto (!)) della disaerazione della camera a gas (a riguardo della quale niente -- eccettuate la vulgata e le elucubrazioni che andiamo studiando -- prova, e neppure indica, che una qualche gassazione vi abbia mai avuto luogo) mediante una soffieria di metallo (Schultze aveva esagerato il pericolo di corrosione).» Si noterà che Schultze è un civile incaricato del montaggio. I suoi pareri sulla corrosione e sui progetti della Bauleitung SS sono altamente improbabili, a meno che a Birkenau, nei cantieri SS, non regnasse l'autogestione operaia! Questa sì che sarebbe un'informazione importante e del tutto nuova che dovremmo a Pressac!
Ma ammiriamo il ragionamento in tutta la sua purezza. La prima prova che i nazisti sono dei mostri è che essi progettano un ventilatore in legno per via della corrosione dovuta all'acido cianidrico. La seconda prova è che installano un ventilatore in metallo. Ma, prima dei lavori di Pressac, non si sapeva suppergiù niente sulle ventilazioni e i ventilatori dei crematori, e gli "esperti", Wellers in particolare, ci descrivevano senza nessuna ventilazione forzata e, quindi, senza ventilatori, queste stanze dei crematori. Bisognava già credere che si trattava di camere a gas, ed era questa la prova che i nazisti erano dei mostri!
Forse io sono personalmente responsabile della presenza nel libro dell'argomento dei ventilatori di legno», e ciò perché la prima volta che esso mi fu presentato, da Pressac stesso, a casa di Michel Sergent, fondatore dell'ADLRH [Association pour la défense de la libre recherche historique], invece di dirgli subito cosa ne pensassi presi un'aria di circostanza, di stordimento e di costernazione, che era la miglior maniera di lasciare che l'argomento prosperasse.
(Da mio nonno, a Rambervillers, nei Vosgi, c'erano esattamente gli stessi ventilatori, in legno e in metallo, indifferentemente. Li si può ancora vedere smontati, imputriditi o rugginosi sotto la polvere, nella località chiamata La Tuilerie. Non vi erano camere a gas, pare, neanche durante l'occupazione tedesca! Questi ventilatori avevano a che fare con lo spolveraggio del grano e con il trasporto di questo nei silos. Ma una cosa non impedisce l'altra! E si può rivedere la storia. Rivederla in questo senso non è vietato dalla legge! Se ne possono aggiungere, di camere a gas. E io propongo quelle di Rambervillers!)
In ogni caso, l'argomento della corrosione mi appare del tutto inaccettabile, per la buona ragione che le camere a gas americane sono in acciaio. Se l'acido cianidrico, in date circostanze, attacca il metallo e dà, con l'atomo di ferro, dei cianuri, questi cianuri, contrariamente agli idrossidi di ferro (la ruggine), che migrano e che distruggono la struttura del metallo, sono stabili e proteggono il metallo sottostante. Del resto, la mia (piccola) duplicità si è rivelata inutile, in quanto non avevo immaginato che ciò che quel giorno mi veniva presentato come "prova" non era neppure stato installato!
Faccio grazia al lettore di qualche altra sbavatura architettonica» della medesima risma, e cioè tale che comunque non proverebbe niente, ma che, per di più, non ha avuto seguito e non è mai stata realizzata. E così pure sono lontanissimo dall'analizzare completamente le contraddizioni e le assurdità del libro di Pressac o le sue scoperte documentarie che entrano in contraddizione insormontabile con la vulgata sterminazionistica: un libro per pagina non basterebbe alla bisogna. Bisogna nondimeno analizzare un enorme sproposito» che Bischoff commette il 29 gennaio '43 indicando la Leichenkeller 1 del crematorio II come "Vergasungskeller" (locale [cave] da gassazione)210. » La nota 210 rinvia, come ci si poteva aspettare, alle carte del museo di Auschwitz. Il libro di Pressac non apporta nulla rispetto al precedente. Si tratta di un vecchio argomento, utilizzato in particolare da Wellers, e al quale, quindi, i revisionisti hanno risposto da un pezzo. E hanno risposto che a proposito di questa Vergasungskeller non avevano una risposta da dare che sia del tutto soddisfacente e definitiva, ma parecchie ipotesi plausibili.
A questo problema Faurisson dedica un capitolo, intitolato Vergasungskeller», della sua recensione (R. d'Hist. rév. », n. 3) del precedente libro di Pressac, Auschwitz:Technique and operation... , ma Pressac continua, come Wellers, a pretendere che la lettera di Bischoff indichi la Leichenkeller 1 come Vergasungskeller (espressione che egli traduce arbitrariamente locale da gassazioni omicide), laddove il documento non precisa nulla del genere. Ma, se questa "prova" avesse un qualsiasi valore, perché mai, allora, stare ad elucubrarne di molto meno buone, tra cui la designazione, da parte dell'operaio Messing nelle sue schede di lavori svolti per la Topf, della Leichenkeller 2, dove egli lavorò, con l'espressione Auskleiderungskeller? Pressac, a pag. 75, traduce guardaroba (vestiaire), dopo avere, a pag. 74, tradotto con maggiore esattezza spogliatoio (cave à déshabillage). Il tutto, inframmezzato di racconti di gassazioni la cui fonte è... il Kalendarium, per dedurne che La sera, redigendo la sua attestazione di tempo di lavoro settimanale e ancora sotto lo shock per quello che aveva visto, Messing lanciò una bottiglia in mare annotando che, i giorni 8, 12 e 14, aveva lavorato, non nella Leichenkeller 2 , ma nello spogliatoio II [documento 34]. » Niente indica che Messing fosso sotto shock». È semplicemente Pressac che ce lo dice. E lo deduce dalla sua personale conclusione!Eppure, come avrebbe potuto, l'operaio Messing, non essere sotto shock, dopo aver fatto la scoperta che Pressac ha appena fatta e che gli attribuisce?!... Perché l'impiego dell'espressione spogliatoio proverebbe che l'operaio voleva far sapere che la Leichenkeller 2 era di fatto un guardaroba in cui gli ebrei si spogliavano prima di entrare nella camera a gas! A Pressac non è venuto in mente che l'operaio Messing, che lavorava nel sottosuolo del crematorio che iniziava a funzionare, doveva distinguere i diversi luoghi in cui lavorava. Tutti i sotterranei erano, sul piano comune, globalmente presentati come l'obitorio» (Leichenkeller: locale per cadaveri. Leichen = cadaveri, in tedesco). Egli, quindi, con la parola Auskleiderungskeller (se è proprio questo che è scritto nel documento 34, perché la cosa non è evidente), doveva indicare la sala in cui venivano spogliati i cadaveri, che poi venivano stoccati nell'altra sala, la porta della quale era stagna, per evidenti ragioni di igiene.
Ma il colmo pare essere lo sproposito» dell'impiegato Järhling e l'induzione pressacchiana, che vale la pena citare: In quest'occasione l'impiegato civile Järhling commise uno sproposito straordinario in una lettera destinata alla Testa. Egli indicò le camere a gas da spidocchiamento come "Normalgaskammer", parola sottolineata e chiusa tra virgolette, come se esistessero camere a gas "normali" e altre "anormali"» (pag. 89). E subito il nostro procuratore annusa il delitto e la camera a gas omicida. Lo suggerisce poche righe più avanti, ma senza dirlo chiaramente. Tuttavia l'accusa è resa esplicita dal fatto che egli parla di sproposito straordinario». Il ragionamento appare talmente tirato per i capelli che verrebbe da sorridere , ma il colmo dei colmi è che nella stessa pagina Pressac distrugge lui stesso il proprio ragionamento. Siamo al capitolo XI, dal titolo Orrore, Meschinerie e Sbandamento Finale». Questo capitolo, parallelamente al romanzo tratto dalla vulgata, contiene soprattutto preziose informazioni sullo sforzo di spidocchiamento, sui tre tipi di camere di spidocchiamento installate a Birkenau e su tentativi compiuti per sostituire lo Zyklon-B, troppo pericoloso, con un altro gas, l'Arginal, la cui utilizzazione richiedeva un adattamento dell'apparecchiatura delle camere a gas280. » Ed ecco dov'è che Pressac distrugge il proprio ragionamento: La denominazione (Normalgaskammer) fu ripresa dalla Testa, che affermava anzitutto che la conversione all'Arginal non era obbligatoria se non nel caso di installazioni nuove, e insisteva soprattutto perché il personale che si occupava delle camere a gas normali (!!!???) ad acido cianidrico fosse particolarmente ben preparato,... » È chiaro che per l'impiegato civile Järhling, come per la Testa che gli risponde, Normalgaskammer» indica la camera di spidocchiamento classica, a Ziklon-B, in opposizione alle nuove camere di spidocchiamento all'Arginal o ad onde corte, e non già in opposizione a mitiche camere a gas omicide.
A pag. 91 Pressac ci ritira fuori le sciocche fosse ardenti e ci parla della riattivazione del Bunker 2 in rapporto all'eliminazione di 200-300.000 ebrei ungheresi che iniziò in maggio e giugno 1944», perché bisogna pure inventare una cosa qualsiasi quando, per non ridurre alla disperazione i gran sacerdoti, si accettano senza controllo cifre demenziali dalla vulgata; ma in questa medesima pag. 91 si impara che Pohl dovette (non se ne ha neanche la certezza! né, naturalmente, la prova) comprendere che la sua amministrazione aveva trasgredito all'etica corrente e che ne sarebbe stata stigmatizzata. » Siamo al 15 giugno del '44 e Oswald Pohl è uno dei capi della SS e aggiunto di Himmler! Pressac non si è accorto che, per una volta, il calendario di Danuta Czech riconosceva l'arrivo ad Auschwitz solo di una cinquantina di convogli ungheresi, e che si hanno molteplici prove del fatto che alla frontiera la Wermacht ha fatto scendere dai treni numerosi inadatti» ai quali ha imposto di ritornare a piedi a Budapest, episodio crudele su cui esistono molte testimonianze. E a pag 147, in uno studio allucinante sul Numero degli ebrei ungheresi arrivati ad Ausch-witz e loro tasso di mortalità», in cui Pressac moltiplica almeno per dieci o per venti l'effettiva capacità di cremazione del complesso di Auschwitz, egli annienta la propria tesi rivelando: Così è conservato allo Yad Vashem uno schedario proveniente dal campo di Stutthof (presso Danzica) con i nomi di 40-50. 000 ebree ungheresi che furono spedite da Auschwitz nel giugno 1944. Esse furono poi distribuite in diversi campi, là dove la manodopera mancava. »
Forse questa informazione fondamentale e la documentazione sull'installazione di camere a gas di spidocchiamento nella piccola casa colonica battezzata Bunker 2 sono i soli elementi importanti di tutto il libro ignoti ai revisionisti (io, almeno li ignoravo), e questi due elementi vanno totalmente nel senso delle tesi revisionistiche... se si separa l'informazione dalla sua ganga "obbligata" di pathos olocaustico. Quaranta-cinquantamila ebree ungheresi che transitano per Auschwitz nel giugno del '44, e che poi vengono ritrovate vive! Ciò sarebbe sufficiente a distruggere la leggenda sterminazionistica edificata intorno alla deportazione, reale ma straordinariamente gonfiata, di una parte della popolazione ebraica dell'Ungheria.
Lasceremo, del resto, da parte, eccezion fatta per una breve notazione, l'allegato 2, che consiste in cinque deliziose pagine su Il numero dei morti nel KL Auschwitz-Birkenau» e che richiederebbe una specifica esegesi. Rileviamo soltanto che il muro del milione di vittime ad Auschwitz, al quale Klarsfeld teneva tanto, è sfondato all'indietro poco dopo la caduta del muro di Berlino. Siamo passati dai più di quattro milioni» di cui alle 19 lapidi del monumento internazionale, che sono state tolte, a 800.000, secondo Pressac. Et ce n'est qu'un début... Ricordiamo che i revisionisti, che per anni si rifiutavano di formulare una cifra qualunque, in attesa di veder chiaro in una questione che si era fatto a gara ad imbrogliare, dichiarano fermamente, nettamente, che il numero dei morti ad Auschwitz, calcolando insieme tutte le cause di morte e tutte le nazionalità, si eleva a 130.000 circa.
Passeremo alla svelta sulle ventilazioni della Leichenkeller, che solo abbastanza timidamente vengono presentate come prova di gassazioni omicide. È indiscutibilmente Pressac che ha recato più documenti, accertato più dettagli ed effettuato, e di gran lunga, più ricerche su queste ventilazioni, delle quali senza di lui si ignorerebbe suppergiù tutto e delle quali, invece, non si ignora più suppergiù nulla.
Intorno a queste aerazioni si cominciava a costruire tutto un melodramma sterminazionista e gassatorio, ma Pressac ci rivela la loro presenza su piani di molto anteriori alla deriva criminale che egli crede di avere scoperta. La potenza dei motori elettrici che attivavano i ventilatori è del tutto banalela banale e necessaria ventilazione di banali obitori. Si noti, comunque, che prima di Pressac i gran sacerdoti dello sterminazionismo ci domandavano di credere che le Leichenkeller 1 dei crematori II e III erano state delle camere a gas prima di ogni seria ricerca sull'esistenza di una ventilazione di queste sale! Ad ogni modo Pressac scopre gli altarini a pag 71 s. del suo libro: Le SS volevano verificare se la potenza di ventilazione della Leichenkeller 1 avrebbe compensato la sua disposizione di origine, aerazione alta e disaerazione bassa prevista per un obitorio, e che avrebbe dovuto essere invertita per una camera a gas, che richiede aerazione bassa e disaerazione alta. Sander e Prüfer risposero così il 2 marzo [documento 28]:» La "risposta", come si potrà constatare leggendo il documento 28, non ha rapporto alcuno con questo problema del senso della ventilazione, sul quale Pressac non insiste... ma una volta di più annienta l'idea che la Leichenkeller in questione abbia potuto mai venire utilizzata per gassare esseri umani ad un ritmo sostenuto con Zyklon-B, per l'evidente ragione che l'introduzione di acido cianidrico in questa enorme sala (30 x 7 = 210 metri quadrati) nel sottosuolo, senza nessun'altra apertura oltre alla porta d'accesso, nel sottosuolo anch'essa, e ventilata come un obitorio, sarebbe stata pericolosa e avrebbe determinato la completa indisponibilità del fabbricato per più giorni di indispensabile aerazione.
Ma la lettera della Topf del 2 marzo '43, se anche non risponde a questo problema di aerazione, è il nocciolo duro del libro di Pressac. Ecco finalmente la prova che si cercava disperatamente, ecco il documento che distrugge i revisionisti!Pressac lo dice esplicitamente: La Bauleitung ricevette la lettera il 5 marzo. Questo documento costituisce la prova definitiva dell'esistenza di una camera a gas omicida nel crematorio II. »
Questo documento è tanto importante nell'economia del libro di Pressac che forma l'oggetto di una riproduzione in facsimile e di una traduzione (pag. 72). D'altronde, in questo, Claude Lanzmann, nel Nouvel Observateur», ha visto bene. Egli attacca Pressac, che considera non abbastanza rispettoso della sacralità della Mémoire» (sentite: La Mémmouharre»), ma non sputa su un documento quando, per eccezione, può trovarne uno. Non v'è nulla nell'immenso articolo dell' "Express" che non sia arcinoto -- scrive, dunque, nel Nouvel Observateur» -- se si eccettua il documento della ditta Topf un Söhne sui rivelatori di gas». Studiamo, allora, questo documento così come, traducendolo, ce lo presenta Pressac:
Oggetto: Crematorio [II], Rivelatori di gas
Erfurt, 2. 3. 43
Accusiamo ricevuta del vostro telegramma
che dice:
Invio immediato di 10 rivelatori di gas come
convenuto. Preventivo da fornire in prosieguo».
A questo effetto, vi comunichiamo che, già da 2 setti-
mane, abbiamo richiesto presso 5 ditte differenti l'ap-
parecchio che voi desiderate indicante i resti di aci-
do cianidrico [Anzeigegeräte für Blausäure-Reste].
Da 3 ditte abbiamo ricevuto risposta negativa e aspettia-
mo ancora le risposte delle altre 2.
Quando riceveremo un'informazione a questo riguar-
do, ve lo faremo sapere immediatamente affinché pos-
siate mettervi in relazione con la ditta che fabbrica que-
sto apparecchio.
Heil Hitler!
J. A. TOPF & SÖHNE
per procura, Sander
per delega, Prüfer
Questo documento è estremamente sorprendente, ma è ancora più sorprendente che lo si presenti come la la prova definitiva dell'esistenza di una camera a gas omicida nel crematorio II. » Vi si scopre che la Bauleitung SS, pochi giorni prima dell'entrata in funzione del crematorio II, e quando gassazioni intensive sarebbero state praticate da più mesi alle piccole case coloniche del Birkenwald, non avrebbe ancora risolto il problema degli apparecchi indicanti i resti di acido cianidrico». Ci si domanda, d'altro canto, come una risposta negativa di un fornitore potrebbe costituire una prova -- e una prova di che, precisamente? Al più, una prova di intenzione, non una prova di realizzazione!
Per di più, questi strumenti che la Topf non sa dove procurarsi sono del tutto correnti e necessari nel caso di gassazioni di disinfezione, che erano praticate di continuo ad Auschwitz, nei fabbricati e nelle camere di disinfezione per i vestiti. Pressac, del resto, ci dice che il 95 per cento dello Zyklon-B consegnato ad Auschwitz serviva per queste gassazioni di disinfezione. Faurisson menziona questi strumenti in Mémoire en défense contre ceux qui m'accusent de falsifier l'histoire (La Vieille Taupe, 1980, pag. 171) nella traduzione integrale che dà del documento NI-9912. Non si vede in che modo la consegna di questi apparecchi proverebbe degli omicidi a mezzo di gas. A maggior ragione non si vede cosa proverebbe una non consegna. Questo interrogativo sulla psicologia dell'accusa induce ad alzar le spalle, ma non elimina l'interrogativo sul documento stesso. Come può il telegramma della Bauleitung scrivere come convenuto», se la Topf risponde in una maniera che induce a chiedersi cosa fosse convenuto? Come ha potuto la Bauleitung, in gennaio o febbraio del '43, sbagliarsi di fornitore e indirizzarsi alla Topf, costruttrice di crematori, per ottenere un apparecchio normalmente fornito dalla Degesh e obbligatorio per procedere alle gassazioni di disinfezione? E, inoltre, come mi ha fatto rilevare Henri Lewkowicz, cui sono debitore di molte altre osservazioni pertinenti sugli elementi che figurano nell'originale e che Pressac trascura, questa lettera datata 2 marzo 1943, firmata, per delega, da Prüfer, arriva ad Auschwitz il 5 marzo (Eingang: 5. MRZ 1943»).
Ebbene, a pag. 72, rigo 27, Pressac scrive: Schultze si recò ad Auschwitz il 1o marzo [... ]. Il 4 fu raggiunto da Prüfer,... » Bisognerebbe quindi credere che Prüfer e la direzione della Topf (Sander) decidessero di affidare alla carta, e alla dattilografa, e agli imprevisti delle poste di un paese in guerra, e al servizio postale centrale, un documento che stabiliva la loro complicità in un delitto abominevole e mostruoso, che è anche il segreto più segreto tra i segreti del Reich. L'avrebbero fatto senza particolari precauzioni, coscienti di quel che scrivevano -- altrimenti tutta la tesi di Pressac crolla --, proprio nel momento in cui Schultze, lui stesso in prima fila tra gli iniziati a queste questioni (si veda pag. 74 e la biografia, pag. 137), si trovava sul posto ad Auschwitz. E Prüfer avrebbe firmato questa lettera proprio quando era lui stesso sul punto di partire per Auschwitz, dove arriverà prima di essa.
Ero a questo punto nelle mie riflessioni su La prova definitiva». La mia ignoranza del tedesco non mi consentiva per niente di andare più lontano. Quanto sopra era sufficiente per respingere la prova, ma non permetteva di spiegare questa lettera improbabile. Fu allora che ricevetti da un'amica tedesca, antifascista, revisionista da poco tempo, ma tanto più combattiva, un testo in tedesco che essa fece tradurre, per maggior sicurezza, da un germanista, traduttore di professione. La traduzione mi è giunta il primo febbraio.
Ecco il testo:
La preuve définitive [in francese nel testo] dell'esistenza di una camera a gas nel campo di concentramento di Auschwitz, Jean-Claude Pressac crede di averla trovata. Come si può verificare nel suo libro Les Crématoires d'Auschwitz... , pag. 72, vede questa prova in una lettera indirizzata alla direzione centrale dell'edilizia della Waffen-SS e della polizia» dalla ditta Topf & Söhne [Topf e figli] di Erfurt, che si occupava della costruzione dei forni crematori ad Auschwitz.
Secondo il testo di questo documento datato 2 marzo 1943, la casa Topf & Söhne risponde ad una richiesta di forniture formulata per telegramma dalla direzione dell'edilizia. Tuttavia questo testo presenta diverse particolarità che costringono a porre fortemente in dubbio la sua autenticità. Prima singolarità, questa lettera riproduce integralmente il telegramma ricevuto, il che è piuttosto assurdo, dato che i destinatari dovevano conoscerne perfettamente il contenuto. In un caso simile, basta -- ed è questo, del resto, l'uso -- confermare senz'altro la ricezione del telegramma della data tale. Inoltre, questo telegramma è redatto in un tedesco singolare:
Inviate voi [Envoyez-vous] subito 10 esaminatori di gas come convenuto. Far seguire ulteriormente un'offerta di costi».
[Nota del traduttore dal tedesco in francese: esaminatore di gas» e offerta di costi» sono equivalenti letterali dei termini composti originali. Con envoyez-vous» ho tentato di dare un equivalente dell'effetto che è prodotto dall'errore (che nessun tedesco farebbe né lascerebbe mai passare) consistente nell'adoperare absendet come imperativo alla seconda persona plurale, mentre questa forma non si può incontrare in tedesco se non alla fine di una proposizione subordinata -- da cui la domanda che qui di seguito formula l'autrice:]
In quale rapporto grammaticale si trova absendet»? E che cosa significa un'offerta di costi»? Mi si indichi il paese in cui, nel corso di una transazione, si offrono i costi! È una formula che non ha il suo posto nel tedesco degli affari. Senza dubbio, si tratta di una traduzione troppo fedele da un'altra lingua. Astrazion fatta da offerta», il concetto stesso di costi» è misterioso, in questo contesto sarebbe fuor di proposito. All'atto di una consegna, gli operatori della transazione normalmente parlano di prezzo (mentre allo stadio di progetto si stabilisce un preventivo di stima [letteralmente stima preventiva dei costi»]); ma che si offrano i costi, questo non si è mai visto.
Altrettanto curiosa la parola esaminatore di gas»: forse della sua composizione? o della sua densità? [Nota del traduttore dal tedesco in francese: da segnalare un'altra connotazione forte di questa curiosa parola composta: Weinprüfer, degustatore di vini». ] La fabbricazione di una parola siffatta indica ignoranza totale del mestiere. Ci si sarebbe aspettati strumento di controllo dei residui» o misuratore di residui» o un'altra formulazione del genere. Si è trattato soltanto di mettere la parola gas» sotto il naso del lettore, ben disposto, di questo documento? A meno che questa direzione centrale della Waffen-SS e della polizia» non abbia incaricato di curare la corrispondenza un deportato che non aveva se non una insufficiente padronanza della lingua e non abbia fatto spedire un telegramma in un tedesco da cucina.
È, dunque, con una certa stupefazione che si constata, leggendo i passi della lettera della Topf & Söhne, che pure essi hanno dovuto essere redatti da uno straniero. Vi si può leggere:
Se riceviamo una comunicazione in questo affare, ci avvicineremo a voi subito, [... ]». La formulazione [in tedesco, nota del trad. in francese] tradisce, o lascia sperare, una certa intimità [che la traduzione di Pressac sopprime, nota del trad. in francese]. È certo che un avvicinamento può essere vantaggioso nella vita economica, ma in una corrispondenza commerciale l'espressione sorprende.
Anche qui si potrebbe trattare della traduzione letterale di una formula usuale in polacco, o in russo, in yiddish, in inglese, ecc.
Che i nostri costruttori di forni attraversassero un momento difficile, che essi descrivono con precisione: Abbiamo ricevuto annullamenti di ordini da tre ditte, e altre due non ci hanno ancora risposto», è cosa che in sé non ha niente di sorprendente. Nondimeno, queste confidenze sembrano un po' eccessive: non si vede perché la direzione edilizia del campo di concentramento avrebbe dovuto interessarsi ai problemi di tutte le ditte che ricevevano annullamenti di ordini» o alle quali non si era ancora risposto». Forse è la paura ispirata dall'onnipotenza SS che ha condotto l'autore di questa lettera ad esporre in dettaglio i problemi della sua impresa.
Notiamo in margine che evidentemente la macchina da scrivere adoperata presso la Topf & Söhne non aveva la lettera "ß" [lettera caratteristica del tedesco; l'unica lettera gotica conservata da quando è stato ufficialmente adottato l'alfabeto latino, nota del trad. in francese]: probabilmente si trattava di un bottino di guerra, portato dalla Francia o dalle isole anglo-normanne.
Ma la domanda principale è questa: perché la direzione edilizia doveva incaricare la ditta di Erfurt, specializzata nei forni, di consegnarle questi esaminatori di gas»? Perché non si è rivolta ad un fabbricante di materiale da laboratorio? Che a quell'epoca lo Ziklon-B sia stato adoperato massivamente da diversi servizi tedeschi, così come nel campo di concentramento di Auschwitz, per la disinfezione dei baraccamenti, dei tessili, ecc. , nessuno storico lo contesta. Il problema della rivelazione della presenza dei residui ha perciò dovuto porsi -- ed essere risolto in ciascun caso -- molto prima del 2 marzo 1943. Che questo problema abbia dato filo da torcere alla SS solo nel 1943 e che, inoltre, i nostri installatori di forni abbiano potuto tenerla [la SS] sulla corda per un certo tempo, tutto questo supera l'immaginazione.
Se è permesso presentare anche una sola volta una "prova decisiva", nel caso specifico la prova che questo pezzo di scrittura è un falso -- e poco importa la sua provenienza, KGB o CIA --, eccola: gli accusatori alleati di Norimberga hanno registrato sotto il numero NI-9912 un documento, trovato al servizio spedizioni della Degesch, che regolamenta fin nei minimi dettagli il maneggiamento dello Zyklon-B. Si intitola Direttive concernenti l'utilizzazione dell'acido cianidrico (Zyklon) per sterminare i parassiti (disinfezione). Secondo tali direttive (punto VI: Equipaggiamento), ogni squadra di disinfezione deve essere provvista, tra le altre cose, di 1 Gasrestenachweisgerät» letteralmente uno strumento di rivelazione della presenza dei residui di gas». Questo termine di Gerät [utensile», strumento», apparecchio», ecc. ] appare del resto come leggermente esagerato in rapporto a ciò di cui si tratta. Si può leggere, infatti, al paragrafo XIV (Revoca definitiva della proibizione di utilizzare il locale gassato), punto V:
Metodo relativamente semplice, quindi; molto probabilmente, i Gasrestenachweiesgerät erano compresi nelle consegne di Zyklon-B, e gli esaminatori di gas», pretesamente cercati con tanta difficoltà dalla casa Topf & Söhne, non esistevano.
Pressac avrebbe dovuto conoscere l'intervista del professor Faurisson apparsa nel 1979 in Storia illustrata», in cui egli rimanda proprio a questo documento NI-9912. Pressac si sarebbe accorto, allora, che il contenuto della lettera da lui citata come documento 28» riprodotto in facsimile nell'edizione francese è assurdo; che in nessun caso può, dunque, trattarsi di una prova definitiva», ma secondo ogni verosimiglianza di un falso in più.
Andreas Röhler
Se la lettera che costituisce il cuore del libro di Pressac e la prova definitiva» dell'esistenza delle camere a gas si rivelasse un falso, emanante probabilmente dagli onesti storici umanisti dello SMERSH al tempo della loro "inchiesta" sulla Topf, questo, evidentemente, sarebbe il nec plus ultra.
I tedeschi che ho consultato mi hanno dichiarato che a loro la dimostrazione pareva irrefutabile. Ma gli argomenti a favore dell'autenticità della lettera sono i benvenuti. Non abbiamo una concezione dogmatica della ricerca.
Se la lettera risultasse autentica, e se i Gasprüfer» rappresentassero una prova di gassazioni omicide, la loro assenza attestata il 5 marzo del '43 annienterebbe la tesi delle gassazioni omicide pretesamente praticate a partire da dicembre del '41 e gennaio del '42 dalle SS!
Adesso vorrei narrare un aneddoto.
Ad una data che non posso più precisare, ma che si colloca nel 1985, '86 o '87, quando il libro americano di Pressac non era apparso, ho avuto comunicazione di un piccolo bollettino che conteneva la testimonianza di una SS di Auschwitz (si trattava, credo, del bollettino della FANE, di Marc Fredriksen, ma l'ho perduto). Questa SS, alla fine del '42, verso la fine dell'epidemia di tifo e prima dell'entrata in servizio dei crematori di Birkenau, aveva preso parte allo scavo di una fossa nel Birkenwald nella quale era stato seppellito un certo numero di corpi di vittime dell'epidemia, nell'ordine di 200. Al principio del '43 i corpi, in parte conservati dall'inverno polacco, erano stati dissepolti e i resti erano stato bruciati fin dall'entrata in funzione dei crematori. Le SS, che erano state soverchiate dalle conseguenze dell'epidemia, temevano la contaminazione della falda freatica, vicinissima alla superficie del suolo.
Questa testimonianza era fondamentale. Confermava la presenza di una fossa nel Birkenwald e il fatto che dei deportati erano stati impiegati per scavarla, poi altri deportati per esumare i cadaveri, esperienza traumatizzante che in un universo carcerario poteva far nascere delle voci. Ma questa testimonianza inficiava sia lo sterminio degli ebrei nel Birkenwald, sia l'esistenza di fosse di incinerazione in cui sarebbero stati bruciati decine di migliaia di corpi.
Il mioDroit et Histoire era già apparso. Avevo, quindi, già rese pubbliche la mia versione dei rapporti che Faurisson e io avevamo avuto con Pressac e la mia valutazione molto critica del personaggio. Le mie relazioni con Pressac, che era diventato l'"esperto" della parte avversa, erano fredde, ma rimanevano cortesi. Gli telefonai per chiedergli cosa ne pensasse.
Lui era di ritorno da Auschwitz (e quindi può datare questa conversazione telefonica). Le tracce della fossa esistevano, eccome. Era stata riempita, ma sul luogo sussisteva una leggera depressione il cui centro era occupato, al momento in cui vi era stato lui, da una pozzanghera. Le autorità del museo conoscevano l'esistenza di questa fossa e la sua storia effettiva, che corrispondeva alla testimonianza che avevo sotto gli occhi e che Pressac non conosceva (per lo meno, così mi disse). Mi diede il luogo esatto e le dimensioni. Tutto corrispondeva alla testimonianza. Gli domandai, allora, cosa pensasse delle fosse di incinerazione. Sapeva perfettamente cosa ne pensavo io (impossibilità totale). Egli dichiarava che erano esistite. Non ne restava traccia alcuna... Forse nell'area del crematorio IV o del V».
Ora, l'eliminazione delle tracce, nella misura in cui fosse stata possibile (e che fosse possibile rimane estremamente dubbio), avrebbe necessitato di considerevoli lavori di raschiamento del suolo e dei residui, seguiti da altri di sterro che avrebbero, essi, lasciato tracce... , le tracce del passaggio dei cancellatori di tracce, con rischi di sbavature materiali ben altrimenti difficili ad evitarsi e ad eliminarsi che non le sbavature» della Bauleitung.
Racconto l'aneddoto perché mi pare metta in evidenza il funzionamento mentale di Pressac, o, piuttosto, l'arrestarsi di tale funzionamento quando le conclusioni che sembrano discendere logicamente dalle premesse sono suscettibili di procurargli delle "bastonature", cioè i fulmini dell'autorità, quale che essa sia. Soprattutto, Pressac non vuole noie con l'autorità! (E debbo dire che da questo punto di vista non manovra per niente male).
Ma avevo annunciato che collocavo alla fine l'analisi del primo capitolo, intitolato La Preistoria dell'Incinerazione nei Campi di Concentramento». Questo titolo è curioso. Ciò che differenzia la preistoria dalla storia è, allo stesso tempo, il suo oggetto e la sua metodologia, dovuta precisamente al fatto che la preistoria si occupa dello studio delle società umane che non hanno lasciato tracce scritte. Nel caso specifico, quindi, si tratta di un' utilizzazione impropria della parola. Di fatto, si tratta, in questo primo capitolo, degli inizi dell'incinerazione nei campi. Gli inizi della storia o la storia degli inizi. Poco importa. Nella testa di Pressac la preistoria è la storia di ciò che si situa prima... della storia che ci racconterà e che è il tema del suo libro: l'incinerazione ad Auschwitz.
Non si potrebbe dire in modo migliore che il vero tema del libro è l'incinerazione e che il preteso assassinio di massa» non è altro che un'aggiunta di riporto. Se Pressac credesse sul serio a ciò che nondimeno racconta, vale a dire che i crematori siano effettivamente stati il luogo in cui si dissimulava un massacro sistematico di popolazioni, avrebbe dedicato il suo primo capitolo alla "preistoria" delle esecuzioni di massa, ai metodi di esecuzione prima... di quello che costituisce il motivo di fondo del suo libro. In effetti, il titolo del primo capitolo e il suo contenuto costituiscono delle confessioni implicite da parte di Pressac del fatto che il suo libro non contiene veramente ciò che è reputato contenere e ciò per cui esso viene celebrato dai media. Ma per di più questo primo capitolo, che non contiene meno enormità degli altri, comprende un passo di quindici righe che rivela integralmente il metodo Pressac e che dà la chiave dell'opera e degli artifici da illusionista adoperati dall'autore.
Prima di studiare queste quindici righe ricordiamo che Auschwitz era un campo di concentramento in cui centinaia di migliaia di deportati sono entrati e da cui centinaia di migliaia di deportati sono usciti. I deportati che non sono usciti dal campo sono morti sul posto. Nel sito di Auschwitz non si è ritrovata fossa comune o carnaio. A dispetto di alcuni tentativi di presentare arbitrariamente come tracce di un massacro i corpi di deportati deceduti, tra gli invalidi lasciati sul posto, tra la partenza dei tedeschi, 18 gennaio 1945, e l'arrivo dei sovietici, 27 gennaio 1945, tutti, sterminazionisti e revisionisti, convengono che la totalità dei morti ad Auschwitz sono stati incinerati in un modo o nell'altro. Indipendentemente da ogni discussione sulle cause e le responsabilità della morte, è quindi possibile concludere che il numero dei morti coincide con il numero delle cremazioni effettuate, che è necessariamente inferiore alla capacità teorica massima delle installazioni. Questa capacità teorica massima è una questione puramente tecnica e non dovrebbe suscitare nessuna difficoltà. Quanto al numero di cremazioni effettivamente eseguite, il consumo di combustibile sembra essere l'elemento decisivo per farsene un'idea, in assenza di altri elementi. In questo libro Pressac non ha riprodotto le informazioni disperse nel suo libro americano a proposito della fornitura di coke ai crematori. Ad Auschwitz stessa egli aveva trovato fatture concernenti diversi periodi. Sarebbe sorprendente se le carte trovate a Mosca non contenessero nulla del genere riguardo ad altri periodi. Quanto alle fosse di incinerazione -- di cui pensiamo che non siano state inventate se non per mascherare l'evidente insufficienza dei crematori installati rispetto alla vulgata olocaustica --, esse risolvono la difficoltà solo in apparenza, perché una cremazione all'aria aperta necessiterebbe in ogni modo di quantità infinitamente più rilevanti di combustibile. L'installazione di crematori non si giustifica se non nella misura in cui essi consentono di economizzare tempo ed energia.
E qui, incidentalmente, si tocca una nuova assurdità. Se le fosse funzionavano tanto bene, perché aver costruito dei crematori che costano carissimi e perché aver poi fatto funzionare le fosse quando i crematori non funzionavano a pieno rendimento, come provano certi documenti esibiti da Pressac stesso?Si può concepire un contadino che investa somme considerevoli in una mietitrice-battitrice e nondimeno continui ad usare la falce per mietere più della metà del suo campo? In tutti i casi, la questione puramente tecnica delle capacità di cremazione mediante l'uno o l'altro dei mezzi allegati e la questione puramente materiale della quantità di combustibile effettivamente adoperata dovrebbero permettere di risolvere definitivamente la controversia.
Nel suo libro americano patrocinato dalla coppia Klarsfeld Pressac forniva indicazioni documentarie abbastanza dettagliate sulle quantità di coke consegnate ai crematori durante periodi significativi. Anche se a Mosca Pressac non ha scoperto nessuna informazione complementare, ci si spiega male la scomparsa di ogni riferimento a questa documentazione fondamentale nel suo libro francese, patrocinato questa volta da Bédarida... A meno che Pressac non volesse mettere alla disperazione Billancourt [* Billancourt è la località della banlieue parigina in cui avevano sede le officine Renault, feudo della CGT e del PCF e simbolo delle lotte operaie. Con una formula divenuta celebre in Francia, Sartre aveva giustificato i suoi silenzi su alcune delle realtà dello stalinismo e il suo servilismo nei riguardi del PCF pretendendo di aver agito così pour ne pas désésperer Billancourt». Richiamando Billancourt, dunque, l'autore mette allusivamente in risalto che la compiacenza di Pressac nei confronti degli intellettuali è dello stesso stampo di quella che Sartre manifestava pretestuosamente nei confronti degli operai], e, come dice lui stesso: Capitemi, Guillaume, qui ero obbligato; capitemi, questo non poteva passare».
Ora, nel primo capitolo Pressac tocca incidentalmente la questione della quantità di combustibile necessaria per la cremazione di un corpo! La tocca a proposito di un forno previsto nel 1937 a Dachau e che alla fine non sarà installato! Ma poco importa, Pressac sta per consegnarci in quindici righe la chiave del suo libro sui crematori e sull'assassinio di massa. Ecco queste quindici righe: Scaldato con il coke, il suo consumo dipendeva dalla sua utilizzazione, a seconda che fosse saltuaria o continuativa. Il forno freddo abbisognava di 175 kg. di coke per effettuare una prima incinerazione, mentre, se aveva già funzionato il giorno prima, erano sufficienti 100 kg. soltanto. Il costruttore, sottintendendo così la possibilità di cremare cadaveri in serie, indicava che la seconda e la terza incinerazione non
richiedevano altro combustibile e che le successive si potevano eseguire quasi senza apporto di combustibile, unicamente per immissione d'aria nel vano d'incinerazione. Valutava ad un'ora e mezza la durata di cremazione di un corpo di 70 kg. in una bara di legno di 35 kg. (4) Partendo da questi dati, le SS ne dedussero che cremare un corpo senza bara permetteva di guadagnare mezz'ora e che, il mattino, 100 kg. di coke erano loro sufficienti per ridurre in cenere una ventina di corpi nel corso della giornata. »
Queste righe (quindici nella composizione tipografica originale) sono il capolavoro di Pressac. A proposito di un progetto del 1937 rimasto senza seguito, egli ci spiega imperturbabile,
al termine di un ragionamento discorsivo assolutamente bislacco e del tutto falso, ma che nondimeno ha successo, che, là dove il costruttore indica che occorrono 175 kg. di coke per incenerire un solo corpo a partire da un forno freddo, e soltan-to 100 kg. se l'installazione è rimasta preriscaldata a seguito di una precedente utilizzazione, le SS ne deducono che in media ne occorreranno loro... 5 kg. !!! per bruciare un corpo. Naturalmente, non esiste da nessuna parte la minima traccia che le SS abbiano fatto un ragionamento del genere. (Ma questo dimostra, in ogni caso, che, dal momento che si parla delle SS, si può raccontare qualsiasi cosa, e anche che, se occorre un'ora e mezza per bruciare un corpo di 70 kg. in una bara di legno di 35 kg. , occorrerà un'ora per bruciare un corpo senza bara, ossia 70 kg. di materia in luogo di 105: i due terzi di materia, dunque i due terzi di tempo [!?]. Come volevasi dimostrare!!!)
Per chiarire bene le idee: i crematori installati ad Auschwitz funzionavano ad una temperatura massima di 800-850 gradi. Occorre circa un'ora e mezza per incenerire un corpo in un forno preriscaldato. Tra due cremazioni, prima di aprire la porta della muffola e introdurre un nuovo corpo, occorre chiudere le valvole di immissione d'aria per poter progressivamente ridurre la temperatura fino ad un livello che permetta di realizzare le operazioni necessarie. Gli ostacoli tecnici fanno sì che sia impossibile procedere ininterrottamente a cremazioni senza provocare gravi deterioramenti. Di tanto in tanto bisogna fermarsi e lasciare che l'installazione si raffreddi. Per questo insieme di ragioni la quantità di carbone necessaria per bruciare un corpo è variabile, ma nell'ipotesi di una gestione ottimale occorre, in media, un minimo di 40 kg. di coke per bruciare un corpo, e una stessa muffola può realizzare al massimo una media di sei incinerazioni in 24 ore. Tali, per lo meno, sono le conclusioni alle quali noi, i revisionisti, eravamo giunti al termine di molteplici confronti di documenti e di pareri di esperti. Quando il libro americano di Pressac mi venne recapitato per volere di lui, malgrado l'opposizione dell'editore (Klarsfeld), subito interrogai telefonicamente l'autore sulle sue riflessioni riguardo alle consegne di coke ai crematori. A quel tempo le lapidi di bronzo del monumento di Auschwitz che parlavano di quattro milioni di uomini, donne e bambini [che] sono stati torturati e assassinati dai genocidi hitleriani» erano state rimosse e si progettava di sostituirle con nuove lapidi che avrebbero parlato di Più di un milione di uomini, donne e bambini, in maggioranza ebrei, [che] furono qui assassinati» (Revue d'Histoire révisionniste, n. 3). L'onda d'urto revisionista aveva cominciato a produrre i suoi effetti, ma Klarsfeld non voleva ancora scendere al di sotto del milione e mezzo di morti... Insomma, Guillaume, mi capite?» Io, dunque, gli domandavo: Ma, insomma, a vostro avviso quanto coke occorre, in media, per bruciare un corpo?» La risposta fu immediata: Arrivo a due chili!» All'epoca, in base alle informazioni che erano filtrate sul contenuto del libro dei morti e a seguito di deduzioni diverse, i revisionisti, nel caso specifico Faurisson, erano arrivati a pensare che il numero reale dei morti di Auschwitz avrebbe potuto essere stato di 75. 000. Questa cifra, che stupiva noi per primi, non la menzionavamo in pubblico e la evocavamo solo facendo le più espresse riserve. E all'improvviso Pressac veniva a confermarla in maniera del tutto inattesa. Infatti, tra 75. 000 e 1. 500. 000 il moltiplicatore è 20. Tra i 2 kg. di Pressac e i 40 kg. secondo me incomprimibilmente necessari, il moltiplicatore è 20. Non occorreva cercare oltre. Era la conferma... inattesa... che Pressac ci forniva: la quantità di coke consegnata ai crematori confermava esattamente le deduzioni che i revisionisti avevano fatte per altre vie... !
Qualche tempo dopo, relativamente ad Auschwitz, Pressac cominciava la discesa valendosi di parecchi gradini di sicurezza. Unmilionecentomila... Ottocentomila... Settecentomila... la discesa si fa più rapida. Nell'edizione tedesca del suo libro (marzo '94) il numero dei morti ad Auschwitz è valutato da 630. 000 a 710. 000». Ma fin dall'epoca dell'edizione francese, nella quale avanzava la cifra di 775. 000 arrotondata a 800. 000», egli non nascondeva che sarebbe stato necessario scendere a 600. 000. Ma probabilmente non era ancora venuto il tempo di farlo.
In queste condizioni i 2 kg. necessari per incenerire un corpo, ai quali Pressac era arrivato», passavano a 5. Il che collima miracolosamente con la deduzione premonitoria delle SS di Dachau nel 1937, secondo la quale il mattino, 100 kg. di coke erano loro sufficienti per ridurre in cenere una ventina di corpi nel corso della giornata. »
Ricapitoliamo. In un libro sui crematori di Auschwitz che pretende di dimostrare che questi crematori nascosero le macchine dell'assassinio di massa di circa 600. 000 persone Pressac elimina qualsiasi allusione alla documentazione concernente la fornitura del coke ai crematori. Non è significativa, la presenza di questa assenza?
La tesi sostenuta da Pressac poggia su di una documentazione e su dei ragionamenti. Si tratta, quindi, di valutare queste interpretazioni e questi ragionamenti. Ragiona, Pressac?... o risuona? [*Altro gioco di parole intraducibile, imperniato com'è su di un'assonanza che l'italiano rende solo imperfettamente: Pressac raisonne-t-il?... ou résonne-t-il?]
Se la tesi difesa da Pressac è giusta, le SS sono riuscite a far sparire le tracce di questo assassinio di massa, e la prima di tutte le tracce, i cadaveri, incenerendoli. Se no, la tesi è falsa.
La documentazione scoperta da Pressac sulle forniture di coke gli ha permesso di calcolare che, se il numero delle vittime si elevava a 1. 500. 000, numero "obbligato", questo implicava che i tedeschi erano arrivati ad incenerire un corpo con l'ausilio di 2 kg. di coke. Se il numero delle vittime si elevava a 600. 000, leggera anticipazione del prossimo ultimo numero obbligato, le SS, per compiere i loro miracoli, disponevano di 5 kg.
Questa constatazione costituisce la morsa materialistica tra le cui ganasce si dibatte la tesi sterminazionistica. L'ultima e più bella gemma dell'Invencible Armada olocaustica poggia per intero sull'ipotesi che le SS di Auschwitz abbiano realizzato nella pratica le deduzioni premonitorie che Pressac attribuisce ad una SS di Dachau nel 1937. Questa "deduzione", che non poggia su alcunché, costituisce la traccia della coscienza che Pressac ha di questa situazione (cap. I, pag. 6). Non è, del resto, la sola.
L'ultima e più bella gemma dell'Invencible Armada olocaustica comportava la presenza di una bomba al di sotto della linea di galleggiamento.
Lasciamo per un momento Pressac e le pressaccherie. Nelle pagine che precedono ci siamo limitati ad analizzare il libro di Pressac e a mostrare che questo libro annienta la tesi che sostiene, e che, per seguire questa dimostrazione, non è necessario riferirsi ad altro che al libro di Pressac medesimo. Nel corso di questa dimostrazione ho indicato che ad un dato momento i revisionisti, e dunque anch'io, erano giunti alla seguente conclusione: con i crematori del tipo di quelli installati a Birkenau, una gestione ottimale delle cremazioni non permetteva di consumare meno di 40 kg. di coke per corpo. Ho indicato che nello stesso momento informazioni di cui disponevamo per altre vie ci avevano portati a pensare che il numero dei morti ad Auschwitz potrebbe essere stato di 75.000 circa. Ho indicato perché avessimo ritenuto che involontariamente Pressac confermasse questo numero in maniera strepitosa.
Qualche tempo dopo, informazioni complementari ci conducevano a réviser questa valutazione e a formulare la cifra di 125.000; poi, di fronte all'abbondanza di conferme di ogni genere che venivano a togliere gli ultimi dubbi e le ultime riserve, i revisionisti, nel caso specifico Faurisson, si impegnavano chiaramente su una valutazione definitiva: ad Auschwitz sono morti, al massimo, 130.000 deportati. Condivido totalmente questa opinione e convinzione.
La differenza tra 75.000 e 130.000 può sembrare trascurabile, a paragone delle variazioni fantastiche e mai spiegate delle valutazioni successive e contraddittorie, e nondimeno perentorie, degli storici olocaustici. È, effettivamente, una differenza trascurabile stando ai criteri delle elucubrazione poliakoviane e della matematica hilberghiana; ma, stando alle regole dell'aritmetica elementare, che è la nostra, questa differenza rappresenta un vero problema. Per persone come me, che non hanno avuto la ventura di fare studi così lunghi come quelli di Vidal-Naquet, se le SS di Auschwitz sono arrivate a cremare 130.000 corpi circa, laddove noi avevamo creduto di stabilire che il coke adoperato permetteva di bruciare solo 75.000 corpi, esse hanno realizzato una prodezza che rientra nella categoria del miracolo, pur se sono meno dotate delle SS di Pressac. Anche se siamo stati molto prudenti e non abbiamo mai formulata pubblicamente la cifra di 75.000 altrimenti che come un'ipotesi da verificare, questa differenza è intellettualmente inaccettabile. Essa richiede una spiegazione, e noi potremo avvicinarci a qualcosa che assomiglia alla certezza solo se la spiegazione è soddisfacente.
Sarebbe, in definitiva, possibile incenerire con in media meno di 40 kg. di coke per corpo in crematori del tipo di quelli installati ad Auschwitz? La cifra di 40 kg. si basa su uno studio tecnico estremamente dettagliato e rigoroso che risparmio al lettore. Rigettarla soltanto perché contravviene alla conclusione che ci darebbe soddisfazione equivarrebbe a rinunciare ad ogni procedura scientifica. Ma questo studio tecnico è stato realizzato proprio prendendo come riferimento la cremazione di un corpo di 70 kg. Ora, la schiacciante maggioranza delle vittime erano morte all'ultimo stadio della cachessia e della disidratazione tifica o colerica, cioè in uno stato spaventoso di magrezza, punto su cui concordano tutti i testimoni. Il peso medio dei corpi doveva essere notevolmente inferiore ai 70 kg. -- a più forte ragione questo vale per le donne e i bambini --, e dunque richiedeva meno coke. Con la riserva che il rapporto tra la quantità di coke necessaria e il peso è una funzione non lineare e discontinua (soprattutto perché l'introduzione di un corpo e le necessità connesse ad operazioni dirette a far funzionare al meglio l'impianto determinano sciupii di energia), e che perciò è assurdo interpolare solo per un'indicazione vaga interpretabile in maniera aleatoria, si può tuttavia dedurre che il peso medio dei cadaveri cremati ad Auschwitz avrebbe dovuto essere inferiore a 70 kg. x 75/130 = 40,38 kg. Questa congettura non ha niente di inverosimile, tenuto conto del fatto che tra le 130.000 vittime bisogna contare un certo numero di donne e bambini (la cui proporzione potrà venire stabilita con esattezza grazie alle liste nominative del libro dei morti) e soprattutto, ripetiamolo, tenuto conto del fatto che nell'immensa maggioranza si trattava di tifici e di malati arrivati ad uno stato-limite di magrezza. Questo permetterebbe di comprendere che la cremazione di circa 130.000 cadaveri ad Auschwitz non abbia abbisognato in media se non di 40 kg. x 75/130 = 23,07 kg. di coke.
Coloro cui ancora interessa la polemica che da sedici anni imperversa in Francia si rifaranno al già ricordato libro di Faurisson, Réponse à Jean-Claude Pressac sur le problème des chambres à gaz. In un universo di pensiero razionale, Faurisson vi ha assolutamente ragione su tutto. Ma esiste uno spazio sociale di discussione razionale su tale argomento? A che serve aver ragione quando si ha torto di aver ragione, e tanto più torto quanto più si ha ragione?Così, non è questo che ci interessa nel libro di Pressac, il cui reale contributo al dibattito è infimo.
Il libro di Pressac è un documento eccezionale sulla società in cui viviamo! Ciò che è importante capire non sono le elucubrazioni arzigogolate su Auschwitz e la Topf; sono le ragioni per cui quel libro, che né è fatto né è da fare, ha potuto ricevere una tale accoglienza da parte della "comunità scientifica" autoproclamata. Come, insomma, hanno potuto, dei cattedratici, lasciarsi beffare in quel modo? La risposta è semplice. Perché quei cattedratici a tal punto desideravano credere che Pressac fornisse finalmente loro una confutazione di Fauris-son, che questo desiderio annientava ogni spirito critico e ogni buon senso. Ma questa risposta è troppo semplice, giacché il problema non si restringe al fatto che quattro babbei si siano fatti illudere da una frode letteraria grossolana; il problema è il fatto che la frode continua a prosperare e che, secondo ogni verosimiglianza, continuerà ancora a prosperare per un po' di tempo. Perché chiunque cominci a percepire in quel libro come un sospetto di zolfo si trova immediatamente ridotto all'impotenza. Ma il vero problema è, appunto, che non si tratta veramente di una frode letteraria, anche se, in questo caso, non avremmo fatto di meglio!
Ad onta dello stato di rincocconimento universale della razza intellettuale di sinistra, talune delle perle che ho segnalato nelle pagine precedenti e talune delle bizzarrie stilistiche di Pressac hanno finito col mettere la pulce nell'orecchio di certuni, tanto che è corsa la voce che il libro di Pressac era stato confezionato in collaborazione con La Vieille Taupe, la quale avrebbe infilato nel corpo del testo qualche acrostico vendicatore e rivelatore. L'origine di questa voce sta nel fatto che le mie relazioni con Pressac, proseguite dopo che fu diventato l'esperto ufficiale di Klarsfeld, erano note ad alcuni iniziati, e in particolare al comitato antirevisionista della École Nor-male Supérieure, perché il libro americano di Pressac stava esposto nella vetrina della mia libreria, 12 rue d'Ulm, e perché uno dei leggiadri giovani di questo leggiadro comitato era entrato in negozio in un momento in cui ero in conversazione telefonica con Pressac.
È vero che ho incoraggiato Pressac a pubblicare i suoi libri, così come l'avevo incoraggiato a prender parte al colloquio del 1982 alla Sorbona, anche dopo che fui certo che egli sarebbe capitolato integralmente e su tutti i punti davanti a Vidal-Naquet e avrebbe soddisfatto le esigenze, tutte le esigenze, dei nostri persecutori. Ma è del tutto falso che io abbia avuto la minima influenza sul contenuto delle pubblicazioni, a parte l'influenza indiretta che ho già segnalato, cioè non facendo nulla che potesse contribuire a far sparire le argomentazioni che mi parevano più stolide. Al contrario, Pressac non ha esaudito nessuna delle richieste che mi ero lasciato andare a fargli. Ricordo perfettamente che una delle nostre conversazioni telefoniche si era conclusa così: Sentite, Pressac, vi chiedo solo una cosa... , ripubblicate, con i commenti e le spiegazioni che volete... , ma ripubblicate nel libro francese... tutto quello che avete pubblicato nel libro americano intorno alle consegne di coke [ai crematori], e tutti i documenti nuovi che avete trovato su questo argomento a Mosca. » Pressac me l'ha promesso, e ha riso, con il suo riso inimitabile, dicendomi. Ma cos'è che mi domandate, Guillaume!?»... E Pressac non ha mantenuto la promessa.
Quali sono dunque state, esattamente, le relazioni di Pressac con i revisionisti e qual è l'atteggiamento di Pressac di fronte al revisionismo? Bisogna, anzitutto, smentire una frottola divulgata dalla stampa, compiacentemente avallata da Pressac, universalmente accolta dal pubblico, secondo la quale Pressac sarebbe stato un revisionista convinto, presto disingannato dalle sue ricerche e dall'evidenza. Questa versione, rassicurante per i credenti, è tutta falsa. Quanto ad evidenza che si imporrebbe ad uno spirito libero, si è visto cosa ne era. E mai, assolutamente mai, Pressac è stato revisionista. Mai, neanche in privato e nel bel mezzo della sua collaborazione con Faurisson e me, Pressac ha rinunciato per un solo secondo alla sua credenza nella camera a gas e nello sterminio degli ebrei. Spesso, dopo una seduta di lavoro sulle planimetrie e le foto -- e a quel tempo si trattava di vero lavoro, minuzioso e preciso --, quando era incapace di rispondere agli argomenti di Faurisson e di criticare i suoi ragionamenti, egli rimaneva in silenzio, ma non rinunciava alla propria convinzione. A corto di argomenti, continuava a credere, senza che si sapesse molto bene a cosa. Ma mai ha rinunciato a credere alle camere a gas, neanche quando scoppiava in fragorose risate a proposito di questa testimonianza» evidentemente falsa o di quel racconto canonico in grossolana contraddizione con tutti gli elementi materiali che la documentazione ci permetteva di stabilire. All'inizio non dubitavamo che Pressac fosse sulla strada del revisionismo.
Nella prefazione, a firma de La Redazione della R[evue d'] H[istoire] R[évisionniste]», alla Réponse à Jean-Claude Pressac di Robert Faurisson, si può leggere questo: Robert Faurisson aveva l'obbligo di rispondere a una tale opera. Ne conosce l'autore che, agli inizi degli anni Ottanta, era venuto a confidargli i suoi dubbi sull'esistenza delle camere a gas ad Auschwitz. J. -C. Pressac era giunto fino a proporgli i suoi servigi. Era stato preso in prova. Poi, era stato congedato dal professore per la sua non-attitudine alla ricerca scientifica, per le sue difficoltà ad esprimersi, per la sua "confusione di spirito", per i suoi timori panici, per il suo orrore della chiarezza e delle posizioni nette (v. Revue d'Hist. Révisionni-ste», n. 3, nov. 1990/genn. 1991, pag. 130)». Neanche questa versione mi pare conforme alla verità. Quando Pressac si è presentato a noi, tornava da un viaggio ad Auschwitz, dove era stato colpito dalla constatazione che né le rovine dei crematori né le spiegazioni fornite sul posto corrispondevano all'idea che egli si era fatta a partire dal libro di Robert Merle, La Mort est mon métier, romanzo basato esso stesso sulle pretese "confessioni" di Rudolf Höss. Non quadra», come diceva lui. Non metteva in dubbio né le camere, né lo sterminio degli ebrei, quantunque la cifra di sei milioni gli sembrasse esagerata. Sei milioni, cacchio!», diceva.
Gli aprimmo tutti i nostri dossier e gli proponemmo le nostre spiegazioni. Tra Faurisson e Pressac si instaurò una reale collaborazione e noi fondavamo su di lui reali speranze. Tanto che l'avevo battezzato "Schliemann", dal nome di questo archeologo dilettante, scopritore delle vestigia di Troia. Al tempo di questa collaborazione abbiamo potuto approfondire, e in parte grazie a Pressac, la nostra conoscenza di Auschwitz e di Birkenau, tanto delle rovine quanto delle planimetrie e dei documenti. Abbiamo studiato insieme le carte dello Struthof e visitato il campo. Oggi si immagina a malapena il patetico isolamento in cui ci trovavamo e io ero il solo della Vieille Taupe» ad aiutare e seguire Faurisson nel suo lavoro strettamente documentario. I processi trasformavano questo lavoro in una maratona sfibrante. In questo contesto, l'arrivo di Pressac era una benedizione e tale noi lo consideravamo, a dispetto delle bizzarrie del personaggio. Era "di estrema destra". Le sue simpatie lo portavano piuttosto verso Adolf, ad onta dello sterminio degli ebrei e delle camere a gas cui egli credeva. Erano delle sbavature spiacevoli, dovute alla guerra». I tedeschi erano andati giù un po' forte».
Ma lui, almeno, non ignorava niente del bombardamento sistematico delle città tedesche, del trattamento inflitto ai prigionieri tedeschi, dei massacri commessi dagli Alleati. Grosso modo, e per quel tanto che sono arrivato a capirci qualcosa, egli pensava che, quando fosse venuto il tempo di un bilancio ragionato, le colonne del bilancio si sarebbero equilibrate, anche tenuto conto della sorte degli ebrei e delle camere a gas che egli non voleva mettere in dubbio. Pressac credeva realmente di aver confutato Faurisson e scoperto delle prove,... finalmente,... degli indizi» (!?) che comunque qualcosa era successo». Aveva forgiato la sua concezione di Adolf con camera, e la sua segreta tenerezza per Adolf aveva costituito un elemento del suo giardino segreto dove vedeva confermata la fermezza della propria anima. E un Adolf senza camera, senza neppure una piccolissima camera, veramente piccolissima, non è più veramente un Adolf. E la tenerezza comprensiva che si conserva per il personaggio non è più così meritoria... Nel momento in cui perdeva terreno di fronte a Faurisson e in cui, mi sembra, non era più molto sicuro della propria argomentazione, le lodi di Vidal-Naquet e della claque universitaria fecero sì che Pressac non dubitasse più di avere, in un sol colpo, tagliato il nodo gordiano, risolta la quadratura del cerchio e dimostrato il gran teorema di Fermat. L'uovo (di Colombo) stava in piedi senza neanche toccar la tavola. Si trattava di levitazione. Ma non avrebbe tardato a ricadere a terra, e con lui i suoi accomandanti.
Pressac, d'altro canto, ci aveva avvisati fin dai primi incontri: per lui sarebbe stato sempre fuori discussione prendere la minima posizione suscettibile di procurargli il minimo fastidio». Conveniva volentieri sul fatto che la storiografia sull'argomento non valeva nulla, ma ci guardava come bestie strane per il fatto di volervi cambiare qualcosa a costo di affrontare la muta dei cani. Evidentemente, mi sono chiesto se Pressac non fosse una spia e un provocatore mandatoci tra i piedi dall'avversario e molto presto ho smesso di sperare una qualsiasi cosa da lui, non perché fosse inadatto alla ricerca scientifica (che è poi una parola ben grande. È sufficiente un po' di buon senso e molto coraggio), ma perché è del tutto inadatto ad affrontare l'avversità. Passata la fase "documentaria", in cui è stato realmente efficace, non v'era niente da tirarne fuori e le nostre relazioni erano in pratica cessate. Pressac, dunque, non ha offerto i suoi servigi e non è stato congedato.
Ma poiché egli "credeva" alle camere a gas, l'avevo incoraggiato ad incontrare Vidal-Naquet e Klarsfeld. Da un lato, ciò mi permetteva di spigolare alla fonte informazioni sullo stato d'animo del campo avverso, e questo più di una volta mi è stato molto utile. Dall'altro lato, ciò permetteva di instillare nei nostri avversari una problematica materialistica e documentaria. Questo li incitava, li conduceva a dibattere sul terreno profano che i revisionisti avevano segnato con paletti. "Confu-tandoci" sul terreno della conoscenza materiale e documentaria, i nostri avversari riconoscevano ipso facto che su questo terreno si ponevano degli interrogativi, e più particolarmente gli interrogativi cui essi pretendevano di rispondere. È esattissimamente quello che è accaduto al colloquio del 1982 alla Sorbona, nel corso del quale Pressac diventò l'esperto antirevisionista sul terreno revisionistico, e nel corso del quale Faurisson e io diffondemmo la Réponse à Pierre Vidal-Naquet, edita da La Vieille Taupe.
In Droit et Histoire ho raccontato come Pressac era stato indotto a partecipare a questo colloquio e come aveva totalmente capitolato davanti a Vidal-Naquet togliendo dalla sua esposizione tutto quello che Vidal-Naquet gli aveva domandato di togliere, e in particolare ogni allusione alla qualità dei lavori di Faurisson. E, tuttavia, nel 1982 come oggi, Pressac credeva che il riconoscimento tributato ai suoi lavori, comportando necessariamente il riconoscimento dell'insufficienza della storiografia antecedente, che egli ricusa del tutto, avrebbe comportato la fine della persecuzione dei revisionisti. È tutto il contrario che si è verificato.
Qualche tempo dopo questo colloquio, essendosi di sua iniziativa Pressac presentato a casa mia mentre vi si trovava Faurisson, questo diede al professore l'occasione di scacciarlo. Faurisson lo ingiuriò e lo trattò da "mongoloïde", ricordando esplicitamente una confidenza di Pressac al tempo della loro collaborazione, secondo cui era nato "stordito" (vale a dire in stato di sincope postnatale, che rende necessaria una rianimazione e che qualche volta lascia dei postumi cerebrali... Accadde anche alla mia nascita... e non penso che Pressac o io stesso si sia affetti da un qualunque postumo, né che occorra cercare là le ragioni profonde che fanno sì che Pressac e io si tragga conclusioni differenti dalla medesima documentazione).
Ma Faurisson scatenò in questo modo in Pressac una passione antifaurissoniana di cui la Vieille Taupe avrebbe fatto a meno volentieri... e che complicava molto i miei piani. Avendo smesso assai prima di Faurisson di aspettarmi una qualsiasi cosa da Pressac, non avevo odio per il buonuomo. Con lui avevo avuto molte meno relazioni di Faurisson. Assistevo a tutti i loro incontri, ma questi si svolgevano sul terreno materialistico, archeologico e documentario prediletto da Faurisson e non si parlò mai della Vieille Taupe, della sua esistenza e delle sue attività. Per Pressac, Guillaume era l'editore un po' folle di Faurisson, ma più aperto e meno imperioso, tutto qui.
D'altronde, fu questa totale assenza di reale curiosità nei riguardi della Vieille Taupe che contribuì a persuadermi del fatto che Pressac, infine, non era una spia al soldo degli avversari.
Ho rimproverato il suo atteggiamento a Faurisson, che mi ha rimproverato il mio. Io pensavo che quando si conduce una guerra totale contro il mondo intero non si hanno i mezzi per sostenere litigi particolari e subalterni e che ci si dovrebbe tenere al di sopra di queste considerazioni. Ma, soprattutto, non avevo niente da rimproverare a Pressac! Se non di non essere come noi. Voleva credere alle camere a gas, ma non era il solo. Non si voleva arrendere agli argomenti di Faurisson, senza, però, esser capace di opporgli alcunché di serio, ma non era il solo. E, se non avevo né stima né rispetto per il suo comportamento, egli non era il solo a trovarsi in questo caso... E con quale diritto decretare, quando qualcuno rifiuta di arrendersi ai nostri argomenti, che lo fa per delle cattive ragioni? Mantenevo con lui rapporti di stretta cortesia, come con ogni avversario che accetti la legittimità del dibattito, e lui era... il solo!
Pressac non era un traditore che avremmo dovuto, come tale, odiare. Era uno sterminazionista di estrema destra che preoccupazioni realistiche e materialistiche avevano per un momento avvicinato a Faurisson e che poi se ne era allontanato. Inoltre, Pressac aveva avvertito!
Ricordo molto bene che nel pieno della sua collaborazione con Faurisson, molto prima del suo irretimento ad opera di Vidal-Naquet, egli, impressionato dalla quantità e qualità della documentazione accumulata su Auschwitz, aveva comunicato a Faurisson la propria intenzione di pubblicare un libro documentario che progettava di intitolare Auschwitz, Architecture criminelle. Faurisson insisteva che sarebbe occorso mettere, almeno, un punto interrogativo. Un'altra volta progettava di fare una tesi di farmacia sulla lotta contro il tifo e sullo spidocchiamento ad Auschwitz. Questo è sicuro, non troveranno nulla da ridire». La sua preoccupazione era quella di pubblicare i documenti, non importava in quale contesto. Non nascondeva la sua intenzione di corredare i documenti dei commenti necessari e sufficienti perchè fossero pubblicabili, cioè accettabili dalla polizia ebraica del pensiero [*L'insupportable police juive de la penséee»: questa frase, che fotografa felicemente uno stato di cose che in Francia, e non solo in Francia, è caratterizzato da una capillare pratica di sorveglianza intellettuale -- pratica cui fa da riscontro un diffuso quanto avvilente atteggiamento di conformistica sottomissione da parte dei sorvegliati --, non è, come qualcuno potrebbe credere, uscita dalla penna di un antisemita: è di Annie Kriegel, ex-PCF, filoisraeliana, antirevisionista e, lo si noti, ebrea essa stessa di origine. La scodellava in un momento di insolita franchezza sulle pagine dell'insospettabile Figaro». -- Qui da noi di questa pratica non si hanno, ci pare, molti esempi: prevale di gran lunga l'autocensura. E in questa autocensura ha parte, certo, un vigile senso di ciò che è conveniente per il quieto vivere, ma ha parte altresì la persistenza di una tradizione storica di rigetto della politica nefasta che nel 1938 colpiva una categoria di cittadini il comportamento dei quali in nulla di significativo, nel bene e nel male, differiva, a parità di livello sociale, da quello degli altri italiani, e dell'integrazione dei quali nella collettività nazionale era indice fedele il sempre crescente numero di matrimoni misti. È impossibile, in buona giustizia, prescindere dagli effetti devastanti di quella politica quando si debba giudicare di quegli atteggiamenti di separatezza e alterità che qui e dovunque stanno alla base -- saldandosi a circostanze e a realtà di grande rilievo internazionale -- del ripresentarsi di una questione ebraica. Considerazioni come queste risulteranno sorprendenti soltanto per chi, equivocando in buonafede, dà per scontato che revisionismo e antisionismo altro non siano che sinonimi di antisemitismo. Non ci occuperemo, ora, di chi lo dà per scontato senza poter invocare né la scusante della buonafede né quella di una carente informazione], e di togliere tutto quello che potesse far aggrottare le ciglia a Vidal-Naquet. Fu a questo proposito che mi espresse per la prima volta un'idea che mi ha di frequente ripetuta: Guillaume, bisogna cedere sulle camere se volete che loro cedano sulle cifre». E io aggiungevo, scherzando: E viceversa [cedere sulle cifre perché loro cedano sulle camere], dunque, bisogna cedere su tutto... perché loro non cedano su niente!»
In definitiva, Pressac ha fatto esattamente tutto quello che fin dai primi incontri egli ci aveva detto avrebbe fatto ed è lui, alla fine, ad aver realizzato il grosso tomo documentario su Auschwitz che Faurisson si proponeva di realizzare e che aveva annunciato al principio del suo Mémoire en défense (pag. XXIII). Semplicemente, Pressac stava per passare sotto le forche caudine di Vidal-Naquet e di Klarsfeld, i quali posero la sbarra davvero molto in basso. Pressac ha, in effetti, realizzato la prodezza del cammello che passa per la cruna di un ago. La collera perfettamente comprensibile che può suscitare in un revisionista il personaggio Pressac è pericolosa se impedisce di vedere e di analizzare il fatto che forse, nella società così com'è, non c'era altro passaggio fuor che la cruna di questo ago per creare le condizioni di apertura di un dibattito.
Dopo lo scoppio di Faurisson non ho più avuto il minimo contatto, neppure telefonico, con Pressac per parecchi anni. Nel 1986 ho resi pubblici, in un capitolo di Droit et Histoire, la mia testimonianza e il mio giudizio sul personaggio (pagg. 82-89, 107-125). Non ho assolutamente nulla da cambiarvi. Vi era già detto tutto. Pressac, del resto, lo ha letto molto attentamente e non mi ha mai rimproverato se non un particolare (vero) che avrei dovuto tenere per me». Potrei anche aggiungere che non solo tutto vi era già detto, ma che tutto vi era predetto nella nota di pag. 89. Sarà il tema di un prossimo articolo.
Non ricordo più in quali circostanze sono ripresi i miei rapporti con Pressac. Probabilmente è stato il professor Michel Sergent che ha voluto organizzare un confronto. Da Faurisson e da me sentiva dire che le tesi pressacchiane non valevano un fico secco e da Pressac che lui aveva polverizzato Faurisson. Non avevo motivo alcuno di sottrarmi e, Pressac essendo divenuto molto ufficialmente l'esperto del campo avverso, dovevo considerarlo in quanto tale e agire di conseguenza. È così che ci siamo reincontrati a casa di Michel Sergent per questo confronto e che la comunicazione si è ristabilita.
Questa comunicazione molto tenue, telefonica, presentava diversi vantaggi. In primo luogo, era il germe, l'embrione di un dibattito che tutti ci rifiutavano ed era, ad opera di Pressac, la rottura dell'anatema lanciato contro di noi. Era una breccia da allargare in luogo di rinchiuderla con un anatema simmetrico (e fantasmatico, nella situazione in cui ci trovavamo). Ero convinto che l'apertura di un dibattito, o anche il semplice riconoscimento della legittimità di un dibattito, sarebbe bastato a far vacillare il dogma. Ma i nostri avversari lo sapevano così bene che quel dibattito lo rifiutavano a qualunque costo. Ave-vo anche pensato che i revisionisti avrebbero dovuto far finta di essere impressionati dai lavori e dalle "scoperte" di Pressac; che avrebbero dovuto dichiarare che certi documenti "nuovi" li conducevano a rivedere parzialmente le loro conclusioni totalmente "negazioniste". Mi pareva, non per inclinazione ma per analisi, che questa fosse la sola possibilità di ottenere la legittimazione del revisionismo in generale e di talune delle nostre conclusioni in particolare; o, in ogni caso, la sola possibilità di esporre noi stessi le tesi revisionistiche, i documenti, i ragionamenti, che ci avevano indotti a essere ... troppo categorici. Sarebbe bastato, poi, metter giù le nostre carte. Bisogna-va, in qualche modo, adottare l'atteggiamento dell'ispettore Colombo. Mi sembrava, questa, la sola soluzione per diminuire la pressione e paralizzare la repressione. D'altronde, continuo a pensare che, se non fosse stato per le vanità anche dalla nostra parte, la partita si poteva giocare. Era possibile indurre l'avversario al dibattito unicamente se da principio avessimo finto di essere stati storditi da Pressac. E, nei nostri avversari, il desiderio di credere in Pressac, e di credere che Pressac fornisse davvero di che replicare a Faurisson, era tale che il tranello poteva benissimo funzionare. Anche il prof. Pierre Vidal-Na-quet ha mandato a Pressac una lettera di calorose felicitazioni quando ricevette il libro miracoloso. Di lì a quindici giorni gli mandava una lettere di ingiurie!
Non essendo stata tesa, questa rete non ha funzionato. È giocoforza constatare, benché io sia il primo a deplorarlo, che finora, e alla scala della società, Faurisson è stato il miglior agente reclutatore e cementatore delle truppe dei... nostri nemici. L'anatema religioso funziona alla perfezione contro di noi e, quali che siano i progressi che abbiamo compiuti, invece di decostruire i deliri (era il tema del mio articolo in Libération» del 7 marzo 1979), siamo arrivati solo a rafforzarli. Al contrario, Pressac è arrivato ad iniettare la problematica revisionistica nel cuore stesso del tempio dello sterminazionismo perché si credeva veramente antirevisionista! E perché il suo odio, reale, per Faurisson gli teneva luogo di omologazione. È abbastanza spaventoso, ma è così.
Ed è così che la Vieille Taupe è arrivata, passando per Pressac, ad introdurre documentazione revisionistica nel seno dei santuari olocaustici. Tra gli altri, il libro di Sanning, The Dissolution of European Jewry (IHR, 1983), e la documentazione fotografica di John C. Ball, Air Photo Evidence: Auschwitz, Treblinka... (Ball Resource Services, 1992), che avevo dati a Pressac, gli hanno permesso di sostenere un'argomentazione che conduceva i guardiani del tempio olocaustico ad intraprendere essi stessi una salutare revisione dei dogmi. È a partire di qui che le cifre furono in caduta libera e che Roussan e Cono (3), i falliti della memoria, autorizzarono se stessi a pensare, cioè a réviser. Certo, i guardiani del tempio olocaustico non ignoravano l'esistenza della documentazione di Ball e pochi iniziati, tra i meglio informati, probabilmente dovevano da un pezzo condividere in pectore le conclusioni di Sanning, ma l'anatema maggiore scagliato contro i revisionisti e le misure di polizia del pensiero che ne discendono sembravano largamente sufficienti ad assicurare la loro tranquillità. Era bastato dichiarare revisionisti», e dunque colpiti da anatema, l'impressionante studio di un demografo competente e la documentazione fotografica più diretta per dissuadere gli "storici" dal prenderli in considerazione e per eliminare ogni empio domandare. Il libro di Sanning li lasciava impassibili da più di dieci anni. Ma i medesimi argomenti, avanzati e sparsi da Pressac sul vestibolo stesso del tempio, li convinsero della necessità, di fronte ai rischio di incendio incontrollabile, di aprire un controfuoco.
Di fronte ad una foresta in fiamme, la tecnica del controfuoco consiste nell'appiccare un incendio controllato, così che l'incendio principale venga ad estinguersi da solo quando non trova più nulla da bruciare. Il rischio è che il controfuoco diventi anch'esso incontrollabile e distrugga esso stesso il resto della foresta.
Tutta l'operazione Pressac, cioè il recupero e lo sfruttamento di questi ad opera degli olocaustici ufficiali, altro non è che un controfuoco contro... Faurisson. L'operazione presenta tutte le incertezze di un controfuoco, vale a dire che diventa difficile distinguere i pompieri dagli incendiari. Non si è ingannato Claude Lanzmann, che vorrebbe che contro Pressac e consorti si ricorresse di nuovo all'anatema maggiore che funzionava tanto bene e aveva dimostrato la sua efficacia. Ma Pressac non è revisionista! È uno sterminazionista che révise tutto! Ed è impossibile ricorrere all'anatema contro Pressac senza recidere gli ultimi legami che tengono attaccato l'olocausto alla storia profana. Anatemizzare Pressac, dopo tutto quello che è stato detto su di lui, è tagliare il cordone ombelicale che lega l'olocausto al concreto. A scadenza più o meno lunga, è condannare l'Olocausto a diventare il sesto libro della Bibbia, il seguito del Pentateuco, e una ripetizione del libro di Ester. Ossia la parola stessa di Dio, per i credenti, ma una parola che, in una società laica come la nostra, non è opponibile agli altri, e che, perciò, politicamente non serve a niente.
Per essere utile al servizio di una politica profana in una società laica, bisogna che l'Olocausto sia... storico, e non solo per i credenti. Bisogna, dunque, che sia riconosciuto come storico dagli storici, tanto per cominciare. È la condizione sine qua non della sua efficacia. E si ricade nello spinoso problema dei documenti e della critica, fondamento della disciplina storica. Su questo piano, il Re è nudo.
Mentre l'imperatore procedeva fieramente in testa al corteo sotto il suo magnifico baldacchino, tutta la gente, nella strada e alle finestre, gridava: Che superbo costume! Com'è grazioso lo strascico! Com'è perfetto il suo taglio!». Nessuno voleva mostrare di non veder nulla perché lo si sarebbe giudicato sprovveduto o incapace di ricoprire un impiego. Mai gli abiti dell'imperatore avevano destato altrettanta ammirazione.
Ma non c'è nessun abito», disse ad alta voce un bambinetto.
Signore Iddio, sentite la voce dell'innocenza!» disse il padre.
E ben presto nella folla si sussurrò ciò che aveva detto il fanciullino: Uno sporcaccione [*Un ultimo gioco di parole intraducibile: polisson (sporcaccione») è reso con paulisson, e ciò nell'intento di aggiungere alla somiglianza fonetica di polisson con Faurisson una somiglianza ortografica: che è un prendersi finemente gioco della già ricordata ghenga professoral-professionistica, la quale, impossibilitata a confutare Faurisson, tratta lui di polisson, e di polissonneries le sue ricerche e le sue conclusioni. Né, ben s'intende, le contumelie sono solo per Faurisson: l'ineffabile Vidal-Naquet ha, ad esempio, definito collettivamente i revisionisti escrementi. -- Per parte nostra, non deploreremo intemperanze di questa fatta: il conto in cui teniamo il gros bonnet e i suoi sodali è quello in cui può essere tenuta gente che, mancando di argomenti con cui controbattere i diversamente opinanti, non solo li copre di ingiurie e di calunnie, ma è disposta a farsi aiutare dal braccio secolare, che li imbavaglia. In altri termini: è tale, quel conto, che la sola cosa che, provenendo da quei signori, ci costringerebbe a dubitare della nostra stessa onestà intellettuale sarebbe, per impossibile, la lode] dice che l'imperatore non ha abito!»
L'imperatore rabbrividì, perché gli pareva che dicesse il vero. Tuttavia si diede una ragione: bisognava, checché ne fosse, condurre il corteo fino in fondo.
Si erse ancora più fieramente, e i ciambellani continuarono a sostenere lo strascico che non esisteva.
E, allora, arrivò Bédarida, che si complimentò con l'imperatore per i suoi abiti e gli propose di utilizzare nondimeno il libro di Pressac come cache-sexe.
Settembre 1993-20 ottobre 1994
Modificato il 25 gennaio 1995
Note
(1) JHWH: sono le quattro lettere con cui gli ebrei devoti indicano il nome di Dio, nome che non deve mai essere pronunciato. Esistono numerosi altri mezzi di evocare l'Innominabile.
(2) SMERSH: servizio di controspionaggio e di compiti speciali dell'esercito sovietico. Sorta di KGB, al quale era legato, peculiare all'esercito.
(3) Eric Conan e Henry Rousso, Vichy. Un passé qui ne passe pas, Fayard, Paris, 1994.
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GRAPHOS© 1996 -- Campetto, 4 - 16123
Genova.
Titolo originale: De la misère intellectuelle en milieu
universitaire et notamment dans la corporation des historiens.
Véridique rapport sur un exemple consternant d'aveuglement
collectif et de cuistrerie prétentieuse [... ].
A-t-on lu Pressac? ou Pressac, mode d'emploi
Samizdat, 1995. Edizione italiana a cura di Cesare Saletta.
Febbraio 1996.
Secunda edizione riveduta (dicembre 1996)
Il testo originale
in francese
L'indirizzo electonico (URL) de questo documento è:<http://aaargh-international.org/ital
/PGmiseria2.html>