Introduzione
In riferimento al campo di guerra di Treblinka, ho menzionato
nel corso degli anni in qualche messaggio congressuale,
in una presentazione video e in qualche scambio epistolare
la testimonianza di Marian Olszuk. Ma essendo stato assorbito
dall'ordalia del combattimento revisionista nel corso degli ultimi
15 anni, ho rinviato la stesura di un rapporto sul mio incontro
con questo eccezionale testimone polacco. Il mio rapporto dovrebbe,
più in generale, occuparsi anche del viaggio del 1988 che
mi portò prima a Treblinka-Malkinia, nella Polonia comunista,
e poi nei campi di Orianenburg-Sachsenhausen e di Ravensbruk,
nella Germania comunista. Ernst Zundel possedeva una serie di
sette video sulla mia visita in questi tre campi. Non so se questi
nastri furono distrutti nell'attacco incendiario del 1995 che
devastò gran parte della sua grande casa di Toronto, e
non glielo chiederò, poiché proprio in questo momento
è detenuto in una prigione di massima sicurezza in Canada.
Oltre a questo, possiedo ancora circa 30 fotografie che testimoniano
il mio sopralluogo in questo sacrario dell'Olocausto, Treblinka.
Due uomini mi accompagnarono durante questa indagine nel Giugno
e nel Luglio del 1988: il tedesco Tijudar Rudolph e il giovane
canadese Eugen Ernst. Il primo fu gentile abbastanza da fungere
da interprete e disegnatore, mentre il secondo fu il nostro fotografo
e operatore. Esprimo loro qui il mio ringraziamento per la loro
dedizione, competenza e per lo spirito di sacrificio dimostrato
in una prova che si rivelò difficile, con estenuanti giorni
di lavoro, cattivi alloggi e qualche guaio causato dalle autorità
comuniste polacche. Ringrazio anche il mio amico Ernst Zundel
per aver coperto le nostre spese di viaggio e alloggio.
Il mio metodo di indagine
Il mio normale metodo di indagine consiste, primo, nel raccogliere
quanta più documentazione possibile su un dato argomento,
poi nell'allontanarsi dagli scritti o dai documenti, che sono
così importanti per coloro che io chiamo "storici
di carta", e, infine nel visitare ed ispezionare in prima
persona il luogo che sto indagando. Dopo una prolungata indagine
dei luoghi, vado in cerca di testimoni residenti nella zona in
questione. Nel far domande cerco generalmente di essere diretto
e insistente e di evitare di trasmettere anche solo un accenno
di diffidenza. Sebbene sia interessato ad ascoltare testimoni
di tutte le età, posizioni sociali e punti di vista, ho
imparato attraverso l'esperienza che in un'indagine di questo
genere è meglio trovare testimoni che siano il meno possibile
"intellettuali" e che non avessero più di 20
anni di età all'epoca degli eventi in questione. Quel sopralluogo
del 1988, dovrei ricordare, non fu certo il primo del genere.
Durante gli anni sessanta, avevo già condotto una delicata,
addirittura pericolosa indagine delle esecuzioni effettuate nell'estate
del 1944 dai "combattenti della resistenza" o "terroristi"
in un'area assai ristretta del dipartimento francese di Charente
(tra le città di Angouleme e Limoges). In quell'occasione
interrogai i comunisti e i non-comunisti su degli episodi che
avrebbero preferito non trattare. Durante gli anni settanta condussi
qualche altra indagine difficile che mi portò, come scrisse
Montaigne, a "sfregare e limare il [ mio] cervello contro
il cervello altrui" e che mi fece perdere ogni traccia di
timidezza. Tali esperienze furono per me una "scuola"
che, credo, mi insegnò a valutare il reale valore di un
testimone e la sua deposizione. Da questo punto di vista, sono
stato fortunato nel trovare, durante la mia indagine su Treblinka
del 1988, un testimone di eccezionale valore.
Un testimone eccezionale:
Marian Olszuk
A Treblinka ebbi la buona fortuna di trovare Marian Olszuk. Un
testimone eccezionale, e davvero una guida. Nato nella vicina
Wolka Okraglik, aveva all'epoca 63 anni. Nel 1942-43, il periodo
che stavo indagando, aveva 17 e 18 anni. Si potrebbe difficilmente
immaginare di trovare qualcuno che possa aver vissuto più
vicino ai due campi di Treblinka. Dal Dicembre del 1941 al Luglio
del 1944, il campo di Treblinka I, situato abbastanza vicino ad
una cava di sabbia e ghiaia che riforniva Varsavia, era un campo
di prigionia principalmente per polacchi, sia ebrei che non-ebrei,
che erano stati trovati colpevoli per aver infranto leggi delle
autorità tedesche di occupazione. Il campo adiacente di
Treblinka II fu, dal 23 Luglio del 1942 al 14 Ottobre del 1944,
un campo riservato ad ebrei, principalmente ebrei di Varsavia.
Secondo la leggenda questo fu, nel linguaggio convenzionale degli
Alleati, un "campo di sterminio". Secondo l'Enciclopedia
dell'Olocausto almeno 870.000 ebrei vi furono sterminati in un
periodo di nove mesi, dal tardo Luglio del 1942 all'Aprile del
1943.
Primogenito di una famiglia di otto figli, Marian Olszuk lavorava
ogni giorno nella cava con altri polacchi che erano più
o meno liberi di andare e venire come volevano, vicino a prigionieri
guardati a vista sia da soldati tedeschi armati di pistole che
da guardie ucraine con carabine. Suo padre era un taglialegna.
Alla sera, il giovane uomo tornava alla fattoria di famiglia,
che si trovava ad un miglio e un quarto a Nord di Treblinka II.
Spesso andava nel campo di proprietà del padre, che si
trovava proprio a 300 metri di distanza dal filo spinato del perimetro
esterno del preteso "campo di sterminio". Il terreno
era scadente e la sua famiglia vi coltivava segala e lupino.
Passando ai piedi di una torre di guardia, il giovane Marian attaccava
qualche volta conversazione con le sentinelle che, abbastanza
socievoli, gli gettavano ogni tanto una sigaretta dall'alto. Il
campo era piccolo, estendendosi soltanto tra i 13 e i 14 ettari
(per contrasto, il campo di Orianenburg-Sachsenhausen, a Nord
di Berlino copriva 388 ettari). Nel 1942-43, l'area del "campo
di sterminio" era praticamente priva di alberi e di macchie
di arbusti. Di conseguenza, la gente della fattoria limitrofa
e i passanti potevano facilmente osservare, attraverso il reticolo
a filo spinato, i prigionieri e le guardie, come pure gli edifici
di un campo che ora ci vien detto essere stato ultrasegreto. Dalla
prospettiva di qualcuno posto di fronte all'entrata del campo,
la fattoria della famiglia Olszuk era situata ad un miglio ed
un quarto sulla sinistra, mentre la posizione del loro appezzamento
era direttamente a destra, a 300 metri dal limite orientale del
campo. Perciò, Marian Olszuk passava vicino al "campo
di sterminio" ogni giorno per andare a lavorare alla cava,
e quando lavorava nell'appezzamento di famiglia, si trovava parimenti
vicino al "campo di sterminio".
Anche se, naturalmente, non entrò mai nell'area del campo,
ogni giorno c'era gente radunata in gruppi fuori del cancello
principale, apertamente occupata in operazioni di baratto e mercato
nero. C'erano trafficanti che venivano da Varsavia per vendere
merci alle guardie ucraine che, a turno, facevano affari con i
prigionieri ebrei ai quali vendevano cibo. Alcuni di questi ebrei
compravano prosciutti e salsicce, che erano articoli di lusso
a quel tempo. L'esistenza dei due campi di Treblinka era di dominio
pubblico, e un gran numero di detenuti ebrei sembrava avere disponibilità
di denaro, oro o gioielli.
Notò mai, Marian Olszuk, segni di attività omicide
da parte dei tedeschi in questo "campo di sterminio"?
La sua risposta fu No. Una volta vide un grande fuoco bruciare
all'interno, ma era un tumulo di vecchi vestiti, alto circa quattro
metri, in fiamme. Allo stesso modo, numerose volte sentì,
di notte le grida e i lamenti di donne e bambini che giungevano
alla sua fattoria. Di tanto in tanto, egli raccontava, un tanfo
sinistro emanava dal campo. Ascoltò mai, Olszuk, discorsi
di camere a gas? Sì, egli incontrò un russo che
gli disse che i tedeschi usavano "una camera a gas mobile
su rotaie" (sic). Egli sapeva che i tedeschi uccidevano i
prigionieri condannati tramite fucilazione vicino Treblinka I.
Nei suoi spostamenti il giovane contadino-operaio spesso incontrava
ebrei che erano alloggiati nel campo di Treblinka II. Questi ebrei
lavoravano con varie mansioni nei boschi, sorvegliati dalle guardie
ucraine che, da parte loro, spesso disertavano la sorveglianza.
Il cibo era pessimo. Il suo compito specifico, mi disse Olszuk,
era di riempire, con la pala, piccoli camion (o vagoni?) con sabbia
o ghiaia, otto ore al giorno. Il lavoro era particolarmente duro
durante il gelido inverno. Personalmente non vide mai un ebreo
ucciso. Un giorno, suo padre diede dei vestiti ad un ebreo che
era scappato dal campo. Convogli di ebrei arrivavano ogni giorno.
Quando alla fine venne chiamato alle armi per lavorare in Prussia,
Marian fuggì, trovando rifugio a Varsavia, e ritornò
alla fattoria solo dopo che i campi vennero chiusi. Egli rievocava
che fosse comuni vennero disserrate e furono trovati oro e rubini
tra i resti umani.
Sorprendentemente, dopo la "liberazione" della Polonia
e dopo la guerra, alcuna autorità amministrativa o di polizia
lo interrogò su quanto era accaduto a Treblinka. Dopo la
guerra ci furono commissioni ufficiali di inchiesta, che produssero
rapporti capziosi, paragonabili al rapporto sovietico su Katyn
(USSR-008). Ma nessuna di queste commissioni chiese mai agli Olszuk
di testimoniare. Allo stesso modo, la guida ufficiale del campo,
Marja Pisarek, asseriva freddamente che "nessuno nelle vicinanze
vi parlerà". Ma Marian Olszuk, ovviamente, ci parlò
volentieri, a lungo e, a differenza di un altro testimone polacco,
con le idee chiare.
Le false dimensioni del"campo
di sterminio"
Per la nostra indagine, avevo insistito che la nostra piccola
squadra portasse con sé una catena metrica da topografo,
che potessimo usare per un po' per prendere le misure dei due
campi. Il secondo giorno della nostra frequentazione, Marian Olszuk,
ben vestito per l'occasione, acconsentì a mostrarci, sul
posto, le dimensioni reali del "campo di sterminio".
Con una video-camera che registrava tutto, lo accompagnammo da
un'estremità all'altra. Credo di poter giustamente dire
che semplicemente guardando i suoi movimenti, osservassimo un
vero "uomo della terra", qualcuno che stava ricordando
davanti ai nostri occhi, più di 40 anni dopo, ogni dettaglio
del terreno. Alberi e arbusti erano cresciuti dove in precedenza
il terreno era praticamente spoglio. Quando si imbatteva in un
albero, talvolta si domandava se il confine del campo vi passasse
a sinistra o a destra. Era impressionante osservare l'attempato
agricoltore fermarsi, riflettere, e prendere la sua decisione.
Il video registrò quei momenti. Fu nel corso di questa
camminata che il nostro uomo ci diede una rivelazione: il campo
era stato in realtà più piccolo in estensione di
quello che veniva detto ai turisti. Nel 1947, dopo la guerra,
le autorità acquisirono piccoli lotti di terreno confinanti
per allargare, in realtà, il "campo di sterminio".
La prima famiglia ad essere così espropriata fu quella
di Franciszek Pawlowski, e la seconda, quella degli Olszuk, che
dovettero abbandonare solo un'area di 2.500 metri quadri. Nel
disegno annesso, fatto da Tijudar Rudolph con i mezzi di cui disponevamo
allora, si noterà la differenza in estensione tra il campo
reale del 1942-43, che copriva circa 14 ettari, e il campo per
turisti del 1988, grande circa 23 ettari. Alla conclusione di
questa ispezione dei luoghi, Marian Olszuk ci salutò e
noi, per parte nostra, riprendemmo il nostro lavoro di misurazione.
A quel punto il vice direttore del museo di Treblinka improvvisamente
arrivò su un ciclomotore. Notando la nostra presenza si
adirò, dicendoci che non aveva mai visto in tutta la sua
vita comportamenti come il nostro. Mettendo nel conto la sua ira,
replicai indicando che era precisamente per meglio valutare quello
che i prigionieri di Treblinka avevano sofferto che ci era sembrato
necessario misurare le dimensioni del campo stesso. Improvvisamente
calmo e sorridente, Tadeusz Kiryluk fu pronto ad affermare: "Dopo
tutto, è precisamente di gente come voi che abbiamo bisogno!".
Presto diventammo quasi amici con lui e il suo superiore, il direttore
Wincenty Trebicky. Essi furono persino contenti di darci un'intervista,
che venne registrata su video. Tuttavia, il loro discorso burocratico
contrastava distintamente con la testimonianza dell'operaio e
agricoltore Marian Olszuk, che era così chiaramente il
frutto dell'esperienza reale. I resoconti dei due funzionari,
che provenivano direttamente dalla letteratura ufficiale, ortodossa,
erano vaghi, stereotipati, e segnati da un'intellettualità
perfettamente vacua. I loro ragguagli presero una piega involontariamente
parodistica: lo stesso scenario nel quale si trovavano a parlare,
il "campo di sterminio" di dimensioni tanto modeste,
screditava le aberrazioni della tesi ufficiale che andavano declamando,
secondo cui, ad esempio, i tedeschi avevano ucciso proprio lì
qualcosa come 870.000 persone in circa nove mesi, seppellendo
i corpi sul posto (Trebicky, da parte sua, elucubrava la cifra
molto più alta di 1.500.000 vittime).
Era nostra intenzione ritornare sul posto e vedere Marian Olszuk
una terza volta, poiché avevamo ancora qualche domanda
da fargli. Sfortunatamente, però, c'era ora il rischiosi
comprometterlo. La polizia comunista, che era stata certamente
informata della nostra attività, poteva prenderlo in qualsiasi
momento per interrogarlo. A malincuore decidemmo di non incontrare
di nuovo la nostra guida, che era stata provvidenziale ed inaspettata
ad un tempo.
Il giorno precedente, va ricordato, Tijudar Rudolph, Eugen Ernst
ed io avemmo a che fare con la polizia locale, che ci trattenne
per un interrogatorio di un'ora in una stanza nella stazione ferroviaria
della vicina Malkinia. Eravamo infatti stati segnalati per aver
filmato la stazione e alcuni vagoni ferroviari, in tutto paragonabili
ai treni merci degli anni di guerra. Ma sebbene non riuscimmo
ad incontrare di nuovo Marian Olszuk, entrai in contatto con una
"bestia rara", il famoso guidatore di locomotive filmato
da Claude Lanzmann in Shoah.
L'ammissione spontanea del
guidatore di locomotive
Uno dei più importanti testimoni di Claude Lanzmann fu
Henryk Gawkowski, visto nel film Shoah vestito nella sua divisa
da macchinista, con indosso un cappello e guidando una locomotiva
come faceva durante gli anni di guerra quando trasportava convogli
di ebrei da Varsavia a Malkinia, e poi a Treblinka. In una scena
rievocativa, egli si sporgeva dalla porta della cabina e, scorrendo
un dito da una parte all'altra della gola, indirizzava quel gesto
verso lo spazio un tempo occupato dagli ebrei come un segno che
sarebbero stati uccisi [1]. Trovai Gawkowski a Malkinia, dove
era nato nel 1922. Al mattino, le nostre sessioni di domanda e
risposta procedevano abbastanza lisce, ma nei pomeriggi, sotto
l'influenza dell'alcol, diventava un parlatore interminabile,
incapace di replicare in modo coerente alle domande. Andava avanti
su qualsiasi cosa come se avesse visto tutto. Eppure non ricordava
il nome di Lanzmann. E' possibile però che Lanzmann avesse,
com'è suo costume, presentato sé stesso sotto qualche
nome fittizio, arrogando titoli accademici da millantare [2].
Nondimeno egli parlava con affezionato ricordo del regista del
film, un francese che, come ci fece sapere, lo aveva rifornito
di pregiati "vini spagnoli".
Una mattina, mentre stava recitando storie che aveva chiaramente
letto e non vissuto, interruppi Gawkowski per porgli, di punto
in bianco, una questione che fece cadere l'intero edificio di
vanterie e di chiacchiericci di cui si era addottrinato. Gli chiesi:
"Ma allora, eri consapevole di condurre tutti quegli ebrei
alla loro morte, giorno dopo giorno, e per un periodo di quasi
15 mesi?"
La sua replica balzò fuori:
"No, naturalmente no!"
Gli domandai in quale momento divenne consapevole di tali uccisioni.
Risposta:
"Dopo la guerra".
In altre parole, per riprendere la parabola del revisionista americano
Arthur Butz [3], Gawkowski era un altro di quelli che, all'epoca,
non avevano visto "l'elefante". Non lo aveva visto,
e neppure sentito barrire, ma un bel po' di tempo dopo si era
convinto che, in questo specifico angolo di Polonia, per quasi
15 mesi, un mostruoso pachiderma aveva segretamente infestato
l'area, diffondendo terrore al suo passaggio. Abbastanza da far
pensare che "l'elefante" fosse magico, se non fosse
solo un miraggio!
Il "campo di sterminio"
era in realtà un campo di transito
Per capire che le pretese camere a gas di Auschwitz non possono
essere esistite, è sufficiente dare uno sguardo alla vera
camera a gas di un penitenziario americano. Per comprendere che
gli asseriti ritmi operativi dei forni crematori di Auschwitz
sono fasulli, è sufficiente informarsi sui ritmi operativi,
realmente effettivi, dei forni crematori in uso al giorno d'oggi.
Per rendersi conto da soli che la storia attribuita ad Anne Frank
è costellata di impossibilità fisiche, è
sufficiente visitare, con gli occhi bene aperti, la "Anne
Frank House" di Amsterdam. Allo stesso modo, per valutare
fino a che punto gli stermini e i seppellimenti prodigiosamente
segreti di ebrei a Treblinka non sono che una menzogna, è
sufficiente percorrere a piedi oggi il quadrilatero un tempo costituito
dal campo e rilevare le sue modeste proporzioni circa 248
metri per 372 metri per 468 metri per 472 metri.
I revisionisti possono ovviamente presentare molti argomenti aggiuntivi,
esaminando le "testimonianze", le "ammissioni",
le "confessioni", i processi, e i libri, nei quali,
per un lettore con un po' di vigilanza, le accuse ebraiche concernenti
il campo di Treblinka si mostrano in continuazione come
illusorie e false. Può essere motivo di divertimento il
fatto che, già nel 1946 al processo di Norimberga, il giudice
sovrintendente, assistito dall'accusatore sovietico, si mosse
velocemente per impedire al testimone Samuel Rajzman di addurre
prove mostrando presumibilmente una planimetria di Treblinka;
va detto che, all'epoca, quello specifico testimone ebreo parlava
di un forno crematorio situato a Treblinka dove è riconosciuto
che non ci fu mai un forno crematorio e dove, secondo un documento
che, a giudizio del Tribunale Militare, espone "fatti di
dominio pubblico", vi furono solo "camere a vapore",
e non "camere a gas" [4]. Si può anche rammentare
che il tedesco Kurt Franz, le cui apparenti confessioni rafforzano
pomposamente la tesi delle gassazioni a Treblinka, conclude scrivendo
assai chiaramente [5]:
"Non ebbi nulla a che fare con le gassazioni di ebrei, sia
a Treblinka che altrove".
Sarebbe divertente presentare, fianco a fianco, le planimetrie
comuniste ed ebraiche di Treblinka, osservando che, riguardo alle
pretese strutture di sterminio, esse sono tutte sorprendentemente
imprecise e , inoltre, incompatibili l'una con l'altra.
Personalmente però preferisco risparmiare ai miei lettori
le mie scartoffie e i miei dossier, in particolare su Treblinka,
fornendo qui solo questo resoconto della nostra visita al campo
in compagnia di una guida di prim'ordine: il polacco Marian Olszuk.
Quando Jurgen Graf mi chiese consiglio nel 2000 in preparazione
della sua personale ispezione di Treblinka con il suo amico Carlo
Mattogno, gli suggerii di visitarmi per consultare i miei documenti
sull'argomento, e gli domandai di prendere contatto, una volta
arrivato a Treblinka, con Marian Olszuk. Gli mandai qualche fotografia
del mio incontro con quest'ultimo. Sfortunatamente Graf fu impossibilitato
a venire in Francia e, quando visitò Treblinka, non interrogò
il migliore di tutti i possibili testimoni e guide. Rimpiango
questo in modo particolare, poiché egli avrebbe potuto
porre a Marian Olszuk le domande lasciate in sospeso dal tempo
del mio viaggio del 1988. Sono assolutamente certo che le risposte
di Marian Olszuk sarebbero state un prezioso aiuto a Graf e Mattogno
nella preparazione del loro lavoro congiunto Treblinka, Campo
di Sterminio o Campo di Transito?, pubblicato in prima edizione
in tedesco nel 2002 da Castle Hill Publishers.
Ad ogni modo, il caso è risolto. Un centinaio di reperti
di prova, insieme al libro di Graf e Mattogno, mostrano che Treblinka
II non poteva mai essere stata altro che un ordinario e modesto
"Durchgangslager", vale a dire, un campo di transito
per ebrei da trasferire a Majdanek, Auschwitz, o altri campi di
concentramento e lavoro, a Sud o a Est.
Insieme alla grande menzogna di Auschwitz, la grossolana menzogna
di Treblinka appartiene perciò al bidone della spazzatura
della storia.
[1] Una trascrizione del dialogo
e descrizioni dei compiti di scena possono essere trovate nel
libro di Lanzmann Shoah, con una prefazione di Simone de
Beauvoir, Fayard, Parigi, 1985, pp.47-49.
[2] Vedere i miei Ecrits
révisionnistes (1974-1998), edizione privata, 1999,
vol.II, p.746.
[3] A. R. Butz, Context and Perspective in the Holocaust Controversy,
ristampato in A. R. Butz, The
Hoax of the Twentieth Century, Theses and Dissertation
Press, Chicago, IL 2003, pp. 379-407, il passaggio in questione
è a p. 392.
[4] IMG, vol.VIII, p.357 o IMT, vol.VIII, p.325, e documento PS-3311.
[5] Ecrits révisionnistes
(1974-1998), op. cit., vol. II, pp.753-755.
12 ottobre 2003
Tradotto da Andrea Carancini.
L'indirizzo elettonico (URL) di questo documento è: <http://aaargh-international.org/ital/archifauri/RF031012it.html>