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Treblinka: una guida eccezionale

 

Robert Faurisson

 

 

Introduzione

In riferimento al campo di guerra di Treblinka, ho menzionato nel corso degli anni ­ in qualche messaggio congressuale, in una presentazione video e in qualche scambio epistolare ­ la testimonianza di Marian Olszuk. Ma essendo stato assorbito dall'ordalia del combattimento revisionista nel corso degli ultimi 15 anni, ho rinviato la stesura di un rapporto sul mio incontro con questo eccezionale testimone polacco. Il mio rapporto dovrebbe, più in generale, occuparsi anche del viaggio del 1988 che mi portò prima a Treblinka-Malkinia, nella Polonia comunista, e poi nei campi di Orianenburg-Sachsenhausen e di Ravensbruk, nella Germania comunista. Ernst Zundel possedeva una serie di sette video sulla mia visita in questi tre campi. Non so se questi nastri furono distrutti nell'attacco incendiario del 1995 che devastò gran parte della sua grande casa di Toronto, e non glielo chiederò, poiché proprio in questo momento è detenuto in una prigione di massima sicurezza in Canada. Oltre a questo, possiedo ancora circa 30 fotografie che testimoniano il mio sopralluogo in questo sacrario dell'Olocausto, Treblinka.
Due uomini mi accompagnarono durante questa indagine nel Giugno e nel Luglio del 1988: il tedesco Tijudar Rudolph e il giovane canadese Eugen Ernst. Il primo fu gentile abbastanza da fungere da interprete e disegnatore, mentre il secondo fu il nostro fotografo e operatore. Esprimo loro qui il mio ringraziamento per la loro dedizione, competenza e per lo spirito di sacrificio dimostrato in una prova che si rivelò difficile, con estenuanti giorni di lavoro, cattivi alloggi e qualche guaio causato dalle autorità comuniste polacche. Ringrazio anche il mio amico Ernst Zundel per aver coperto le nostre spese di viaggio e alloggio.

Il mio metodo di indagine
Il mio normale metodo di indagine consiste, primo, nel raccogliere quanta più documentazione possibile su un dato argomento, poi nell'allontanarsi dagli scritti o dai documenti, che sono così importanti per coloro che io chiamo "storici di carta", e, infine nel visitare ed ispezionare in prima persona il luogo che sto indagando. Dopo una prolungata indagine dei luoghi, vado in cerca di testimoni residenti nella zona in questione. Nel far domande cerco generalmente di essere diretto e insistente e di evitare di trasmettere anche solo un accenno di diffidenza. Sebbene sia interessato ad ascoltare testimoni di tutte le età, posizioni sociali e punti di vista, ho imparato attraverso l'esperienza che in un'indagine di questo genere è meglio trovare testimoni che siano il meno possibile "intellettuali" e che non avessero più di 20 anni di età all'epoca degli eventi in questione. Quel sopralluogo del 1988, dovrei ricordare, non fu certo il primo del genere. Durante gli anni sessanta, avevo già condotto una delicata, addirittura pericolosa indagine delle esecuzioni effettuate nell'estate del 1944 dai "combattenti della resistenza" o "terroristi" in un'area assai ristretta del dipartimento francese di Charente (tra le città di Angouleme e Limoges). In quell'occasione interrogai i comunisti e i non-comunisti su degli episodi che avrebbero preferito non trattare. Durante gli anni settanta condussi qualche altra indagine difficile che mi portò, come scrisse Montaigne, a "sfregare e limare il [ mio] cervello contro il cervello altrui" e che mi fece perdere ogni traccia di timidezza. Tali esperienze furono per me una "scuola" che, credo, mi insegnò a valutare il reale valore di un testimone e la sua deposizione. Da questo punto di vista, sono stato fortunato nel trovare, durante la mia indagine su Treblinka del 1988, un testimone di eccezionale valore.

Un testimone eccezionale: Marian Olszuk
A Treblinka ebbi la buona fortuna di trovare Marian Olszuk. Un testimone eccezionale, e davvero una guida. Nato nella vicina Wolka Okraglik, aveva all'epoca 63 anni. Nel 1942-43, il periodo che stavo indagando, aveva 17 e 18 anni. Si potrebbe difficilmente immaginare di trovare qualcuno che possa aver vissuto più vicino ai due campi di Treblinka. Dal Dicembre del 1941 al Luglio del 1944, il campo di Treblinka I, situato abbastanza vicino ad una cava di sabbia e ghiaia che riforniva Varsavia, era un campo di prigionia principalmente per polacchi, sia ebrei che non-ebrei, che erano stati trovati colpevoli per aver infranto leggi delle autorità tedesche di occupazione. Il campo adiacente di Treblinka II fu, dal 23 Luglio del 1942 al 14 Ottobre del 1944, un campo riservato ad ebrei, principalmente ebrei di Varsavia. Secondo la leggenda questo fu, nel linguaggio convenzionale degli Alleati, un "campo di sterminio". Secondo l'Enciclopedia dell'Olocausto almeno 870.000 ebrei vi furono sterminati in un periodo di nove mesi, dal tardo Luglio del 1942 all'Aprile del 1943.
Primogenito di una famiglia di otto figli, Marian Olszuk lavorava ogni giorno nella cava con altri polacchi che erano più o meno liberi di andare e venire come volevano, vicino a prigionieri guardati a vista sia da soldati tedeschi armati di pistole che da guardie ucraine con carabine. Suo padre era un taglialegna. Alla sera, il giovane uomo tornava alla fattoria di famiglia, che si trovava ad un miglio e un quarto a Nord di Treblinka II. Spesso andava nel campo di proprietà del padre, che si trovava proprio a 300 metri di distanza dal filo spinato del perimetro esterno del preteso "campo di sterminio". Il terreno era scadente e la sua famiglia  vi coltivava segala e lupino. Passando ai piedi di una torre di guardia, il giovane Marian attaccava qualche volta conversazione con le sentinelle che, abbastanza socievoli, gli gettavano ogni tanto una sigaretta dall'alto. Il campo era piccolo, estendendosi soltanto tra i 13 e i 14 ettari (per contrasto, il campo di Orianenburg-Sachsenhausen, a Nord di Berlino copriva 388 ettari). Nel 1942-43, l'area del "campo di sterminio" era praticamente priva di alberi e di macchie di arbusti. Di conseguenza, la gente della fattoria limitrofa e i passanti potevano facilmente osservare, attraverso il reticolo a filo spinato, i prigionieri e le guardie, come pure gli edifici di un campo che ora ci vien detto essere stato ultrasegreto. Dalla prospettiva di qualcuno posto di fronte all'entrata del campo, la fattoria della famiglia Olszuk era situata ad un miglio ed un quarto sulla sinistra, mentre la posizione del loro appezzamento era direttamente a destra, a 300 metri dal limite orientale del campo. Perciò, Marian Olszuk passava vicino al "campo di sterminio" ogni giorno per andare a lavorare alla cava, e quando lavorava nell'appezzamento di famiglia, si trovava parimenti vicino al "campo di sterminio".
Anche se, naturalmente, non entrò mai nell'area del campo, ogni giorno c'era gente radunata in gruppi fuori del cancello principale, apertamente occupata in operazioni di baratto e mercato nero. C'erano trafficanti che venivano da Varsavia per vendere merci alle guardie ucraine che, a turno, facevano affari con i prigionieri ebrei ai quali vendevano cibo. Alcuni di questi ebrei compravano prosciutti e salsicce, che erano articoli di lusso a quel tempo. L'esistenza dei due campi di Treblinka era di dominio pubblico, e un gran numero di detenuti ebrei sembrava avere disponibilità di denaro, oro o gioielli.
Notò mai, Marian Olszuk, segni di attività omicide da parte dei tedeschi in questo "campo di sterminio"? La sua risposta fu No. Una volta vide un grande fuoco bruciare all'interno, ma era un tumulo di vecchi vestiti, alto circa quattro metri, in fiamme. Allo stesso modo, numerose volte sentì, di notte le grida e i lamenti di donne e bambini che giungevano alla sua fattoria. Di tanto in tanto, egli raccontava, un tanfo sinistro emanava dal campo. Ascoltò mai, Olszuk, discorsi di camere a gas? Sì, egli incontrò un russo che gli disse che i tedeschi usavano "una camera a gas mobile su rotaie" (sic). Egli sapeva che i tedeschi uccidevano i prigionieri condannati tramite fucilazione vicino Treblinka I. Nei suoi spostamenti il giovane contadino-operaio spesso incontrava ebrei che erano alloggiati nel campo di Treblinka II. Questi ebrei lavoravano con varie mansioni nei boschi, sorvegliati dalle guardie ucraine che, da parte loro, spesso disertavano la sorveglianza. Il cibo era pessimo. Il suo compito specifico, mi disse Olszuk, era di riempire, con la pala, piccoli camion (o vagoni?) con sabbia o ghiaia, otto ore al giorno. Il lavoro era particolarmente duro durante il gelido inverno. Personalmente non vide mai un ebreo ucciso. Un giorno, suo padre diede dei vestiti ad un ebreo che era scappato dal campo. Convogli di ebrei arrivavano ogni giorno. Quando alla fine venne chiamato alle armi per lavorare in Prussia, Marian fuggì, trovando rifugio a Varsavia, e ritornò alla fattoria solo dopo che i campi vennero chiusi. Egli rievocava che fosse comuni vennero disserrate e furono trovati oro e rubini tra i resti umani.
Sorprendentemente, dopo la "liberazione" della Polonia e dopo la guerra, alcuna autorità amministrativa o di polizia lo interrogò su quanto era accaduto a Treblinka. Dopo la guerra ci furono commissioni ufficiali di inchiesta, che produssero rapporti capziosi, paragonabili al rapporto sovietico su Katyn (USSR-008). Ma nessuna di queste commissioni chiese mai agli Olszuk di testimoniare. Allo stesso modo, la guida ufficiale del campo, Marja Pisarek, asseriva freddamente che "nessuno nelle vicinanze vi parlerà". Ma Marian Olszuk, ovviamente, ci parlò volentieri, a lungo e, a differenza di un altro testimone polacco, con le idee chiare.

Le false dimensioni del"campo di sterminio"
Per la nostra indagine, avevo insistito che la nostra piccola squadra portasse con sé una catena metrica da topografo, che potessimo usare per un po' per prendere le misure dei due campi. Il secondo giorno della nostra frequentazione, Marian Olszuk, ben vestito per l'occasione, acconsentì a mostrarci, sul posto, le dimensioni reali del "campo di sterminio". Con una video-camera che registrava tutto, lo accompagnammo da un'estremità all'altra. Credo di poter giustamente dire che semplicemente guardando i suoi movimenti, osservassimo un vero "uomo della terra", qualcuno che stava ricordando davanti ai nostri occhi, più di 40 anni dopo, ogni dettaglio del terreno. Alberi e arbusti erano cresciuti dove in precedenza il terreno era praticamente spoglio. Quando si imbatteva in un albero, talvolta si domandava se il confine del campo vi passasse a sinistra o a destra. Era impressionante osservare l'attempato agricoltore fermarsi, riflettere, e prendere la sua decisione. Il video registrò quei momenti. Fu nel corso di questa camminata che il nostro uomo ci diede una rivelazione: il campo era stato in realtà più piccolo in estensione di quello che veniva detto ai turisti. Nel 1947, dopo la guerra, le autorità acquisirono piccoli lotti di terreno confinanti per allargare, in realtà, il "campo di sterminio". La prima famiglia ad essere così espropriata fu quella di Franciszek Pawlowski, e la seconda, quella degli Olszuk, che dovettero abbandonare solo un'area di 2.500 metri quadri. Nel disegno annesso, fatto da Tijudar Rudolph con i mezzi di cui disponevamo allora, si noterà la differenza in estensione tra il campo reale del 1942-43, che copriva circa 14 ettari, e il campo per turisti del 1988, grande circa 23 ettari. Alla conclusione di questa ispezione dei luoghi, Marian Olszuk ci salutò e noi, per parte nostra, riprendemmo il nostro lavoro di misurazione. A quel punto il vice direttore del museo di Treblinka improvvisamente arrivò su un ciclomotore. Notando la nostra presenza si adirò, dicendoci che non aveva mai visto in tutta la sua vita comportamenti come il nostro. Mettendo nel conto la sua ira, replicai indicando che era precisamente per meglio valutare quello che i prigionieri di Treblinka avevano sofferto che ci era sembrato necessario misurare le dimensioni del campo stesso. Improvvisamente calmo e sorridente, Tadeusz Kiryluk fu pronto ad affermare: "Dopo tutto, è precisamente di gente come voi che abbiamo bisogno!". Presto diventammo quasi amici con lui e il suo superiore, il direttore Wincenty Trebicky. Essi furono persino contenti di darci un'intervista, che venne registrata su video. Tuttavia, il loro discorso burocratico contrastava distintamente con la testimonianza dell'operaio e agricoltore Marian Olszuk, che era così chiaramente il frutto dell'esperienza reale. I resoconti dei due funzionari, che provenivano direttamente dalla letteratura ufficiale, ortodossa, erano vaghi, stereotipati, e segnati da un'intellettualità perfettamente vacua. I loro ragguagli presero una piega involontariamente parodistica: lo stesso scenario nel quale si trovavano a parlare, il "campo di sterminio" di dimensioni tanto modeste, screditava le aberrazioni della tesi ufficiale che andavano declamando, secondo cui, ad esempio, i tedeschi avevano ucciso proprio lì qualcosa come 870.000 persone in circa nove mesi, seppellendo i corpi sul posto (Trebicky, da parte sua, elucubrava la cifra molto più alta di 1.500.000 vittime).
Era nostra intenzione ritornare sul posto e vedere Marian Olszuk una terza volta, poiché avevamo ancora qualche domanda da fargli. Sfortunatamente, però, c'era ora il rischiosi comprometterlo. La polizia comunista, che era stata certamente informata della nostra attività, poteva prenderlo in qualsiasi momento per interrogarlo. A malincuore decidemmo di non incontrare di nuovo la nostra guida, che era stata provvidenziale ed inaspettata ad un tempo.
Il giorno precedente, va ricordato, Tijudar Rudolph, Eugen Ernst ed io avemmo a che fare con la polizia locale, che ci trattenne per un interrogatorio di un'ora in una stanza nella stazione ferroviaria della vicina Malkinia. Eravamo infatti stati segnalati per aver filmato la stazione e alcuni vagoni ferroviari, in tutto paragonabili ai treni merci degli anni di guerra. Ma sebbene non riuscimmo ad incontrare di nuovo Marian Olszuk, entrai in contatto con una "bestia rara", il famoso guidatore di locomotive filmato da Claude Lanzmann in Shoah.

L'ammissione spontanea del guidatore di locomotive
Uno dei più importanti testimoni di Claude Lanzmann fu Henryk Gawkowski, visto nel film Shoah vestito nella sua divisa da macchinista, con indosso un cappello e guidando una locomotiva come faceva durante gli anni di guerra quando trasportava convogli di ebrei da Varsavia a Malkinia, e poi a Treblinka. In una scena rievocativa, egli si sporgeva dalla porta della cabina e, scorrendo un dito da una parte all'altra della gola, indirizzava quel gesto verso lo spazio un tempo occupato dagli ebrei come un segno che sarebbero stati uccisi [1]. Trovai Gawkowski a Malkinia, dove era nato nel 1922. Al mattino, le nostre sessioni di domanda e risposta procedevano abbastanza lisce, ma nei pomeriggi, sotto l'influenza dell'alcol, diventava un parlatore interminabile, incapace di replicare in modo coerente alle domande. Andava avanti su qualsiasi cosa come se avesse visto tutto. Eppure non ricordava il nome di Lanzmann. E' possibile però che Lanzmann avesse, com'è suo costume, presentato sé stesso sotto qualche nome fittizio, arrogando titoli accademici da millantare [2]. Nondimeno egli parlava con affezionato ricordo del regista del film, un francese che, come ci fece sapere, lo aveva rifornito di pregiati "vini spagnoli".
Una mattina, mentre stava recitando storie che aveva chiaramente letto e non vissuto, interruppi Gawkowski per porgli, di punto in bianco, una questione che fece cadere l'intero edificio di vanterie e di chiacchiericci di cui si era addottrinato. Gli chiesi:
"Ma allora, eri consapevole di condurre tutti quegli ebrei alla loro morte, giorno dopo giorno, e per un periodo di quasi 15 mesi?"
La sua replica balzò fuori:
"No, naturalmente no!"
Gli domandai in quale momento divenne consapevole di tali uccisioni. Risposta:
"Dopo la guerra".
In altre parole, per riprendere la parabola del revisionista americano Arthur Butz [3], Gawkowski era un altro di quelli che, all'epoca, non avevano visto "l'elefante". Non lo aveva visto, e neppure sentito barrire, ma un bel po' di tempo dopo si era convinto che, in questo specifico angolo di Polonia, per quasi 15 mesi, un mostruoso pachiderma aveva segretamente infestato l'area, diffondendo terrore al suo passaggio. Abbastanza da far pensare che "l'elefante" fosse magico, se non fosse solo un miraggio!

Il "campo di sterminio" era in realtà un campo di transito
Per capire che le pretese camere a gas di Auschwitz non possono essere esistite, è sufficiente dare uno sguardo alla vera camera a gas di un penitenziario americano. Per comprendere che gli asseriti ritmi operativi dei forni crematori di Auschwitz sono fasulli, è sufficiente informarsi sui ritmi operativi, realmente effettivi, dei forni crematori in uso al giorno d'oggi. Per rendersi conto da soli che la storia attribuita ad Anne Frank è costellata di impossibilità fisiche, è sufficiente visitare, con gli occhi bene aperti, la "Anne Frank House" di Amsterdam. Allo stesso modo, per valutare fino a che punto gli stermini e i seppellimenti prodigiosamente segreti di ebrei a Treblinka non sono che una menzogna, è sufficiente percorrere a piedi oggi il quadrilatero un tempo costituito dal campo e rilevare le sue modeste proporzioni ­ circa 248 metri per 372 metri per 468 metri per 472 metri.
I revisionisti possono ovviamente presentare molti argomenti aggiuntivi, esaminando le "testimonianze", le "ammissioni", le "confessioni", i processi, e i libri, nei quali, per un lettore con un po' di vigilanza, le accuse ebraiche concernenti il campo di Treblinka si mostrano in continuazione  come illusorie e false. Può essere motivo di divertimento il fatto che, già nel 1946 al processo di Norimberga, il giudice sovrintendente, assistito dall'accusatore sovietico, si mosse velocemente per impedire al testimone Samuel Rajzman di addurre prove mostrando presumibilmente una planimetria di Treblinka; va detto che, all'epoca, quello specifico testimone ebreo parlava di un forno crematorio situato a Treblinka dove è riconosciuto che non ci fu mai un forno crematorio e dove, secondo un documento che, a giudizio del Tribunale Militare, espone "fatti di dominio pubblico", vi furono solo "camere a vapore", e non "camere a gas" [4]. Si può anche rammentare che il tedesco Kurt Franz, le cui apparenti confessioni rafforzano pomposamente la tesi delle gassazioni a Treblinka, conclude scrivendo assai chiaramente [5]:
"Non ebbi nulla a che fare con le gassazioni di ebrei, sia a Treblinka che altrove".
Sarebbe divertente presentare, fianco a fianco, le planimetrie comuniste ed ebraiche di Treblinka, osservando che, riguardo alle pretese strutture di sterminio, esse sono tutte sorprendentemente imprecise e , inoltre, incompatibili l'una con l'altra.
Personalmente però preferisco risparmiare ai miei lettori le mie scartoffie e i miei dossier, in particolare su Treblinka, fornendo qui solo questo resoconto della nostra visita al campo in compagnia di una guida di prim'ordine: il polacco Marian Olszuk.
Quando Jurgen Graf mi chiese consiglio nel 2000 in preparazione della sua personale ispezione di Treblinka con il suo amico Carlo Mattogno, gli suggerii di visitarmi per consultare i miei documenti sull'argomento, e gli domandai di prendere contatto, una volta arrivato a Treblinka, con Marian Olszuk. Gli mandai qualche fotografia del mio incontro con quest'ultimo. Sfortunatamente Graf fu impossibilitato a venire in Francia e, quando visitò Treblinka, non interrogò il migliore di tutti i possibili testimoni e guide. Rimpiango questo in modo particolare, poiché egli avrebbe potuto porre a Marian Olszuk le domande lasciate in sospeso dal tempo del mio viaggio del 1988. Sono assolutamente certo che le risposte di Marian Olszuk sarebbero state un prezioso aiuto a Graf e Mattogno nella preparazione del loro lavoro congiunto Treblinka, Campo di Sterminio o Campo di Transito?, pubblicato in prima edizione in tedesco nel 2002 da Castle Hill Publishers.
Ad ogni modo, il caso è risolto. Un centinaio di reperti di prova, insieme al libro di Graf e Mattogno, mostrano che Treblinka II non poteva mai essere stata altro che un ordinario e modesto "Durchgangslager", vale a dire, un campo di transito per ebrei da trasferire a Majdanek, Auschwitz, o altri campi di concentramento e lavoro, a Sud o a Est.
Insieme alla grande menzogna di Auschwitz, la grossolana menzogna di Treblinka appartiene perciò al bidone della spazzatura della storia. 

 

[1] Una trascrizione del dialogo e descrizioni dei compiti di scena possono essere trovate nel libro di Lanzmann Shoah, con una prefazione di Simone de Beauvoir, Fayard, Parigi, 1985, pp.47-49.
[2] Vedere i miei Ecrits révisionnistes (1974-1998), edizione privata, 1999, vol.II, p.746.
[3] A. R. Butz, Context and Perspective in the Holocaust Controversy, ristampato in A. R. Butz, The Hoax of the Twentieth Century, Theses and Dissertation Press, Chicago, IL 2003, pp. 379-407, il passaggio in questione è a p. 392.
[4] IMG, vol.VIII, p.357 o IMT, vol.VIII, p.325, e documento PS-3311.
[5] Ecrits révisionnistes (1974-1998), op. cit., vol. II, pp.753-755.

12 ottobre 2003

Tradotto da Andrea Carancini.

 


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