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"II problema delle camere a gas" o la "diceria di Auschwitz"*

Robert Faurisson

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"Défense de l'Occident" è una rivista marginale e la messa a punto pubblicatavi da Faurisson ha risonanza limitata. Ma in quel torno di tempo la questione delle camere a gas omicide torna di attualità, non solo in Francia, a seguito delle dichiarazioni rilasciate in Spagna, dove è rifugiato da molti anni, di un superstite arnese del collaborazionismo 1940-44, Darquier de Pellepoix (sempre che quelle dichiarazioni non gli siano semplicemente prestate da chi afferma di averle raccolte dalla sua viva voce: l'esperienza fatta dai revisionisti giustifica largamente la cautela). Faurisson viene intervistato dal "Matin de Paris", ma contro l'impegno preso dall'intervistatore l'intervista serve soltanto a rifornire di materiale un giornalisia che si rende responsabile di un articolo in cui il pensiero di lui viene ignobilmente sfigurato e annegato in un tessuto di menzogne svergognate (16 novembre '78). Il giornale rifiuta, subito appresso, di pubblicare un testo inviatogli da Faurisson nell'esercizio di quel droit de réponse che pure è sancito dalla basilare legge sulla stampa del 1881, quella stessa legge che la Fabius-Gayssot si metterà poi sotto i piedi. Il rifiuto del giornale riceverà l'avallo di un tribunale: la magistratura francese conincerà così a scrivere una delle pagine più avvilenti della propria stoáa. Il giorno successivo all'apparizione dell'articolo un provvedimento del rettore di Lione-2 sospende "provvisoriamente" il corso tenuto da Faurisson e proibisce a questi di accedere ai locali dell'università: è soltanto l'inizio di una sequela di comportamenti con i quali l'istituziore universitaria francese si squalifica moralmente e scientificamente.

Per converso, è "Le Monde" a concedere a Faurisson, il 29 dicembre '78, un po'del suo spazio. Lo scritto dello studioso vi compare seguito da una "confutazione" di Georges Wellers; il giorno successivo interviene

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Olga Wormser-Migot. Il droit de réponse di Faurisson viene rispettato, egli replicherà il 16 gennaio '79. Alla sua replica il giornale accompagna una nota in cui si ricorda che ogni ulteriore risposta a Faurisson darebbe a questi il diritto di replicare ulteriormente, e si dichiara chiusa la discussione. Ma il 21 febbraio pubblicherà un nuovo articolo del Wellers nel quale Faurisson è attaccato senza che venga fatto il suo nome! E con ciò il prestigioso quotidiano comincia a fare ammenda dell'atteggiamento non illiberale tenuto da principio.

Ecco il cappello redazionale con cui veniva presentato il testo ospitato il 29 dicembre:

Robert Faurisson c'è riuscito, in qualche misura. Nessuno ignora più, a credergli, che non ci sono mai state camere a gas nei campi di concentramento. Il che implica che non ci sono mai stati campi di sterminio. Faurisson, in una lettera "con preghiera di pubblicazione" del 1 o novembre 1978, scrive: "Hitler non ha mai ordinato né consentito che chicchessia fosse ucciso a causa della sua razza o della sua religione. Non voglio oltraggiare né riabilitare alcuno".
Per quanto aberrante possa sembrare la tesi di Faurisson, essa ha portato turbamento soprattutto tra le giovani gerierazioni, poco disposte ad accettare ad occhi chiusi le idee acquìsite. Per parecchi dei nostri lettori, era indispensabile giudicare sui testi. Quindi pubblichiamo lo scritto che il "maitre de confèrence" dell'Università di Lione-2 divulga instancabilmente, con il suo titolo e le sue note.


 

Nessuno contesta l'utilizzazione di forni crematori in alcuni campi tedeschi. La frequenza stessa delle epidemie, in tutta l'Europa in guerra, esigeva la cremazione, ad esern pio, dei cadaveri di morti per tifo.

Ad essere contestata è l'esistenza delle "camere a gas", veri mattatoi umani. Dal 1945 questa contestazione cresce. I grandi mezzi d'informazione non l'ignorano più.

Nel 1945 la storiografia ufficiale affermava che delle "camere a gas" erano entrate in funzione sia nell'ex Reich sia in Austria, sia in Alsazia sia in Polonia. Quindici anni più tardi, nel 1960, correggeva il suo giudizio: "camere a gas" non avevano, "prima di tutto" (?), funzionato che in Polonia (1).

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Questa lacerante ammissione del 1960 annullava mille "testimonianze", mille "prove" di pretese gassazioni a Oranienburg, a Buchenwald, a Bergen-Belsen, a Dachau, a Ravensbrück, i Mauthausen. Dinanzi agli apparati giudiziari inglese o francese, i responsabili di Ravensbrück (Suren, Schwarzhuber, il dottor Treite) avevano confessato l'esistenza di una "camera a gas" di cui avevano perfino descritto, in modo vago, il funzionamento. Scena simile per Ziereis, a Mauthausen, o per Kremer, a Struthof. Dopo la morte dei colpevali, s'è scoperto che queste gassazioni non erano mai avvenute. Fragilità delle testimonianze e delle confessioni!

Neppure le "camere a gas" in Polonia (si finirà pure con l'ammetterlo) sono mai state realtà. E' agli apparati giudiziari polacco e sovietico che dobbiamo l'essenziale delle nostre conoscenze in proposito (si veda ad esempio la sbalorditiva confessione di R. Höss: Commandant à Auschwitz).

L'attuale visitatore di Auschwitz o di Majdanek vede, come "camere a gas", locali in cui qualsiasi gassazione sarebbe risultata una catastrofe per i gassatori e il loro seguito. Un'esecuzione collettiva con il gas, ammettendo che fosse praticabile, si sarebbe tradotta in una gassazione suicida o accidentale. Per gassare un solo prigicniero alla volta, con i piedi e le mani legati, gli americani impiegano un gas sofisticato, e questo in uno spazio lin iitato, in cui il gas, dopo l'uso, viene aspirato per essere in seguito neutralizzato. Così, come si sarebbe potuto, per esempio ad Auschwitz, far entrare duemila (e anche tremila) uomini in uno spazio di 210 metri quadrati (!), quindi versare (!) su di loro dei granuli di quel banale e violento insetticida che è lo Zyklon B; infine come si sarebbe potuto, subito dopo la morte delle vittime, inviare senza maschere antigas, in quel locale saturo di acido cianidrico, una squadra incaricata di estrarre i cadaveri impregnati di cianuro? D'altronde, documenti troppo poco noti (2) dimostrano: 1) che quel locale, che i tedeschi avrebbero fatto saltare prima della loro fuga, non era altro che un normale obitorio (Leichenkeller), interrato (per proteggerlo dal calore) e provvisto di una sola piccola porta d'entrata e d'uscita; 2) che lo Zyklon B non poteva essere eliminato con una rapida ventilazione e che per la sua evaperazione

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occorrevano per lo meno ventuno ore. Mentre sui forni crematori di Auschwitz si possiedono migliaia di documenti, comprese le fatture, precise al centesimo. sulle "camere a gas", che, a quanto pare, erano di fianco a questi forni, non si ha né un ordine di costruzione, né un progetto, né un'ordinazione, né una pianta, né una fattura, né una foto. Con cento processi (Gerusalemme, Francoforte, ecc.), non si è riusciti a fare saltare fuori niente.

"lo ero ad Auschwitz. Non c'erano "carmre a gas"". Non si presta attenzione ai testimoni a discarico che osano pronunciare questa frase. Li si processa. Ancora nel 1978, chiunque in Germania porti testimonianza a favore di T. Christophersen suo è il libro Die Auschwitz Lüge (La menzogna di Auschwitz) rischia una condanna per "oltraggio alla memoria dei morti".

Dopo la guerra, la Croce rossa internazionale (che aveva svolto la sua inchiesta sulla "diceria di Auschwitz"), il Vaticano ( che era così bene informato sulla Polonia), i nazisti, i collaborazionisti, tutti dichiararono con molti altri: "Le "camere a gas"? Non ne sappiamo niente". Ma come si possono sapere le cose se non sono esistite?

Il nazismo è morto e sepolto, col suo Führer. Oggi rimane la verità. Osiamo proclamarla allora. L'inesistenza delle "camere a gas" è una buona notizia per la pove:ra umanità. Una buona notizia che sarebbe male tenere ancora nascosta (3).


Robert Faurisson docente universitario (Università di LioneII)

NOTE

*Faurisson in una nota precisa che la prima espressione tra virgolette è di Olga Wormser-Migot (Le Système concentrationnaire nazi, tesi PUF, 1968).

1.) Keine Vergasung in Dachau del dottor Martin Broszat, direttore dell'Istituto di storia contemporanea di Monaco ("Die Zeit", 19.8.1960, p. 16) [nda].

2.) Da un lato, fotografie del museo di Auschwitz (neg. 519 e 6228); dall'altro, documenti di Norimberga (NI-9098 e NI-9912) [nda].

3. Tra la ventina di autori che negano l'esistenza di "camere a gas", citiamo Paul Rassinier, ex deportato (Le Véritable Procès Eichmann, 1962), e soprattutto l'americano A.R. Butz, Eatore del notevole libro The Hoax of the 20th Century (1976) [nda]


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Prima pubblicazione: Le Monde, 29 dicembre 1978.
Ripodutto in Serge Thion, Vérité historique ou vérité politique? Le dossier de l'affaire Faurisson. La question des chambres à gaz, Paris, La Vieille Taupe, 1979, pp. 104-5.

Riprodutto in Robert Faurisson, Ecrits révisionnistes, 1974-1998, 1999, vol. I, p. 122-4.

Prima traduzione italiana: Il Caso Faurisson, a cura di Andrea Chersi, [1981], pp. 21-23.

Nova traduzione in Il Caso Faurisson e il revisionismo olocaustico, Graphos, 1997, pp. 86-89.





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