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1. CUM STUDIO ET IRA
Nel panorama della propaganda antirevisionista è difficile trovare un'opera più ignobile di Denying the Holocaust di Deborah Lipstadt (1). La menzogna dell'origine nazista del revisionismo non solo vi è sostenuta con un furore senza pari, ma costituisce l'essenza stessa e la ragion d'essere dell'opera. Furor arma ministrat. Questa menzogna, ripetuta in tutti i toni e in tutte le salse, ricorre ossessivamente in tutto il libro e ne costituisce la tesi fondamentale: i revisionisti sono nazisti o neonazisti, razzisti, antisemiti, dunque sono dei mentitori. Non perderòtempo a rispondere a queste accuse, ma mi preme mostrare un florilegio della nobile prosa di quest'anima candida infiammata non già da un odio rabbioso contro i revisionisti, bens"da virtuosa indignazione e da un amore appassionato per la verità! Tuttavia, ad onor del vero, delle 278 pagine di insulti e di pettegolezzi da marciapiede del libro, ben 7 si occupano del tema essenziale dello Zyklon B e delle camere a gas omicide, ma riportano semplicemente le conclusioni del primo libro di Jean-Claude Pressac, che evidentemente ha colpito profondamente la fantasia della nostra paladina della verità -- come del resto è accaduto ad altri incompetenti come lei -- in ossequio alla regola della propaganda antirevisionista per cui chi meno sa, chi meno è competente più scrive e più innalza alti lai. Di queste pagine mi occuperòalla fine di questo eloquente florilegio.
Il principio metodologico che sta alla base delle elucubrazioni di Deborah Lipstadt è elementare: poiché l'Olocausto non deve essere messo in discussione, chiunque lo discute deve essere necessariamente un mentitore, perciòbisogna solo escogitare la menzogna più adatta per dimostrare questo assunto preliminare. Nella soluzione di questo problema, per ricchezza di fantasia, Deborah Lipstadt ha superato di gran lunga tutti gli altri propagandisti precedenti, con la creazione del mito di una cospirazione mondiale revisionista i cui Savi Anziani, tramando
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nell'ombra, hanno forgiato nelle loro fucine infernali uno strumento diabolico per riabilitare e risuscitare il regime nazista: il revisionismo. Deborah Lipstadt traccia anzitutto i principi generali del mito:
"Negli anni Trenta i nazisti diffusero una virulenta forma di antisemitismo che portòalla distruzione di milioni [di Ebrei]. Oggi il bacillo (the bacillus) portato da questi ratti (rats) minaccia di "uccidere" per la seconda volta coloro che sono già morti ad opera dei nazisti distruggendo il loro ricordo nel mondo" (p. XVII).
"Prima di poter risuscitare il fascismo, bisogna cancellare questa macchia [l'Olocausto]. All'inizio essi cercarono di giustificarlo, ora lo negano" (p. 23).
"Inizialmente la negazione dell'Olocausto fu un'impresa assunta da un piccolo gruppo di estremisti politici" (p. 24).
"Per raggiungere i loro obiettivi, uno dei quali è la riabilitazione storica della Germania, essi (i revisionisti) devono "eliminare" l'Olocausto (p. 42)".
"Conseguentemente, la negazione dell'Olocausto divenne un elemento importante nella struttura della loro ideologia. Se fosse stato possibile convincere il pubblico che l'Olocausto era un mito, allora la rinascita del nazionalsocialismo avrebbe potuto essere una scelta realizzabile" (p.103).
Indi Deborah Lipstadt procede alla dimostrazione della teoria del complotto con una ardita ricostruzione storica della genesi del revisionismo:
"La fine della seconda guerra mondiale significòil fallimento del sogno di Hitler del Terzo Reich. Persone più razionali pensarono che essa significasse anche la fine del fascismo come ideologia. Finché il fascismo poteva essere collegato al nazismo, e il nazismo, a sua volta, poteva essere collegato agli orrori della Soluzione finale, entrambi sarebbero rimasti completamente screditati. C'erano comunque coloro che non volevano abbandonare questi sistemi politici. Essi sapevano che l'unico mezzo per tentare di risuscitarli sarebbe stato di separarli dall'Olocausto e dalla
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moltitudine delle atrocità che lo accompagnarono" (p. 49).
Questa operazione inconfessabile cominciòin Francia ad
opera di Maurice Bardèche -- promosso per esigenze tattiche
a primo revisionista mondiale -- con il libro Nuremberg ou
la terre promise, apparso nel 1948:
"Egli fu anche il primo ad affermare che le camere a gas erano usate per la disinfezione -- non per lo sterminio. Le dubbie credenziali di Bardèche -- egli restò per tutta la vita un fascista impegnato -- lo resero una figura controversa nei circoli negazionisti. Malgrado la sua affermazione che l'Olocausto era un mito e che i nazisti erano ingiustamente coinvolti, Bardèche non è mai stato accettato dai negatori contemporanei. Ciònon ha impedito loro di adottare le sue idee. Sebbene usino i suoi argomenti, essi raramente lo menzionano per nome, a causa delle sue opinioni politiche, sulle quali egli fu sempre del tutto esplicito. In effetti, egli cominciò il suo libro Che cos'è il fascismo? Con la dichiarazione inequivocabile: "Io sono uno scrittore fascista". Nel suo secondo libro, Bardèche espose i suoi obiettivi, che restano, quasi alla lettera, il credo dei negatori contemporanei [...]" (pp. 50-51).
Deborah Lipstadt, scrivendo negli Stati Uniti, si poteva permettere di ingannare i suoi lettori contando sulla loro ignoranza, ma Pierre Vidal-Naquet, che ha scritto in Francia, non ha potuto permetterselo ed è stato costretto ad ammettere la verità, sia pure a denti stretti:
"La premessa alla seconda edizione di Le Mensonge d'Ulysse (1954) rende un valido omaggio a Maurice Bardèche (Mensonge, p. 235, nota 6) (2) che aveva cominciato nel
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1948 la sua campagna politica con Nuremberg ou la Terre promise. E' bene leggere questo "libro ammirevole" (Rassinier, Véritable procès Eichmann, p. 43) (3). Allora Maurice Bardèche non aveva ancora scoperto che il genocidio hitleriano non c'era stato: <<Esisteva una volontà di sterminio degli ebrei sulla quale le prove sono numerose>>" (p.187) (4).
La citazione di Pierre Vidal-Naquet è corretta: Bardèche non solo ha scritto che "il y avait une volonté d'extermination des juifs (sur laquelle les preuves sont nombreuses)" (5), ma è stato ancora più esplicito:
"Oui, à l'Est de l'Europe, il y a un terrible compte ouvert entre l'Allemagne et ses voicines. Oui, là, il y a eu une politique d'extermination" (6). [...] "Evidemment, en contre-partie, il faut se souvenir ici des témoignages présentés par la délégation soviétique et en particulier de celui qui décrit à Treblinka la base d'extermination, où les Juifs étaient exécutés en masse aussitÙt après leur arrivée dans une gare factice qui dissimulait les installations d'execution" (7) [...]. "Les accusés de Nuremberg ont pu soutenir qu'ils avaient ignoré pendant toute la guerre les exécution massives qui avaient lieu à Auschwitz, à Treblinka et ailleurs ..." (8)
Torniamo a Deborah Lipstadt. Dopo aver nominato Bardèche fondatore del revisionismo, con lo stesso amore per la verità costei rende Rassinier discepolo e complice dello scrittore fascista:
"L'assalto successivo alla storia della guerra provenne anch'esso dalla Francia. Nel 1948 Paul Rassinier, un ex comunista e socialista che era stato internato nei campi di concentramento di Buchenwald e di Dora, pubblicò Le Passage de la Ligne. Questo fu il primo di una serie di libri che
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egli avrebbe scritto nelle due decadi successive per mostrare che le affermazioni dei superstiti sul comportamento dei nazisti, specialmente in relazione alle atrocità, non potevano essere degne di fede. Rassinier, che divenne membro del partito comunista nel 1922 quando aveva sedici anni, lasciòi comunisti alla metà degli anni Trenta e si un"ai socialisti. Quando scoppiòla guerra entròa far parte della resistenza. Alla fine fu catturato e mandato a Buchenwald. Alla liberazione nel 1945 tornòin Francia e fu eletto membro socialista dell'Assemblea Nazionale, dove prestòservizio per un anno. Subito dopo egli cominciòuna prolifica carriera editoriale, la maggior parte della quale era dedicata a difendere i nazisti dimostrando che le accuse di atrocità contro di loro erano gonfiate e ingiuste". (p. 51)
Fortunatamente Deborah Lipstadt, con il suo acuto occhio critico, ha scoperto e svelato al mondo il piano diabolico di Rassinier:
"Anzitutto egli doveva demolire la credibilità delle testimonianze dei suoi compagni di prigionia. Finché si poteva aver fiducia in ciòche dicevano, ogni tentativo di assolvere i nazisti sarebbe stato inutile."(p. 53)
Ma persino i minus habentes ai quali è destinato il libro della Lipstadt potrebbero chiedersi: perché mai Rassinier -- socialista, resistente, torturato dalla Gestapo per undici giorni ("mani schiacciate, mascella rotta, un rene scoppiato" (9)), inviato poi nei campi di concentramento di Buchenwald e di Dora, dove rimase per diciannove mesi, dai quali tornòinvalido al 105% (10) -- avrebbe dovuto "difendere i nazisti"? Per gratitudine verso i suoi aguzzini? Per sado-masochismo? Deborah Lipstadt non puòfar altro che ricorrere alla spiegazione classica che i propagandisti del suo stampo adottano quando non possono addurre alcuna spiegazione: l'antisemitismo. Costei proclama dunque che
"la negazione dell'Olocausto di Rassinier non era altro che una maschera per l'espressione di una forma classica di antisemitismo." (p. 64)
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Incredibile dictu, Rassinier odiava gli Ebrei, che non gli avevano fatto nulla, di gran lunga più dei nazisti, che lo avevano torturato e mandato in campo di concentramento! Ma si sa, i "pregiudizi" sono "irrazionali"!
Deborah Lipstadt traccia poi con la consueta onestà intellettuale gli sviluppi successivi del revisionismo:
"Bardèche, Rassinier, Barnes, App ed altri della prima generazione di negatori differiscono da quelli che li seguirono. Il primo gruppo cercava di difendere i nazisti giustificando il loro antisemitismo." (p. 52)
Ma, visto il fallimento di questo piano, i Savi Anziani revisionisti decisero di cambiare tattica:
"Solo negli anni Settanta, quando cominciarono finalmente a riconoscere l'inutilità di tentare di giustificare l'antisemitismo nazista, i negatori cambiarono i loro metodi. Essi videro che, da un punto di vista tattico, la prova dell'antisemitismo nazista era cosi chiara che tentare di negarlo o giustificarlo minava i loro sforzi di apparire credibili. Quando i negatori divennero più sofisticati nelle sottigliezze di diffondere i loro argomenti, essi cominciarono a "concedere" che i nazisti erano antisemiti. Essi affermarono persino di disapprovare l'antisemitismo, impegnandosi nello stesso tempo in esso." (p. 52)
Questo mito fondatore del revisionismo serve a giustificare il secondo assioma di Deborah Lipstadt: nessun revisionista è onesto e in buona fede, ma tutti perseguono scopi inconfessabili:
"Una delle tattiche che i negatori usano per raggiungere i loro scopi è il camuffamento dei loro scopi. Nel tentativo di nascondere il fatto che essi sono fascisti e antisemiti con specifici obiettivi ideologici e politici, dicono che la loro finalità è di scoprire le menzogne storiche, tutte le menzogne storiche" (p. 4).
I revisionisti sono
"antisemiti estremisti che sono riusciti sempre di più, sotto la maschera della cultura, a camuffare la loro ideologia carica di odio" (p. 3).
Fortunatamente Deborah Lipstadt ha scoperto le turpitudini
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revisioniste e la sua alta dirittura morale le ha imposto di rivelare al mondo la sua scoperta:
"Questo è precisamente lo scopo dei negatori: Essi mirano a confondere le cose fingendo di essere impegnati in un vero lavoro di studio, mentre, naturalmente, ciònon è vero. Il tentativo di negare l'Olocausto comporta una strategia fondamentale di distorsione. La verità è mescolata con menzogne assolute, per confondere i lettori che sono inesperti delle tattiche dei negatori. Mezze verità e segmenti di storia, che evitano opportunamente l'informazione critica, lasciano nei lettori una impressione distorta di ciòche è realmente accaduto. Gli abbondanti documenti e le testimonianze che confermano l'Olocausto vengono respinti come inventati, o estorte, o come falsificazioni e menzogne. Questo libro è uno sforzo per chiarire e dimostrare come i negatori usino questa metodologia per nascondere i loro veri obiettivi" (p. 2).
Con ciò Deborah Lipstadt giunge al suo terzo assioma: tutte le argomentazioni dei revisionisti sono prive di valore. Questo è il punto più delicato dell'intera questione: persino i lettori ai quali si rivolge Deborah Lipstadt potrebbero pensare che, nonostante tutto, le argomentazioni dei revisionisti potrebbero essere storicamente fondate; perciòbisogna inventare qualcosa che elimini ogni pericoloso dubbio. La nostra propagandista sentenzia allora solennemente: "La negazione dell'Olocausto è l'apoteosi dell'irrazionalismo" (p.20); essa è "totalmente irrazionale" (p. XVI); il revisionismo è
"un fenomeno irrazionale radicato in uno degli odi più vecchi, l'antisemitismo. L'antisemitismo, come ogni altra forma di pregiudizio, non è sensibile alla logica" (p. XVII).
Non essendo ancora soddisfatta dell'effetto delle sue teorie propagandistiche sul lettore, Deborah Lipstadt introduce un argomento apocalittico. Il revisionismo è una minaccia all'esistenza stessa della civiltà mondiale:
"La negazione dell'Olocausto è parte di questo fenomeno. Essa non è solo l'assalto alla storia di un gruppo particolare. Sebbene la negazione dell'Olocausto possa essere un attacco alla storia dell'annientamento degli Ebrei, nel suo nucleo essa pone una minaccia a tutti coloro i quali
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credono che la conoscenza e la memoria siano tra i fulcri della nostra civiltà. Come l'Olocausto non fu una tragedia degli Ebrei ma una tragedia della civiltà in cui le vittime furono ebree, cosi anche la negazione dell'Olocausto non è solo una minaccia alla storia ebraica, ma una minaccia a tutti coloro che credono al potere fondamentale della ragione. Essa ripudia la discussione ragionata come l'Olocausto ripudiò i valori della civiltà. Essa è innegabilmente una forma di antisemitismo e come tale costituisce un attacco ai valori più basilari di una società logica. Come ogni forma di pregiudizio, essa è un animus irrazionale che non puòessere contrastato con le sole forze dell'investigazione, dell'argomentazione e del dibattito" (pp. 19-20).
La conclusione di Deborah Lipstadt è che non ci deve essere dialogo con i revisionisti, sia perché "c'è una differenza significativa tra dialogo ragionato e argomentazioni pseudoscientifiche antiintellettuali", tra la sana ricerca storica e una "ideologia estremista che respinge qualunque cosa contraddica le sue conclusioni prefissate" (p. 25), sia per non innalzare il revisionismo al rango di controparte, di scuola storica antagonista (p.1 e passim). Ci si potrebbe chiedere perché mai, allora, Deborah Lipstadt abbia scritto Denying the Holocaust; ecco la risposta:
"Non bisogna perdere tempo a rispondere ad ognuna delle asserzioni dei negatori. Sarebbe un lavoro interminabile rispondere a coloro che falsificano conclusioni, citano fuori contesto, e respingono risme di testimonianze poiché sono contrarie ai loro argomenti. E' la capziosità dei loro argomenti, non gli argomenti stessi, che richiedono una risposta. Il modo in cui essi confondono e travisano è ciòche voglio dimostrare; soprattutto, è essenziale esporre l'illusione di una indagine ragionata che nasconde le loro finalità estremistiche" (p.28).
Questa impostazione propagandistica dice tutto sul valore del libro di Deborah Lipstadt, che consiste in massima parte in una tediosa ricerca delle radici naziste di pochi revisionisti noti e di molti personaggi oscuri che hanno affermato qualche tesi revisionista; in ciòl'autrice sfoggia un impeccabile provincialismo, non solo perché ignora il revisionismo tedesco, austriaco, svizzero, spagnolo, belga e italiano, ma
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anche perché i suoi riferimenti sono quasi tutti a letteratura in inglese e i rari scritti in lingua straniera da lei citati, sono tratti a loro volta da pubblicazioni in inglese! Un bell'esempio di provincialismo, ma anche di dilettantismo.
2. LE "PROVE" DI DEBORAH LIPSTADT
Per coloro che non si accontentano di mere elucubrazioni propagandistiche, Deborah Lipstadt presenta anche la summa delle "prove" a favore dell'esistenza di camere a gas omicide, nonché dell'autenticità del diario di Anna Frank. Per quanto concerne quest'ultimo, non ho mai compreso la tenacia con cui certi revisionisti si sono occupati di questo scritto che non ha alcuna relazione con la questione delle camere a gas e che, sia esso autentico o no, nulla aggiunge e nulla toglie a tale questione. Sulle "prove" di Pressac vale invece la pena di dire qualcosa. Le virgolette sono d'obbligo, come spiego subito.
Nella presentazione di queste "prove", Deborah Lipstadt dichiara:
"Conseguentemente dedico questa sezione a tre delle accuse fatte più frequentemente dai negatori, citando una molteplicità di prove (proofs) documentarie e tecniche che demoliscono qualsiasi sembianza di credibilità che potrebbe essere attribuita ad esse" (p.223).
Dopo aver ricordato la richiesta di Faurisson di "una prova... una sola prova" dell'esistenza di camere a gas omicide, Deborah Lipstadt rileva:
"Lo studio monumentale di Pressac delle camere a gas è, in essenza, una risposta a questa domanda di prove documentarie" (p. 225).
Lo studio in questione di Pressac è l'opera già citata Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers. Ora è ben vero che Pressac ha risposto alla summenzionata richiesta di Faurisson, ma non già con delle prove , bens"con dei semplici indizi (traces); il capitolo in cui egli se ne occupa, si intitola appunto "One proof... one single proof": thirty-nine criminal traces" (11). Ritenendo la cosa imbarazzante,
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Deborah Lipstadt ha trasformato questi indizi in prove. Di questi indizi mi sono già occupato nel mio studio già citato Auschwitz: Fine di una leggenda; qui mi limiteròad alcuni casi esemplari che mostrano la buona fede e la fondatezza delle argomentazioni di Pressac e l' "irrazionalismo" delle mie obiezioni. Prima di cominciare è bene precisare che il titolo del capitolo in questione è formulato in modo capzioso, perché 39 indizi trovati da Pressac, trascurando le ripetizioni dello stesso indizio, si riducono a 10. Inoltre, in questo "studio monumentale sulle camere a gas", alla struttura e al funzionamento delle camere a gas è dedicata a malapena una paginetta! Sulla competenza di Pressac per quanto concerne i forni crematori diròsotto. Ciò premesso, diamo la parola a Deborah Lipstadt.
"Leuchter trovòtracce di cianuro in locali che i funzionari di Auschwitz descrissero come camere di uccisione ma che i revisionisti pretendono fossero camere mortuarie. Nel tentativo di spiegare perché residui di gas fossero stati trovati in un locale che secondo le loro supposizioni serviva da camera mortuaria, Faurisson e Leuchter spiegarono che le camere mortuarie erano disinfettate (desinfected) con Zyklon-B, donde i residui. Questa tesi è illogica: la disinfezione (disinfection) è attuata con un battericida, non con un insetticida, particolarmente con uno cosi potente come lo Zyklon-B" (p. 225).
Qualche pagina dopo, parlando dell'indizio delle porte a tenuta di gas, Deborah Lipstadt ribadisce:
"Essi pretendono anche che le porte erano necessarie perché le camere mortuarie venivano disinfettate con Zyklon-B. Questa è una accusa che, come si è indicato sopra, contraddice le basi della scienza, perché lo Zyklon-B è un insetticida e non un disinfettante" (p. 228).
Questa argomentazione è un caso veramente esemplare di malafede. Con riferimento alla seguente frase di Faurisson: "Il est probable que les deux pièces trouvées suspectes par J.-C. Pressac aux crématoires IV et V étaient des chambres à gaz de désinfection" (12), Pressac
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rileva ironicamente che Faurisson "è stato il primo uomo nella storia della batteriologia a distruggere i germi patogeni con un insetticida" (13). L'ironia di Pressac è completamente fuori luogo. Il termine disinfezione si usava correntemente come sinonimo di disinfestazione. Ad esempio, una lettera dell'amministrazione del campo di concentramento di Lublino-Majdanek al Lagerarzt (medico del campo) del 12 agosto 1943 ha per oggetto "Desinfektion mit Zyklongas" ("disinfezione con il gas Zyklon") (14). Anche la redattrice del Kalendarium di Auschwitz usa normalmente il termine Desinfektion (disinfezione) nel senso di Entlausung (disinfestazione):
"Die Kommandantur des KL Auschwitz erhält vom WVHA eine Genehmigung, mit einem Lastkraftwagen nach Dessau zu fahren, um Gas zur Desinfektions des Lagers abzuholen" ["Il comando del KL Auschwitz riceve dal WVHA un permesso per andare a Dessau con un autocarro per prelevare gas per la disinfezione del campo"] (15) .
"Bei der Desinfektion wird das Gas Zyklon B verwendet " ["Nella disinfezione viene usato il gas Zyklon B"] (16).
L'indizio delle finte docce è ritenuto tanto probante da Deborah Lipstadt che ella vi insiste in modo particolare articolandolo in quattro punti:
(1) Un inventario dell'equipaggiamento installato nel crematorio III richiedeva l'installazione di una porta a gas e di quattordici docce. Queste due voci erano assolutamente incompatibili l'una con l'altra. Una porta a tenuta di gas potrebbe essere usata soltanto per una camera a gas. Perché un locale che funzionava come doccia avrebbe avuto bisogno di una porta a tenuta di gas?
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2) Pressac, non contento di questa semplice prova (proof) del fatto che questa non era una sala docce, calcolòl'area occupata da una singola doccia. Egli usòcome punto di riferimento le vere installazioni di docce dell'edificio di ricezione. Sulla base di questo calcolo, il crematorio III, che aveva una superficie del pavimento di 210 metri quadrati, avrebbe dovuto avere almeno 115 docce, non 14.
3) Nel disegno-inventario, i tubi dell'acqua non sono collegati alle docce stesse. Se queste docce fossero state vere, i tubi dell'acqua sarebbero stati collegati.
4) In certe camere a gas (gas chambers) le basi di legno alle quali le docce erano fissate sono ancora visibili nelle rovine dell'edificio. Una doccia funzionante non sarebbe stata connessa ad una base di legno( (p. 226).
Questa struttura argomentativa è un vero capolavoro di metodologia capziosa e di flagrante malafede.
La menzione di 14 docce (14 Brausen) e di una porta a tenuta di gas (1 Gasdichtetür) in relazione al Leichenkeller 1 (la presunta camera a gas omicida) appare soltanto nella documentazione relativa alla consegna del crematorio III da parte della Zentralbauleitung all'amministrazione del campo in data 24 giugno 1943 (17). Se una porta a tenuta di gas e un impianto di docce sono davvero "assolutamente incompatibili", allora perché la Zentralbauleitung di Auschwitz il 13 novembre 1942 ordinò "2 porte a tenuta di gas 100/200 per la sauna" dell'installazione di disinfestazione BW 5a? (18)
Se una porta a tenuta di gas non era affatto incompatibile con una sauna, perché mai avrebbe dovuto esserlo con un locale in cui si trovavano delle docce?
Per dimostrare che le 14 docce menzionate nella documentazione di consegna del 24 giugno 1943 relativa al crematorio III erano finte, Pressac si basa su una pianta (19) del 19 marzo 1943 relativa al crematorio II! Questa pianta non mostra alcun collegamento con le docce
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semplicemente perché nel Leichenkeller 1 del crematorio II le docce non esistevano affatto, e infatti nella corrispondente documentazione di consegna del 31 marzo 1943 non figurano minimamente, la colonna Brausen è vuota! (20)
L'argomento relativo al calcolo del numero delle docce è di una ingenuità disarmante: nessuno ha mai preteso che il Leichenkeller 1 del crematorio III fosse esclusivamente ed essenzialmente una sala docce; se la Zentralbauleitung vi aveva fatto installare 14 docce, significa soltanto che una piccola parte del locale era previsto come impianto docce; dove si trovasse questo impianto non si sa, perché , guarda caso!, la pianta della documentazione di consegna del crematorio III non esiste.
Veniamo infine alle basi di legno. Esse si trovano sul soffitto del Leichenkeller 1 del crematorio II, quello che non aveva le docce (21). Ho esaminato (e fotografato) personalmente queste basi: sono tavolette di legno -- di forma rettangolare con lati di circa 10 x 12 cm e circa 4 cm di spessore -- incassate nel cemento e collocate appositamente in quella posizione durante i lavori di carpenteria per la gettata di cemento del solaio del locale: a che cosa servivano queste tavolette? Se Pressac avesse alzato il naso nella presunta camera a gas del crematorio I si sarebbe accorto che nelle travi di cemento sono incassate tavolette simili: esse fanno da supporto alle lampade dell'impianto di illuminazione del locale! Domanda: a che cosa erano fissate le lampade del Leichenkeller 1 del crematorio II dato che il suo soffitto non mostra la presenza di ganci?
L'argomentazione del Vergasungskeller mostra quale fosse la competenza di Pressac riguardo alla struttura e al funzionamento dei forni crematori di Auschwitz-Birkenau, sui quali ha sentenziato con il tono autorevole dello specialista.
"In una lettera del 29 gennaio 1943 il capitano delle SS Bischoff, capo della direzione centrale delle costruzioni delle Waffen SS e della Polizia scrisse a un generale di brigata SS a Berlino riguardo ai progressi dei lavori nel crematorio II. Nella sua lettera egli menzionò un Vergasungskeller
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Con questa obiezione alle spiegazioni di Butz e di Faurisson (che sono errate, ma per altre ragioni) Pressac rivela soltanto la sua profonda ignoranza: i forni Topf di Auschwitz-Birkenau erano forni a gasogeno riscaldati con coke; il gasogeno (Generator o Gasgenerator) era appunto un generatore di gas che aveva la funzione di produrre la gasificazione del coke, cioè la sua trasformazione in un gas combustibile, nel caso specifico in gas d'aria. In un gasogeno il gas d'aria si forma dalla combustione incompleta del carbonio. La sua reazione:
C + 1/2 O2 = CO + 29,2 Kcal
si compie facendo attraversare lo strato di coke incandescente da una corrente d'aria. All'inizio negli strati inferiori del coke si forma anidride carbonica secondo le reazioni
C + O2 = CO2 + 97,2 Kcal
2 CO --> C + CO2 + 40,9 Kcal,
poi negli strati superiori si forma ossido di carbonio secondo la reazione
CO2 + C = 2 CO -- 38,8 Kcal.
Si ottiene dunque ossido di carbonio dalla combinazione diretta di carbonio e ossigeno e come riduzione dell'anidride carbonica (22). Pressac credeva seriamente che "i cadaveri giacevano su griglie sotto alle quali bruciava il coke", secondo la fallace descrizione di uno dei suoi
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testimoni oculari! (23). Per rendere l'idea della gravità dell'ignoranza di Pressac, ignorare il funzionamento del gasogeno in un forno crematorio a gasogeno riscaldato con coke è come ignorare la funzione del motore in un veicolo a motore!
Un'ultima "prova", che, ad onor del vero, sarebbe ingiusto attribuire a Pressac, ma che mostra con quale attenzione Deborah Lipstadt abbia letto il libro dello storico francese:
"Una lettera datata 31 marzo 1943 e firmata dal maggiore SS Bischoff, conteneva un riferimento a un'ordinazione del 6 marzo 1943 di una "porta a (tenuta di) gas" per il crematorio III. Essa doveva essere dotata di una striscia gommata per chiusura ermetica e una spia [peephole] di ispezione. Perché una camera mortuaria o una camera di disinfezione avrebbe bisogno di una spia? Essa certamente non era necessaria per sorvegliare cadaveri o i pidocchi" (p. 228).
Ora Pressac pubblica una fotografia della porta a tenuta di gas della camera di disinfestazione del Block 1 dello Stammlager con la didascalia:
"Gas-tight door of the gas chamber, of conventional design (made by the DAW) with its peephole and two locking bars... " (24) [corsivo mio].
Pressac pubblica inoltre una fotografia della porta a tenuta di gas della camera di disinfestazione ad acido cianidrico del Kanada I con questo commento:
"The gas-tight door of the Kanada I delousing chamber. Its construction, by the DAW, is very rudimentary. It had a peephole, a handle to hopen it and two iron bars ..." (25) [corsivo mio].
Con ciòchiudo questo capitolo. In queste poche pagine credo di aver dimostrato a sufficienza l'inconsistenza delle tesi di Deborah Lipstadt e delle "prove" di Pressac. Considerato il suo valore, Denying the Holocaust non meritava neppure le poche pagine che gli ho dedicato.
NOTE
1) Deborah Lipstadt, Denying the Holocaust. The Growing
Assault on Truth and Memory. A Plume Book, New York 1994.
2) Ecco il testo di questo "valido omaggio": "Mi
è stato detto che Maurice Bardèche era di estrema
destra e che, in numerosi altri casi, non aveva dimostrato altrettanta
premura per l'obiettività: questo è sicuro ed io
non ho mancato di dirlo ogni volta che l'ho ritenuto opportuno.
Ma questa non è una ragione né per contestare il
suo merito in questa circostanza né per rifiutare di riconoscere
che nei suoi due lavori su Norimberga -- altrettanto ingiustamente
condannati quanto Le Mensonge d'Ulysse -- egli parla del problema
tedesco partendo dagli stessi imperativi che furono quelli di
Mathias Morhardt, di Roman Rolland e di Michel Alexandre all'indomani
della guerra 1914-1918. E questi, come si sa, erano di sinistra".
Paul Rassinier, La menzogna
di Ulisse. Edizioni Le Rune, Milano 1966, p.37, nota.
3) Per Rassinier i due libri di Bardèche su Norimberga
erano "admirables" perché sostenevano le tesi
della sinistra francese e dei partiti socialisti europei. Paul
Rassinier, Le véritable
procès Eichmann ou les vainqueurs incorrigibles. La
Vieille Taupe, Paris 1983, p.43.
4) Pierre Vidal-Naquet, Gli assassini della memoria, op.cit.,
p.32.
5) Maurice Bardèche, Nuremberg
ou la Terre promise. Les Sept couleurs, Paris
1948, p.187.
6) Ibidem, p.128.
7) Ibidem, p.159.
8) Ibidem, p.194.
9) Paul Rassinier,
Ulysse trahi par les siens. La Vieille Taupe, Paris 1980,
p.196.
10) Ibidem, p.197.
11) J.-C.Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the
Gas Chambers, op.cit., p.429.
12) Robert Faurisson, Réponse à Pierre Vidal-Naquet.
Deuxième édition, augmentée, op.cit., p.78.
13) J.-C.Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the
Gas Chambers, op.cit., p.505.
14) Krystyna Marczewska, Wladyslaw Wazniewski, Korespondencja
w sprawie dostawy gazu cyklonu B do obozu na Majdanku, in:
"Zeszyty Majdanka", tom II, 1967, p.159 .In questa pagina
e in quella successiva ci sono altri riferimenti al Desinfektionsgas.
15) Danuta Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager
Auschwitz-Birkenau 1939-1945, op.cit., p.259.
16) Ibidem, p.271.
17) TCIDK, 502-2-54, p.84 ssgg.
18) TCIDK, 502-1-328, p.70: " Herstellung von 2 Stck. Gasdichte
Türen 100/200 für die Sauna".
19) La pianta 2197(b)(r).
20) TCIDK, 502-2-54, p.79.
21) Il soffitto del Leichenkeller 1 del crematorio III è
crollato completamente e il locale è attualmente a cielo
aperto.
22) Wilhelm Heepke, Die Leichenverbrennungs-Anstalten (die
Krematorien). Verlag von Carl Marhold, Halle a.S. 1905, p.31
e ssgg.; Michele Giua, Dizionario di chimica generale e industriale,
op.cit., vol.II, p.383 e ssgg.; Enciclopedia Curcio di
Scienza e Tecnica. Armando Curcio Editore, Roma 1973, vol.5,
p.1842.
23) J.-C.Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the
Gas Chambers, op.cit.,p. 124.
24) Ibidem, p.29.
25) Ibidem, p. 46.
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être inquiété pour ses opinions et celui de
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