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Elogio anticipato a

Il mio Olocausto di Tova Reich

 

di Cynthia Ozick

 

 

Ho letto con crescente senso di meraviglia ogni stupefacente parola di Il mio Olocausto di Tova Reich, e ho cercato nella mia mente le parole migliori per esprimere la convinzione che questo sia un romanzo davanti a cui bisogna inginocchiarsi. Diciamo pure che il meritato status di Philip Roth come più aspro scrittore satirico contemporaneo si squaglia nella fiammata del tizzone rovente di Tova Reich. In Il mio Olocausto (già nel titolo) la Reich è dieci volte più maligna di Roth, cento volte più selvaggia, e gli affondi più duri dello scrittore al confronto sembrano irritanti colpetti di ombrello di una mite, piccola vecchietta in cuffia e merletti, che scruta timida nella propria reticella in cerca di una critica. Nella coraggiosa sfacciataggine di Tova Reich, nella sua eroica noncuranza, c'è sempre qualcosa che offende tutti e tutto, ogni autocompiacimento e ogni pietà. Niente e nessunosi salva dalle sue frustate - nemmeno le istituzioni e le persone che uno, per paura del disprezzo pubblico, potrebbe voler risparmiare.
Questo è un romanzo che taglia, taglia, taglia; è satira, caricatura, commedia, farsa; ti fa ridere e trasalire, spesso insieme; giudica e condanna; ma dissipa anche banalità e pomposità e falsità. Anzi, ben più di semplici banalità e pomposità e falsità: mette sotto accusa il diffuso tono della società americana, un'ossessione del culto coltivata dall'alto verso il basso - il culto della rivalità tra vittime, celebrato dalle discipline umanistiche di tutte le università americane, dagli studi sulle donne a quelli sui neri aquelli sul postcolonialismo, dai dipartimenti di letteratura a quelli di storia a quelli sul Medioriente, tutti quei regni spacconi ed elitari dove il dolore e la sofferenza vengono incoronati con l'alloro.
La lama verbale di Tova Reich è sorprendentemente selvaggia. Però l'autrice non dà lezioni e non rimprovera; il suo linguaggio non è quello della geremiade moralistica. È (in apparenza) tanto distaccato quanto i disastri naturali che il nostro pianeta ha ultimamente sopportato: con la forza di uno tsunami, un'alluvione, un terremoto, si rovescia su ciò che le mani e le menti degli uomini hanno fatto della civiltà. È la sorella ebrea di Jonathan Swift; ma il povero svantaggiato Swift aveva solo la natura umana da affrontare. La Reich ha quello che a Swift - piccolo, sfortunato goy - mancava e che (anche con tutto il suo mastodontico pessimismo) non poteva immaginare: la Reich ha l'Olocausto - o meglio ancora gli Olocausti, dato che, come ci illustra, tutti anelano a un proprio desiderabile Olocausto. I suoi impassibili ritornelli e le sue ironie, quelle lunghe creste d'ondadi spirito scioccante spazzano via egoismo, avidità, invidia, falsità e corruzione, esponendone gli scheletri senza pietà. E noi ridiamo ancora. Non c'è nicchia della tortuosa cultura (o couture) americana che sia al sicuro dallo spiedo della Reich. I numerosi elenchi immaginari di possibili imitazioni dell'Olocausto escogitati dal nostro competitivo spirito americano vengono superati solo dalla realtà.
Il mio Olocausto è una feroce opera di attento genio satirico. Lo ritengo uno dei romanzi sociali e politici più penetranti dell'inizio del XXI secolo, accanto al quale La fattoria degli animali del secolo scorso è un semplice piagnucolio. La sua pubblicazione solleverà di sicuro strepiti e ululati; ma se c'è uno strepito che valga la pena di essere sollevato, è proprio questo. Eppure lo scopo di questa straordinaria scrittrice non è affatto distruttivo. Ci mostra come il rempio della memoria dell'Olocausto sia stato profanato. La sua intenzione è di ripulirlo.

(2007)

Tova Reich

Il mio Olocausto, Einaudi, 2008. Tradotto di Costanza Prinetti.

pag. 285. ¤ 16,50

Vedi il testo in Inglese.

 

4a de coppertina:

Maurice e Norman Messer, padre e figlio e soci in affari, riconoscono un buon prodotto quando ne vedono uno. Questa volta il prodotto in questione è l'Olocausto: e Maurice, un sopravvissuto ai campi con una storia personale confezionata ad hoc, e Norman, una vittima «per delega» in qualità di membro della cosiddetta seconda generazione, decidono entusiasticamente di imporlo sul mercato. Intravisto il profitto dello Shoah business i Messer usano l'eredità dei 6 milioni di morti per indurre il senso di colpa e spillare denaro. Per convincere gli eventuali mecenati organizzano cosí dei tour in un Auschwitz mercificato dato in pasto a comitive di ragazzini che si rincorrono tra le macerie dei crematori e buddhisti che sbarcano il lunario dando consulenze sui chakra.
Una satira cinica, allegra e scandalosa contro lo sfruttamento dell'Olocausto, e il gran circo del vittimismo autoconsolatorio attorno alla memoria di una grande tragedia.

ISBN 978-88-06-19097-2



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