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IL DRAMMA DEGLI EBREI


Paul RASSINIER

 


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INTRODUZIONE

Nel 1950, scrivendo La menzogna di Ulisse, avevo classificato in tre categorie i testimoni (sic!) del fenomeno "concentrazionario" che ivi studiavo:
-- coloro che nulla destinava ad essere dei testimoni fedeli e che, senza alcuna intenzione peggiorativa, io definivo: testimoni minori;
-- gli psicologi vittime di una tendenza, a mio avviso, un poco troppo pronunciata per l'argomento soggettivo;
-- e i sociologi, o reputati tali.
Non avevo trovato storici, o qualcuno che, per lo meno, fosse degno di questo nome.
In guardia persino contro me stesso, per non essere accusato di parlare di cose forse troppo lontane dalla mia esperienza personale, o nel timore di cadere a mia volta nel difetto che rimproveravo agli altri, vale a dire di rischiare qualche offesa alle regole della probità intellettuale, avevo deliberatamente rinunciato a presentare un quadro completo della letteratura "concentrazionaria" dell'epoca.
Il numero dei testimoni messi in causa era dunque forzatamente limitato in ogni categoria e nel complesso: tre testimoni minori (1) (l'abate Robert Ploton, fratel Birin delle Scuole Cristiane di Epernay, l'abate Jean-Paul Renard), uno psicologo (David Rousset), un sociologo (Eugen Kogon). Fuori categoria: MartinChauffier. Questo metodo, semplice del resto, comportava vantaggi perché, per un caso fortunato, la loro esperienza, ad eccezione di uno, concerneva gli stessi campi nei quali avevo fatta la mia, e questi campi erano i più rappresentativi.
Più tardi, sostenuta e incoraggiata dalla politica che ispirava i rapporti americano-russi, la letteratura "concentrazionaria" che a sua volta appoggia questa politica, non ha fatto che crescere
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e "perfezionarsi". Non è un segreto per nessuno che nella politica degli Stati Uniti, un certo numero di argomenti è unicamente destinato a non tagliare radicalmente i ponti con la Russia: tra gli altri v'è il mito del pericolo di una rinascita del nazismo e del fascismo in Europa. Stalin e Truman (degno erede di Roosevelt), di comune accordo hanno sfruttato a fondo questo mito; il primo per impedire all'Europa di prendere coscienza di se stessa e integrarsi alla Germania, il secondo per deficienza mentale. E Kruscev continuò a giocare con Kennedy il gioco di Stalin con Truman... Con un minore numero di possibilità? Forse, ma su ciò non ci possiamo ancora pronunciare definitivamente.
Comunque, circa verso il 1950, rinacque e prese corpo nella mente di molti, l'idea che l'Europa esisteva. Questa episodica presa di coscienza, già provocata un tempo dall'ossessione delle guerre franco-tedesche, lo era, questa volta, da un'altra, a due facce complementari: da una parte la quasi certezza che divisa in se stessa l'Europa era facile preda del bolscevismo, dall'altra che non vi era Europa possibile senza l'integrazione della Germania. A Mosca come a Tel-Aviv si era sentito, già al suo primo soffio, che questo vento veniva da lontano: se si fosse scatenato in tempesta non avrebbe mancato di provocare l'unione dell'Europa, il che per la Russia avrebbe significato l'isolamento, per Israele la fine di quelle sovvenzioni di vitale importanza, che le vengono versate a titolo di riparazioni dalla Germania. (Ben Gurion, ricevendo Gerstenmayer, Presidente del Bundestag, ha dichiarato, il 30 novembre 1962, che il loro importo ammontava a 850 milioni di dollari al 1· aprile 1962: una bazzecola!). La controffensiva non si fece aspettare: due attacchi tanto perfettamente sincronizzati da parere concertati e gemellati, scoccarono da due imprese di falsificazione di documenti storici; l'una sotto la ragione sociale di Comitato per la ricerca dei crimini e dei criminali di guerra, la cui sede è a Varsavia; l'altra, sotto quella di Centro mondiale di documentazione ebraica contemporanea le cui due succursali più importanti sono a Tel-Aviv e a Parigi. Oggetto: la Germania. Tema: gli orrori e le atrocità commesse durante la seconda guerra mondiale dal nazismo, vocazione naturale della Germania il tema precisava che il governo di Bonn ne aveva ripresi i principi fondamentali nazionalisti e militaristi che faceva del popolo tedesco un popolo da tenere sotto stretto controllo e molto accuratamente in disparte. Per quanto mi risulta, il primo frutto di questa controffensiva fu: Documentazione sullo sterminio a mezzo dei gas (1950) di H. Krausnik, il secondo: Medico a Auschwitz (1951) di un certo dottor Miklos Nyiszli, israelita ungherese deportato in quel campo, nel maggio del 1944, e il terzo: Il breviario dell'odio (1951) di Léon Poliakov. In seguito ogni freno venne a mancare. Ogni volta che è apparso il minimo segno di riavvicinamento tra la Germania e gli altri popoli europei (C.E.C.A., Mercato Comune, Trattato franco-tedesco...) uno studio del genere, pubblicato dal Comitato di Var-
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savia o da un importante membro del Centro mondiale di documentazione ebraico o ancora dall'Istituto di Storia contemporanea di Monaco, associazione dei due, ha costituito un atto d'accusa ogni volta più terribile del precedente, contro la Germania di Bonn, in base al quale la stampa mondiale montava una campagna spettacolare di pubblicità. Si sono, così, susseguiti: Il III Reich e gli ebrei (1953) di Léon Poliakov, La storia di Joël Brand, uno scambio di 10.000 camions per un milione di ebrei (1953); Parla il comandante del campo di Auschwitz; Memorie di Rudolf Hoess (2) (1958) ecc...; per non citare che i più clamorosi, perché il menzionarli tutti esigerebbe un volume per il solo elenco senza commenti. Un'antologia di questa letteratura dal titolo: Tragedia della deportazione (1962) è stata di recente redatta da un Comitato di studio della seconda guerra mondiale, la cui sede è Parigi. Animatori ne sono una signora, Olga Wurmser, del Centro di documentazione ebraico e un illustre ignoto tuttofare, un certo Henri Michel. La prima si è valsa di testi tratti da ben 208 autori-testimoni, tra i quali devo precisare, figurano unicamente quelli che definiscono senza il minimo errore la linea secondo la quale conviene testimoniare; gli altri (molti figurano anche negli scaffali della mia biblioteca di lavoro) non vengono citati anche se ugualmente accusatori, e spesso in modo più intelligente, benché con l'identico poco rispetto per la verità storica. E' logico che io fossi ignorato. Ma il fatto più sconcertante è rappresentato da quegli storici tanto malvagi da garantire con la loro autorità queste testimonianze: Labrousse e Renouvin in Francia, Rothfels in Germania ecc... Gli Stati Uniti, a loro volta, non hanno mancato di portare il loro contributo alla causa del Comitato di Varsavia e del Centro mondiale di documentazione ebraico. Infatti il libro di Raul Hilberg: The destruction of the European Jews (1961) senza dubbio il più importante di tutti i lavori pubblicati sull'argomento, è quello che è riuscito a darsi le migliori apparenze, soltanto le apparenze, di studio serio. E' un'opera monumentale, non ancora pubblicata in Europa, mentre scrivo, essendosi opposte le comunità ebraiche europee, proprio a causa delle confessioni che contiene e che forniscono al presente studio uno dei suoi principali argomenti.
Ma questa iperproduzione presenta un notevole vantaggio: espone gli stessi avvenimenti in modo differente. Perché questi chiacchieroni, preoccupati di apparire più originali del compagno di tiro, e di lui meglio informati, si contraddicono a vicenda mettendo in evidenza il sotterfugio dell'uno con quello dell'altro, riuscendo in tal modo a dimostrare esattamente il contrario di quanto volevano dimostrare. Tanto è vero che, dopo: La sentenza del processo di Gerusalemme (1961) venuta a coronare il tutto, si sa
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ormai quasi esattamente cosa pensare dei sei milioni di ebrei sterminati durante la seconda guerra mondiale, nelle camere a gas dei campi di concentramento o in altra maniera.
E oggi, se ne può parlare con la certezza di non commettere che errori trascurabili, cosa questa impossibile al tempo in cui scrivevo La menzogna di Ulisse e ragione per la quale non potei andare oltre. Oggi si sanno molte cose, e sono proprio queste cose che il mio saggio si propone di fare conoscere.
Perché fosse completo sarebbe stata opportuna anche la citazione dei films tratti da quella letteratura e destinati a influenzare l'opinione pubblica: L'ultima tappa; Kapo; I documenti di Norimberga, ecc... Vi ho rinunciato non intendendo intraprendere la redazione del catalogo del "romanzo ad uso della portiera", dal 1946 ai nostri giorni. Non sono l'archivista del Sindacato portieri.
Così come viene presentato, questo saggio, mi sembra mi si scuserà rispondere pienamente allo scopo che si propone e credo si possa convenire che può essere definito molto bene dalle due seguenti informazioni, già citate nel: Vero processo Eichmann (3) o: I vincitori incorreggibili, che furono rese pubbliche a sedici anni di distanza; uno nell'aula stessa del Tribunale di Norimberga il 29 gennaio 1946, l'altro il 24 febbraio 1962, dal Ministro degli ex-Combattenti:
A Norimberga il Procuratore generale Dubost, nella sua requisitoria a nome della Francia, aveva dichiarato il 29 gennaio 1946:


La percentuale dei sopravvissuti ammontava dunque al 14% e quella dei morti all'86%. Ma, a una domanda rivoltagli a questo proposito da un deputato, il Ministro degli ex-Combattenti e Vittime di guerra del governo francese rispondeva come segue, a mezzo del Giornale ufficiale, il 24 febbraio 1962 (Dibattiti parlamentari, p. 229):

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Viventi Deceduti

Deportati (Resistenti) 16.702 ................9.783

Deportati (Politici) ........13.4............15 9.235

Internati (Resistenti).... 9.911 ...............5.759

Internati (Politici) ......10.117 ...............2.130

............................._____ ......................____

Totali: ...................50.145 ...................26.907


Per i deportati, le cifre si presentavano dunque così:

Totale dei deportati: .............49.135
Totale dei morti: ..................19.018 (ossia circa il 38%)
...........................................______
Superstiti: ............................30.117 (ossia circa il 62%)

Questo, il 20 febbraio 1962. Evidentemente prendendo questi dati come base, è assai difficile determinare l'esatto numero dei superstiti e dei morti all'8 maggio 1945: rientrati dai campi, dopo avervi fatto un più o meno lungo soggiorno, i superstiti rappresentavano una popolazione debilitata nella quale il coefficente di mortalità annuale è evidentemente superiore, molto, al normale. Non mi sorprenderei se mi si dicesse che dei 19.018 mancanti al 24 febbraio 1962, dal 35 al 45% sono morti dopo il loro ritorno. In questo caso, allora, bisognerebbe ammettere che all'8 maggio 1945, le proporzioni erano le seguenti: dal 75 all'80% di superstiti; dal 20 al 25% di morti; ciò essendo già piuttosto tragico, nondimeno si è assai lontani dall'86% di morti e dal 14% di superstiti che si deducono dalle cifre esibite a Norimberga dal Procuratore Dubost, tanto lontano che si tratta quasi di proporzioni inverse!
Queste due informazioni potrebbero essere accompagnate anche da altre due, ugualmente significative:
1. Il 16 marzo 1962, Mons. Neuhäussler, vescovo ausiliare di Monaco, a Dachau, davanti ai rappresentanti di 15 nazioni che vi erano convenuti per commemorare la liberazione del campo, fece un discorso, di cui Le Figaro del giorno dopo dava un resoconto in questi termini:

"Oggi, nel pomeriggio, malgrado il freddo rigido e la tormenta di neve, i pellegrini si sono adunati al campo di Dachau dove trenta mila uomini furono sterminati, dei duecentomila originari di trentotto nazioni, che dal 1933 al 1945 vi furono internati."
Tutti i giornali, lo stesso giorno, pubblicarono le medesime cifre.

2. Ma il Pastore Niemöller aveva sostenuto, nel corso di una conferenza pronunciata il 3 luglio 1946 e pubblicata col titolo La via all'aperto da Franz M. Helibach a Stoccarda, che "238.756 persone furono incenerite a Dachau", equivalenti a un numero superiore a quello degli internati.
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Si potrebbe obiettare: tutto quì, il dramma degli ebrei d'Europa? Precisamente: consiste non nel fatto che sei milioni di ebrei siano stati eliminati, come essi pretendono, ma nel fatto che l'hanno sostenuto e che la Sentenza del Tribunale di Gerusalemme l'ha confermato dopo tutte le pubblicazioni di fronte ebraica sopra citate, l'esagerazione del Centro mondiale di documentazione ebraica contemporanea sia dello stesso ordine di quella del Procuratore Dubost, messa in evidenza dal Ministro degli ex-Combattenti, e di quella del Pastore Niemöller, messa in evidenza da Mons. Neuhäussler.
Ma non si mente mai impunemente ed ecco giunto il tempo dell'espiazione. Non bisogna, infatti, dimenticare che fu allo scopo di procurarsi i fondi necessari all'edificazione dello Stato d'Israele (Indennità tedesche proporzionate al numero delle vittime) che questa menzogna è stata perpetrata. Ora...
Ora, de facto, lo Stato d'Israele è attualmente costruito su una superficie di 20.000 km2; de jure, non si estende che per 10.000 km2 circa, consentiti dalla Convenzione dell'ONU, del 29 novembre 1947. Se dunque i 17.457.800 ebrei del mondo, che risultano dallo studio del Centro mondiale di documentazione ebraica (4), o i 18.142.356 che risultano da quella di Raul Hilberg (4) andassero a prendervi residenza, la densità della popolazione sarebbe portata, sia a 875 abitanti per km2, sia a circa 915 (densità calcolata in base alla superfice de facto) il che, a costo di praticare con successo contro gli arabi autoctoni la deprecata politica dello Spazio vitale (Lebensraum) ispirata al nazionalsocialismo tedesco, questo Stato non potrebbe, economicamente, sopportare: coi suoi 2.270.000 abitanti effettivi ammessi, ossia con una densità situata tra i 110 e i 115 ab. per km2, la sua vita economica è già particolarmente compromessa, essendo il suo bilancio annualmente in deficit da 85 a 100 milioni di dollari; che soltanto può essere, ogni anno, riequilibrato dagli indennizzi tedeschi, le sovvenzioni delle comunità ebraiche della Diaspora (eufemismo indicante le banche come la Rothschild, la Kühn Loeb & Co..., che recuperano queste donazioni, dalla popolazione mondiale, e le trasformano in rendita) e i prestiti o le elargizioni a fondo perduto, dei diversi Stati del mondo. Quand'anche, al presente, la popolazione ebraica mondiale non fosse che di circa 13.000.000 di persone come afferma il Movimento sionista internazionale, non vi sarebbe molto di mutato in questo fenomeno: se tutte si trasferissero in Israele, la densità della popolazione sarebbe portata a 650 abitanti per km2 e la sua economia non potrebbe egualmente sopportarla.
Tra gli Stati europei che offrono aiuti e sussidi vari a fondo perduto per Israele, la Francia, con la particolare politica del Generale De Gaulle, tende persino ad aumentarli, e per
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aumentarli più facilmente, a metterli in conto al Mercato Comune. Personalmente, non dubito che, se il Mercato Comune si orientasse in questo senso e se appena gli altri Stati lo seguissero, lo Stato d'Israele, così incoraggiato, non potrebbe che impegnarsi in modo più accentuato in quella politica dello Spazio vitale, già ben definita, senza dirne parola, da Ben Gurion (Il popolo e lo Stato d'Israele, Edizioni di Minuit 1959, pp. 75- 81), che l'ha spinto già a impossessarsi di 10.000 km2 in più di quelli che la Convenzione dell'ONU, del 29 novembre 1947, gli aveva assegnati (Negew, Paese d'Ammon, Eilath, ecc...). Allora, al termine dell'evoluzione degli eventi in questo senso, vi sarebbero ben scarse probabilità che un terzo conflitto mondiale a motivo del petrolio al quale l'U.R.S.S. non saprebbe restare indifferente, direbbe con ragione il mio amico Pierre Fontaine potesse venir evitato.
Ne consegue che la pretesa del Movimento Sionista Internazionale, che sei milioni di ebrei sono stati sterminati nelle camere a gas dai tedeschi, offre a Krusciov l'argomento principe, del quale usa ed abusa per dimostrare, accompagnato dalla rinascita del nazismo e del militarismo prussiano, che il popolo tedesco è un popolo di barbari, assai pericoloso per essere integrato all'Europa, nella sua intererezza; mirando con ciò a uccidere in embrione una Europa inconcepibile senza Germania. Il Movimento sionista internazionale, inoltre, presentando la fattura che corrisponde a questa cifra (sei milioni di volte 5.000 marchi) non ha altra cura che d'alleggerire in uguale misura il gravame del deficit permanente dello Stato d'Israele, che questi fa pesare sui banchieri della Diaspora; anzi di sopprimerlo addirittura, trasformandolo in notevole vantaggio. E tutto questo, per creare, in realtà, nel Medio Oriente le condizioni per un terzo conflitto mondiale.
Possa, molto presto, la verità storica risplendere con tale forza e ampiezza da rovesciare l'attuale corso degli eventi, ed evitare che questa espiazione non assuma la forma in cui il mondo intero, una volta ancora, sarebbe il redentore del peccato di alcuni. Per scongiurare questo timore ho formulato, per noi tutti, il fausto voto.

P. R.
Luglio 1963

Note:
(1) Prego di non vedere alcuna maligna intenzione di anticlericalismo nel fatto che essi siano tre preti.
(2) Un'edizione di queste memorie era stata pubblicata in Polonia nel 1951, ma per quanto ne sò, non aveva varcato la cortina di ferro prima del 1958.
(3) Il lettore al corrente dei miei precedenti lavori troverà nel presente un certo numero di fatti che già conosce e la cui inserzione qui s'imponeva perché servono da punto d'appoggio a un altro ragionamento che altrimenti egli avrebbe capito solo con difficoltà.
(4) Cfr. p. 190.


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Paul RASSINIER, Il Dramma degli ebrei, Edizioni Europa, Roma, 1967.
Edizione francese:
Le Drame des juifs européens, Paris, 1964, Sept Couleurs; rééd.: Paris, La Vielle Taupe, 1984.




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