[ 1 ] [ 2
] [ 3
] [ 4 ] [ 5 ] [ 6 ]
[ 7 ]
[97]
Dopo quindici anni di ricerche,
risalendo il corso della storia, sono giunto alla seguente conclusione:
fu nel 1943 che la Germania nazista per la prima volta venne accusata
di sterminio massivo e sistematico degli ebrei europei nelle camere
a gas. L'autore di questa orrenda e infamante accusa fu un polacco
rifugiatosi in Inghilterra, giurista di professione, il professor
Rafael Lemkin. E la pubblicò in un libro edito a Londra,
in inglese, appunto nel 1943: Il governo dell'Asse nell'Europa
occupata. Questo libro al suo apparire non parve destare serio
interesse: nel novembre del 1943, quando fui arrestato dalla Gestapo,
esso era totalmente sconosciuto negli ambienti meglio informati
della Resistenza francese e io non sentii parlare di camere a
gas per la prima volta che a Dora, verso la metà del 1944.
Ma nel 1945-46, Il governo dell'Asse nell'Europa occupata
era oggetto di tutte le conversazioni negli ambienti di corridoio
del Processo dei grandi criminali di guerra a Norimberga, dove
venne citato a carico di Seyss-Inquart (T. XIX, pp. 70 e 92).
Il punto di vista difeso era sostenuto dal Rapporto Kasztner
sulla tragedia degli ebrei ungheresi che come l'altro libro
si occupava delle conversazioni dietro le quinte del processo.
Bisogna però precisare che fu solamente dal 30 gennaio
1946, quando il Procuratore francese Dubost rese pubblica
la sua scoperta del documento Gerstein, che quei due scritti divennero
importanti: fu infatti da quel giorno che nella stampa mondiale
le camere a gas si misero a ballare su tutti i toni e a ritmo
indiavolato quella sarabanda sfrenata e piena di errori che da
allora non hanno ancora cessato di danzare.
Tentiamo di ricostruire i fatti. Fino al 30 gennaio 1943, oltre
a
[98]
Il governo dell'Asse nell'Europa occupata e al Rapporto
Kasztner che costituivano delle testimonianze di seconda mano,
il Pubblico Ministero e i giudici di Norimberga disponevano unicamente
di testimonianze dirette che giuridicamente non erano molto più
probanti, data la forma nella quale venivano presentate dai loro
autori: tutta questa gente era stata, sì, internata a Auschwitz
ma le camere a gas non le conosceva, o se non ne ignorava l'utilizzazione
era a motivo di quanto aveva saputo da qualche camerata di detenzione
"degno di fede", che in generale non nominava o se lo
nominava, era morto. Comunque sempre testimonianze di seconda
mano. Tipico del genere il caso del dr. Benedikt Kautsky (18),
il quale, come si è visto, non si presentò alla
sbarra ma scrisse un libro che serviva da testimonianza, ed ottenne
il suo quarto d'ora di celebrità. O l'altro caso, della
signora Vaillant-Couturier, che giunse al campo di Auschwitz nel
gennaio 1943; era una comunista e per questo motivo fu "installata"
all'ospedale dove rappresentava un personaggio importante del
self-government. Quando le domandarono se l'ospedale era aperto
alle ebree, in caso di malattia, rispose freddamente al Procuratore
francese Dubost: "No, quando siamo arrivate, le ebree non
avevano diritto al ricovero, erano (in questo caso) condotte direttamente
alla camera a gas" (I.M.T. vol. VI, p. 219). Mai falsa testimonianza
fu giurata alla sbarra di un tribunale con più tranquilla
sicurezza, perché nel gennaio 1943 non vi era -- se mai
ve ne furono -- nessuna camera a gas e la tesi ufficiale sosteneva
che furono installate solo alla fine del febbraio 1943 (Doc. NO-4463).
Ma potrebbero non aver mai fine le citazioni delle false testimonianze
del genere. Comunque col documento Gerstein si disponeva per la
prima volta di un testimone diretto. Era morto? Sì, ma
aveva scritto, o almeno firmato, una dichiarazione, così
si affermava. Concerneva Auschwitz questa dichiarazione? No, per
ciò che diceva di aver visto, ma alcune fatture di Ciclon
B consegnato a questo campo vi erano accluse, e d'altronde la
sua descrizione di sterminio con gas negli altri campi portava
l'operazione a un così alto grado di orrore che i giornalisti
accreditati al processo decisero di scatenare una campagna su
questo tema. I giudici vi accordarono assai minore importanza,
ma lasciarono mano libera ai giornalisti, e se non li incoraggiarono,
mai smentirono le citazioni che li mettevano in causa, come avvenne
per il documento Gerstein, presentato alla opinione pubblica come
testimonianza ammessa come prova, mentre era stato respinto (cf.
capitolo precedente).
Il libro del dr. Benedikt Kautsky fu pubblicato solamente verso
la fine del 1946: non potè dunque essere discusso al Processo
dei grandi criminali di guerra. Non poteva d'altronde essere di
grande ausilio, essendo una testimonianza indiretta sulle camere
a gas. Per avere su tali operazioni di eliminazione al campo di
Auschwitz
[99]
una descrizione altrettanto precisa del documento Gerstein, si
dovette attendere fino al 1951 con Medico a Auschwitz del
dottore-fantasma Miklos Nyiszli, del quale, nel precedente capitolo,
si è visto quello che si aveva il diritto di pensare. Poi,
più nulla: nessun altro testimone de visu. La letteratura
sui campi di concentramento, le versioni di storici tipo Rothfels,
Golo Mann o Raul Hilberg, la Commissione dei crimini di guerra
di Varsavia, i Centri di documentazione ebraica contemporanea,
i loro propagandisti tipo Poliakov o Hannah Arendt, l'Istituto
di Storia contemporanea di Monaco e i saltimbanchi o gli imbonitori
del genere Piscator (regista de Il Vicario di Hochhuth),
non hanno per quanto mi risulta mai potuto presentare niente più
di quei due che sono, credo di averlo dimostrato, evidentemente
apocrifi. Quindi non insisterò.
Non essendo riusciti a dimostrare meglio di quelli la concretezza
degli stermini con gas per ordine governativo, i campioni dell'accusa
ad oltranza non ebbero fortuna migliore quando si accinsero alla
valutazione delle perdite umane. Nel 1945-46 al Processo dei grandi
criminali di guerra, si trovarono di fronte alla seguente situazione:
-- il prof. Rafael Lemkin diceva solamente: "dei milioni";
-- il dr. Rudolf Kasztner non parlava che di ebrei ungheresi dei
quali calcolava il numero a circa 800.000 (p. 1 del suo Rapporto)
e stimava (p. 8) che: "500.000 erano stati deportati
sulla linea Kaschau-Oderberg, tra il 15 maggio 1944 e l'inizio
di luglio" -- l'inizio di luglio, ossia, precisa più
avanti, il 7;
-- le cifre del documento Gerstein danno risultati talmente astronomici
da apparire assolutamente inutilizzabili (forse non è inutile
ricordare che il resto della relazione non fu a quell'epoca utilizzato,
ad eccezione della stampa, da nessuno, avendo il Presidente del
Tribunale rifiutato di ascoltarne persino la lettura proposta
personalmente dal Procuratore francese Dubost).
E' in queste condizioni che, come abbiamo visto, Justice Jackson
dichiarò nella sua requisitoria, il 21 novembre 1945:
"Dei 9.600.000 ebrei che vivevano nell'Europa occupata dai nazisti, si valuta con piena conoscenza di causa al 60% il numero di coloro che perirono: 5.703.000 ebrei mancano, nei paesi nei quali prima vivevano, e oltre 4.500.000 non possono essere messi a carico del tasso naturale dei decessi, né a quello dell'emigrazione in altri paesi" (I.M.T. Vol. Il, p. 128).
Tale fu all'inizio l'accusa: 4.500.000
sterminati.
Quello che non si riesce a capire bene è come mai, tra
l'otto maggio e il 21 novembre 1945, Justice Jackson abbia potuto
essere messo "a completa conoscenza di causa". Non essendo
stata nel frattempo registrata nessuna operazione di censimento
ufficiale -- e come sarebbe stata possibile in tale caos di persone
spostate dagli avvenimenti e in movimento in ogni direzione? --
dobbiamo concludere che si trattava di una valutazione puramente
congetturale.
[100]
Comunque stiano le cose, la sentenza pronunciata contro i grandi
criminali di guerra non la prese in considerazione, e in quanto
alla stampa mondiale, fu la valutazione di Hoettl che fu utilizzata:
in seguito, fatta eccezione per Gerald Reitlinger, il solo che
ha raggiunto risultati quasi concordanti con quelli di Justice
Jackson (4.200.000 a 4.600.000), tutto è accaduto come
se, posto come principio che la stima di Hoettl secondo Eichmann
era fondata, tutti gli altri autori che hanno lavorato in base
alle cifre nelle stesse disposizioni di spirito della Commissione
di Varsavia, dei Centri di documentazione ebraica contemporanea
o dell'Istituto di Storia contemporanea di Monaco,
non avessero avuto mai altro scopo che il dimostrare corrispondenti
alla realtà le valutazioni di Hoettl e Wisliceny. Ma ciò
che è anzitutto da notare, è che pur arrivando tutti
a un risultato globale che si aggira attorno a questi 6 milioni,
non vi pervengono tutti per le stesse vie, poiché la ripartizione
dettagliata di questo risultato globale presenta, per paese, in
quasi tutti i casi differenze considerevoli. L'esempio più
significativo di queste differenze mi sembra dato dalla Polonia,
dove Shalom Baren, titolare della cattedra di Storia ebraica all'Università
di Columbia, trovò all'arrivo delle truppe russe, in questo
Paese, 700.000 ebrei superstiti (cfr. la sua dichiarazione del
24 aprile 1961 al Processo Eichmann), il Centro mondiale di
documentazione ebraica di Parigi, 500.000 (comunicato al Figaro
littéraire del 4 giugno 1960), l'Istituto degli
affari ebraici 400.000 (Eichmann's Confederates and the
Third Reich Hierarchy, op. cit. p. 59) e Raul Hilberg solamente
50.000 (The Destruction of the European Jews, p. 670).
La ripartizione per campo o per settore di distruzione non è,
del pari, la stessa e presenta differenze altrettanto considerevoli
a seconda che si fa riferimento all'uno o all'altro di questi
singolari autori. Esempi:
- 4.000.000 circa a Auschwitz, il rimanente negli
altri campi di sterminio o in azioni "di forza" per
opera dei Gruppi Speciali, ci dicono Poliakov, Olga Wormser,
Henri Miche], ecc... Questa ripartizione tiene evidentemente conto
della Sentenza di Varsavia la quale condannò Höss
all'impiccagione sotto l'accusa di avere fatto perire a Auschwitz
2.812.000 persone delle quali 2.500.000 ebree, dal maggio 1940
al dicembre 1943, di modo che ci si avvicina ai 4.000.000
per tutta la durata del campo.
-- 1.950.000 per tutti i campi: 1.000.000 a Auschwitz (900
mila, corregge l'Istituto per gli Affari ebraici), 1.400.000
ad opera dei Gruppi Speciali, e il resto in azioni ("Operazione
Mobile"), dice Raul Hilberg (op. cit. cfr. cap. I,
p. 16). E' bene precisare che lui stesso non sa bene se deve giungere
a un totale di 5.100.000 (p. 767) o di 5.409.000 (p. 670).
-- Per tutti gli altri campi di sterminio oltre Auschwitz: 950.000,
dice sempre Raul Hilberg, ma la Commissione di Varsavia
e la Sentenza del tribunale di Gerusalemme dicono: 2.050.000
[101]
per gli altri cinque campi dei sei (Chelmno, Belzec, Sobibor,
Maïdanek e Treblinka).
Tutto ciò dimostra la serietà dei calcoli e il credito
che si può accordare ai documenti su cui sono basati: pur
essendo gli stessi per tutti gli autori, parlano a ciascuno un
linguaggio così differente che non li mette d'accordo tra
loro se non nel totale generale delle perdite ebree, calcolato
da tutti, quando procedono alle addizioni, a 5 o 6 milioni di
vite umane -- ad eccezione di Reitlinger più modesto e
di Poliakov che afferma: "tra i 5 e i 7 milioni" (Il
III Reich e gli ebrei) per adeguarsi, finalmente, ai 6 milioni
che costituiscono una media aritmetica dei due: è ammirevole
l'originalità del metodo!
Il lettore potrà comprendere facilmente perché di
fronte a questa confusione di calcoli, piuttosto che riprendere
una per una tutte le versioni e rifare una per una tutte le addizioni,
abbia preferito, servendomi di statistiche tutte di fonte ebrea,
tentare la ricostruzione dettagliata, per paese, della popolazione
ebraica mondiale nel 1946 e compararla a quella che era, nella
stessa presentazione, all'avvento al potere del nazionalsocialismo
in Germania nel 1933. A torto o a ragione questo procedimento
mi è sembrato il migliore mezzo nel suo svolgersi, per
mettere in evidenza le sfrontate falsificazioni della Commissione
di Varsavia, del Centro mondiale di documentazione ebraica
contemporanea, dell'Istituto per !a Storia contemporanea
di Monaco, e di tutti i loro sostenitori, saltimbanchi, imbonitori,
storici, ebrei e non. Il lettore comprenderà che i dati
statistici che seguono non possono essere considerati esatti con
l'approssimazione dell'unità: in materia di popolazione
la statistica deve poggiare sulle interrogazioni degli interessati
le cui risposte sono sempre soggette a cauzione, e data l'impossibilità
di avvicinare tutti, considerando i difetti e perfino l'assenza
dei servizi dello stato civile in un grandissimo numero di paesi,
è inevitabile l'approssimazione delle conclusioni.
Detto ciò, a che punto sta la questione in questo mese
di luglio 1963?
I. - STATISTICHE DEL DOPOGUERRA
Il World Almanach (Almanacco mondiale) pubblicava
nel 1951 una statistica dalla quale risultava che nel mondo
esistevano non più di 11.303.350 ebrei, contro i 16.643.120
del 1939. Essa rappresentava il frutto dei lavori del American
Jewish Committee Year Book (Comitato americano ebraico dell'annuario)
e del Jewish Statistic Bureau of the Synagogue Council
(Ufficio statistico ebraico del Consiglio della Sinagoga),
i quali per ottenerlo avevano impiegato gli anni 1949 e 1950.
Dal suo modo di presentazione, si hanno molte ragioni per pensare
che la statistica del World Almanach del 1951, come
[102]
sua prima cura si proponeva di rispondere a uno studio apparso
il 2 febbraio 1948 nel NewYork Times, sui dati statistici
del proprio esperto in materia di popolazione ebraica, Hanson
W. Baldwin. Questi asseriva che in base a un censimento segreto
al quale avevano proceduto gli stessi ebrei, risultavano ancora
vivi, in quell'anno 1947, un numero che si aggirava da un minimo
di 15.000.000 a un massimo di 18.000.000. Sosteneva inoltre che
650.000 o 700.000 di loro vivevano in Palestina e 500.000 in altri
stati del Medio-Oriente. Nell'ottobre del 1959, l'American
Mercury (n. 14 a 17) ha ripetute tutte queste cifre
considerandole serie, riportando perciò la controversia
in primo piano tra le attualità. L'edizione 1960 del World
Almanach, a sua volta, dà per l'anno 1959 una popolazione
ebrea mondiale di 12.299.780 persone. Un'ultima notizia di fonte
ebraica propagata nel mondo intero da tutta la stampa, nella forma
data da Die Welt, quotidiano di Amburgo, l'1-4-1963, dice:
"Solo 13 milioni di ebrei". La data è: Londra,
31 marzo:
"Vi sono nel mondo solamente 13 milioni circa di ebrei. Nel 1939 erano 16.763.000. E' stato comunicato alla fine della settimana dall'Istituto per gli Affari ebraici di Londra.
La maggior parte degli ebrei, circa 5,5 milioni, vive oggi negli Stati Uniti. In Israele ve ne sono 2,045, nell'Unione Sovietica 2,3 e in Gran Bretagna 0,45 milioni" (19).
Ma l'Israel Almanach (5719 dell'era
ebraica, 1958-59 dell'era volgare, p. 282) riporta l'affermazione
di un certo Eric Peretz: "la popolazione ebraica dello Stato
d'Israele rappresenta l'ottavo della popolazione ebraica mondiale"
e la fissa a "un milione ottocentomila" (tutte lettere)
e un certo Marc Cohen porta (p. 9) questo ottavo a "due milioni";
dunque in quell'anno, i 13 milioni di ebrei recensiti nel mondo
nel 1962 dall'Istituto degli Affari ebraici di Londra erano
14.400.000 se ci si attiene alla stima del primo, 16 milioni se
ci si attiene al secondo. L'Israel Almanach è pubblicato
a Gerusalemme dalla "Sezione della Gioventù e del
Hehabouts dell'Organizzazione sionista mondiale". Ogni commento
è superfluo.
Solo per scrupolo d'informatore riferisco l'infantile dichiarazione
che Shalom Baron, brandendo il suo titolo di professore di storia
ebraica all'Università di Columbia, ha fatto alla sbarra
del Tribunale di Gerusalemme, il 24 aprile 1961 (riportata da
Le Figaro il giorno successivo) e che si può così
riassumere:
l. "Il tasso di aumento della popolazione ebraica nel mondo
in rapporto al 1945 è del 20%."
[103]
2. "Nel 1939, eravamo circa 16 milioni nel mondo. Dunque,
oggi dovremmo essere circa 19 milioni, e invece siamo solamente
12 milioni."
In mancanza di una buona conoscenza della storia, che dovrebbe
essere il suo mestiere, costui ha quella dell'aritmetica: 16 milioni
- 6 milioni = 10 milioni + 20% = 12 milioni. Aritmeticamente indiscutibile!
Decisamente dopo la guerra tra i professori v'è di tutto
e non importa "chi", in questa professione! -- perciò
non rimane al prof. Shalom Baron che stabilire, in primo luogo,
che il tasso d'aumento della popolazione ebraica mondiale è
proprio del 20% in 16 anni; in secondo luogo che 6 milioni di
ebrei sono stati veramente sterminati. Proseguiamo.
Passiamo a un particolare della notizia di Die Welt: la
popolazione ebraica degli Stati Uniti. Nel 1950, l'American
Jewish Committee Year Book e il Jewish Statistical Bureau
of the Synagogue Council la valutavano a 5.185.000 per l'anno
1949 e nel '59 a 5.260.000 per l'anno 1958. Da ciò possiamo
dedurre che, se la popolazione ebraica mondiale è cresciuta
del 20% nel 1961 in rapporto al 1945, ossia dell'1,25% per anno,
così come lo ha proclamato il singolare professore Shalom
Baron al Tribunale di Gerusalemme, l'America, almeno, ha fatto
eccezione a questa regola, in svalutazione.
E per la Russia l'informazione dell'Institut of Jewish Affairs
di Londra che calcola la popolazione ebraica a 2,3 milioni di
persone nel 1962, non sembra molto più seria se si deve
credere a Nahoum Goldman che, in un Rapporto presentato al World
Jewish Congress il 12-9-63, si esprimeva in questi termini:
"Dal 1948 al 1963, la cultura ebraica nell'URSS si riassume
in cinque libri d'autori scomparsi, un almanacco e due periodici,
per circa TRE MILIONI DI EBREI..." (Le Figaro,
Parigi, 13-9-1963). D'altronde, già nel 1961, Nahoum Goldman
aveva presentata questa cifra di tre milioni al World Jewish
Congress: da 2,3 milioni a 3 milioni, vi è tuttavia
un margine di 700.000...
Per tutta l'annata del 1959, la popolazione ebraica ha costituito
negli Stati Uniti l'oggetto di controversie molto serrate; un
esempio è dato dal libro: The Iron Curtain over America
(La cortina di ferro sull'America) pubblicato nel 1951
e nel quale l'autore, il prof. John Beaty, lamentava che la
legge del 1924 sull'immigrazione fosse costantemente violata
e che "dopo la fine della seconda guerra mondiale, il problema
dell'entrata illegale si sia spaventosamente accresciuto".
E citava l'immigrazione ebraica... Poi ancora, c'è l'American
Mercury (op. cit.) che ha dato tutto il suo significato
a questa controversia. Infatti riferendosi particolarmente all'immigrazione
ebraica sottolineava due fatti:
1. "Le principali organizzazioni sioniste mondiali proclamano
orgogliosamente che i due terzi degli ebrei del mondo vivono attualmente
negli Stati Uniti." E ne traeva la conclusione che, se le
cifre di Hanson W. Baldwin rese pubbliche dal New York Times
[104]
del 22 febbraio 1948 corrispondevano al vero, non si doveva
parlare di 5.185.000 o 5.260.000 ebrei, come sostenevano le statistiche
di fonte ebraica, ma bensì di 10.766.666 o di 12.800.000
(nel 1947!). Comunque, poiché le statistiche ebraiche affermavano
che la popolazione ebraica mondiale, per l'anno 1959, ammontava
a 12.299.780 persone, e se è vero che i due terzi vivevano
negli Stati Uniti, il totale è sempre: 8.200.000 o, secondo
l'informazione del Die Welt (di fonte ebraica anche questa),
8.667.000 per l'anno 1962 e non 5,5 milioni come pretende
questa informazione.
2. L'altro aspetto del problema sul quale l'American Mercury
(op. cit.) metteva l'accento è che, avendo gli
Uffici della popolazione degli Stati Uniti deciso di organizzare
un censimento nel 1960 per stabilire l'importanza dell'immigrazione
illegale della quale si sentivano vittime, tutte le organizzazioni
sioniste mondiali avevano immediatamente protestato (e con successo,
precisava l'American Mercury) nel caso che gli incaricati
si rivolgessero alle chiese (dunque alle sinagoghe) allo scopo
di ottenere da quelle il numero dei loro amministrati. I capi
sionisti dichiararono, sempre secondo l'American Mercury,
che vi "sarebbe violazione del principio di separazione tra
Chiesa e Stato" e "ciò attirerebbe la collera
di Dio, il volere numerare il suo popolo". Palese la ragione
di questa opposizione: tale censimento operato in simile maniera
avrebbe messo in evidenza l'importanza dell'immigrazione ebraica
negli Stati Uniti dopo il 1933 e avrebbe immediatamente
annientato il mito dei 6 milioni di sterminati. Che alcuni ne
abbiano immediatamente tratta la conclusione che sembrava loro
imporsi e abbiano valutato a 12 milioni la popolazione ebraica
degli Stati Uniti, nulla di sorprendente. Soprattutto se avevano
letto l'articolo del New York Times!
Da allora, questa cifra ha fatto progressi nell'opinione pubblica
americana; come testimonia questo trafiletto estratto dal National
Observer del 2 luglio 1962:
"Assalto collettivo a un problema.
I principali gruppi religiosi nazionali, rappresentanti oltre 40 confessioni, protestanti, ortodossi orientali, cattolici romani e ebrei, hanno unito i loro sforzi per affrontare uno dei problemi più spinosi: le relazioni tra le razze.
Essi hanno convocato per il prossimo gennaio a Chicago una Conferenza nazionale sulla religione e la razza. Circa 600 capi religiosi e laici, rappresentanti quasi 100.000.000 di americani, vi prenderanno parte. Lo scopo della Conferenza è di mostrare l'ansietà dei capi religiosi a proposito della segregazione razziale con un esame di coscienza.
Vi parteciperanno il National Council
of Churches, organizzazione di 33 confessioni, protestanti e ortodossi
orientali con circa 40.000.000 di membri; la National Catholic
Welfare Conference, ufficio amministrativo dei vescovi cattolici
(ci sono 43.000.000 di cattolici nel paese) e la Synagog Council
of America, rappresen-
[105]
tante di gruppi ebraici su scala nazionale. (Vi sono rappresentati
gruppi dei Rabbini dell'Orthodox Conservative and Reform Judaism.
Sono circa 12.000.000 gli ebrei negli Stati Uniti)."
Segue la firma: Robert Schultz, Chicago (20).
Tali sono i punti di vista che si affrontano. Si vedrà
in seguito che, per la Polonia, la Russia e, in generale, tutta
l'Europa centrale e balcanica, le statistiche di origine ebraica
non pongono in modo meno brutale il problema della loro falsificazione
evidente.
II - STATISTICHE DI PRIMA E DI DOPO LA GUERRA
Nel 1932, un giornale ebreo di New York, il Menorah
Journal (n. 2 febbraio) pubblicava un'analisi della popolazione
ebraica mondiale i cui dati erano desunti dalle indagini del più
responsabile degli autori ebrei di statistiche dell'epoca, il
dr. Arthur Ruppin (21). Questi, diceva il Menorah Journal,
aveva classificati gli ebrei di tutto il mondo per professione
e per paese. Per professione, riproduceva la conclusione della
statistica tale quale egli l'aveva formulata. Per paese, dava
in ordine decrescente soltanto quelli nei quali vi erano più
di 100.000 ebrei, contentandosi, per gli altri, di classificarli
in tre categorie: dai 50.000 ai 100.000; dai 10.000 ai 50.000,
e meno di 10 mila.
[106]
Ecco cosa ne risultava:
A) PER PROFESSIONI
Commercio ...........................6.100.000...................................
ossia 38,6%
Industrie e artigianato ...........5.750.000 ............................................36,4%
Possidenti .............................2.000.000 ...........................................12,7%
Professioni libere .................1.000.000...............................................6,3%
Agricoltura ..............................625.000..............................................
4,0%
Domestici, operai, ecc.............. 325.000...............................................2,0%
...............................................________ ............................................____
Totale: ................................15.800.000 .............................................100%
B) PER PAESI
Stati Uniti ..............................4.500.000
Polonia ..................................3.100.000
Russia ...................................3.000.000
Romania....................................900.000
Germania................................. 500.000
Inghilterra ................................330.000
Francia..................................... 250.000
Palestina................................... 250.000
Argentina ..................................240.000
Austria ......................................230.000
Canada .....................................170.000
Lituania ....................................160.000
Paesi-Bassi ...............................120.000
Marocco francese .....................120.000
Irak ...........................................120.000
Altri paesi ..............................1.810.000
..................................................._______
Totale: ..................................15.800.000
Gli altri paesi del mondo si presentavano così:
1· Paesi che contano da 50.000 a 100.000 ebrei:
Lettonia, Grecia, Iugoslavia, Belgio, Italia, Turchia, Bulgaria,
Algeria, Africa del Sud, Tunisia, Egitto.
[107]
2· Paesi con ebrei da 10.000 a 50.000:
Svizzera, Brasile, Messico, Uruguay, Persia, Siria, Yemen,
India, Afghanistan, Cina, Marocco spagnolo, Tripolitania, Australia.
3· Paesi che contano meno di 10.000 ebrei:
Danzica, Svezia, Danimarca, Estonia, Irlanda, Spagna, Rodi,
Memel, Portogallo, Norvegia, Finlandia, Cuba, Cile, Giappone,
Singapore, Nuova Zelanda.
Infine le cifre presentate datavano dal 1926 al 1928, a seconda
dei casi.
Nel 1932, i movimenti della popolazione non mi interessavano che
professionalmente, vale a dire nelle loro grandi linee di forza,
e per quanto concerneva il popolo ebreo; al momento, questa statistica
mi sembrò renderne conto assai bene perché mi potessi
considerare sufficientemente informato su questo punto: ricordo
d'aver notato che dal 1877 al 1932, la popolazione ebraica degli
Stati Uniti era passata da 230.000 persone a 4.500.000, quella
della Francia da 150.000 a 250.000 dal 1870 al 1932, e di averne
concluso che la migrazione degli ebrei europei andava in direzione
degli Stati Uniti via Europa Occidentale. Dai paesi dei pogroms
ai paesi della libertà. Per me era l'essenziale. Quando
nel 1934 fu pubblicato in Francia Gli ebrei e il mondo moderno,
di Arthur Ruppin, io non lo presi in considerazione. Ebbi torto:
avrei sicuramente osservato che il Menorah Journal aveva,
ad esempio, omesso di citare l'Ungheria e la Cecoslovacchia. Ebbi
un torto ancora maggiore, quando non previdi che, più tardi,
mi sarebbero occorse cifre più esatte di quelle date da
questa pubblicazione per il Belgio, la Iugoslavia, la Grecia,
ecc... Dopo l'ultima guerra, quando mi fu necessario tutto questo
materiale, mi fu possibile trovare lo studio di Arthur Ruppin
misteriosamente scomparso dalla circolazione solo servendomi delle
astuzie dei Sioux: nel 1960, quando pubblicai Ulisse tradito
dai suoi, non vi ero ancora riuscito e, per l'Ungheria e la
Cecoslovacchia, dovetti accontentarmi di fare apparire, in nota
alla statistica che vi figurava, le cifre del Centro mondiale
di documentazione ebraica contemporanea, lasciando al lettore
la cura di aggiungerle al totale che vi trovavo per la popolazione
ebraica europea dei paesi occupati dalla Germania e che ammontava
a 8.700.000, ma prevenendolo sulla evidente esagerazione (404.000
per l'Ungheria, 315.000 per la Cecoslovacchia). Mi si scuserà
la leggerezza del 1934: malgrado i due fatti inquietanti costituiti
dall'ascesa al potere del Nazionalsocialismo in Germania e dalla
serpentina politica del bolscevismo, tra il nazismo e le democrazie,
quello che non avevo previsto, era la seconda guerra mondiale
e la miserabile polemica nella quale, un giorno, sarei stato trascinato.
[108]
Ecco, ora, la statistica per i paesi occupati dai tedeschi, secondo
Arthur Ruppin:
Polonia .............................3.100.000
Russia ...............................3.000.000
Romania ..............................900.000
Germania .............................500.000
Ungheria ..............................320.000
Cecoslovacchia .....................260.000
Francia..................................250.000
Austria ..................................230.000
Lituania ................................160.000
Paesi-Bassi ..........................120.000
Lettonia ..................................80.000
Grecia ....................................75.000
Iugoslavia.............................. 70.000
Belgio ....................................60.000
Italia .......................................50.000
Bulgaria .................................50.000
Danimarca.............................. 7.000
Estonia ...................................5.000
Norvegia................................. 2.000
Finlandia ................................2.000
Lussemburgo..........................2.000
...............................................______
Totale..............................: 9.243.000
Dal 1932 al 1939, filosemiti o antisemiti, tutti coloro che hanno
parlato della popolazione ebraica europea o mondiale si sono riferiti
a Arthur Ruppin: in Europa, i primi focalizzarono l'attenzione
sui circa 9.000.000 di ebrei europei minacciati dal Nazionalsocialismo,
i secondi utilizzarono la sua classificazione per professioni,
per poter concludere che, secondo gli stessi ebrei, pochi di loro
lavoravano realmente e, in Germania, questo non fu uno dei minori
argomenti del Nazionalsocialismo per accusarli di parassitismo
sociale.
Devo precisare che Arthur Ruppin, nel suo studio premetteva che,
a motivo delle difficoltà presentate da tutti i lavori
di statistica in materia di popolazione ebraica, le cifre da lui
fornite non avevano valore indiscutibile e assoluto. In virtù
di che, egli concludeva:
1. I 9.243.000 ebrei nell'Europa occupata dai tedeschi possono
anche essere sia 9.000.000 che 9,5 milioni.
2. E che valutandoli a 9,6 milioni Justice Jackson non aveva poi
troppo esagerato. Molto, molto meno degli "statistici"
del dopoguerra del World Almanach (cfr. pagina 101, la
valutazione della po-
[109]
polazione ebraica nel 1938 secondo la sua edizione del 1948).
A mala pena si può parlare di esagerazione da parte sua:
non aveva dimenticato nessuno, ecco tutto. Il suo grande torto
è stato di non aver pensato che nel 1939 la popolazione
ebraica di questi paesi non poteva essere la stessa che nel 1932,
vale a dire di non aver tenuto conto dell'emigrazione ebraica
durante questo periodo, man mano che il Nazionalsocialismo la
minacciava direttamente. E soprattutto di aver dichiarato assolutamente
senza prova, non essendo, e non potendo esserlo, "in conoscenza
di causa" come egli sfrontatamente lo pretendeva, che il
60% di questa popolazione considerevolmente sopravvalutata da
lui (vedere oltre lo studio del movimento della popolazione ebraica
tra il 1933 e il 1945) mancava all'appello al momento nel quale
egli pronunciava la sua requisitoria.
Si troveranno, infine, alle pagine 109 bis e 109 tris, disposte
a fronte, due stime delle perdite ebraiche pubblicate, una dal
Centro mondiale ebraico di documentazione contemporanea di
Parigi, (Figaro littéraire, 4 giugno 1960), l'altra
da Raul Hilberg nel 1961 (The Destruction of the European Jews,
p. 670).
La mia prima intenzione era di disporre a fronte non due, ma tre
statistiche, la terza essendo quella pubblicata dall'Istitute
of Jewish Affairs in Eichmann's Confederates and the Third
Reich Hierarchy (op. cit. p. 59) nello stesso 1961.
Ma poiché quest'ultima si limita a dare in dettaglio
le perdite ebraiche per paese, senza altri riferimenti alla loro
popolazione nel 1939 che non sia quello delle percentuali, me
ne sono astenuto. Forzando ancora un poco sulle cifre di Raul
Hilberg per la Polonia, la Cecoslovacchia e la Russia, si raggiunge
il totale di 5.717.000 sterminati, rappresentanti, precisa, il
68% della popolazione ebraica di questi paesi nel 1939. Dal che
si può dedurre che questa popolazione ammontava a 8.400.000
persone. Non è significativa che per la Polonia, dove vi
trova 400.000 superstiti, mentre Raul Hilberg ne trova solamente
50.000; il prof. Shalom Baron 700.000 e il Centro mondiale
di documentazione ebraica contemporanea di Parigi 500.000
-- per la Russia dove trova 2.000.000 di superstiti; la Cecoslovacchia
dove fa vivere, nel 1939, 360.000 ebrei, laddove Raul Hilberg
si accontenta di 315.000 e Arthur Ruppin di 260.000 e qualche
altra piccola truffa. La dose di fantasia mi è sembrata
sufficiente, riflettendoci bene, più che sufficiente nelle
due statistiche di questo genere, ed è questa un'altra
ragione per cui ho rinunciato a citarla.
Esaminiamo adesso le nostre due statistiche.
[109 bis]
Nota: In realtà nella presente statistica, il Centro
mondiale di documentazione ebraica contemporanea aveva sostituito
con punti interrogativi le perte ebree in Bulgaria, fatto figurare
la Macedonia a parte e omesso il Lussemburgo. Solamente più
tardi le precisazioni concernenti questi tre paesi sono state
date ufficialmente e io non avevo potuto tenerle in considerazione
in Ulisse tradito dai suoi.
[109 tris]
Nota: Le
perdite risultano da questa statistica che figura a pag. 670 dei
libro, ma a pag. 767 esse sono portate alla cifra di 5.100.000
come già è stato detto.
[110]
In comune hanno quanto segue:
1. A paragone della statistica di Arthur Ruppin, entrambi rendono
conto dell'emigrazione ebraica dal 1933 al 1939, ma solamente
per la Germania e l'Austria -- piuttosto esattamente per quanto
riguarda quella del Centro mondiale di documentazione ebraica
contemporanea di Parigi, tutti, compresi i servizi ufficiali
del III Reich (statistica in data del 17 aprile 1943 di Korherr,
capo dell'Ufficio della popolazione del III Reich) trovandosi,
fatto raro, d'accordo nel valutare l'emigrazione ebrea di questi
due paesi a 300.000 per la Germania e 180.000 per l'Austria. L'esagerazione
di Raul Hilberg è priva d'importanza in ambedue le colonne,
non si ripercuote sul numero degli eliminati ottenuto per differenza.
Non provoca che un commento: un documento del dossier che
egli non conosceva.
2. Le vittime, perdute in questo modo dai loro autori, vengono
dagli stessi largamente recuperate maggiorando la popolazione
ebrea di prima della guerra e minimizzando quella del dopo
un poco ovunque ma specialmente in Polonia, Ungheria e in
Cecoslovacchia. Si rileva che, per l'ante-guerra, queste maggiorazioni
si situano tra 50.000 e 100.000 per paese, talvolta di più
(200 mila per la Polonia!) e che se essi hanno minimizzato nella
medesima proporzione il mondo dei superstiti, supponendo che dieci
paesi sui venti contemplati da questa statistica siano gravati
da un'esagerazione di questo ordine (evidentemente essa non era
possibile ovunque, ad esempio in Norvegia e in Danimarca) o di
un minimo di 50.000 per paese, essa si ripercuoterebbe per un
milione sul numero degli sterminati ottenuto per differenza; e
a 100.000 per paese, diventerebbe di 2 milioni. Ma questa non
è che una supposizione, che confesso gratuita e che ho
fatto qui, per dimostrare come un ruscello può facilmente
diventare un grande fiume. In seguito si vedrà quale sia
il valore effettivo di queste due statistiche. Ogni cosa a suo
tempo.
Ed ecco le divergenze che presentano:
1. Il numero totale dei sopravvissuti varia dall'una all'altra
di 1,5 milione e quello degli eliminati di poco meno di 600.000;
è importante nei due casi come margine.
2. Ad un più attento esame, questa divergenza proviene
dalle valutazioni concernenti Russia e Polonia. Per la prima,
la cifra di 2.100.000 enunciata dal Centro mondiale di documentazione
ebraica contemporanea di Parigi non concerne l'intera Russia,
ma unicamente la parte occupata dalle truppe tedesche: può
saperlo solo chi ha letto Il III Reich e gli ebrei (op.
cit.) di Poliakov da cui la statistica è estratta e
dove questa particolarità è indicata. Se si integra
nelle due colonne il milione di ebrei che Poliakov ne ha molto
arbitrariamente tolto, la stima dei superstiti differisce esattamente
di un milione dall'una all'altra per detto paese, il numero
totale degli sterminati per tutti i paesi differendo
[111]
sempre di un po' meno di 600.000. Non si riesce a capire come
Poliakov abbia calcolato il numero degli ebrei viventi nella zona
russa occupata dalle truppe tedesche: lui, non lo dice. Ma si
può essere certi che si tratta di valutazione non da censimento,
essendo questo impossibile in tutti i paesi del mondo su "scale"
locali che non sono circoscrizioni amministrative, come il caso
in parola; e l'OKW non aveva deciso di conquistare la Russia circoscrizione
amministrativa per circoscrizione amministrativa, ma in funzione
degli imperativi geografici della strategia. Quindi una valutazione
puramente congetturale, che dà per sicuro che gli ebrei
della zona, ben lungi dal fuggire all'avanzarsi di un'invasione
per loro micidiale, hanno gentilmente aspettato l'arrivo dei loro
carnefici. Nemmeno si riesce a capire come Poliakov ha stimato
a 600.000 i superstiti al 1946, data in cui è certo che,
essendo la guerra terminata solamente da un anno, l'ordine non
poteva essere sufficientemente ristabilito per permettere una
operazione di censimento: un'altra valutazione alla cieca! Ma
ciò che importava a Poliakov era che essa facesse apparire
una perdita di 1,5 milioni di ebrei e non v'è dubbio che
egli abbia stabilito anticipatamente questo risultato al quale
doveva arrivare perché si accordasse alla leggenda dei
sei milioni. Non immaginava certo che dopo di lui sarebbe passato
Raul Hilberg!
3. Leggendo il commento di Hilberg ci convinciamo che lui, invece,
aveva tenuto conto della fuga degli ebrei davanti ai tedeschi
che occupavano la Russia. In misura corrispondente al vero? Vedremo
in seguito. Si deve comunque riconoscere che quando egli fissa
a 3.020.000 gli ebrei viventi in Russia nel 1939, si trova d'accordo
con Arthur Ruppin e quando stima a 2.600.000 il numero di quelli
che sono sopravvissuti, ossia calcola le perdite a 420.000, egli
è anche d'accordo col giornalista ebreo David Bergelson
che in Die Einheit (L'Unità) edita a Mosca (5-12-1942)
scriveva: "Grazie alla evacuazione, la maggioranza (80%)
degli ebrei d'Ucraina, della Russia Bianca, della Lituania, e
della Lettonia è stata salvata" (citato dal Der
Weg, Buenos Ayres, gennaio 1953). Dove invece Raul Hilberg
non è più d'accordo è con sè stesso:
se, come egli dice, 2.600.000 ebrei russi sono stati salvati,
come può allora sostenere (p. 190) che per la Lettonia,
la Lituania e la Russia 1,5 milioni solamente sono "fuggiti
oltre le linee russe" all'avanzarsi delle truppe tedesche?
E come può d'altra parte sostenere, come egli fa nella
sua stessa statistica, che nessuno degli ebrei lettoni è
sopravvissuto?
4. Polonia. Per questo paese, le due statistiche, press'a poco
d'accordo circa la popolazione ebraica del 1939, non lo sono più
circa il numero dei superstiti: 500.000 per l'una, 50.000 per
l'altra, risultati nel rapporto di 1 a 10 e di 1 a 14 nel confronto
con quelli del professore Shalom Baron. Non si sa come il Centro
mondiale di documentazione ebraica contemporanea di Parigi
sia giunto a questa conclusione: non vi sono riferimenti. Quanto
a Raul Hilberg,
[112]
appare irrimediabilmente perduto nella nebbia delle cifre che
crea attorno a se: si è infatti visto (proprio in questo
volume) che alla pagina 767 del suo libro, dava per sterminati
3.000.000 di ebrei polacchi e solamente 50.000 i superstiti dei
3.350.000: qualsiasi altra spiegazione è superflua.
5. Piccolo gioco. Essendo queste due statistiche indifferentemente
e spesso anche simultaneamente garantite dal Centro mondiale
di documentazione ebraica e dal Movimento sionista internazionale,
il lettore ha, tra le due, la libertà di scelta: mettersi
al posto di qualcuno che trovi più prossima alla realtà
la popolazione ebrea del 1939, tale quale è stata fornita
del Centro di Parigi o più vicino alla realtà
il numero dei superstiti così come è dato nella
statistica di Hilberg. O inversamente. In questa sarabanda di
cifre, non vi è ipotesi meno verosimile. Nel primo caso
si ottiene:
8.297.500 - 3.770.500 = 4.527.000 vittime.
E nel secondo:
9.190.000 - 2.288.100 = 6.901.900 vittime.
Una differenza impressionante.
Proseguendo nello studio comparato di queste due statistiche,
si potrebbero, indubbiamente, mettere in evidenza anomalie ancora
più sorprendenti. Ma a che servirebbe?
Mi sembra invece giunto il momento di parlare dì cose più
serie: di quel movimento della popolazione ebrea tra il 1933 e
il 1939 del quale non ho fatto fino ad ora che brevi cenni e che,
non essendo stato correttamente studiato da nessuno degli autori
di queste statistiche, le quali di frequente l'hanno passato sotto
silenzio, lascia incombere su questo "affaire" un'infinità
di punti interrogativi che permettono ogni sorta di giochi di
destrezza. Se è vero, come afferma l'American Mercury
(op. cit.) che il movimento sionista internazionale
si rifiuta a un censimento della popolazione ebrea mondiale --
quale confessione! -- e con ciò lo rende impossibile, non
vedo proprio dove si potrebbe trovare la verità se non
là.
Ammesso che la si possa trovare.
III. - LA MIGRAZIONE EBRAICA O "L'EBREO ERRANTE"
Per poter comprendere bene il movimento della popolazione ebrea
europea tra il 1933 e il 1945, mi sembra indispensabile un rapido
scorcio storico della migrazione ebrea su scala mondiale: insomma
la storia dell'"Ebreo Errante".
Successivamente e simultaneamente popolarizzato coi nomi di Cartafilo,
Ahasvero o Lachedemo, a seconda dei luoghi e delle epoche, l'Ebreo
Errante sembra sia entrato a far parte della tradizione europea
verso il XIII secolo. L'immagine e la canzone l'han-
[113]
no definitivamente fissato nel XVIII in una ingenua elegia popolare
di 24 strofette con un "Ritratto disegnato dal vero dai borghesi
di Bruxelles, in occasione dell'ultima apparizione dell'Ebreo,
il 22 aprile 1774", e che traduce a modo suo una delle più
antiche e delle più originali realtà storiche: la
migrazione ebraica.
Una delle più antiche: sotto l'apparenza di peregrinazioni
del ramo presentato come legittimo dei discendenti da Noè
per Sem e Abramo (22) essa è, nella sua forma leggendaria
e mitica, tutta la sostanza dell'Antico Testamento che
fa risalire i suoi primi passi a un non meno leggendario e mitico
Diluvio universale. La più originale: entrata nella storia
a una data sempre incerta ma molto probabilmente contemporanea
all'invasione d'Egitto degli Hyksos (18· sec. a.C.),
comunque tra il 20· e il 12· sec. a.C., quando tutte
le altre migrazioni umane si sono già da tempo fissate,
sia assimilandosi i popoli dei territori d'espansione da esse
scelti, sia assimilandosi a quei popoli, la migrazione ebrea non
soltanto non ha avuto termine, ma venti secoli dopo Cristo si
presenta negli stessi termini della leggenda, ed è animata
sempre dagli stessi moventi. "La vocazione commerciale del
popolo ebreo, diceva Otto Heller (La fine del Giudaismo, Guilde,
Paris 1933) è una lunga tradizione". Infatti da Sumero,
che, se crediamo all'Antico Testamento, fu il suo primo
obiettivo, a New York, che attualmente sembra essere il suo punto
di mira, la migrazione ebrea ha seguito, come tutte le migrazioni,
le grandi arterie naturali, ma non come quelle all'avventura,
muovendosi secondo la corsa del sole e considerandole solamente
come vie di comunicazione da un punto all'altro, ma solo man mano
che queste arterie naturali sono diventate arterie commerciali
e dirigendosi con sicura perseveranza, costantemente, verso i
punti o le regioni del globo che avevano raggiunto il più
alto grado di sviluppo economico. E' la ragione per la quale,
invece di dirigersi decisamente verso Ovest, dall'Est, come tutte
le altre migrazioni umane, questa si è spostata irregolarmente
in tutte le direzioni. Certamente a questo disordinato spostamento
non sono estranee circostanze storiche accidentali e particolarmente
l'ostilità di cui fu oggetto in certe zone d'espansione
che essa si era scelte, ma queste circostanze hanno di poco modificato
il suo movimento in rapporto ai fini che essa si è sempre
fissati. Storicamente parlando, questa ostilità non fu
mai sistematica e permanente, e senza
[114]
dubbio perché, contrariamente a tutte le migrazioni umane,
questa mai fu massiccia e aggressiva: aveva la flessibilità
del commerciante per vocazione. Meno due eccezioni. La prima:
nella sua fase biblica, durante il periodo nel quale Saul, Davide,
Salomone tentarono successivamente d'installarsi a dimora e di
forza nel punto d'intersezione delle due grandi arterie commerciali
del loro tempo, che collegavano, incrociandosi, l'Europe e l'Africa
all'Asia, intendo dire la Palestina, nella speranza di vivervi
prelevando la decima su tutti gli scambi, obbligati allora a servirsi
di questo passaggio. La seconda: oggi, sempre in Palestina, dove
il movimento sionista internazionale progetta di ricostruire nella
forma di Stato-banca, il regno di Salomone poiché questo
paese, di nuovo, si trova sulla più importante arteria
commerciale del mondo moderno che, da New York a New York, fa
il giro del mondo, passando per Londra, Parigi, Tel-Aviv, Calcutta,
Sìngapore, Hong-Kong, Shangai, Tokyo. Almeno, secondo quanto
si può desumere dall'attenta lettura del libretto di un
certo Kadmi Cohen, portavoce del sionismo internazionale, che
ebbe il suo quarto d'ora di celebrità nel periodo fra le
due guerre mondiali, dal titolo: Lo Stato d'Israele (Kra,
Parigi 1930) la cui tesi, benché presentata in termini
volutamente vaghi per non ferire troppo le orecchie, sembra essere
proprio che il movimento sionista internazionale non si deve proporre
come scopo il raduno di tutti gli ebrei del mondo in uno Stato,
esteso alle dimensioni del Regno di Salomone e di organizzarveli
in nazione moderna, ma bensì la sua ala portante, con la
missione di farne il porto di collegamento d'una Diaspora razionalmente
ripartita nei punti di convergenza delle ricchezze del mondo,
che appunto li convoglierebbe là. Sarebbe quindi la ripetizione,
in scala moderna, dell'operazione realizzata nello secolo a.C.
dal Mondo Romano, descritta da Cicerone nella sua celebre orazione
Pro Flacco, che si concretizzava in carichi periodici,
su galee con destinazione la Giudea, di tutto l'oro del mondo
che allora convergeva a Roma. Se Roma, a due riprese, con Tito
(70 d.C.) e poi con Adriano (135 d.C.) aveva distrutto il regno
di Giudea e disperso tutti gli abitanti nell'Impero, era per varie
ragioni, tra le quali il recupero, almeno, di quello che considerava
il suo oro. Infatti, fino a Tito, come lo dimostra l'affare Berenice,
Roma era stata assai benevola verso gli ebrei.
Per parlare sotto metafora, oggi è l'oro di Fort-Knox che
è preso di mira. Basterebbe infatti che il movimento sionista
internazionale, colla sua branca americana, mettesse la mano su
WallStreet perché il porto d'attracco israeliano della
Diaspora divenisse il Tetto commerciale del mondo atlantico. E
poiché il petrolio è la fonte energetica per eccellenza
del suo sviluppo, essendosene già assicurato il controllo
nella sua totalità, dal Medio-Oriente al Texas, si impadronirebbe
anche del posto di comando di ogni industria. "Guadagnerai
il tuo pane con il sudore della tua fronte", diceva l'Eterno
ad Adamo; e ad Eva: "Tu genererai con dolore", quando
[115]
scacciò la coppia da quel Paradiso terrestre che Egli aveva
creato per loro e per la loro discendenza. Le donne di Israele
naturalmente continuerebbero a generare nel dolore, ma i loro
uomini guadagnerebbero il loro pane e quello per i loro figli
col sudore della fronte altrui: allora, il meno che si potrebbe
dire è che la qualifica di "popolo eletto" che
gli ebrei pretendono prenderebbe tutto il suo significato.
Quali possono essere le possibilità di successo di questo
piano? Arthur Ruppin, in Gli Ebrei nel mondo moderno, dice
che nel 1927 i 4.500.000 di ebrei degli Stati Uniti disponevano
di una propaganda scritta che si articolava così: 9 quotidiani,
68 settimanali, 18 mensili, 16 pubblicazioni con irregolare periodicità;
e precisava che di queste pubblicazioni 65 erano in lingua inglese,
41 in yiddish, 3 in ebraico, 2 in tedesco. E che il più
letto dei quotidiani, il New York Vorwaerts raggiungeva
una tiratura di 250.000 esemplari. Questa era solamente la stampa
interna del giudaismo; vale a dire si faceva astrazione delle
partecipazioni finanziarie ebraiche alla grande stampa d'informazione,
di cui Ruppin si limita a dire che erano assai importanti. Oggi,
qual'è la situazione? Lo vedremo più avanti, in
relazione a quello che si può pensare dell'importanza della
popolazione ebrea negli Stati Uniti. Per quanto riguarda la stampa
interna del movimento sionista, non sono in possesso di alcun
dato che mi permetta di valutarne la potenza. Ma si può
pensare che non sia certo minore a quella del 1927. E per quanto
riguarda le partecipazioni ebraiche finanziarie nella stampa d'informazione
basterà, per darne un'idea, osservare che essa diffonde,
con mezzi notevoli, assumendole in proprio, tutte le tesi dell'American
Council for Judaism. Se queste tesi non sono sempre in concordanza
con quelle del Centro mondiale di documentazione ebraica la
cui propaganda è ispirata da Ben Gurion, la ragione è
da cercarsi in quei dissensi pollitici che oppongono quest'ultimo
a Nahoum Goldman, deus ex machina di quella dell'American
Council for Judaism. D'altronde le discordanze tra i due uomini
e i due organismi non incidono se non sui dettagli e si traducono
solamente in sfumature; quando si tratta di concludere, si trovano
sempre d'accordo sul tema generale. E i loro rispettivi sostenitori
ne imitano l'esempio, come Raul Hilberg e Hannah Arendt che ce
ne offrono la più bella prova, mettendosi al servizio di
Nahoum Goldman quando sostengono che a Auschwitz fu sterminato
un milione di ebrei (quasi tre milioni meno
di quelli dichiarati dai Poliakov o gli Olga Wormser o Henri Michel
del Centro mondiale di documentazione ebraica contemporanea
e succursali!) e 950.000 negli altri cinque campi di sterminio
con gas (oltre un milione di meno; quindi complessivamente
un margine di divergenze di circa quattro milioni su un
totale di sei!); i quali però, quando fanno le loro
addizioni per stabilire il bilancio generale delle perdite ebree,
trovano il mezzo di arrivare a una cifra prossima, o in ogni caso
del medesimo ordine di grandezza (in questo, sta la sfumatura
nel
[116]
tema generale) ai sei milioni del Centro di documentazione
ebraica e succursali, al servizio di Ben Gurion. Stessa considerazione
per l'analisi delle perdite ebree, per paesi dove, a seconda del
riferimento alle tesi dell'American Council for Judaism,
espresse da Raul Hilberg o da Shalom Baron, o a quelle del Centro
di documentazione formulate dalla banca Poliakov, si ottengono
numeri di superstiti varianti da 50.000 a 700.000 per la Polonia;
da 500.000 a 2.600.000 per la Russia; da 0 a 85.000 per la Lettonia;
e di 0 a parecchi milioni per una dozzina di altri paesi, senza,
naturalmente, che il totale generale delle perdite per tutti i
paesi ne sia sensibilmente alterato.
Ma tutto questo fa sì che nel tema generale, che loro è
comune, dei sei milioni di ebrei eliminati, o press'a poco,
le due tesi, quando danno i particolari si distruggono a vicenda
l'un l'altra.
Ma torniamo alla nostra migrazione ebrea che costituisce anche
la loro (come sventura).
Tra le più,importanti circostanze storiche accidentali
che hanno influito sulla direzione generale della migrazione ebrea,
sembra vi sia la cattività di Babilonia (588-536 a.-C.),
l'intervento di Tito (70 a.C.) e di Adriano (135 d.C.), le reazioni
della cristianità medioevale (particolarmente dal 13·
al 16· secolo), la politica degli Zar della Russia nella
seconda metà del 19·, il bolscevismo e l'ostilità,
quasi atavica, della popolazione polacca dopo la fine della prima
guerra mondiale, e, infine, Hitler dal 1933 al 1945. Ma non vi
furono soltanto circostanze ostili: dopo il 1850, l'accostamento
progressivo degli Stati Uniti alla direzione industriale e commerciale
del mondo è un fattore di attrazione decisivo per l'orientamento
attuale della migrazione degli ebrei e l'ha singolarmente accelerata
in questo senso. Le cifre sono significative: 230.000 ebrei negli
Stati Uniti nel 1877, 475.000 nel 1896; 1.775.000 nel 1906; 3.300.000
nel 1916; 4.461.184 nel 1926, se si deve credere a John Beaty
(The Iron Curtain over America, op. cit.) che afferma
di riferirsi ai vari censimenti ufficiali della popolazione americana.
Ciò significa che, durante questi cinquant'anni, la popolazione
ebraica degli Stati Uniti si è moltiplicata per 20: una
autentica invasione. E' vero che durante questi cinquant'anni,
non solamente gli ebrei sono stati attratti dagli Stati Uniti.
Nel 1906, dice l'ultima statistica ufficiale alla quale si riferisce
John Beaty, su una popolazione totale di 150 milioni di abitanti,
i bianchi ammontavano a 107 milioni. Di questi 107 milioni, 33
milioni erano nati da stranieri o erano essi stessi stranieri
(Larousse, XX secolo). Ma questi cinquant'anni hanno corrisposto
a ciò che in Europa abbiamo definito la febbre dell'oro,
iniziata nel 1848 dalla scoperta di miniere d'oro in California,
che fu alla origine dello straordinario sviluppo di San Francisco.
Nel 1926, i tedeschi o figli di tedeschi rappresentavano
il più forte gruppo etnico o nazionale di stranieri negli
Stati Uniti : 7.250.000; gli inglesi 5 milioni, gli italiani 3.500.000;
il gruppo ebreo,
[117]
con i suoi 4.461.184, con gli irlandesi (quattro milioni), rappresentava
in rapporto alla sua importanza mondiale, proporzionalmente, di
gran lunga il più forte contingente. Bisogna anche considerare
che, mentre tutti gli altri gruppi stranieri si sono installati
negli Stati Uniti tra il 1850 e il 1900, gli ebrei hanno cominciato
ad affluirvi in modo massiccio solamente verso il 1900, soprattutto
verso il 1906 e, come dice la statistica, per la maggior parte
d'origine russa o polacca, gli altri quasi tutti tedeschi. Sembra
dunque possibile l'associare gli inizi della migrazione di massa
ebrea verso gli Stati Uniti a due avvenimenti che le sono contemporanei.
Uno: lo scacco di Teodoro Herzl (morto nel 1904) nel suo tentativo
di fondare uno stato ebraico in Palestina, che era di grande interesse
per gli ebrei russi e polacchi, vittime dei pogroms periodici.
L'altro: le prime misure prese dagli Stati Uniti per "contingentare"
l'immigrazione nelle proprie terre (1901 1903), le quali, secondo
le cifre citate, fanno apparire quella degli ebrei, come clandestina
nella quasi totalità, dal 1906 al 1926. Ciò che
essa fu dopo tale data, lo sapremo subito; premesso che non rischiamo
nulla dicendo che gli ebrei russi, polacchi e tedeschi non vi
occupano minore spazio di quanto non ne occupavano al principio
del secolo e che, specialmente dal 1935 al 1945 essa non fu meno
clandestina, benché le misure di controllo sull'immigrazione
prese nel 1924 venissero rafforzate: (The national origins
Law), ma, e ciò torna a onore dell'America, praticamente
non furono mai applicate dati gli avvenimenti di cui in Europa
furono vittime gli ebrei, benché, ufficialmente in teoria,
essi non vi fossero stati mai sottratti.
Se ogni volta che il problema ebraico è stato posto nel
mondo, lo è stato a causa degli ebrei russi, polacchi e
tedeschi -- almeno in quello che noi definiamo il periodo contemporaneo
della storia -- è a Tito e ad Adriano che lo dobbiamo:
avendo con il loro intervento in Palestina spostato ciò
che si potrebbe dire il centro di gravità e il bacino di
alimentazione della migrazione ebraica nel triangolo europeo (foci
del Volga, del Danubio e della Vistola). Maltrattati come essi
lo furono allora da Roma, gli ebrei sfuggiti ai massacri non furono
tentati dall'Egitto, romano anch'esso, come lo erano stati i loro
padri al tempo di Erode, e preferirono raggiungere l'esterno dei
limes, la maggior parte attraverso il Caucaso, gli altri
stabilendosi a Babilonia già assegnata ai loro antenati
da Nabucodonosor al tempo della grande cattività (6·
sec. a.C., cfr. Otto Heller, op. cit.). Là, sotto
il tollerante regno degli Arsacidi, formarono una specie di Stato-vassallo
che d'al II al V secolo si irradiò intellettualmente su
tutto l'Orbe ebraico, con le sue accademie teologiche di Sora,
Pumbadita e Nahardea. Là, il Talmud detto di
Babilonia fu composto, proprio in questo periodo. Ma questo
ramo si riunì progressivamente al grosso della migrazione
e vi si reincorporò. Era stata istruttiva, questa esperienza
palestinese? E' molto probabile. Resta certo che gli autori che
hanno
[118]
riferito, questi avvenimenti o li hanno commentati, sono d'accordo
nell'affermare che dall'altro lato del Caucaso, gli ebrei erano
accolti benissimo dalle popolazioni autoctone alle quali essi
apparvero non dei razzisti come i loro discendenti di oggi, ma
i portatori di una nuova religione in favore della quale essi
si davano al proselitismo. Al ritmo delle conversioni operate,
si mescolarono a quelle genti e sciamando raggiunsero dapprima
una linea che assai rapidamente si estese dalle foci del
Danubio a quelle del Volga, poi, sempre abili commercianti, si
sentirono attratti dal Mar Baltico, e raggiungendo la Vistola
formarono un triangolo attraverso il quale passavano obbligatoriamente
tutte le vie terrestri e fluviali che servivano agli scambi tra
l'Europa continentale e l'Asia, per il Mar Nero, e il Caspio.
Avendo Caracalla abrogate le misure d'eccezione prese contro di
loro da Tito e da Adriano, durante tutto il III secolo sino al
principio del IV, quando furono ristabilite da Costantino, il
loro slancio commerciale fu favorito dalla normalizzazione dei
rapporti con i correligionari rimasti nell'Impero ed essi apparvero
come i portatori di un benessere fino allora sconosciuto alle
popolazioni barbare di quelle regioni, attraendole quanto, se
non più, della loro religione. Col favore delle conversioni
e il conseguente incrocio delle razze, le due o tre dozzine di
migliaia di ebrei fuggiti davanti ai soldati romani di Tito e
di Adriano, che avevano superato il Caucaso, erano nel Medio-Evo
divenuti centinaia di migliaia, viventi in comunità di
commercianti, chiuse ai non iniziati. Cemento e chiave di volta
erano le Sinagoghe, ma l'insieme formava un gruppo etnico differentissimo
dal gruppo originario. Alla vigilia della guerra del 1939 erano
parecchi milioni, detti askenazim nella comunitá
mondiale, in opposizione ai sephardim discendenti da coloro
che avevano raggiunto l'Eurona occidentale attraverso il bacino
del Mediterraneo, senza mescolarsi alle popolazioni autoctone
dei paesi utilizzati come vie di passaggio, ed avevano conservato
il tipo originario.
Mi si presenta la favorevole occasione per precisare che gli askenazim
come i sephardim componenti la comunità ebraica
mondiale del XX secolo sono uomini e donne dai tipi numerosi e
nettamente differenziati nei caratteri somatici -- esistono ebrei
giaIli e neri! (23) -- uniti tra loro solamente dalla religione,
i costumi, un genere di vita, o a dir meglio, da una tradizione
che è il vincolo di una unità di vedute e di una
solidarietà a tutta prova, ma insufficiente a definire
una razza nel senso biologico generalmente attribuito alla parola.
E in virtù della quale, Hitler come Ben Gurion, imprimendo
un carattere razziale alla loro lotta, commisero il
[119]
medesimo errore: il secondo volendo, con la creazione dello Stato
d'lsraele, non soltanto salvare degli uomini, ma un tipo di uomo
che non esiste più; il primo pretendendo di proteggere
dall'incrocio con questo uomo ipotetico una comunità tedesca
da lui proclamata del tipo germanico che razzialmente non lo era
già più di quanto, oggi, la comunità israeliana
sia ebrea. Infatti, che cosa rappresenta oggi lo Stato d'lsraele,
visto sotto l'angolo della sua popolazione? Un ammassamento di
un tipo umano che dall'ebreo yemenita ibridato d'arabo va all'ebreo
tedesco ibrido germanico, passando per l'ebreo russo, ungherese
incrociato con lo slavo, privi, o quasi, di caratteri somatici
comuni. E da un complesso tanto eterogeneo, etnicamente o razzialmente
parlando, il Movimento sionistico può solo ottenere la
risultante di un nuovo tipo umano di ebreo, finalmente uscito
dal rimescolamento di tutti questi tipi, dato che questi consentano
a farsi cosi mescolare; e politicamente uno Stato teologico, ossia
nella più arcaica forma attualmente conosciuta, di questo
organismo, in possesso del solo vantaggio di corrispondere a quello
che sembra essere il livello intellettuale medio di questa massa,
che dal punto di vista teologico o mistico può anche essere
elevatissimo, ma dal punto di vista filosofico è sicuramente
piuttosto basso o molto in ritardo sul nostro tempo. Da ciò
si può dedurre che il Movimento sionista internazionale,
che progetta, almeno in teoria, di fondere in un solo popolo tutti
gli ebrei del mondo, comprese genti tanto retrograde e primitive
come gli ebrei dello Yemen, per riunirli nella terra degli avi,
che sono evidentemente loro meno affini di quanto non pretenda
il Movimento, non ha più, verso di loro la stessa, insormontabile
repulsione di cui, dal tempo che Teodoro Herzl lo teneva ai fonti
battesimali, non ha mai cessato di dare prova verso popolazioni
europee all'avanguardia della civiltà. Suppongo si sappia
con quale indignata ostinazione il Movimento sionista internazionale
non abbia mai cessato di respingere le tesi di colui che mi sembra
essere il più grande filosofo ebreo di tutti i tempi, intendo
dire: Mosè Mendelsohn (1729-1786), il quale volendo mettere
fine al giudaismo d'apartheid, predicava l'assimilazione
degli ebrei alle popolazioni dei paesi nei quali vivevano. Comportamento
che ha un'ottima spiegazione: nel tentativo di elevare il giudaismo
dal piano della religione e del mito a quello della razza e della
filosofia, le tesi di Mosè Mendelsohn significavano, se
prese in considerazione, la fine del Rabbinato, comodo paravento
all'ombra del quale è nata e non ha mai cessato di prosperare
la più ambiziosa e la più solida impresa commerciale
di tutti i tempi. Minacciata di morte o, per lo meno, di stornamento
dei suoi profitti in favore di una comunità molto più
ampia per l'assimilazione degli ebrei alle popolazioni civilizzate
europee, questa impresa commerciale non correva nessun rischio
a motivo del suo incrocio con gli ebrei yemeniti sul territorio
d'Israele -- al contrario! Ma si fremette al pensiero di quello
che avrebbe potuto essere il tipo ebreo del futuro se il giudaismo,
[120]
proliferando tra i neri e i gialli come ha proliferato in Europa,
e sedotti a loro volta dal Movimento internazionale sionistico,
questi neri e gialli fossero stati presi dalla fantasia di partecipare,
anch'essi, a questa impresa d'incrocio in una terra, in verità,
anche a loro "promessa".
Ed ecco, ora, la Germania di Hitler considerata sotto lo stesso
angolo visivo. Una comunità di uomini di innumeri tipi,
tra i quali quello germanico, caratterizzato dalla presenza, nella
stessa persona, di alta statura, dolicocefalia, carenza pigmentaria
(pallore della pelle, biondezza dei capelli), non rappresentava
che una piccolissima minoranza. "Tra il 1874 e il 1877, dice
Pierre Gaxotte (Storia della Germania, Parigi 1963, Flammarion,
vol. I, p. 21), una inchiesta fatta nelle scuole tedesche e riferentesi
a sei milioni di bambini, ha rivelato soltanto il 31% di biondi.
Secondo altre ricerche, precisa sempre l'autore, i tedeschi del
nord presentati dalla tradizione come i meglio preservati, non
contano più del 18% di dolicocefali". Non ne siano
delusi i tedeschi. Un'analoga inchiesta che si ponesse come fine
la ricerca del significato del tipo celtico, fra la popolazione
francese, raggiungerebbe risultati dello stesso ordine. Nell'Europa
occidentale, le cui popolazioni sono il prodotto del grande miscuglio
varie volte millenario di tutte le migrazioni che si sono date
appuntamento sulle sue terre, e vi si sono incrociate, uccidendosi
a vicenda, non esiste popolo omogeneo per l'antropologia; e nemmeno
popolo, il cui tipo di uomo rappresentativo di una qualsiasi di
queste migrazioni sia prevalente e al tempo stesso perfettamente
conservato. Ammettendo possibile la definizione del tipo ebraico
originario con la stessa precisione di quella valida per il tipo
germanico o celtico, procedendo ad accertamenti della stessa natura
sulla comunità ebraica mondiale, con molta probabilità
si otterrebbero, per quanto lo concerne, risultati dello stesso
ordine: gli ebrei sephardim, che certamente sono
i più prossimi a questo tipo originario, non vi rappresentano
infatti che l'infima minoranza. Ciò dimostra a quale punto
Hitler e Ben Gurion si siano entrambi sviati nel loro combattimento
contro un mito. Almeno sul piano razziale. Non vi sono dubbi:
l'umanità del XX secolo è posta di fronte a un problema
razziale: ad esempio quello dei rapporti che possono e devono
intercorrere tra la razza bianca e quella di colore, e tra le
stesse razze di colore. Ma esso si pone su un altro piano, e a
un livello intellettuale forse più in rapporto ai dati
della scienza moderna, in materia di antropologia. Per quanto
concerne in modo particolare gli ebrei, non è una razza
che oggi essi rappresentano, ma un genere di vita e delle aspirazioni;
e non è un problema razziale che essi pongono, e lo Stato
d'Israele lo prova anche troppo, ma un problema di ordine economico
e sociale nella misura in cui al riparo di una tradizione religiosa
ambiscono a erigersi in feudalità commerciale che, come
è stato detto, dominerebbe il mondo intero.
Riprendiamo la migrazione ebraica al punto in cui l'abbiamo
[121]
lasciata prima di aprire questa parentesi che si chiude da sè
sulla stessa conclusione alla quale si ritorna sempre. Premettiamo
anzitutto che l'Europa occidentale si è interessata, e
oggi anche gli Stati Uniti, agli ebrei askenazim, di gran
lunga i più numerosi. Servendosi dell'arteria danubiana,
forse la loro unica via verso l'Ovest fino al secolo XI, da Costanza,
attraverso i paesi dell'Asia (la cui vitalità commerciale
non poteva non attrarli!) e da Varsavia che costituiva una via
complementare, essi progressivamente raggiunsero la grande arteria
del Rodano, congiunzione del Mare del Nord al Mare Mediterraneo.
Certo, l'Inghilterra li interessò al tempo della Lega
Anseatica ma soprattutto dalla scoperta dell'America. Una
speciale considerazione meritano la Spagna e il Mezzogiorno della
Francia perché queste regioni furono il polo d'attrazione
dei loro correligionari rimasti nell'Impero romano, a cominciare
dalla caduta dell'Impero d'Occidente (IV secolo) per le misure
eccezionali stabilite contro di loro da Costantino che non furono
abrogate nella sua parte orientale che progressivamente, a misura
del suo smembramento, nelle regioni che se ne distaccavano, poi
definitivamente alla sua caduta e alla sua conquista da parte
dei Turchi (XV secolo): è il ramo della migrazione che
raggiunse l'Europa occidentale passando per le rive del Mediterraneo.
Quando fu scoperta l'America, esso era già sul posto --
o meglio, c'era ciò che ne restava dopo l'infuriare
dell'Inquisizione --, e la punta avanzata di questo giudaismo
si trovava situata sulla linea Madrid-Londra, proprio la stessa
sulla quale si erano spostati i nuovi centri di un commercio che
da euro-asiatico era diventato mondiale.
Sembra che si possano datare al sec. X le prime violente reazioni
contro gli ebrei nell'Europa occidentale affrancata dagli Imperatori
romani. Ed è proprio nel X secolo (24) che l'influenza
della Chiesa cristiana consacrata da Carlomagno, e ivi definitivamente
impiantata dalle Crociate come la più importante delle
forme spirituali, comincia a farsi sentire quasi ovunque. Colpiti
dalla coincidenza, la maggior parte degli storici hanno notato
queste reazioni violente e le hanno attribuite alla Cristianità,
intesa nel senso di Cristianesimo. In Spagna e nel Sud della Francia,
l'Inquisizione -- di cui si tende a dimenticare che non prendeva
di mira solamente gli ebrei, ma tutte le eresie e non può
per conseguenza essere considerata di ispirazione antisemita o
razzista -- fu tra il XII e il XIII secolo la più tragica
di tutte le reazioni dell'epoca e confermò gli storici
nella loro opinione. La Chiesa, è vero, non amava gli ebrei.
Essa rimproverava loro non la razza -- perché, piaccia
o non piaccia, bisogna riconoscere che tra le costanti storiche
della sua dottrina, anche nelle sue peggiori fasi, o imprese oscurantiste,
[122]
vi è quella di essere sempre stata universalista e di non
aver considerato gli uomini se non in funzione delle loro eresie
in rapporto ai suoi dogmi -- ma li accusa del peggiore di tutti
i crimini: la crocifissione di Cristo. Ma l'ostilità cui
furono fatti segno gli ebrei da parte delle popolazioni dell'Europa
occidentale è molto anteriore all'epoca nella quale la
Chiesa cristiana ebbe influenza su di loro, e sembra anche avere
la sua origine nel carattere delle comunità da essi create
a misura del loro progredire verso l'Ovest; comunità che
col commercio e il prestito a usura assorbirono tutte le ricchezze,
particolarmente delle regioni nelle quali esse si installarono.
Perciò, la feudalità nascente, temendo di cadere
nelle loro mani e di trovarsi espropriata -- come sembra fosse
inevitabile, dato il loro genio commerciale -- a misura del loro
apparire interdisse agli ebrei accusati di sfruttare il popolo
l'acquisto di ricchezze fondiarie. Quando ancora non si parlava
di cristianesimo, il Patriziato romano aveva avuto contro di loro
la medesima reazione difensiva. Mi sembra, quindi, legittimo pensare
che la Chiesa cristiana non ha fatto altro che aggiungere le sue
ragioni di ordine religioso a quelle di essenza economica della
feudalità o del patriziato, e non l'inverso. Se questo
modo di valutare gli avvenimenti è giustificato, quello
che ho definito una confusione da parte degli storici avrebbe
importanza soltanto nella misura secondo la quale si deve stabilire
la causa originaria delle reazioni dell'Europa medioevale contro
gli ebrei. Questa confusione si spiegherebbe benissimo: da una
parte la coscienza che l'Europa aveva di sè stessa all'epoca
nella quale furono notate le prime reazioni, era quella di essere
non l'Europa, nozione allora politicamente sconosciuta, ma la
cristianità affermatasi contro il paganesimo, sinonimo
di barbarie; dall'altra parte la Chiesa cattolica o riformata
si mise alla testa della lotta contro gli ebrei, e se ne rivendicò
l'onore, portò anche la responsabilità di questa
guerra contro gli eretici, per tutti coloro che gliela imputarono
come crimine. Ma questo è un "problema per Mandarini".
Qualunque sia l'ipotesi, la tangibile realtà per gli ebrei
è che, da questo X secolo al XVI circa, essi furono qua
o là periodicamente spogliati delle ricchezze di cui furono
reputati cattivi acquisitori, in tutta la Cristianità,
da principi, da re e da imperatori, con la benedizione o l'istigazione
della Chiesa, associata alla sparizione dei benefici dell'operazione.
Il procedimento era semplice confisca dei beni, accompagnata da
prigione o esilio. La motivazione sempre la stessa: usura o profanazione
di luogo o di oggetto di pietà, o di entrambi. Si possono
anche citare numerosi casi di borghesi -- in questo periodo, era
nata la borghesia di vocazione commerciale, nelle città,
e gli ebrei rappresentavano, per lei, una pericolosissima concorrenza
-- che accusavano gli ebrei di una profanazione qualsiasi alle
autorità ecclesiastiche, per ottenere che venissero imprigionati
o esiliati, liberandosi in tal modo dei debiti che avevano contratto
con loro.
[123]
Il periodo più duro per gli ebrei fu senza dubbio quello
compreso tra il XIII, il XIV e il XV secolo (25) durante il quale
si nota un riflusso delle loro comunità verso l'Est europeo
rimasto piuttosto liberale verso di loro, perché vi si
potessero registrare sempre delle conversioni al Giudaismo. In
effetti fu solo più tardi, quando la religione ortodossa
guadagnò queste regioni, che col nascere del concetto di
Impero di tutte le Russie, nacque parallelamente anche l'ostilità
contro gli ebrei, ma traducendosi in misure ben più terribili
che nell'Ovest; la parola pogrom appartiene al vocabolario
russo. Fu l'apparizione dell'umanesimo nel movimento intellettuale
che portò all'Ovest le prime distensioni nella condizione
degli ebrei e fu quella degli enciclopedisti a dare il colpo di
grazia all'ostilità di cui erano oggetto. La Rivoluzione
francese dichiarò gli ebrei cittadini come tutti gli altri
(1791) e il movimento si estese all'Europa, la Prussia (1812),
la Confederazione germanica (1848), l'Inghilterra (1858),
l'Italia (1870). Ma ormai l'èra dei pogroms era
cominciata in "tutte le Russie" e la migrazione aveva
ripreso nuovo slancio in direzione dell'Ovest dove nella seconda
metà del XIX secolo fece apparire, per reazione, in tutti
i dizionari la parola antisemitismo, e la cosa che lo designava
-- assai impropriamente come già abbiamo detto -- in tutte
le politiche nazionali.
I suoi primi elementi superarono l'Atlantico nella seconda metà
del XIX secolo: erano gli ebrei trascinati dalla febbre dell'oro,
provenienti principalmente da "tutte le Russie", Polonia
compresa e Germania. Essi, che avevano impiegato più di
venti secoli per raggiungere, secondo le loro statistiche, la
cifra di poco più di 10 milioni in tutto il resto del mondo,
riuscirono ad avvicinarsi ai cinque milioni negli Stati Uniti,
in circa cinquant'anni (cfr. sopra p. 11), cioè a diventare
tanto numerosi quanto lo furono, prima del 1914, in quello che
fu l'Impero degli Zar.
Nel secolo XX, la Rivoluzione russa, la politica generale della
Polonia, specialmente dal momento (1932) in cui il colonnello
Beck cominciò ad esercitarvi la sua influenza, e infine
Hitler, accelerarono ancor più la migrazione verso gli
Stati Uniti. Soltanto coloro che erano privi di mezzi si dovettero
trattenere ancora in Olanda, nel Belgio, in Inghilterra e in Francia.
Una parte tentò di raggiungere il "Focolare nazionale
ebraico" creato dalla Commissione Balfour (2 novembre 1917)
in Palestina e vi riuscì, malgrado l'ostilità dell'Inghilterra
che aveva stabilato delle quote di entrata. Ma gli Stati Uniti
restavano il centro d'attrazione per eccellenza. Nel 1928, la
politica staliniana della Russia, che non era particolarmente
benevola verso gli ebrei, ma li voleva conservare nelle sue frontiere,
chiuse a loro come a tutti i cittadini russi, le porte di
[124]
uscita verso l'Ovest e eresse il Birobidjan alle frontiere della
Manciuria, in territorio autonomo ma in seno all'URSS, mettendolo
a loro disposizione. Ben presto Stalin si rese conto che il numero
degli ebrei diminuiva, sì, in Ucraina e nella Russia Bianca,
ma non aumentava nel Birobidjan dove tuttavia essi si dirigevano,
e ne dedusse che vi si dirigevano al solo scopo di fuggire il
regime, varcando la vicinissima frontiera della Cina -- un gioco,
data la complicità dei cinesi allora ostili alla URSS --
e, di là, via Hong-Kong e Shangai, raggiungere gli Stati
Uniti dove la solidarietà dei correligionari che li avevano
preceduti e erano divenuti politicamente potentissimi, permetteva
loro l'entrata clandestina. Alla vigilia della guerra in Russia
nessuno parlava più del Territorio ebreo autonomo del Birobidjan.
E così nel resto del mondo. Per poco non se ne riparlò
durante la guerra, in circostanze che spiegheremo in seguito,
e delle quali per ora basti dire che, facendo prendere la via
della Siberia -- dell'Asia centrale dicevano le notizie di provenienza
russa --, esse contribuirono a dare solida consistenza al loro
movimento di emigrazione verso gli Stati Uniti, via Est.
IV. - IL MOVIMENTO DELLA POPOLAZIONE EBRAICA EUROPEA DAL 1933
AL 1945
Nel 1933, l'area di partenza degli emigranti ebraici, o se
si preferisce il suo bacino d'alimentazione non è più
il triangolo definito dalle foci della Vistola, del Danubio e
del Volga; vi si sono aggiunti successivamente i paesi dell'Europa
danubiana che l'instabilità politica e i disordini consecutivi
alla prima guerra mondiale hanno spinto a lasciare e per ultimo
la Germania, l'Austria e la Cecoslovacchia. Ma oltre gli Stati
Uniti, dopo il 1917 (per la Convenzione Balfour), vi è
un secondo punto d'arrivo: la Palestina. Per grande fortuna della
verità storica, malgrado la confusione creata e, in modo
più sistematico che sapiente o abile, mantenuta dal Movimento
sionista internazionale circa il periodo posteriore al 1933
di questa emigrazione, vi è, dalla sua area di partenza
ai suoi due punti d'arrivo, un certo numero di fatti oggi perfettamente
conosciuti e indiscutibilmente stabiliti nel tempo e nello spazio
che segnano la via di cui essa si è servita, distruggendo
irrimediabilmente la tesi dei sei milioni di ebrei sterminati.
E' proprio a causa della sua politica generale verso la Germania
e particolarmente per il numero ormai incalcolabile di processi
reclamati contro i tedeschi, per provare e riprovare incessantemente
la realtà di quei sei milioni di ebrei sterminati, che
il Movimento sionista internazionale stesso ci ha rivelato
questi fatti, quando li ignoravamo, o li ha confermati nei nostri
animi se ne supponevano, soltanto, l'esistenza. Un numero incalcolabile
di processi esige un numero ancor più incalcolabile di
testimoni che ne appoggino
[125]
l'accusa; di giornalisti che rendano conto dei dibattiti, e proprio
per i fenomeni fondati sul "numero", era fatale che
tra loro si trovassero degli stolti del tipo Shalom Baron (professore
all'Università di Columbia, non dimentichiamolo -- testimone
al processo Eichmann, il quale oltre tutto non aveva visto niente!)
o Hannah Arendt (giornalista inviata speciale di The New Yorker
allo stesso processo -- vedere il curriculum già
presentato) per sventare il complotto. Né meno fatale doveva
rivelarsi la presenza, alla sbarra del Tribunale della Storia,
di uno stordito in vena di originalità come Raul Hilberg,
e che questo stordito vi utilizzasse tutti i processi in modo
tale da ridurre in briciole non solo tutto quello che era stato
detto prima di lui, ma anche per rimbalzo tutto quello che lui
stessi diceva. "Chi troppo vuole provare..." dice il
proverbio.
Questi fatti che ci hanno permesso di trovare la via della verità
storica sono oggi perfettamente conosciuti e indiscutibilmente
stabiliti, ma purtroppo soltanto dagli specialisti, i quali, per
indifferenza o preoccupazione politica o per interesse, in gran
numero li tacciono o si sforzano -- male, lo si è visto
e ancora lo si vedrà per quelli concernenti il Movimento
sionista internazionale -- di tenerli sotto il moggio. Come
storico, appartengo al numero di coloro che, per rispetto alla
professione e sottomissione agli imperativi morali che le sono
propri, ritengono importantissimo portare questi fatti a conoscenza
del grande pubblico. In considerazione anche dell'evoluzione generale
della società che, ignorandoli, è avviata in vicoli
ciechi e verso le catastrofi. Perché è proprio,
in genere, a causa di politiche fondate su congetture, elaborate,
di solito se non sempre, in funzione di interessi personali dei
politicanti che le propongono, e non in virtù di verità
stabilite, che le società sono periodicamente gettate negli
imbrogli e precipitate nelle catastrofi. Donde la necessità
di ricercare e definire, a beneficio della massa degli onesti,
queste verità che daranno loro i mezzi per difendersi dalle
imprese interessate dei politicanti.
La storia si apprende seguendo il suo corso e la si verifica risalendolo.
Cosi dicono gli storici. Gli uomini politici esprimono la stessa
idea dicendo che è nel "risalire le trafile",
non nel discenderle, che si scopre la verità. Dovendo fare
la verifica di una statistica, dunque di un'addizione, serviamoci
ancora del linguaggio matematico che insegna, ad uso dei contabili,
che verificare una somma vuol dire rifarla totalizzandola dal
basso all'alto se è stata fatta totalizzando dall'alto
al basso, o inversamente. In questa addizione l'alto è
l'area di partenza della migrazione ebraica: l'Europa, dove si
è prodotto il dramma, una foresta di testimonianze esperimenti
solamente vedute parziali di avvenimenti connessi gli uni negli
altri e, peggio, falsificati da elementi costitutivi della psicologia
del testimone. E' da questa parte "alta" che gli storici
e gli statisti del Movimento síonista internaziona!e
hanno cominciato a totalizzare i loro morti, fingendo, perché
così desideravano che fosse, di non vedere che la somma
ottenuta poteva essere
[126]
moltiplicata all'infinito, come sarebbe ingrandito un paesaggio
ricostituito mettendo pezzo a pezzo tutte le fotografie parziali
che ne sono state prese e da cui, preventivamente, non si fosse,
in ognuna di esse, fatto sparire quello che figura anche in una
o in molte altre al fine di ottenere un accavallamento di vedute.
Le vedute parziali dei testimoni si accavallano come quelle degli
obiettivi degli apparecchi fotografici e un paesaggio naturale
non è più la somma delle seconde non ritoccate dai
topografi come un paesaggio storico non è la somma delle
prime, non recensite dagli storici. Fino al momento in cui questo
censimento generale non sarà stato fatto, tutto rimarrà
confuso, dunque incerto e congetturale, circa i particolari del
dramma. E non sembra si sia alla vigilia di tale censimento: la
assurda legge dei cinquant'anni o l'arbitrio dei politici. Fino
allo spirare di questa tregua, anche se gli storici sono tentati
di chiarire la circostanza di questo dramma -- la necessità
urgente della lotta contro la menzogna storica ve li costringe
quotidianamente -- essi resteranno condannati a procedere per
avvicinamenti successivi cominciando dai fatti stabiliti. Ed è
in questo contesto che s'iscrive il procedere di questi studi.
La parte "bassa" dell'addizione è rappresentata
dai due punti d'arrivo della migrazione: gli Stati Uniti e Israele
dove invece tutto è conosciuto, benché immerso in
ciò che potremo chiamare il film Notte e Nebbia della
propaganda sionista. Seguire il consiglio degli storici risalendo
il corso della storia, la "trafila", se si segue quella
dei poliziotti, oppure rifare la somma cominciando dal basso,
se si segue quella dei matematici, vuol dire rifare l'inventario
della popolazione ebrea mondiale iniziando da quella che oggi
risiede negli Stati Uniti e in Israele. Il metodo offre l'insigne
vantaggio di obbedire a tutte le regole d'oro di tutte investigazioni
scientifiche: partire dal conosciuto per andare allo sconosciuto
e dissiparne tutti i misteri a mezzo di questo conosciuto.
A chi spetta l'onore: ad Israele anzitutto.
Arthur Ruppin dice (cfr. statistica p. 106) che nel 1926 vi erano
in Palestina 250.000 ebrei. Ma le statistiche ufficiali dello
Stato d'Israele riprodotte da André Chouraqui (Lo Stato
d'Israele, op. cit., p. 62) riferiscono: solamente
150.000 nel 1927, e 174.610 nel 1931, vigilia dell'ascesa al potere
del colonnello Beck (Ministro Affari Esteri) in Polonia, e di
Hitler in Germania. Poiché questo studio intende dimostrare
che, oltre a non concordare tra loro, tutte le statistiche di
fonte ebraica pubblicate dopo la guerra non concordano nemmeno
con quella di Arthur Ruppin, resa pubblica prima della guerra
e presa come punto di riferimento, è necessario sapere
anzitutto se vogliamo fare confronti validi con la seconda, quello
che con esattezza dicono le prime, relativamente all'evoluzione
della popolazione ebraica in Israele. Per il periodo posteriore
al 1931, ecco ciò che André Chouraqui fa loro ancora
dire: 1947 = 629.000; 1952 = 1.450.000; 1957 = 1.763.000.
[127]
Circa il livello da essa raggiunto nel 1962, possediamo d'altra
parte due notizie, forse contestabili, ma in tutti i casi concordanti,
delle quali la prima è già nota al lettore:
-- Il comunicato del 31-3-'63 dell'Istituto degli Affari ebraici
di Londra pubblicato il 1· aprile da Die Welt di
Amburgo (cfr. pag. 113) nel quale è detto che questa popolazione
ammonta a 2,045 milioni (26).
-- Un discorso pronunciato il 17 luglio 1963 davanti alla
Knesseth (Parlamento israeliano) da Levi Eskhol (successore di
Ben Gurion) nel quale egli dice che, sui 2,27 milioni di abitanti
che conta lo Stato d'Israele, vi sono 2,05 milioni di ebrei.
Ammetteremo che Levi Eskhol, Presidente del Consiglio dello Stato
d'lsraele, sia molto probabilmente meglio informato dell'Istituto
degli Affari ebraici di Londra e accetteremo queste cifre.
In tutti i modi, un'approssimazione di 5.000 unità è
senza importanza.
Eccoci dunque in presenza di quattro punti significativi dell'evoluzione
della popolazione ebrea israeliana: 1931 (vigilia della ascesa
al potere del colonnello Beck in Polonia, di Hitler in Germania),
1947 e 1952, vigilia e periodo seguente alla creazione dello Stato
d'Israele) e infine 1962.
Per determinare l'importanza dell'immigrazione ebrea in Israele
da 1931 al 1962 ci manca una terza informazione: il tasso di aumento
naturale della popolazione ebraica mondiale. Ma Shalom Baron,
professore (di storia ebrea, è vero -- "di storie
ebree" sarebbe forse più indicato) all'Università
di Columbia, ce ne ha fornito uno, quando il 23 aprile del 1961
è venuto a dichiarare alla sbarra del Tribunale di Gerusalemme
che, in rapporto a quella che era nel 1945, la popolazione mondiale
ebraica è aumentata del 20%.
Una rondine non fa primavera: subito, a prima vista, mi rifiuto
categoricamente di accettare una simile stima come fondata. Un
tasso d'aumento naturale del 20% calcolato su 16 anni è
in realtà un tasso annuale medio di 1,25%, vale a dire
quello della popolazione mondiale per la quale i demografi stimano
che al suo attuale ritmo di proliferazione, essa si raddoppierebbe
ogni 80 anni. Ma questo tasso essa lo raggiunge solamente al suo
ottantesimo anno. Non sembra che si sia calcolato quale è,
al suo sedicesimo anno, o se è stato calcolato io non l'ho
saputo: di certo, esso è ben inferiore. La Francia, che
sembra proliferi secondo il ritmo mondiale, è passata da
un poco meno di 42 a un poco più di 46 milioni d'abi-
[128]
tanti in questi sedici anni, ossia ha un tasso, globale di aumento
del 10%, e annuale medio di 0,62%. Durante lo stesso periodo,
l'Italia che prolifera a un ritmo superiore al ritmo mondiale
non è passata tuttavia che da un poco più di 43
a un poco meno di 50 milioni, ossia ha un tasso globale del 14%,
e annuale medio dell'0,89%. Gli Stati Uniti sembrano essere passati
parallelamente da 168 a 186 milioni, ossia con un tasso globale
del 12% circa, e annuale medio del 0,75%, ma qui bisogna fare
i calcoli considerando una immigrazione che le misure legislative
dal 1901 al 1924 non sono riuscite a arginare. A che punto è
la popolazione ebrea? Ecco, anzitutto, riportato alla scala degli
ottanta anni di riferimento dei demografi e del secolo, il risultato
della stima del pro fessor Shalom Baron, vale a dire ciò
che non è certamente vero:
-- al 16· anno:
10 milioni + 20% = 12 milioni(+ 1,25% per anno);
-- al 32· anno:
12 milioni + 20% = 14,4 milioni (+ 1,37% per anno);
-- al 48· anno:
14,4 milioni + 20% = 17,28 milioni (+ 1,51% per anno);
-- al 64· anno:
17,18 milioni + 20% = 20,76 milioni (+ 1,68% = più che
raddoppiata!)
-- all'80· anno:
20,76 milioni + 20% = 24,83 milioni (+ 1,86% per anno);
-- al 96· anno:
24,83 milioni + 20% = 29,86 milioni (+ 2,06% per anno)
Ciò significa: più che raddoppiata dal 64·
anno, la popolazione ebraica mondiale sarebbe quasi triplicata
al novantaseiesimo: quanto dire che gli ebrei sono, se non più,
almeno altrettanto prolifici che i cinesi, mentre le loro
altre affermazioni sull'argomento non lo dimostrano evidente.
Mancando totalmente di informazioni verificate per quanto li concerne,
mi sono accertato del tasso annuale medio di aumento naturale
che conviene applicare loro, e sono giunto alle conclusioni seguenti:
-- La popolazione ebrea mondiale è sempre in stato di migrazione.
-- Le popolazioni in stato di migrazione aumentano proporzionalmente
meno delle popolazioni sedentarie.
-- Una popolazione sedentaria che si raddoppia ogni ottant'anni
raggiunge un tasso annuale medio dell'l% a cominciare dal 64·
anno.
-- Limitati a un'estremità dall'anno 1931, e dall'altra
dall'anno 1962, i periodi considerati nei calcoli che seguono,
non soltanto non potranno superare 31 anni ma saranno persino
di 16, di 10 o solamente di 6 e di 4 anni, significando che il
tasso annuale medio dell'l%, se lo si accetterà nei calcoli,
sarà per gli ebrei in stato
[129]
di migrazione superiore a quello degli italiani sedentari, vale
a dire normale.
Rispettiamo il fair play: accettiamolo comunque -- in virtù
del principio che afferma essere il dubbio a profitto all'accusato.
Metodo di calcolo: essendo l'aumento naturale di una popolazione
la differenza tra il numero di quelli che nascono e quello di
coloro che muoiono, se si riesce, iniziando dai quattro punti
significativi dell'immigrazione ebraica in Israele, a determinare
l'accrescimento naturale di ciascuna di queste quattro grandi
ondate, dovrebbe bastare sottrarla dalla popolazione ebraica dello
Stato d'lsraele nel 1962 e aggiungere il numero degli immigrati
effettivi del periodo 1931-1962. In questo caso particolare, sarà
necessario anche tener conto di quelli che, delusi dall'esperienza
e avendo emigrato in Israele, ne sono ripartiti, aggiungendoli
dunque al risultato ottenuto.
1. Aumento naturale:
-- dal 1931 al 1962, i 174.610 ebrei recensiti in Palestina
nel 1931 si sono accresciuti del 31% = 54.129 . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . 54.129
-- dal 1947 al 1962, i 629.000 recensiti nel 1947 si sono accresciuti
del 15% = 94.350 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . 94.350
-- dal 1952 al 1962, i 1.450.000 recensiti nel 1952 si sono accresciuti
del 10% = 145.000 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . ..145.000
Ai quali bisogna aggiungere l'aumento naturale:
-- di quelli che dei 629.000 ebrei recensiti nel 1947 sono arrivati
in Israele tra il 1931 e il 1947;
-- di quelli che di 1.450.000 recensiti nel 1952 vi sono arrivati
dal 1947 al 1952.
-- infine di quelli che dei 2.050.000 recensiti nel 1952 vi sono
arrivati tra il 1952 e il 1962.
Ecco il risultato di questa seconda serie di calcoli ordinata
secondo le regole che mi sono state insegnate alla scuola elementare:
a) dal 1931 al 1947, i 174.610 ebrei recensiti nel 1931
sono aumentati del 16% e sono diventati:
174.610 x 116
-------------- = 205.547.
100
Ne segue che, compreso il loro accrescimento naturale i nuovi
arrivati di questo periodo rappresentano: 629.000 - 205.547 =
426.453 e il loro aumento naturale:
426.453 x 16
------------ = 58.821 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . .58.821
116
[130]
b) dal 1947 al 1952, i 629.000 ebrei recensiti nel 1947
sono aumentati del 5% e sono diventati:
629.000 x 105
-------------- = 660.450.
100
Ne segue che, compreso il loro naturale aumento, i nuovi arrivati
in questo periodo rappresentano: 1.450.000 - 660.450 = 789.550
e il loro naturale aumento:
789.550 x 5
------------ = 37.598 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . 37.598
105
c) dal 1952 al 1962, i 1.450.000 ebrei recensiti nel 1952
sono aumentati del 10% e sono diventati:
1.450.000 x 110
---------------- = 1.595.000.
100
Ne segue che, compreso il loro aumento naturale, i nuovi arrivati
in questo periodo rappresentano: 2.050.000 - 1.595.000 = 455.000
e il loro aumento naturale:
455.000 x 10
------------- = 41.364 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . 4l.364
110
..............................................................................______
Aumento naturale totale (27): ..............................................................................431.262
2. Immigrati effettivi durante questo periodo (non compresa
la mortalità sul luogo). Per ottenerne il numero, non bisogna
limitarsi a dedurre questa cifra dalla popolazione ebraica dello
Stato d'Israele nel 1962, ma anche le 174.610 persone censite
nel 1931 che vi sono comprese, il che dà 2.050.000 - (431.262
+ 174.610) =
1.444.128 (20) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . 1.444.128
3. La mortalità locale tra gli immigranti. Le fonti
ebraiche non si dilungano sul tasso della mortalità. Nemmeno
su quello della natalità. Per quanto è a mia conoscenza.
Almeno nei riguardi del secondo, si trovano di tanto in tanto
informazioni di questo genere: "La media dei bambini per
famiglia è del 3,8" (André Chouraqui, Lo
Stato d'Israele, p. 77), che non significano nulla. Per quanto
si riferisce al primo, a intervalli, un giornalista lancia una
cifra: 13-l4_; alcuni scendono al 10_. Gli specialisti del genere
di Shalom Baron sono affascinati dal tasso di aumento naturale
solamente e lo stabiliscono a livello della popolazione ebrea
mondiale, non in funzione delle nascite e di quello dei decessi
ma in funzione della rappresentazione che essi desiderano darne
al mondo, alle due date del 1946 e del 1962, dopo averne preliminarmente
dedotti i sei milioni di sterminati; un tasso dunque sottoposto
a imperativi politici: aberrante, come si è visto. La popolazione
ebrea è una
[131]
popolazione giovane: sono i giovani che partono per emigrare,
i vecchi restano -- a Buchenwald, dove vi erano internati degli
ebrei, non ricordo di averne incontrati di età inferiore
ai 50 anni. Il tasso di mortalità, presso i popoli dell'Europa
occidentale, si situa intorno al 17_. E' perciò verosimile
che sia del 13 o del 14_ in Israele. Ma negli anni 1946, '47,
'48, vi sono stati gli eventi della guerra che hanno contribuito
ad elevarlo, per la totalità del periodo. Dunque diciamo:
14_. Quand'anche commettessi errore, non potrebbe essere che di
qualche centinaio o al massimo di qualche migliaio e sono disposto
all'eventuale correzione. Allora l'immigrazione tra il 1931 e
il 1962, mortalità compresa, diviene:
1.444.128 x 1.000
------------------ = 1.464.632 (28) . . . . . . . . . . . . .
. . .1.464.632
986
4. Emigrazione. Vi sono poi coloro che l'esperimento ha
deluso. Ma vi sono, anche, quelli che dapprima hanno considerato
la Palestina, poi Israele, come tappa imposta dalle circostanze
per poter andare altrove. Per esempio fino al 1939, un certo numero
di ebrei polacchi, russi o tedeschi, ecc... non disposero di mezzi
finanziari per trasferirsi più lontano: alcuni di loro
non hanno potuto nemmeno superare l'Africa del Nord sia per la
ragione anzidetta, sia perché l'Inghilterra ne avrebbe
limitato l'immigrazione. La Palestina, dal 1939 al 1945, era diventata
per coloro che continuavano a fuggire clandestinamente a Istambul
come a Costanza il solo rifugio accessibile. Per coloro che erano
stati respinti dalle armate tedesche aldilà degli Urali
e del Volga, e sono in numero considerevole coloro che non sono
ancora riusciti a lasciare il territorio sovietico, Israele resta
il più accessibile se essi gli sono più prossimi
che alla Cina, dove coloro che le sono vicini passano per raggiungere
gli Stati Uniti via Hong-Kong e Shangai. Insomma, André
Chouraqui informa che "su cento emigranti, 95 sono riusciti
a vincere le difficoltà dell'adattamento al paese e a formarvi
una discendenza, mentre 5 rinunciavano all'esperimento" (op.
cit. p. 75). Non è molto, ma non discutiamo (29).
[132]
Dunque, immigrazione totale:
1.464.632 x 100
--------------- = 1.541.718 . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . .1.541.718
95
dal 1931 al 1962.
Ed eccoci all'ultima operazione per poter chiudere con Israele:
stabilire quale parte di questi emigranti sono venuti dall'Europa.
L'elemento valido per la stima ci è offerto, in questo
caso, da André Chouraqui: "L'Asia (op. cit.
p. 65) ha procurato a Israele, dopo il 1948, 258.181 immigrati,
rappresentanti il 28% dell'immigrazione totale. Queste 258.181
persone provenivano dalla Turchia (34.797), dall'Irak (122.987),
dall'Iran (31.274), dallo Yemen (45.797); la Siria, il Libano,
Aden, la stessa India e la Cina fornirono un contingente complessivo
di 14.092 anime. L'Africa è al terzo posto (24,8%) dopo
l'Europa (43,4%) e l'Asia (28,85%); essa diede a Israele un contingente
di 222.806 immigranti rappresentanti il 24,8% dell'immigrazione
recente. L'Africa del Nord alla testa del continente africano
fornisce oltre 150.000 immigranti, originari principalmente del
Marocco e della Tunisia".
Nota importante: questo è stato scritto nel 1958, pubblicato
nel 1959 e le informazioni date risalgono al 31 dicembre del 1957.
Prima conclusione: Lo stile confusionario nel quale è
redatta questa informazione insinua il dubbio sulla autenticità
della percentuale degli immigranti di origine africana, presentati
in una prima frase come una proporzione dell'"immigrazione
totale" e nella seguente come una proporzione dell'"immigrazione
recente". Ne consegue logicamente che si può
pensare che altre percentuali non siano né più autentiche
né più significative.
Seconda conclusione: I 3% che non sono calcolati in questa
enumerazione (100% - 24,8% - 43,4% - 28,08% = 3%) e di cui, in
virtù di quanto precede, ignoriamo se sono una proporzione
dell'immigrazione totale o dell'immigrazione recente,
concernono il continente americano o australiano. Tuttavia è
indice sufficiente per significare che pochi ebrei sono venuti
da questi due continenti.
Terza conclusione: Ad eccezione di quelli dello Yemen --
la ben nota odissea dei quali potrebbe suggerire un tema non privo
d'interesse per un romanzo d'humor nero (30), tutti gli altri
immigranti di cui André Chouraqui fa menzione, possono
essere,
[133]
sia ebrei che hanno lasciato l'Europa dopo il 1931, sia i loro
discendenti in primo o secondo grado, nati in Africa o in Asia.
Prego notare che dico "possono essere" e non "sono".
La Palestina, ad esempio, è Asia, e tutti quelli che sono
giunti in Israele, della sua porzione non israeliana, dopo il
1948, possono figurare come "forniti" dall'Asia nell'informazione
data da André Chouraqui. Passi per quelli che vi sono nati,
ma i loro parenti? La Turchia, l'Irak, l'Iran, la Siria, il Libano,
sono pure Asia, e sono precisamente questi paesi che prima e dopo
la guerra erano praticamente i più accessibili agli ebrei
europei. Sovente i soli. Ve ne sono che hanno raggiunto l'Africa
passando per la Francia, specialmente fino al 1939 e si può
fare per loro lo stesso ragionamento. Consideriamo la situazione
dell'ebreo polacco che ha lasciato il suo paese nel 1932 o nel
1933: non potendo arrivare in Israele prima del 1948, poiché
lo Stato d'lsraele non esiste, non vi è giunto che in molti
casi dopo il 1948, spesso molto tempo dopo coi bambini che gli
sono nati nel frattempo, vale a dire dopo aver passato quindici,
sedici anni o più in Palestina, nell'lrak, in Siria, in
Algeria, nel Marocco, in Tunisia, ecc... e se gli viene chiesto
da dove viene, nulla di sorprendente se egli indica il paese dove
ha vissuto per ultimo; poiché, cosmopolita per atavismo
-- uno dei tratti caratteristici dell'anima ebrea -- da gran tempo
egli non è più polacco, se mai si ricorda di esserlo
stato. Per lui la Polonia dove è nato, non è mai
stata una patria ma "un paese d'accoglienza", espressione
usata da tutti gli ebrei del mondo per designare il paese dove
vivono, anche se vi sono nati, quando ne parlano tra loro. Nel
suo spirito la Polonia è divenuta il paese che l'ha male
accolto e il suo autentico "paese d'accoglienza" è
quello dove ha potuto rifugiarsi quando è stato obbligato
a lasciarla.
Lo stesso è avvenuto di tutti quelli che, negli anni 1939-1945,
sono riusciti a lasciare clandestinamente, non solamente la Polonia
ma anche la Cecoslovacchia, l'Ungheria, la Bulgaria, la Romania,
e anche la Russia se non sono stati spinti al di là degli
Urali o del mare Caspio, e che sono arrivati in Israele in questi
ultimissimi anni, o che vi arrivano ora. André Chouraqui
studia unicamente l'immigrazione in Israele. Questo uomo s'interessa
solo a ciò, ed è il suo diritto. D'altronde è
il soggetto che studia e non gli si può far rimprovero
di limitarsi al suo soggetto. Certo è assai comodo. Può
cosi diminuire a suo piacere il numero degli ebrei europei che
sono immigrati in Israele, facendoli arrivare dalla loro ultima
residenza, anteriore al 1948 -- dall'ultimo "paese
d'accoglienza" -- che era in Africa o in Asia. E aumentare
nella stessa proporzione il numero degli sterminati. In che misura
è stato utilizzato questo sotterfugio? L'elemento capitale
della risposta a questa domanda ci è dato dal paragrafo
che segue.
Quarta ed ultima conclusione: Il libro di André
Chouraqui porta la data del 1959 e la situazione da lui presentata
è quella del 1957,
[134]
come ho già detto. Dunque, dice, nel 1957, "l'Asia
aveva fornito, dopo il 1958, 258.181 immigranti rappresentanti
il 28,8% della totale immigrazione (riferirsi alla citazione a
p. 132) in data del 31 dicembre 1957. Donde l'immigrazione totale:
258.181 x 100
------------- = 896.642
28,8
Ma, ancora, la popolazione ebraica israeliana è passata
da 1.763.000 al 31 dicembre 1957 (André Chouraqui, op.
cit. p. 74 e statistica ufficiale per quell'anno, dicono)
a 2.050.000 al 31 dicembre 1962 e questo significa un aumento
di: 2.050.000 - 1.793.000, cioè di 257.000 che, considerata
la deduzione fatta dell'aumento naturale, rappresentano 159.381
immigranti (31) nuovi, durante questo periodo di 5 anni. Dato
che totalmente ve ne sono stati 1.552.437 (cf. p. 132) al 31 dicembre
1957, ve ne erano già: 1.552.437 - 159.381 = 1.393.056
e non 896.642. E, calcolato sulle sue stesse cifre, l'errore di
André Chouraqui (intendo il coefficiente di minimizzazione)
è di 1,55.
Altro esempio: quello degli ebrei marocchini e tunisini che, ci
dice André Chouraqui, hanno raggiunto Israele in numero
di 150.000. Vediamo un po'. Nel Marocco, essi erano 120.000 nel
1926, ci ha detto Mr. Arthur Ruppin e, in Tunisia, 60.000. In
totale per i due paesi: 180.000. Nel 1948,essi avrebbero dovuto
essere: 180.000 + 22% = 219.600. Se 150.000 tra loro hanno raggiunto
Israele, ne restano in questa data 219.000 - 150.000 = 69.600.
I quali, nel 1962 sono diventati: 69.600 + 14% = 79.344. Ora,
lo studio di The Jewish Communities of the World (op.
cit. pag. 113 nota 10) ci informa che nel 1962 restavano:
125 000 in Marocco, più 35.000 in Tunisia = 160.000. The
Jewish Post Weekly (del 19-4-'63, op. cit.) lo conferma.
Da ciò si conclude che 160.000 - 79.344 = 80.656 ebrei
spacciati come marocchini e tunisini dal signor André Chouraqui
non lo erano affatto: quelli sono coloro che non son potuti andare
più lontano a causa di circostanze personali o d'altro
genere.
Non erano dunque realmente marocchini e tunisini che: 150.000
- 80.656 = 69.344.
Qui è di un coefficiente di esagerazione che si tratta
(è la stessa cosa, questa manipolazione di cifre nei due
sensi non avente altro scopo che l'aumento del numero degli sterminati
in Europa, diminuendo con tutti i mezzi il numero di coloro che
sono riusciti a lasciarla) il quale supera più di due volte
il normale da 1 a 2, 16 esattamente.
[135]
Terzo esempio: gli ebrei tedeschi. "Gli ebrei tedeschi, ci
ha detto il signor André Chouraqui (op. cit. pag.
66) sono stati quasi totalmente sterminati dai nazisti".
Come è noto, tutti gli storici e gli statisti ebrei sono
d'accordo e lo stesso André Chouraqui, che dei 500.000
dati da Ruppin come abitanti in Germania nel 1926 o i 540.000
dati dalle statistiche ebree del dopo-guerra come ivi viventi
nel 1933, circa 300.000 hanno lasciato il paese dal 1933 al '39;
40.000 secondo Poliakov e il Centro mondiale di documentazione
ebraica contemporanea; 80.000 secondo Raul Hilberg (cfr. sopra
p. 109 bis le due statistiche affiancate) erano ancora vivi nel
1945. Quindi il totale degli sfuggiti: 300.000 + 40.000 = 340.000,
oppure 300.000 + 80.000 = 380.000. Su 500.000 o 540.000 "quasi
totalmente sterminati", traduce il galantuomo. Questo dimostra
come lo stile confusionario che permette di seminare la confusione
(cf. più sopra le conclusioni 1 e 2), permette anche di
coltivare l'effetto sensazionale. Purtroppo non dispensa dalla
leggerezza: la cifra dell'immigrazione totale alla data del 31
dicembre 1957, è di 896.462 secondo i suoi dati, alla p.
65; e di 896.085 secondo la p. 66 e finalmente quando la produce
secondo la statistica stessa, diviene 905.655. Lo stesso accade
per la popolazione totale dello Stato d'lsraele dove, sempre al
31 dicembre 1957, è di 1.954.954 (p. 64) e diviene: 1.763.000
ebrei + 313.000 cristiani e musulmani = 1.976.000 (p. 74). Se
si trattasse di ordini di grandezza, si potrebbe capire e indulgere,
ma, in tutti i casi, queste sono valutazioni date prossime all'unità.
Allora si tratta di una prova. Hannah Arendt e Raul Hilberg non
hanno fatto molto meglio, devo ammetterlo.
Non si finirebbe di citare gli esempi. Intendo solo dire che se
questi coefficienti d'esagerazione sono dello stesso ordine --
e perché non potrebbero esserlo poiché non si tratta
di errori ma di calcolo deliberato? -- per quanto concerne le
percentuali degli ebrei europei, africani o asiatici, che, secondo
lui, sono immigrati in Israele, basterà applicare loro
il coefficiente medio di esagerazione per ristabilirli approssimativamente
nei loro reali rapporti reciproci. Coefficiente medio:
1,55 + 2,16
----------- = 1,85
2
Quindi per gli ebrei d'Africa e d'Asia:
24,8% + 28,8%
--------------- = 29%
1,85
E, per gli ebrei europei: 43,4% + (53,6% - 29%) = 68%. Mancano
sempre i 3% non contabilizzati (cfr. qui sopra, la prima conclusione
sull'informazione di André Chouraqui).
[136]
Tradotto in cifre, il numero degli immigranti di origine europea
diviene:
- calcolato sull'immigrazione totale (mortalità e emigrazione
comprese):
1.541.718 x 68
-------------- = 1.048.368
100
- calcolato su quella che è sopravvissuta e si è
fissata:
1.444.128 x 68
--------------- = 982.007
100
Questo è il linguaggio dell'aritmetica -- almeno di quella
che mi è stata insegnata. Inoltre è più che
verosimile, infatti: queste cifre concordano quasi perfettamente
con quelle che, su notizie fornitegli dal suo esperto, Hanson
W. Baldwin, il New York Times pubblicava il 22 febbraio
1948 e che, allo scopo di evitare qualsiasi malinteso, mi permetto
di citare nel testo originale: "There are 650,000 to 700,000
Jews in Palestina. Another 500,000 inhabit other countries in
the Middle East... In these countries the Jews are tied by bonds
of religion to the rest of the fifteen to eighteen million Jews
of the world". Fra questi 1.150.000 - 1.200.000 ebrei segnalati
come stabilmente viventi in Palestina e in altri paesi del Medio
Oriente nel 1947, deduzione fatta di quelli che, come da fonte
ebraica, vi vivevano nel 1931, vi erano più o meno 750.000
immigranti, a seconda che si basa la propria opinione sulle statistiche
ebree di prima o dopo la guerra. E questi immigranti venivano
quasi tutti dall'Europa, per la semplice ragione che, salva qualche
eccezione, da altri paesi non avevano motivi per sentire in massa
la necessità di trasferirvisi e non lo tentarono. Costoro
sono stati i primi a radunarsi a Israele perché, praticamente,
erano sul luogo; in seguito sono stati seguiti da altri 200.000
o 250.000 ebrei europei, e così per l'immigrazione di questa
origine, ricadiamo nelle cifre dell'ordine di quelle risultanti
dai miei calcoli.
Se all'appoggio della mia tesi invoco Hanson W. Baldwin, non è
unicamente a motivo della verosimiglianza delle sue stime, ma
per una ragione più solida: in riferimento alla popolazione
ebraica palestinese, esse sono state confermate dalla statistica
ufficiale di fonte israeliana pubblicata all'inizio del 1949 per
l'anno 1947, la quale dava la cifra di 629.000. E sempre per la
Palestina, sono state anche confermate da Ben Gurion stesso che
nel maggio 1948 vi stimava la popolazione ebrea a 650.000 (Il
popolo e lo Stato d'Israele, Parigi 1959, p. 102). Non presentano
dunque nulla di congetturale; almeno su questo punto si tratta
d'una stima verificata. Che serve a verificare le mie.
Ma dirò di più: se Hanson W. Baldwin era altrettanto
bene informato circa il livello della popolazione ebrea palestinese
nel 1947, non vi sono ragioni per non pensare che egli debba esserlo
stato meno bene circa il livello della popolazione ebrea mondiale
[137]
e che non sia altrettanto prossimo alla verità ponendola
tra i 15 e i 18 milioni, alla stessa data. Se quando dice
il New York Times che le sue informazioni erano di provenienza
degli ebrei stessi (esattamente: "from the secret census
made by them in every country in the world"), tutto è
chiarissimo: con un mezzo o con un altro Hanson W. Baldwin è
venuto a conoscenza di questo "secret census". Ma comunque:
se questo "secret census" è stato veramente fatto,
se il Movimento sionista internazionale è così
perfettamente preciso sulle perdite reali, si tratta allora d'una
questione di estorsione di fondi (Indennizzi a Israele da parte
della Germania) montata con premeditazione -- e molto meglio dell'attacco
al treno Glasgow-Londra dei gangsters, che ancora fa le spese
delle cronache, mentre scrivo. E prego di rilevare la sfumatura,
perché non credo affatto a questo "secret census".
Ma torniamo ai nostri ebrei europei che sono immigrati in Israele
dal 1931 al 1962: 1.048.368; mortalità e reemigrazione
d'Israele comprese, avevamo detto. Le fonti ebraiche ne confessano
388.901 in data 31 dicembre 1957, e nel 1963 è a questa
cifra che la stampa mondiale continua a fare pubblicità.
Ecco dunque già: 1.048.368 - 388.901 = 659.467 ebrei europei
che non sono stati sterminati dai nazisti ma che figurano tuttavia
nella colonna degli sterminati nelle statistiche di fonte ebrea.
O, se si preferisce, 1.055.657, da dedurre dai 9.243.000 dati
da Arthur Ruppin (cf. la sua statistica a p. 119) per viventi
nello spazio europeo controllato dai nazisti a dimensioni e perdurante
diverse e variabili, tra il 1933 e il 1945; o dei 9.600.000 dati
a Norimberga dal giudice Jackson.
Le stime risultanti dai miei calcoli sono date con l'approssimazione
all'unità, ma ciò dipende dal fatto che, quando
si calcola, non si può sfuggire a questa servitù,
non avendo ancora, per quanto ne sò, i matematici inventato
un altro metodo di calcolo. Credo che il lettore abbia compreso
trattarsi solamente di ordini di grandezza ad arrotondare. Tutti
gli elementi che sono entrati in questi calcoli sono stati tenuti
al livello più basso possibile, perché non mi si
possa accusare di offendere più del lecito le tesi del
Movimento sionista internazionale, del Centro mondiale
di documentazione ebraica contemporanea e tutti quanti (in
italiano nel testo), la mia opinione è che in ordini di
grandezza, queste stime significano 1.100.000 ebrei da dedurre
dalla statistica anteriore all'ascesa al potere di Hitler in Germania,
e 700.000 da dedurre dai sei milioni annunciati, a seconda della
preferenza per uno di questi metodi. Se si potessero scoprire
nuove informazioni, che ne imponessero la revisione, non dubito
che ciò sarebbe sicuramente in rialzo e non in ribasso.
E, proprio perché volendo conservare il livello più
basso e con tale rigore di sistema, più di una volta mi
è accaduto di tenermi a un livello troppo basso anche per
i superstiti.
A profitto degli amatori di vedute panoramiche ecco -- in ordine
di grandezza, benché presentata approssimativa all'unità,
una tavola riassuntiva dello studio che precede e che dà,
al tempo
[138]
stesso, la struttura della popolazione ebrea israeliana nel 1962,
quella dell'immigrazione dal 1931 al 1962 (v. pag. seg.). E, ora
passiamo agli Stati Uniti.
Lo studio della popolazione ebrea israeliana ci ha permesso di
ritrovare solo gli ebrei europei che erano riusciti a raggiungere
la Palestina, poi lo Stato d'lsraele, sottinteso, e che vi erano
arrivati, sia dall'ovest, sia per la via del Danubio, Costanza
o Costantinopoli o entrambi. Ma vi è un altro aspetto della
migrazione degli ebrei europei tra il 1933 e il 1945: il suo movimento
verso l'est.
Questo altro aspetto ci è stato rivelato da almeno altre
due fonti ebraiche: il dr. Reszo Kasztner (Bericht des Komittees
zur Rettung der ungarischen Juden = Relazione del Comitato
per la Salvezza degli ebrei ungheresi, op. cit.) e Alex
Weisberg in collaborazione con Joël Brand (Un mostruoso
baratto: un milione di ebrei per dieci mila camions -- op. cit.).
E viene confermato da Raul Hilberg stesso -- da Hannah Arendt,
beninteso, ma quest'ultima mi scuserà: a rischio di parere
poco cavalleresco, mi permetterò di dire che la sua garanzia
ha assai meno valore e meno significato.
Il primo, Kasztner, dice: "Fino al 19 marzo 1944 il nostro
compito servi principalmente a salvare e proteggere i polacchi,
slovacchi, iugoslavi fuggiaschi. Con l'occupazione tedesca dell'Ungheria
i nostri sforzi si estesero alla difesa degli ebrei ungheresi...
L'occupazione portò la condanna a morte di quasi 800.000
persone del giudaismo ungherese" (op. cit. p. 1 -
Introduzione).
STRUTTURA DELLA POPOLAZIONE EBRAICA ISRAELIANA
Immigrazione ebrea tra il 1931 e il 1962 Popolazione ebrea
dal 1931 al '62
__________________________________________
Natura .......Europea ...Non Eur. .........Totali .......nel
1931 ...Aumento .......nel 1962
Globale.... 1.048.368......... 493.350 ..1.541.718
Fissata ........982.007 .........462.121 ...1.448.128 ...+ 174.610
..+ 431.262 (5) = 2.050.000
Mortalità ......13.943 ..........6.561............ 20.504
(1)
Emigrazione.. 52.418 .........24.668.......... 77.086 (2)
Verifica (3) .1.048.368 ......493.350 ....1.541.718 Discorso di
Levy Eskhol (4) =2.050.000
__________________________________________
(1) Mortalità calcolata p. 148 paragrafo 3 o ripartita
nella proporzione di 2/3 - 1/3 che è quella degli europei
e non europei nella immigrazione.
(2) Emigrazione calcolata p. 148 paragrafo 4 e ripartita nella
stessa proporzione per le medesime ragioni.
(3) Per addizione in ogni colonna delle cifre che figurano alle
linee 2,3 e 4, il totale dovendo riprodurre le cifre della linea
1.
(4) Cf. p. 143.
(5) Prevengo il lettore non familiarizzato con gli studi demografici
che qualora fosse tentato di pensare che l'aumento naturale deve
corrispondere
[139]
al numero degli ebrei che attualmente vivono in Israele e che
hanno meno di 31 anni, commetterebbe un grave errore: coloro che
hanno, per esempio, lasciato la Germania nel 1938, in braccio
ai loro genitori nel 1962 hanno solo 24 anni e figurano tra i
1.444.128 immigranti. Del pari tutti i bambini europei che sono
nati in Africa del Nord o altrove. Tra loro ve ne sono di arrivati
in braccio ai genitori nel 1957 o nel '58, non avevano quindi
che 4 o 5 anni nel 1962 e non potevano comunque figurare nella
colonna dello aumento naturale in luogo. Sono emigranti allo stesso
titolo dei loro genitori.
In effetti, l'Ungheria, dove gli ebrei non erano perseguitati
dal governo dell'ammiraglio Horty (un ebreo, il banchiere Stern
vi prendeva parte come Consigliere aulico e numerosi altri vi
erano deputati), fu un luogo d'asilo per gli ebrei polacchi, cecoslovacchi
e iugoslavi.
Questo testo stabilisce la concretezza dei fatti e, al tempo stesso,
ne dà il senso dell'importanza: 800.000 - 320.000 (Arthur
Ruppin dixit) = 480.000 ebrei polacchi, cecoslovacchi e iugoslavi
in Ungheria il 19 marzo 1944.
In quale modo il Comitato per la salvezza degli ebrei di Budapest
procurava di salvarli, anche il dr. Reszo Kasztner ci lo dice,
ma la coppia Alex Weisberg-Joël Brand è più
precisa: con l'emigrazione via Costanza, munendoli di passaporti
veri o falsi. Arrivati a Costanza, essi erano salvi: la Romania
aveva perseguitato gli ebrei solo durante un brevissimo periodo:
tra il 1939 e il 1945. Per evitare qualsiasi discussione citiamo
i nostri due autori associati:
"Nella loro fretta di sbarazzarsi degli ebrei, poco importava ai tedeschi che essi sparissero all'estero o nei forni crematori... I passaporti stranieri costituivano la più sicura protezione... In poche settimane (dopo il 19 marzo 1944) vi furono più ebrei (in Ungheria) dipendenti giuridicamente dalla Repubblica di San Salvador che da tutti gli altri paesi riuniti... In seguito ad un intervento del Papa e del Presidente Roosevelt, i governi svedese e svizzero rilasciarano migliaia di passaporti e noi ve ne aggiungemmo da trenta a quaranta mila. Coloro che erano in possesso di questo viatico erano immunizzati contro la deportazione" (op. cit. p. 55-56).
Perché un movimento potesse impunemente
mettere in circolazione "da trenta a quarantamila" passaporti
falsi svedesi e svizzeri, in un paese sorvegliato dalla doppia
polizia tedesca e ungherese come lo era l'Ungheria, bisognava
che la Svezia e la Svizzera ne avessero rilasciati se non di più,
almeno altrettanti. E dato che ne circolavano "più
della Repubblica di San Salvador che di tutti gli altri paesi
riuniti", non si è in grande errore nel calcolare
a circa 200.000 gli "immunizzati contro la deportazione".
Ma, questi "immunizzati" non erano assolutamente tranquillizzati
sulla loro sorte, nonostante i loro passaporti veri o falsi: la
maggior parte di loro cercava di procurarseli unicamente per fuggire
più facilmente dall'Ungheria. Vi furono ebrei che la lasciarono
senza passaporto. Quasi con la complicità di Eichmann,
poiché, dicono i nostri autori, questi "che aveva
praticato, prima
[140]
della guerra, l'emigrazione in massa degli ebrei ... interrotta
dalla entrata in guerra della Germania contro la Russia ... aveva
ripreso questa idea, appena giunto a Budapest" (op. cit.
p. 93). Più avanti, dicono -- in sostanza -- che col passaporto
o senza, essi raggiungevano Costanza e, da lì tentavano
di trovare una nave che li trasportasse a Haifa, ciò che
non risultava sempre facile, precisano i nostri autori. Se non
riuscivano a trovarne, tentavano allora di raggiungere almeno
Costantinopoli. Non era poi sempre facile sbarcare a Haifa. Quelli
che vi riuscivano non potevano restare tutti in Palestina a causa
della limitazione all'immigrazione imposta dall'Inghilterra, e,
allora, per non essere arrestati, molti di loro furono obbligati
a sparpagliarsi negli altri paesi del Medio-Oriente, da dove tentarono
di raggiungere Hong-Kong, e da là, gli Stati Uniti o altri
paesi del continente americano (Argentina, Brasile, Canadà...
). Lo stesso procedimento avveniva per coloro che avevano raggiunto
Costantinopoli.
Ma, Raul Hilberg, con le informazioni che involontariamente ci
dà tanto bene e che interpreta tanto male, proprio perché
non si accorge di fornircele, ci permette di ricostruire interamente
e in tutta la sua ampiezza il movimento della popolazione ebraica
europea in direzione del continente africano via Hong-Kong. Forse
sarebbe più esatto dire che con queste sue notizie, egli
ci apporta la conferma della loro autenticità, poiché
noi ne eravamo già in possesso e le avevamo persino già
utilizzate e rese pubbliche in gran parte. Voglio parlare, ora,
degli ebrei polacchi e russi, che, tra il 1939 e il 1945, non
si sono mai trovati, durante le operazioni di guerra, dal lato
tedesco della linea del fuoco. Il numero di costoro era considerevole
e lo studio degli orrori dalla seconda guerra mondiale, alla quale
mi dedico da oltre quindici anni, mi ha convinto che era dagli
Stati Uniti che se ne poteva avere una rappresentazione più
chiara e più esatta -- preciso: del continente americano
studiato cominciando dagli Stati Uniti. Le deviazioni complementari
che saremo indotti a fare in Europa, nel corso dello studio, ci
diranno il numero di quelli che riuscirono a raggiungerla via
Ovest.
Per quanto concerne gli Stati Uniti punto di partenza del nostro
periplo, ecco una menzogna evidente che salta immediatamente agli
occhi: non è vero che, come pretende l'Istituto degli
Affari ebraici di Londra (cf. p. 102), 5,5 milioni di ebrei
vi vivevano nel 1962. Arthur Ruppin dichiara che nel 1926 erano
4.500.000 e i servizi ufficiali di censimenti degli Stati Uniti
4.461.184: valutazioni concordanti. Cosa curiosa: una volta tanto
storici e statistici ebrei sono, anche loro, d'accordo su questa
cifra. Applichiamo il coefficiente di aumento naturale dell'l%
annuale e, nel 1962, ossia trentasei anni più tardi, otteniamo
una popolazione ebraica americana di 4.461.184 + 36% = 6.067.210.
Se avessi applicato il coefficiente del professor Shalom Baron
(il lettore mi scuserà se confesso il mio maligno piacere
nel riconoscergli questo titolo, ogni volta che il suo nome mi
viene sotto la penna, con la stessa
[141]
ostentazione con la quale egli si è presentato alla sbarra
del Tribunale di Gerusalemme brandendo il suo titolo di "Professore
all'Università di Columbia"), coefficiente, dicevo,
del 20% ogni sedici anni, avrei:
4.461.184 + 20% = 5.353.421 nel 1942
5.353.421 + 20% = 6.424.105 nel 1958
e 6.424.105 + 5 % = 6.745.310 nel 1962
e non avrei chiesto di meglio che poter accusare l'Istituto
degli Affari ebraici di Londra di una esagerazione di 1.245.310
invece di 587.000 e rotti solamente. Ma non è il mio genere
e mi basta dimostrare a qual punto due autorità ebree sono
in disaccordo tra loro. Dunque 6.067.210. Nota bene: senza tener
conto dell'immigrazione; è importante. Senza tener conto,
è vero, dell'emigrazione, ma questa è trascurabile:
in effetti, André Chouraqui dice (op. cit. p. 66)
che, da 1933 al 1957, sono venuti in Israele, dalle Americhe e
dall'Oceania, solamente 7.232 emigranti. E non si vede infatti
quali ragioni avrebbero potuto spingerne altri a recarsi altrove.
Ma ciò che ricerchiamo è l'immigrazione ebrea negli
Stati Uniti.
Abbiamo già visto come, dopo il 1848 ma soprattutto dopo
il 1880, essa si era iscritta nel movimento generale dei popoli
europei, conosciuto sotto la denominazione di: febbre dell'oro.
In Francia, il miglior posto d'osservazione perché
per l'ovest la Francia è un punto di passaggio quasi obbligato,
tra le due guerre, la corrente fu assai lenta fino verso l'anno
1930. Dal 1932, data dell'ascesa del colonnello Beck al Ministero
degli Affari esteri di Polonia, abbiamo visto gli ebrei polacchi
cominciare ad arrivarvi in massa. E dal 1933, i tedeschi. I primi
si piazzarono nel commercio applicandovi metodi tanto poco conosciuti
dai commercianti indigeni quanto poco ortodossi, da provocare
frequenti proteste indignate da parte loro. Poi, un bel giorno
sparivano, ma ci si accorgeva bentosto che erano stati sostituiti
alla testa del loro commercio da altri ebrei polacchi. Gli ebrei
tedeschi, in genere, non facevano che passare. Alla fine del 1937
sono apparsi gli ebrei austriaci la cui corrente si è rafforzata
nel 1938 dopo l'Anschluss. E, dalla fine del 1938 all'inizio del
'39, gli ebrei cecoslovacchi. Fino al 1932, e dalla fine della
prima guerra mondiale, non c'è da registrare che il passaggio
o lo stabilirsi di un piccolo numero di ebrei russi, rumeni, o
bulgari ai quali si erano mescolati solamente alcuni ebrei polacchi,
gli uni come gli altri scacciati dai rispettivi paesi dalla tempesta
bolscevica e dall'instabilità che la seguì. Ripeto:
in piccolo numero. Nel complesso del movimento la conferma che
si trattava soltanto di emigrazione fugace è data fatto
che da fonte ebraica, come da fonte governativa, la popolazione
ebrea era passata da 250.000 a 300.000, dal 1926 al 1932 (32)
-- a 270.000 secondo Raul Hilberg -- ossia proprio il tasso d'aumento
naturale o poco più.
Quanti ne sono passati, e dove sono andati?
[142]
La risposta per gli ebrei tedeschi è facilissima per quanto
concerne il loro numero. Nel 1939 in Germania non ne rimanevano
che 210.000, secondo il Centro mondia!e di documentazione ebraica
contemporanea, e 240.000 secondo Raul Hilberg. Le statistiche
ufficiali di fonte germanica, in particolare quella di Korherr,
capo dei servizi hitleriani della popolazione, dànno cifre
che vi si approssimano: 220.000. Se, dunque, diciamo che circa
300.000 ebrei avevano lasciato la Germania prima del 1939, tutti
saranno d'accordo. Ma se André Chouraqui (op. cit.
p. 66) dice: "120.000 sono immigrati in Israele tra il 1933
e il 1939", ciò significa che 180.000 almeno sono
andati altrove. Mi si permetta di rievocare, qui, una testimonianza
personale. A Belfort, città vicina alla frontiera franco-tedesca,
che si trovava sull'itinerario di molti perché era anche
prossima alla frontiera franco-svizzera, io ero tra il 1933 e
il 1939 il leader del Partito socialista. Per questo, i socialdemocratici
che riuscivano a passare la frontiera sapevano, generalmente,
il mio indirizzo e per andare più lontano preferivano ricorrere
al mio aiuto piuttosto che a quello della Comunità ebraica:
la maggior parte di loro mi hanno dichiarato che si proponevano
di raggiungere gli Stati Uniti dove avevano dei parenti, ciò
che avrebbe facilmente permesso loro di entrarvi e di restarvi
malgrado la legge delle quote sull'immigrazione; a proposito della
quale sapevano che, date le circostanze, se ne esigeva da loro
molto raramente il rispetto. Alcuni mi hanno indicato il Canadà
per le stesse ragioni. Pochissimi, il Brasile o l'Argentina; in
questi due ultimi paesi fu soltanto dopo la guerra che l'immigrazione
ebrea si convalidò, sotto l'occupazione, sempre a Belfort,
dove ero il responsabile del più importante movimento di
resistenza, il più serio e equilibrato (Liberazione del
Nord), che era la sola trafila valida per loro, ebbi le stesse
risposte, colla differenza che bisognava anzitutto farli evadere
in Svizzera dove, con l'aiuto del Joint Distribution, il
cui rappresentante era Sally Mayer, speravano in un regolare passaparto
per il continente americano, di preferenza per gli Stati Uniti
e il Canadà. Nessuno, né prima né durante
la guerra, mi indicò l'Inghilterra per la quale tutti nutrivano
un odio dichiarato.
Lo stesso fenomeno si ripetè con gli ebrei austriaci nel
1937-'38 e con gli ebrei cecoslovacchi nel 1938-'39. Di queste
due nazionalità, non se ne videro più in Francia
durante la guerra: si valevano della via del Danubio; i primi
dopo l'Anschluss, i secondi dopo la conclusione dell'affare dei
Sudeti. Circa i primi, tanto la statistica del Centro mondiale
di documentazione ebraica contemporanea come quella di Raul
Hilberg sono d'accordo con quelle di fonte germanica: prima del
1939, 180.000 su 240.000 erano riusciti a lasciare l'Austria.
André Chouraqui trova (op. cit.) talmente poco rilevante
il numero degli ebrei austriaci che hanno immigrato in Israele,
da non sentire nemmeno il bisogno di menzionarli.
Dove sono, dunque, andati? Non posso che ripetermi: tutti quelli
che si sono rivolti a me, prima, come durante la guerra, mi
[143]
hanno indicato gli Stati Uniti, di preferenza; in tutti gli altri
casi, un paese del continente americano.
Ecco dunque: 300.000 + 180.000 = 480.000 ebrei tedeschi e austriaci
che sono riusciti a lasciare l'Europa tra il 1933 e il 1939. Eccezionalmente,
questi ebrei, sia il Centro mondiale di documentazione ebraica
contemporanea che Raul Hilberg hanno avuto l'onestà
di non farli apparire tutti tra gli sterminati, nelle loro statistiche.
Nella tavola riassuntiva degli emigranti europei effettivi, vedremo
se sono stati fatti figurare tutti nel numero di coloro che hanno
aumentato la popolazione ebrea di paesi che non sono Israele,
dove si erano recati, obbligatoriamente, poiché non sono
più in Francia. Circa il numero degli ebrei polacchi o
dei paesi danubiani che sono passati dall'Ovest per raggiungere
il continente americano -- o l'Africa -- non possedevo indicazioni
esatte che mi permettessero di indicarli in modo diverso dalla
formula: "un numero assai considerevole". Per mia buona
fortuna la eccellente collaboratrice Hannah Arendt è venuta
molto utilmente a completare la mia documentazione. Naturalmente
anche Raul Hilberg, dal quale essa ha preso quasi tutto quello
che dice. Se preferisco citare Hannah Arendt, è unicamente
a motivo della chiarezza con la quale essa presenta le cose: non
sa niente, prende tutto a prestito, ma innegabilmente in modo
chiaro. E' a proposito degli ebrei francesi, lussemburghesi, belgi,
olandesi che essa ha completato la mia documentazione circa quelli
della Polonia e dei Paesi danubiani che hanno lasciato l'Europa
passando dall'ovest.
In Francia, dice Hannah Arendt (The New-Yorker , op.
cit., 9 marzo 1963) vi erano circa 300.000 ebrei, nel 1939
-- questo lo sapevo -- e, nel febbraiomarzo 1940, prima degli
avvenimenti che scatenarono l'occupazione del paese, erano venuti
ad aggiungersi 17.000 ebrei stranieri: è quanto sapevo
solo in modo imprecisissimo. A quell'epoca, ricordo, tutti i giornali
francesi avevano parlato di circa 200.000 ebrei stranieri che
erano fuggiti dai loro paesi all'avanzare del Nazismo, e che si
doveva aiutarli. Ma non avevo conservato alcun ritaglio: ero assai
più preoccupato di aiutarli che di contarli. Tra loro 40.000
belgi e altrettanti olandesi. Gli altri? Nessuna precisione.
Erano, comunque, totalmente 170.000: si può essere sicuri
tuttavia che Hannah Arendt non ha forzato la dose. E prosegue
così in sostanza: avendo il governo del Maresciallo Pétain
rifiutato di consegnare gli ebrei francesi alle autorità
tedesche e avendo creato loro una serie di difficoltà a
proposito degli ebrei stranieri di questa massa di 300.000 + 170.000
= 470.000 persone, solamente 52.000, di cui 6.000 di nazionalità
francese, erano state deportate alla fine dell'estate del 1943,
vale a dire in diciotto mesi (le operazioni di deportazioni in
massa sono cominciate nel marzo del 1942). Nell'aprile del 1944,
due mesi prima dello sbarco, ve ne erano ancora in Francia 250.000,
continua essa, e nessuna misura fu presa contro loro. Dunque furono
salvati. Ma questo non
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Paul RASSINIER, Il Dramma degli ebrei, Edizioni Europa,
Roma, 1967.
Edizione francese: Le
Drame des juifs européens, Paris,
1964, Sept Couleurs; rééd.: Paris, La Vielle Taupe,
1984.
L'indirizzo elettronico (URL) di questo documento è:<http://aaargh-international.org/ital
/arrass/PRdram5.html>