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IL DRAMMA DEGLI EBREI


Paul RASSINIER

 


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CAPITOLO Il

TESTIMONI, TESTIMONIANZE E DOCUMENTI


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I. - Linee generali

Il 17 maggio 1963, spiegando il mio solito giornale, sono stato colpito da questo titolo: "Errore giudiziario scoperto in Austria: due innocenti hanno passato quindici anni in carcere". Seguiva la spiegazione in forma di comunicato stampa con la data del giorno prima, proveniente da Vienna (Austria):

"Condannati sedici anni fa all'ergastolo a vita, due austriaci, Hubert Ranneth, di 43 anni e Joseph Atier di 30 anni sono stati rilasciati ieri.
In seguito a una nuova inchiesta ordinata nello scorso novembre dal ministro austriaco di Giustizia, è stata fatta luce su ciò che costituisce uno dei più gravi errori giudiziari del secolo.
Nel 1947, Ranneth e Auer erano stati condannati per aver assassinato a colpi di sbarra di ferro tre operai, in una acciaieria. Ma solo nello scorso novembre si venne a conoscenza di un fatto importante: le "confessioni complete" di Auer, sulle quali era basata l'accusa, erano state ottenute sotto l'effetto di una iniezione di scopolamina, medicamento euforico e paralizzante a forti dosi. I medici legali hanno infine potuto stabilire che la sbarra di ferro, pezza d'appoggio a quell'epoca, non aveva potuto essere utilizzata per l'assassinio delle vittime."

Molti belli spiriti pensano che questa notizia dia la spiegazione delle confessioni sensazionali dei celebri processi di Mosca. Non sembra che il metodo utilizzato dalla giustizia austriaca sia stato impiegato a Norimberga. Almeno nel corso dei 13 grandi processi. Possibilissimo che lo sia stato, nell'infinità dei piccoli processi che hanno avuto luogo, dopo, in Germania a carico di vecchi SS o di impiegati subalterni dell'apparato del III Reich; la maggior parte dei quali è venuta in aula soltanto dopo una
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lunga detenzione, dopo diversi rinvii dei processi, il che autorizza tutti i sospetti. Tale sembra essere stato, particolarmente, caso del processo degli "Autobus della morte" (marzo 1963) nel corso del quale gli accusati hanno fornito sull'operazione dettagli che in campo tecnico proprio i tecnici non possono accettare. E potrebbe anche essere il caso del processo al secondo comandante di Auschwitz, in istruzione da tre anni, e già rimandato quattro volte, di sei mesi in sei mesi: non essendo ancora mentre scrivo, il Procuratore Generale riuscito a fornire la prova che 437.000 ebrei ungheresi furono uccisi con il gas a Auschwitz, nel periodo dal 16 maggio alla metà di ottobre 1944 (8). Forse è per questo che l'accusato, invece di suicidarsi come Gerstein, ha improvvisamente deciso di morire di "crisi cardiaca": nel 1963 è difficilissimo suicidare la gente... Potrebbe invece esserlo nel caso Eichmann, in cui una prima iniezione confessata dà il diritto di pensare che altre abbiano potuto seguire, suggerendo in tal modo la spiegazione di molte cose.
Un secondo mezzo a disposizione della giustizia di quel periodo fu la costrizione con cattivi trattamenti (Streicher, Pohl, Ohlendorf): riferirsi alle loro dichiarazioni ai tribunali o ai loro racconti pubblicati (ante o post mortem); la minaccia (Sauckel, i nove figli e la moglie del quale erano nelle mani dei russi, sono serviti, come mezzo di pressione contro di lui, agli istruttori sovietici, come egli ebbe a dichiarare al processo dei grandi criminali di guerra); l'assedio psicologico o molto più semplicemente la situazione nella quale si trovava l'accusato rispetto ai fatti contestati (Hoess, Kurt Becher, Hoettl, Wisliceny, von dem Bach-Zelewski) ecc... Tutti questi casi furono già citati e spiegati nei precedenti lavori di ricerca e non vi tornerò sopra, ad eccezione del caso Hoess di cui Raul Hilberg fa un uso veramente abusivo.
Vengono poi i testimoni non messi in causa dai fatti contestati. Essi hanno fatto la loro deposizione senza esservi minimamente costretti. Sono i partigiani dalla cattiva coscienza. Si può comprendere con facilità che il medico comunista ceco Blaha abbia visto in azione la camera a gas di Dachau - mai esistita: la dottrina comunista glielo imponeva, né d'altra parte questo individuo poteva avere la coscienza pulita, data la sua qualità di detenuto, appartenente alla direzione autonoma del campo di Dachau. Con altrettanta facilità ci si può spiegare l'analoga dichiarazione del SS Hoellriegel, a proposito di un'altra immaginaria camera a gas a Mauthausen: la cattiva coscienza allo stato puro di un sempliciotto che doveva farsi perdonare la partecipazione al dramma e per di più poteva da un giorno all'altro passare dal ruolo di testimone a quello di accusato. Ho già esposto il caso di Martin-Chauffier, David Rousset, Eugen Kogon. Avrei potuto
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allungare l'elenco, coi nomi di tutti coloro che, come il R. P. Riquet della Compagnia di Gesù, il prof. Pierre Bertaux e tanti altri che, avendo concesso durante l'occupazione tedesca certificati di buona condotta civica a collaboratori o ad agenti della Gestapo, per farsi perdonare sono stati più tardi i feroci custodi dell'ortodossia resistenzialista.
Ma il caso più tipico di questa cattiva coscienza mi sembra essere quello del Pastore tedesco Martin Niemöller, del quale ecco la storia nelle linee schematiche, tratta da una documentazione fornita alla Deutsche National Zeitung (16-4-1963) da Paul Heinz, uno dei suoi parenti, dalla biografia apparsa col titolo di Martin Niemöller (Rowohlt, Amburgo ottobre 1959) e dal suo libro Vom U-Boot zur Kanzel (Berlino-Dahlem 1935):

"Martin Niemöller, nato da un Pastore il 14 gennaio 1892 a Lippstadt in Westfalia, si sentiva attrattato dal mare fino dalla prima giovinezza. Nel 1910 entrò a far parte della Marina Imperiale; divenne eccellente ufficiale di torpediniera, servì come ufficiale pattugliatore sui sottomarini agli ordini di stimati comandanti e divenne finalmente comandante dell' 'U.C.-67' nel Mediterraneo. Dopo la rivoluzione, ricondusse in patria la sua nave pavesata, e nel 1919 ne abbandonò il comando rifiutando categoricamente di consegnare all'Inghilterra due sottomarini. Si ritirò perché non voleva servire uno Stato che si era trasformato in repubblica comunista. Col crollo della monarchia, un mondo era crollato per Niemöller.

"Questa è la carriera di un nazionalista tedesco come ben pochi nel 1919. Martin Niemöller lasciò l'uniforme, ma nel cuore restò sempre soldato. In qualità di capo-battaglione prese parte ai combattimenti dei corpi-franchi, nella Ruhr, e in occasione del battesimo del suo secondo figlio, appese dietro i fonti battesimali l'ultima insegna del suo sottomarino. Divenne Pastore, e non fu altro che un soldato di Cristo, come molti ufficiali dopo le due guerre.

"Martin Niemöller fu un buon soldato di Cristo ma rimase nazionalista tedesco convinto. Avversario della repubblica, aderì al Movimento nazional-socialista. Dopo il 1924 fece parte del NSDAP, e ne auspicò la vittoria. Dopo l'ascesa di Hitler al potere nel 1933, Niemöller accordò tutta la sua simpatia al nuovo cancelliere. Nel 1933, quando seppe che i comunisti erano stati internati nei campi di concentramento, pensò: "Dio sia lodato, siamo liberati dal pericolo ateo!"

Gli ebrei - secondo la sua espressione - gli riuscivano antipatici e estranei, il che gli permetteva di approvare le misure prese dal nuovo governo. Aveva anche assistito, coi suoi figli, alla marcia su Berlino, il 30 gennaio 1933. Niemöller fu il cofirmatario del telegramma di felicitazioni a Hitler, dopo il ritiro della Germania dalla Società delle Nazioni. Il nuovo Cancelliere vi potè leggere:

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"In queste ore decisive per il popolo e la patria tedesca, salutiamo il nostro Führer... solennemente gli promettiamo fedeltà e l'assicuriamo dei nostri fervidi pensieri."

"Non era da escludere che tali parole avrebbero potuto essere male interpretate da una parte della comunità protestante, perciò il Pastore Niemöller, quale Presidente della Federazione dei Pastori, pubblicò una circolare nella quale venivano ben nettamente precisate le cose:

"I membri della Federazione dei Pastori si schierano incondìzionatamente dietro il Führer Adolf Hitler" (Variante: "si uniscono incondizionatamente al Führer Adolf Hitler").

"Era una dichiarazione il cui calore poteva manifestarsi solamente in un vecchio aderente politico. Era la testimonianza che Niemöller si identificava nelle idee di Hitler circa la concezione del mondo. Riferendosi a una parte di queste idee, il discutibile teologo Karl Barth - che dalla Svizzera aizzava le forze dell'Est al riarmo contro la Germania - diceva, nella primavera del 1958: "Non ho mai constatato che Niemöller sia insorto contro il Terzo Reich, in quanto tale!"

"Ma Niemöller insorse, molto più contro l'imposizione di una religione di Stato, la 'Chiesa tedesca', che non contro gli scopi politici del Reich. Quando si riuscì a insediare un nuovo vescovo di Stato, crebbe l'opposizione di Niemöller contro quest'ultimo e contro la sua 'Chiesa tedesca'. Disturbato da queste diatribe interne delle chiese, Hitler convocò il 25 febbraio 1934 una conferenza tra le due parti. NiemöIler compilò un memorandum indirizzato a Hitler, nel quale egli sottelineava:

"Non abbiamo bisogno di dirvi quanto vi siamo grati per aver strappato il popolo alla disgregazione interna ed esterna e per aver rese disponibili le sue forze per un nuovo sviluppo." "


"
Niemöller venne arrestato il primo luglio 1937, ma il suo processo ebbe luogo sei mesi più tardi. La sentenza pronunciata il 2 marzo 1938 fu sorprendente: sette mesi di fortezza e 2000 marchi di multa. Venne deportato al campo di Sachsenhausen."
Ecco il suo arrivo al campo:

"L'indomani mattina apparve nella sua splendida uniforme di SS il comandante del campo, il cui nome era Baranowsky. Ebbe inizio una conversazione che dopo vent'anni Niemöller sentiva ancora risuonare all'orecchio:

-- Siete voi il pastore Niemöller? domandò l'ufficiale superiore delle SS.

-- Sì, sono io.

-- Ci siete stato consegnato come prigioniero personale del Führer. Oltre a questo non so altro. Non ho ancora ricevuto istruzioni circa il trattamento che vi deve essere riservato. Avete proteste o desideri da formulare?

"Prigioniero personale del Führer! Dunque, a favore di Niemöller restava valido il memorandum del 25 febbraio 1934;

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Hitler non aveva dimenticato la sua lealtà. Alla domanda postagli dal comandante del campo circa un suo desiderio da formulare, Niemöller aveva risposto: "Certamente". Gli oggetti che gli erano stati tolti nella notte. E, prima di tutto: "Rendetemi la mia Bibbia. Immediatamente, per favore."

"Baranowsky, evidentemente impressionato dal fatto che un prigioniero osasse parlargli in quel modo, non sapeva troppo bene quale atteggiamento assumere. Quanto stava accadendo non era altro che una sconfitta morale. Doveva darsi un contegno. E Niemöller lo sentiva benissimo.

"-- Desiderate avere la vostra Bibbia? tuonò. Ma come potete chiederlo? Niente del genere esiste al campo! Ci "mancherebbe soltanto che autorizzassimo qui un libro così pericoloso!

Ma dopo accadde l'incredibile. Al suo aiutante, rimasto sulla soglia, Baranowsky con tono semisprezzante e semimbarazzato, ordinò: 'Andate nell'ufficio e riportate a quest'uomo la sua Bibbia. Sta sul mio scrittoio.'

"Non erano ancora passati quattordici giorni che Niemöller si vide restituire anche l'anello, l'orologio, le lettere e il libro dei Cantici."


Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Niemöller scrisse al Grande Ammiraglio Raeder:

"Poiché da lungo tempo attendo invano l'ordine di riprendere il mio servizio... mi presento formalmente come volontario... ho 47 anni, sono perfettamente abile di mente e di corpo e vi prego di destinarmi a un qualsiasi incarico nella Marina."

Ecco come fu trattato durante il suo periodo di internamento:

"Gli fu permesso di visitare suo padre a Elberfeld, qualche tempo prima della sua morte; gli fu concesso di festeggiare, nel 1944, a Dachau le sue nozze d'argento con la moglie e di cenare con lei, ed ebbe perfino il permesso di predicare."

Insomma un uomo che avrebbe potuto figurare al banco degli accusati di Norimberga, sotto l'accusa di "Crimini commessi contro la pace", per partecipazione al "Complotto", contemplato da questo capo di accusa, perché egli vi aveva partecipato dal 1920 al 1936, al minimo, se non al 1937.
Non oso citare brani del suo libro: Vom U-Boot zur Kanzel (Dal sottomarino al pulpito) -- bisognerebbe citarlo tutto -- pubblicato in Germania nel 1935, quando Hitler era da due anni al potere, e scritto sul tema: "Damals versank mir eine Welt" (Allora un mondo, per me, s'inabissò): la più dura requisitoria contro il bolscevismo che io abbia potuto leggere fino ad oggi, la più completa adesione alla politica generale della N.S.D.A.P.
Anche il pastore Martin Niemöller, Presidente del Consiglio della Chiesa Protestante tedesca, aveva molto da farsi perdonare. Ed eccolo dichiarare, il 3 luglio 1946, nella già citata conferenza, pubblicata col titolo: "Der weg ins Freie" (F. N. Hellbach, Stoccarda 1946): che 238.756 persone erano state sterminate a Dachau,
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mentre sappiamo che, in effetti, furono 30.000 circa; eccolo confermare l'esistenza di una camera a gas, nello stesso campo, ed oggi sappiamo che non ne esisteva alcuna; e dopo il 1945, ogni volta che si è accinto a predicare, ha sottolineato l'unilaterale responsabilità della Germania e quella collettiva del popolo tedesco nella guerra del 1939-'45. Attualmente alla testa di un movimento pacifista, difende senza la minima eccezione tutte le teorie sulle quali è basata la politica estera della Russia sovietica. Se non avesse assunto questo atteggiamento, nessun dubbio che sarebbe stato uno dei punti di mira delle accuse che i Soviet non cessano di scagliare contro la Germania. Tale è la spiegazione: la stessa che vale per il comportamento di tutti gli appartenenti alla gentry parigina o al mondo francese delle lettere e delle arti, i quali dopo avere condotto la dolce vita in compagnia delle più alte personalità tedesche della Capitale occupata, rallegrandosi ai loro "brindisi" per le vittorie delle armate hitleriane, appena giunta la prima folata del nuovo vento, hanno dato la loro adesione al partito comunista e sono divenuti gli accusatori più severi dei collaborazionisti nella Francia del dopo-guerra, animati unicamente dalla preoccupazione di evitare il banco degli accusati.
Questa è la gente che ha fornito ai Procuratori e ai Giudici di Norimberga i suoi argomenti più esplosivi, che continua ad arricchire gli archivi di Rehovot (Israele) e di Varsavia (Polonia) di tutti quei documenti, tanto fantasiosi quanto inediti, che a intermittenza vengono scoperti e pubblicati a suon di tromba per dare esca mondiale ai sentimenti antitedeschi sui quali poggia la politica internazionale del bolscevismo.
Il Procuratore e i Giudici hanno ottenuto, con questo metodo, risultati sensazionali. Lo attesta il curioso documento PS-3319 (Nur. T. XXXII pp. 159-192) che Raul Hilberg cita e commenta (p. 502-790): si tratta dell'organizzazione da parte del Ministero degli Affari Esteri del III Reich, di un congresso anti-ebraico a Krummhübel per il 3 e 4 aprile 1944, con la partecipazione di tutti i rappresentanti di questo Ministero, in carica all'estero. Un certo Ludwig Kohlhammer, capogruppo di una "zona", cita in 27 pagine (op. cit.), in modo esattissimo il numero dei partecipanti - trentun persone - coi rispettivi nomi e ciò che ognuno ha detto.
Ebbene, questo congresso non è mai stato tenuto. Ecco come il caso è stato presentato davanti al Tribunale di Norimberga:
27 marzo 1946. Von Steengracht (Segretario di Stato agli Affari Esteri del III Reich) è interrogato dal col. Philimore, sostituto del Procuratore generale inglese che gli domanda:

-- Vorrei ora trattare il problema degli ebrei. Ieri ci avete detto che voi stesso e Ribbentrop avevate impedito la messa in atto del congresso antiebraico del 1944. E' vero?
-- Si, risponde Steengracht. (T. X p. 137).

Ed ecco che cosa aveva dichiarato alla vigilia allorché fu
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interrogato dal dr. Horn, avvocate di von Ribbentrop:

"Il nostro agente di collegamento presso Hitler ci aveva informato che costui, avvertito da Bormann, aveva incaricato i servizi di Rosenberg di organizzare un congresso antisemita. Ribbentrop non voleva prestarvi fede, ma dopo aver parlato col suo agente di collegamento dovette arrendersi all'evidenza. Poiché questa decisione ci toglieva ogni mezzo per impedire il congresso in via ufficiale, ci sforzammo di renderlo impossibile con una politica di lentezza e di ostruzionismo. E benché l'ordine fosse stato impartito, nella primavera del 1944 e la guerra non fosse ancora terminata nell'aprile del 1945, il congresso non ebbe luogo" (T. X p. 125).

2 aprile 1946. Questa volta è von Ribbentrop che viene interrogato da Edgar Faure, che dopo doveva diventare Presidente del Consiglio francese, e che allora era sostituto del Procuratore generale francese:

-- Edgar Faure (a von Ribbentrop): Durante l'interrogatorio del vostro testimone Steengracht, il Pubblico Ministero inglese, ha presentato il documento PS-3319 che ha avuto il numero inglese GB-287. Desidererei riferirmi a questo documento solamente per un quesito: In questo documento figura il processo verbale di un congresso, di una riunione alla quale assistevano tutti i relatori di problemi ebraici distaccati nelle diverse missioni diplomatiche in Europa. Questo congresso si è tenuto a Krummhübel il 3 e il 4 aprile 1944. Era stato organizzato da Schleier. E' stato letto l'altro giorno. Suppongo che voi siate stato al corrente di questo congresso?

-- Von Ribbentrop: No, ne sento parlare per la prima volta. Di che congresso si tratta? Nemmeno ho mai sentito dire che tale congresso abbia avuto luogo. Di che genere di congresso si trattava?

-- E. Faure: Il documento è stato depositato in Tribunale e io desidero semplicemente porvi una domanda. Avete testimoniato di non essere stato al corrente di questa riunione alla quale assistevano trentun persone appartenenti quasi tutte al corpo diplomatico. Preciso che nel corso di questa riunione il Consigliere d'Ambasciata von Thadden ha fatto una dichiarazione, che è stata registrata, nei termini seguenti: "L'oratore espone per quale motivo la soluzione sionista di Palestina e altre soluzioni similari devono essere respinte e perché sia il caso di realizzare la deportazione degli ebrei nei territorii dell'Est." Ritengo che questa dichiarazione fatta da un Consigliere d'Ambasciata davanti a trentun persone dei vostri servizi, rappresentasse la vostra personale dottrina sull'argomento.

-- Von Ribbentrop: Sì, ma non capisco affatto che cosa intendete

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dire (...) Vorreste mettere il documento a mia disposizione affinché possa rispondere?

-- E. Faure: Non intendo mostrarvi questo documento... (T. X p. 420).


Era la prova del falso. Ma era anche una tipica violazione della regola di procedura n. 2 dello stesso Tribunale, la quale, nel paragrafo a 3·, disponeva che "tutti i documenti annessi all'atto di accusa devono essere messi a disposizione degli accusati nel termine utile di almeno un mese prima del Processo (T. 1, p. 21). Mai più si fece parola di questa contestazione. Se si cerca nell'indice dei nomi (T. 24), l'informazione concernente il Landesgruppenleiter Ludwig Kohlhammer non vi figura. Eppure, è un fatto che il documento PS-3319 fu ammesso come prova... Né si riesce a capire perché. Se E. Faure voleva provare che la soluzione finale e le altre similari erano, secondo la dottrina del Ministero degli Affari Esteri del Reich, da respingere nel 1944, non era affatto necessario inventare un documento: era notorio che i principali ostacoli provenivano dalla situazione operativa strategica e, come lo dimostra l'avventura di Joël Brand il mese seguente, gli Alleati rifiutavano questa soluzione a mezzo dei neutrali. Che dopo diciassette anni, Raul Hilberg, professore di scienze politiche all'università di Vermont (U.S.A.), non sappia ancora che questo documento era un volgare falso, è davvero incomprensibile.
E cosa dire a Raul Hilberg del Gruppenführer Ohlendorf, suo principale testimone sulle missioni dei Gruppi Speciali? Alla seduta mattutina del 3-1-1946, egli dichiara che: "Circa il problema degli ebrei e dei commissari comunisti, i capi dei Gruppi Speciali ricevevano ordini verbali (sic), prima di ogni missione", che "in territorio russo (ammirevole la precisione) ciò significava che essi dovevano essere assassinati" (T. IV, p. 322), ma all'udienza serale, alla domanda se ciò era previsto nell'accordo stipulato tra l'OKW e il RSHA, risponde: "Non ricordo più, ma ad ogni modo, questo compito di liquidazione non era menzionato" (T. IV, p. 319). A due ore di intervallo, richiesto se: "la maggior parte dei capi dei Gruppi Speciali provenivano dal RSHA" risponde che: "essi potevano provenire da qualsiasi parte del Reich" (op. cit. p. 325); poi, alla stessa domanda che: "erano forniti dalla Polizia di Stato, la Kripo (Polizia di Stato) e, in minore misura, dalla SD" (op. cit. p. 322). Il poveraccio, sul quale pesava una minaccia di condanna a morte -- fu impiccato nel 1951, malgrado la sua evidente arrendevolezza e dopo essere stato sottoposto a chissà quale "trattamento" -- aveva totalmente perduto la testa e non sapeva più a che Santo votarsi per sfuggire al suo destino. Al suo processo, nel 1948, quando si volle produrre contro di lui ciò che aveva dichiarato a Norimberga nel 1945-'46, disse che: "essendogli state le sue dichiarazioni estorte con minacce, esse erano senza valore". E allora?
Tutto quanto precede verte unicamente sui testimoni, le testi-
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monianze, e i vecchi documenti ai quali Raul Hilberg si è direttamente riferito. A Rehovot (Israele) e a Varsavia, da una quindicina di anni, come già ho detto, si era orientati verso la ricerca di documenti nuovi per consolidare i vecchi, e impedire che si estinguesse quell'ondata di odio scagliata contro la Germania e che fa il gioco del bolscevismo. E di tutte le testimonianze che hanno preso posto negli scaffali delle biblioteche di questi due centri, certamente la più celebre è: Il diario di Anna Frank (Parigi, traduzione dal testo tedesco, 1958, edit. Calmann Levy). Questo documento non ha attratto l'attenzione di Raul Hilberg. Ma potrebbe darsi che un giorno egli sia indotto ad occuparsene. Lungi da me l'idea che questo documento sia un falso. Vi è dalle parti di Amburgo un istitutore che l'ha preteso: ed è stato pesantemente condannato. Pochissimo per me. Infatti debbo confessare che questa questione non mi ha enormemente preoccupato, benché l'abbia seguita molto da vicino, e che oltre i commentari dei quali è stato oggetto questo documento, ciò che mi ha particolarmente colpito è il fatto che, se si leggono le edizioni in diverse lingue, non vi si trovano le stesse cose, e paragonando queste edizioni ad un altro libro: Spur eines Kindes del tedesco Ernst Schnabel (1959), la scrittura attribuita ad Anna Frank è innegabilmente diversa. Ecco due "campioni" della scrittura di Anna Frank: l'uno (fig. 2) è, secondo l'affermazione del padre, l'ultima pagina del manoscritto; l'altro (fig. 1) è la sua fotografia con dedica delle stessa Anna Frank, come pubblica Life, secondo Ernst Schnabel.
[Figura]
Sia ben chiaro: non dico che il Diario di Anna Frank è un falso! Niente storie! Chiedo soltanto che mi si dica che queste due scritture sono della stessa persona. Perchè non sono esperto
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di grafologia. Dopo di che, concluderò circa l'autenticità del documento.
Se Raul Hilberg volesse occuparsi di questo problema...
Passiamo dal generale al particolare: parliamo dei defunti Rudolf Hoess, Kurt Gerstein e Miklos Nyiszli, tutti, in grado diverso, testimoni sensazionali di Raul Hilberg.


II. - Il testimone Rudolf Hoess
(Parla il comandante del campo di Auschwitz)

Nato a Baden-Baden il 15 novembre 1900, Rudolf Hoess fu combattente della prima guerra mondiale. Membro del NSDAP dal 1922. Nel maggio del 1923, con due complici uccise Walter Kadow che aveva consegnato alle truppe francesi d'occupazione della Ruhr Al. SchIageter, organizzatore dei sabotaggi in questo settore d'occupazione. Condannato a 10 anni di carcere, ne scontò sei, poi fu amnistiato.
Membro delle SS dal 1934. Capoblocco (Blockführer) a Dachau, alla fine del 1934, poi amministratore dei beni dei detenuti. Comandante aggiunto del campo di Sachsenhausen. Comandante del campo di Auschwitz dal 1940 (il campo non fu pronto per ricevere i prigionieri che dal 14 giugno) alla fine del 1943. Arrestato una prima volta a Heide (Schleswig-Holstein) nel maggio 1945 dagli inglesi, fu quasi subito rilasciato, per essere di nuovo arrestato nel maggio 1946 a Flensburg (Schleswig-Holstein); interrogato con "lo scudiscio e l'alcool", dice egli in un suo libro (p. 211 ed. francese), viene condotto dopo qualche giorno "a Minden-sul-Weser, centro d'interrogatorii della zona inglese" dove subisce il "trattamento più brutale, da parte del procuratore inglese" (ibid.). Arrivato a Norimberga, al principio di aprile, in veste di testimone a difesa di Kaltenbrunnen. Reclamato come criminale di guerra dalla Polonia è trasferito il 25 maggio, e il 3 luglio 1946 viene incarcerato nella prigione di Krakau. Nel frattempo, il 15 maggio è stato portato a Norimberga, sotto minaccia di essere consegnato ai sovietici; egli conosce la sorte che gli riserbano, ed è quindi naturale che dica ciò che ritiene più utile per decidere gli americani a non consegnarlo ai russi.
Addetto al Processo, in qualità di psicologo, il professor Gustave Gilbert è là, presente, per confortare questa speranza, e abilmente gli suggerisce quello che conviene dire. Hoess non si lamenta del trattamento di cui è oggetto, al contrario: "una cura in sanatorio", scrive (p. 211), dopo quanto ha dovuto sopportare a Heide e a Minden. A Cracovia cambiamento di scena: molto peggio che a Heide e a Minden: "Senza l'intervento del Procuratore certamente mi avrebbero finito fisicamente" (p. 214). Il suo processo viene istruito dal 11 al 29 marzo 1947. Condannato a morte il 2 aprile dalla Corte Suprema di Varsavia, è impiccato il 4 ad Auschwitz.
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In attesa del processo, mentre è in prigione, scrive le sue memorie. Gli hanno prestato "una matita", non penna e inchiostro. Un grande vantaggio, per coloro che sfruttano queste "memorie": i fac-simili che se ne possono trarre -- e certamente anche l'originale -- sono in gran parte pressocché illeggibili. Chi ne volesse fare l'autenticazione dovrebbe essere uno specialista, tipo quelli che lavorano sui palinsesti egiziani, e, per quanto mi risulta, l'originale non è stato finora sottoposto a tale esame. Tanto più che questo originale è custodito al Museo di Auschwitz, dove il Comitato Internazionale del campo stesso ne ha il monopolio di sfruttamento. Provatevi a tentare un controllo! Una parte è stata pubblicata in tedesco col titolo: Autobiografia (1951), ma per quanto è a mia conoscenza, non sembra sia stata tradotta in altre lingue -- ad eccezione della polacca -- e solamente qualche brano citato da autori più fortunati di me (particolarmente da Michel Borewicz, Rivista storica della seconda guerra mondiale, ottobre 1956, pp.56-87) mi è pervenuto. Un'altra parte è stata pubblicata col titolo: Parla il comandante di Auschwitz (1959) in francese, inglese, tedesco, polacco. Sembra che queste memorie non siano state ancora pubblicate completamente e attualmente alcuni specialisti pare si accingano a studiarle e riordinarne ciò che resta: "a matita", senza dubbio, per la gioia degli storici. Con la deposizione dell'autore a Norimberga disponiamo di tre testi della stessa persona, sugli stessi avvenimenti. Che cosa ci raccontano questi testi?
La sentenza della Corte Suprema di Varsavia che ha condannato Hoess alla pena di morte e che serve da introduzione a Parla il comandante di Auschwitz (pp. 9 a 13 dell'edizione francese) conferma contro di lui la partecipazione all'assassinio di:

-- circa 300.000 persone rinchiuse nel campo, come prigionieri scritti sui registri;

-- un numero di persone delle quali è impossibile precisare la cifra con esattezza, ma che si può calcolare a circa 2.500.000, principalmente ebrei, condotti al campo con furgoni provenienti da diversi paesi d'Europa, in vista di uno sterminio diretto, e che per questo motivo non figurano nel registro del campo;

-- almeno 12.000 prigionieri di guerra sovietici rinchiusi nel campo di concentramento, in contrasto con le norme del diritto internazionale circa il trattamento dei prigionieri."


Dunque, nel periodo compreso tra il maggio 1940 e la fine di novembre 1943, 2.812.000 persone, complessivamente. Considerando esatta questa cifra e aggiungendovi coloro che furono sterminati dalla fine novembre 1943 al gennaio 1945, i testimoni di Norimberga hanno parlato di 4.500.000 persone, e in data 1 ottobre 1956, Henri Michel, vecchio deportato francese, redattore capo della Revue d'histoire de la Seconde Guerre mondiale, valuta il numero totale dei morti ad Auschwitz a 4.000.000, in questa forma:

"Questo campo fu la più internazionale e occidentale delle fab-
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briche di morti,
e la sua terra si è ingrassata con le ceneri di 4 milioni di cadaveri" (p. 3).


Interrogato a Norimberga il 15 aprile 1946, alla domanda che gli viene posta dal dr. Kaufmann, avvocato di Kaltenbrunner: "Eichmann vi ha detto che nel campo di Auschwitz più di 2.000.000 di ebrei sono stati annientati?" Hoess risponde: "Sì, è esatto" (T. XI, p. 409). Nelle more del processo, Gustave Gilbert (di Long Island), addetto al Tribunale in qualità di psicologo, lo avrebbe interrogato, ottenendone questa risposta: "Due treni trasportavano ogni giorno circa 3.000 persone e, questo, per 27 mesi (dunque per tutta la durata della deportazione: dal marzo 1942 al luglio 1944). Si raggiunge in tal modo il totale di quasi 2.500.000 persone" (dichiarazione del professor Gilbert al Tribunale di Gerusalemme incaricato di giudicare Eichmann, il 30 maggio 1961).
Ma, come ho già detto in Il vero processo Eichmann o I vincitori incorregibili, quando si tratta di fornire dettagli circa queste 2.500.000 persone, egli scrive in Parla il comandante di Auschwitz:

"Per quanto personalmente mi riguarda, non ho mai conosciuto questo totale, e non si dispone di alcun punto di riferimento per poterlo stabilire."
E prosegue:

"Ricordo soltanto la cifra delle azioni più importanti che sovente mi sono state indicate da Eichmann e dai suoi delegati:

Alta Slesia o governatorato generale di Polonia ..........250.000
Germania e Theresienstadt .........................................100.000
Olanda .........................................................................95.000
Belgio ..........................................................................20.000
Francia .......................................................................110.000 (9)
Grecia...........................................................................65.000
Ungheria ....................................................................400.000
Slovacchia ....................................................................90.000

.................................................................................__________

Totale: .........................................................................1.130.000

Le cifre concernenti le azioni di minima importanza non si sono incise nella mia memoria, ma erano insignificanti a paragone di quelle indicate. Considero la cifra di 2.500.000 come esageratamente alta."


Anche queste cifre si riferiscono alla durata di tutta la deportazione, e Hoess l'ha saputo da Eichmann. Decisamente Eichmann ne ha dette molte di cose, e dal confronto della deposizione di Hoess a Norimberga, con il suo libro, risulta che non sempre concordano.
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A mio avviso, Auschwitz ha ricevuto solo un numero insignificante di deportati ebrei provenienti da altri paesi oltre quelli elencati in questa lista, o da detti paesi ma non compresi in queste azioni. Potrebbe darsi che questo totale corrispondesse al vero, benché sembri ancora troppo alto. Probabilmente l'Institute of Jewish Affairs l'ha ammesso in Eichmann's confederates and the Third Reich Hierarchy, citato in altra parte, e dev'essere in base ad esso che egli ha fatto i suoi calcoli, per giungere alla conclusione (p. 18): "Auschwitz (con le sue filiali, di cui la meglio nota: Birkenau) fino al Sud, non lontano da Cracovia, dove circa 900.000 ebrei perirono". Anche Raul Hilberg, con ogni probabilità, vi si è riferito per valutare (p. 572) a un 1.000.000 il numero degli ebrei che vi morirono. Quali i fondamenti di queste due valutazioni che concludono, l'una a 230.000 superstiti, l'altra a 130.000? Sia in Eichmann's confederates and the Third Reich Hierarchy, sia in The Destruction of the European Jews, non si trova il minimo elemento di stima. Restano dunque puramente congetturali. Nel caso di Raul Hilberg, è piuttosto seccante, poiché (p. 670) trova 50.000 sopravvissuti per tutta la Polonia, il che è per lo meno sbalorditivo, dato che ne risultavano solo per Auschwitz 130.000...
Non anticipiamo: si tratta qui del testimone Hoess e non di statistica generale. In quanto ai due treni che durante 27 mesi hanno trasportato ogni giorno a Auschwitz 3.000 persone, il testimone Hoess non sembra, ugualmente, molto certo. A questo proposito ecco tre frasi sulle quali invito il lettore a meditare qualche istante:

1. -- "Per quanto ricordo, i convogli che arrivavano a Auschwitz non portavano mai più di mille persone" (p. 229 del suo libro).

2. -- "A causa dei ritardi nelle comunicazioni, ci giungevano cinque convogli giornalieri invece dei tre attesi" (p. 236).

3. -- "Gli arrivi dei convogli si succedevano in ragione di 15.000 al giorno quando si trattò dello sterminio degli ebrei ungheresi" (p. 239).


Da ciò risulta che, in certe circostanze: 1000 volte 5 è uguale a 15.000...
Davanti al Tribunale, il 15 aprile 1946, Hoess aveva dichiarato che quei treni contenevano 2.000 persone (T. XI, p. 412). Al professor Gustav Gilbert aveva detto che ne contenevano 1.500 (10) e nel suo libro le riduce a 1.000. Certo si è che, per il periodo dato, nessuna di queste valutazione circa la capacità dei treni corrisponde a un totale di 1.130.000. L'ultima che è la più prossima alla verità è ancora approssimativa, mettendo in evidenza uno scarto, in più, di 300.000. E dato che Raul Hilberg prende in considerazione "six killing centers" -- sei centri di distru-
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zione, se esagera di 300.000 per ognuno, l'esagerazione dell'insieme è dell'ordine di circa 2.000.000. Su sei milioni, è importante.
La solidità di questa testimonianza, per le camere a gas, impone le medesime osservazioni:
"Nel cuore della primavera del 1942, centinaia di esseri umani hanno trovato la morte nelle camere a gas", si legge a pagina 178.
Ma, il documento di Norimberga NO-4401 stabilisce irrefutabilmente che ciò che le tesi ufficiali hanno definito "camere a gas" sono state ordinate per Auschwitz solo l'8 agosto 1942, e il documento NO-4463 che vennero installate definitivamente solo il 20 febbraio 1943. A Norimberga, nella sua deposizione Hoess aveva dichiarato: "Nel 1942, Himmler è venuto a visitare il campo e ha assistito a un'esecuzione dal principio alla fine" (T. XI. p. 43) e nessuno gli ha fatto notare che, se era possibile che Himmler fosse stato ad Auschwitz nel 1942, non era possibile che vi avesse assistito ad una esecuzione, poiché le camere a gas non erano costruite. Comunque è impossibile che Himmler abbia assistito ad una esecuzione: era uno spettacolo che non avrebbe potuto sopportare, come ha dichiarato, nel 1946, il suo medico Kersten.
Ancora altre osservazioni circa la capacità di sterminio delle camere a gas e d'incenerazione dei forni crematorii:

"La cifra massima di uccisi dal gas e inceneriti in 24 ore è salita un poco oltre i 9.000 complessivi per tutte le installazioni" (p. 236).
Ma:

"Come già ebbi a dire, i crematorii I e II potevano incenerire 2.000 CORPI in 24 ore; di più non era possibile, se si volevano evitare i guasti. Le installazioni III e IV dovevano incenerire 1.500 CADAVERI in 24 ore. Ma per quanto mi risulta queste cifre mai sono state raggiunte" (p. 245).


Come non dedurre da queste flagranti contraddizioni che si tratta di un documento falsificato, dopo scritto, affrettatamente e da illetterati?
La stessa presentazione del libro ne faceva indovinare la falsificazione: scritto a matita e preziosamente conservato negli Archivi del Museo di Auschwitz, dove nessuno può andare a controllarlo a meno di non essere comunista riconosciuto, porta la data del febbraio-marzo 1947, è conosciuto dopo questa data, ed è pubblicato soltanto nel 1958; è attribuito a un morto che in nessun modo può attestare contro dichiarazioni che portano la sua firma... Mi pare che basti e sia anche troppo.
Infine, una perla:

"Verso la fine del 1942, tutte le fosse comuni furono ripulite (i forni crematorii non erano ancora costruiti e si inceneriva nelle fosse comuni). Il numero dei cadaveri, che vi erano stati interrati ammontava a 107.000. In questa cifra, precisa poi Rudolf Hoess, sono compresi non soltanto i convogli di ebrei uccisi col gas dal principio fino al momento in cui si procedette al
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l'incenerimento, ma anche i cadaveri di tutti i detenuti morti al campo di Auschwitz-Birkenau" (p. 231).


Da quanto precede si può dedurre che in circa tre anni erano morte 107.000 persone. Dico "circa tre anni" perché i due termini "verso la fine del 1942" e "fino al momento nel quale si procedette agli incenerimenti" sono antinomici, non essendo gli incenerimenti potuti cominciare prima del 20 febbraio 1943, secondo le tesi ufficiali; e affinché, come s'impone, i due avvenimenti fossero concomitanti, bisogna assolutamente che entrambi siano avvenuti a quest'ultima data. Ed è proprio di quasi tre anni che si deve parlare essendo il campo aperto dal 14 giugno 1940. Dunque: 107.000 cadaveri prima del febbraio 1943, tutti gli altri posteriormente. Se dal febbraio 1943 all'ottobre 1944, fine ufficiale degli stermini, vi sono 17 mesi durante i quali, come dice il rapporto Kasztner, per 8 o 9 (autunno '43 - maggio '44) le camere a gas di Auschwitz non furono in condizioni di funzionare, rimane da stabilire come sia stato possibile sterminare altre persone oltre quelle 107.000 dal febbraio 1943 all'ottobre del '44, essendo il campo equipaggiato con quattro forni crematorii di quindici storte ciascuno... Sarei veramente sbalordito se, interrogato su questi dati, un tecnico della cremazione rispondesse che è stato possibile cremare i milioni di cadaveri di Raul Hilberg o anche i 900.000 dell'Institute of Jewish Affairs. Ritengo opportuno ricordare che Eichmann fissava al 15 maggio 1944 l'ordine dato da Himmler di sospendere gli stermini e che, in questo caso, il periodo nel quale son stati compiuti, se lo sono stati, non supererebbe i 5 o 6 mesi (marzo-autunno '43).
Mi sembra che il credito che si può concedere alle diverse dichiarazioni di Hoess debba essere piuttosto limitato. E, disgraziatamente per Raul HiLberg, quanto segue non è molto più convincente, prova ne sia il suo racconto dell'evoluzione della soluzione finale verso lo sterminio.
Quando, nel marzo 1941, Himmler visitò il campo di Auschwitz, dice Hoess nella sua "Autobiografia", gli comunicò la sua intenzione di trasformare detto campo "in una possente centrale di armamenti che occuperebbe 100.000 prigionieri di guerra".
Dunque, a tale data, Auschwitz non era previsto come centro di sterminio degli ebrei, perciò cade in frantumi la tesi di Raul Hilberg, tesi secondo cui lo sterminio sarebbe stato deciso in base a un piano progressivo metodicamente stabilito, a seguito del discorso di Hitler sin dal 30 gennaio 1939.
Proseguiamo:
La prima utilizzazione del gas per uccidere i detenuti si è verificata senza nessun ordine, con gas di fortuna, quando nessuno dei responsabili del campo, dalla cima al fondo della scala gerarchica, ci pensava:

"Durante uno dei miei viaggi di affari (1942), il mio supplente [der Schutzhaftlager] Fritzsch fece uso di gas contro un gruppo di funzionari poli-
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tici dell'armata rossa. Egli impiegò a questo scopo una preparazione di cianuro (ciclon B) di cui disponeva ad uso di insetticida per l'ufficio. Me ne diede notizia dopo il mio ritorno" (p. 172).


Così, per la fortuita iniziativa di un subalterno sarebbe nato un metodo utilizzato poi su vasta scala contro gli ebrei.
A più riprese, nel suo libro Rudolf Hoess dice (o gli si fa dire) che le più alte cariche governative del III Reich, in particolare Himmler, gli hanno verbalmente ripetuto gli ordini di sterminare gli ebrei a mezzo gas, ma:
"Non si è mai potuto ottenere a questo proposito una decisione chiara e netta di Himmler" (p. 233). Mentre lui, Hoess, era propenso alla utilizzazione in grande:
"Ho trattato sovente questo problema nei rapporti, ma non potevo fare nulla contro la pressione di Himmler che voleva avere sempre maggior numero di detenuti per l'armamento" (p. 189), e dunque vi si opponeva.
Certo è difficile capire come Himmler avrebbe potuto avere "sempre più detenuti per l'armamento" se ne faceva sterminare sempre più coi gas!
Bisogna inoltre notare che, avendo Himmler domandato verbalmente a Hoess di costruire delle camere a gas a Auschwitz (nell'estate 1941), Hoess gli "propose un progetto dettagliato delle installazioni ideate" a proposito del quale egli dichiara: "Non ho mai ricevuto risposta o decisione alcuna a questo riguardo" (p. 227). Tuttavia le camere a gas sono state costruite perché, dice Hoess: "In seguito Eichmann mi disse incidentalmente -- dunque verbalmente: tutto è verbale in questa faccenda -- che il Reichführer era d'accordo" (p. 227).
Himmler dunque non avrebbe mai dato ordine di costruire queste camere a gas -- la confessione è molto importante -- dalle quali avrebbe preteso che annientassero il più possibile e al tempo stesso il meno possibile di gente.
A pagina 191, si può anche leggere:

I detenuti speciali (gli ebrei) sottoposti alla sua (di Himmler) competenza dovevano essere trattati con tutti i riguardi... Non si poteva rinunciare a questa manodopera numerosa, specialmente nelle industrie degli armamenti."
Capiteci qualche cosa!
Né le cose diventano più chiare se si esamina il modo di sterminio. Più sopra si è visto che il gas impiegato era un insetticida, il Ciclon B, usato, dice Hoess, in tutte le asfissie posteriori a quella dei funzionari dell'Armata rossa dei quali si è detto. E' perlomeno bizzarro che per l'esecuzione di simile ordine, anche se verbale, non fosse previsto un gas speciale che non fosse un insetticida.
Comunque sia, ecco la nota informativa del Ciclone B: "Il Ciclon B si presenta sotto forma di frammenti blu, conse
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gnati in scatola dalla quale il gas si libera sotto i getti di vapore acqueo" (p. 228). Mentre invece, come più oltre si vedrà, il dr. Miklos Nyiszli pretende che è al contatto con l'aria che il gas si libera. Maneggiarlo è talmente pericoloso che, allorché lo si utilizza in un locale, prima di entrarvi nuovamente, "BISOGNA AERARLO DURANTE DUE GIORNI" (p. 229), ma l'uccisione degli ebrei con il gas "dura in media una mezz'ora" (p. 174) dopo di che "si aprono le porte e il Sonderkommando comincia SUBITO il suo lavoro di sgombro dei cadaveri" (p. 23)... "trascinando i cadaveri, mangiando e fumando" (p. 10) senza che capiti loro il minimo accidente. Meglio ancora: il primo sterminio fu fatto nella camera mortuaria e, per farvi penetrare il gas "mentre si scaricavano i camions (delle future vittime N.d.A.) si aprirono rapidamente parecchi buchi nelle pareti di pietra e di cemento della camera mortuaria" (p. 172).
Non è detto come si fece giungere il vapore acqueo necessario, né come si turarono i buchi dopo l'introduzione dei ciotoli blu: frettolosamente, senza dubbio, e con vecchi cenci...
No, davvero, tutto ciò è privo di serietà come "il romanzo della portiera" ed è questo romanzo che ci viene presentato come documento probante!
Ma aggiungerò che, oltre le contraddizioni che si rilevano da una pagina all'altra di Parla il comandante di Auschwitz... e quelle messe in risalto dal suo confronto con quanto ha detto il suo autore a Norimberga, la testimonianza da lui fatta sul campo di Auschwitz- Birkenau è redatta in uno stile che la assomiglia stranamente alle pubbliche confessioni degli accusati dei celebri processi di Mosca, che nell'Europa Occidentale nessuno ha preso sul serio.
Ma a che serve polemizzare ancora?
Sull'argomento, nel suo celebre libro Lo zero e l'infinito, Arthur Koestler, mi si perdoni il riferimento, ha detto tutto.

III. - Il testimone Miklos Nyiszli
(Medico a Auschwitz)

Nel marzo 1951,nella rivista mensile diretta da Jean-Paul Sartre Les Temps modernes, un certo Tibère Krémer presentava sotto il titolo: SS Obersturmführer doctor Mengele e il sottotitolo: Diario di un medico deportato al crematorio di Auschwitz, una falsa testimonianza su questo campo, che rimarrà una delle più abominevoli cretinerie di tutti i tempi. Ne era autore, così si diceva, un ebreo ungherese di nome Miklos Nyiszli, di professione medico, com'è precisato nel sottotitolo. Seguivano 27 pagine (1655-1672) di brani scelti. Il numero d'aprile della medesima rivista ne pubblicava altre 31 pagine (1855-1886). Questa falsa testimonianza veniva presentata all'opinione pubblica americana da M. Richard Seaver con prefazione del professor Bruno Bettelheim. Soltanto nel 1961 è stata pubblicata integralmente in lingua tedesca, dal-
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l'illustrato Quick di Monaco, in cinque fascicoli (gennaio-febbraio) sotto il titolo Auschwitz e, in lingua francese, in un volume di 256 pagine, nelle edizioni Julliard, con il titolo Medico ad Auschwitz e il sottotitolo Ricordi di un medico deportato.
Fece colpo in Francia nel 1951: si svolgeva allora il processo a Menzogna di Ulisse e io apparvi agli occhi dell'opinione pubblica un'anima ancor più nera. Fece di nuovo colpo nel 1961, ma in tutto il mondo, questa volta: si era in pieno processo Eichmann.
Perché questo dr. Miklos Nyiszli ne aveva di cose da raccontare! Il suo era inoltre il primo "rapporto" dettagliato di quasi tutti gli orrori dei quali era stato teatro il campo di Auschwitz, specialmente degli stermini nelle camere a gas. Tra l'altro, egli pretendeva che, in questo campo, quattro camere a gas di 200 metri di lunghezza (la larghezza non era precisata) duplicate da altre quattro delle stesse dimensioni per la preparazione delle vittime al sacrificio, asfissiassero 20.000 persone al giorno e, ancora, quattro forni crematori, ciascuno di 15 storte a tre posti, le incenerissero progressivamente. Aggiungeva, che 5.000 altre persone erano, del pari ogni giorno, soppresse con mezzi meno moderni e bruciate in immensi roghi all'aperto; e che, durante sei mesi, aveva assistito personalmente a questi massacri sistematici.
Infine (nell'edizione in volume pubblicata da Julliard, a p. 50) precisava che al suo arrivo al campo (fine maggio 1944, non più tardi), gli stermini con gas, al ritmo già detto, duravano da quattro anni.
Primo accertamento: egli ignorava perfino che se vi erano state delle camere a gas a Auschwitz, non furono installate definitivamente e in grado di funzionare che il 20 febbraio 1943 (Documento NO-4463, già citato).
Secondo accertamento: questo buonuomo non sapeva nemmeno che le camere a gas avevano ufficialmente e rispettivamente: 210 m2 di superficie (esattamente come la prima di cui parla), 400 m2 per la seconda e 508 m2 per le ultime due. In altre parole la camera a gas che egli ha visto e della quale descrive minuziosamente il funzionamento, aveva m. 1,05 di larghezza. Insomma era un lungo corridoio. Egli precisa anche: nel mezzo vi era una fila di colonne vuote dalle quali il gas sfuggiva (queste colonne avevano lo sbocco sul tetto, da dove, attraverso un'apertura, degli infermieri con bracciali della Croce-Rossa gettavano le tavolette di Ciclon B) e, da ogni lato lungo le pareti vi erano banchi sui quali si poteva sedere (non dovevano essere molto larghi, questi banchi!) e 3.000 persone (si procedeva per infornate di 3.000!) vi circolavano con facilità. Ebbene io sostengo che: o il dr. Miklos Nyiszli non è mai esistito, o se egli è esistito, non ha mai messo piede nei luoghi che descrive.
Terzo accertamento: se le camere a gas di Auschwitz e il focolare all'aperto hanno sterminato 25.000 persone al giorno, per quattro anni e mezzo (poiché secondo questo "testimone",
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hanno continuato a sterminare per sei mesi dopo il suo arrivo al campo), il totale sarà:
365 per 4,5 = 1.642 giorni
e i cadaveri:
25.000 per 1.642 = 41 milioni di persone delle quali un po' più di 32 milioni nelle camere a gas, un po' meno di 9 milioni nei focolari all'aperto!
Aggiungo che se ci fosse stata la possibilità per le quattro camere a gas di asfissiare 20.000 persone al giorno (3.000 per infornata, dice il "testimone"), non lo sarebbe stato assolutamente per il relativo incenerimento nei quattro forni crematori. Anche se erano a quattro storte di tre posti: e, se, come lo pretende il dr. Miklos Nyiszli, l'operazione non avesse richiesto più di 20 minuti, ciò che è ancora falso.
Prendendo come base queste cifre, la capacità di assorbimento di tutti i forni funzionanti contemporaneamente non sarebbe stata che di 540 all'ora, malgrado tutto, ossia di 12.960 al giorno di 24 ore. E a questo ritmo sarebbe stato impossibile spegnerli prima della Liberazione, ma solo qualche anno dopo. E a condizione di non perdere un solo minuto durante quasi dieci anni. Se ci si informa al Père-Lachaise circa la durata di un inceneramento di tre cadaveri per storta, ci si renderà conto che i forni di Auschwitz stanno ancora bruciando e non sono prossimi allo spegnimento.
Sorvolo sui due focolari all'aperto (che, dice il nostro autore, avevano 50 metri di lunghezza, 6 di larghezza e 3 di profondità) a mezzo dei quali sarebbero stati bruciati 9 milioni di cadaveri in quattro anni e mezzo.
E per quanto riguarda lo sterminio con gas, vi è un'altra impossibilità, poiché se vi furono camere a gas a Auschwitz, esse non hanno, ufficialmente, funzionato che dal 20 febbraio 1943 al 17 novembre 1944, vale a dire dai 17 ai 18 mesi. Secondo i dati del dr. Miklos NyiszIi, il numero degli "sterminati" con questo mezzo sarebbe portato a circa 11 milioni e, se si aggiungono i 9 milioni dei focolari all'aperto, si salirebbe a una ventina di milioni, che per ignote virtù matematiche sono ridotti a 6 milioni da Tibère Krémer, nella sua presentazione della "testimonianza". Costernante, soprattutto se, come lo pretende il dr. Kasztner, durante 17 o 18 mesi, le camere a gas non sono state in grado di funzionare durante 8 o 9 mesi!
Ma non è tutto: in contraddizione con tutti coloro che hanno testimoniato prima o dopo di lui su Auschwitz, questo dr. Miklos Nyiszli non lo è meno con sè stesso. Come gli altri, anche lui dice (p. 56) che il gas si libera dalle tavolette di Ciclon B, "al contatto dell'aria", mentre Hoess aveva detto: "a contatto con vapori acquei"; è sempre lui che dice (p. 56) che "in cinque minuti" tutti sono morti; il Ciclon B di Hoess invece esigeva "una mezz'ora"; è sempre lui che afferma (p. 36) che gli ebrei ungheresi
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sono stati trasportati a Auschwitz al ritmo di "quattro o cinque treni al giorno", composti di quaranta vagoni contenenti ognuno novanta persone (p. 15), ossia un totale di 3.600, ma per lui sono: "circa cinquemila persone" (p. 18).
Quest'ultima affermazione è sorprendente ove si pensi che la deportazione degli ebrei ungheresi è durata 52 giorni (16 maggio - 7 luglio 1944) secondo il Rapporto Kasztner e la Storia di Joël Brand d'accordo su questo punto, avendo Hoess dichiarato a Norimberga "un periodo da quattro a sei settimane" (T. XI. p. 412).
Calcoliamo sulle quattro ipotesi possibili:
-- 1a ipotesi: 4 treni di 3.600 persone = 14.400 persone giornaliere. E durante 52 giorni = 748.800.
-- 2a ipotesi: 4 treni di 5.000 persone = 20.000 al giorno. E durante 52 giorni = 1.040.000 persone.
-- 3a ipotesi: 5 treni di 3.600 persone = 18.000 persone al giorno. E durante 52 giorni = 936.000.
-- 4a ipotesi: 5 treni di 5.000 persone = 25.000 persone al giorno. E durante 52 giorni = 1.300.000 persone.
Nelle statistiche di fonte ebraica, quella che calcola cifre più alte per gli ebrei ungheresi dice: 437.000 persone. Al lettore, la cura di trarre le conclusioni sui dati numerici di questo singolare testimone. Aggiungo che il Rapporto Kasztner afferma che il 19 marzo 1944, Eichmann è arrivato a Budapest con un comando di 150 uomini e che 1.000 vagoni erano a sua disposizione per effettuare l'operazione di trasporto degli ebrei. Se, come afferma il dr. Miklos Nyiszli, il viaggio durava quattro giorni -- il che è verosimile: da Compiègne a Buchenwald è occorso questo tempo, al convoglio al quale appartenevo -- a partire dal 6· giorno non vi erano più vagoni alla stazione di Budapest e l'operazione restava bloccata fino al 9·. Ciò era stabilito senza tenere conto del numero dei vagoni necessari per condurre, da tutti punti del territorio ungherese, tutti gli ebrei, ai punti di raduno. La sentenza del tribunale di Gerusalemme che ha condannato a morte Eichmann ha completamente annientato questa testimonianza, dichiarando (motivazione 112) che: "in meno di due mesi, 437.351 persone furono deportate in 147 treni merci, in ragione di 3.000 per treno, uomini, donne, vecchi, bambini, ossia da 2 a 3 treni per giorno in media", ma questa nuova versione non vale molto di più, come si vedrà in seguito.
Non si contano i passi della testimonianza del dr. Miklos NyiszIi nei quali egli risulta in contraddizione con se stesso: quando il crematorio era in funzione, il suo naso e la sua gola sono afferrati "dal puzzo della carne che arde e dei capelli che si bruciacchiano" (p. 19); ma: "si tosano i morti" (p. 60) dopo l'uscita dalla camera a gas e prima di incenerirli, poi "mani grossolane hanno tagliate le trecce dei loro capelli curati" (p. 168) prima di inviarli alla doccia e alla camera a gas. E via di seguito con questo passo.
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Ma quello che si può scoprire confrontando la versione francese di questa pretesa testimonianza con la sua versione tedesca apparsa nell'illustrato Quick di Monaco, a puntate dal 15 gennaio 1961, è quanto mai significativo. In questa nuova versione i crematori non inceneriscono tutti assieme più di 10.000 persone al giorno, invece di 20.000. Esattamente come se un tiratore scelto che fa centro a 40 o 50 metri in francese, non riesce più a colpire il bersaglio che a 20 o 30 metri in tedesco. Un istituto che è "il più celebre del III Reich", nel primo caso, è divenuto "il più celebre del mondo", nel secondo. "Graziosi tappeti" diventano "tappeti persiani". Il campo di Auschwitz che poteva contenere "fino a 500.000 persone" non è più che "gigantesco"; senza dubbio la precisione è sparita, perché nel periodo compreso tra il 1951 ed il 1961 l'autore -- morto, del resto, da molto tempo, come si vedrà più avanti -- ha scoperto, per interposta persona, che a Norimberga, Hoess aveva dichiarato : "che aveva contenuto fino a 140.000 persone" (T. XI, p. 416). Una distanza di tre chilometri è ridotta a cinquecento metri, ecc...
Perciò, se si tratta di un documento autentico, deve essere il medesimo nel 1951 come nel 1961: nella sua versione francese e nella sua versione tedesca, diversamente, si tratta di documento apocrifo. Il fatto che le due versioni non concordino tra loro quasi in nulla, e né l'una né l'altra nella descrizione dei luoghi, come è possibile dedurre dai documenti presentati a Norimberga, autorizza a sostenere che questo Miklos Nyiszli non ha mai posto piede a Auschwitz: come minimo. E insisto, come minimo. Avrei dovuto dubitarlo fino dalla prima pagina della sua testimonianza. Non ha infatti detto del convoglio di cui faceva parte: "lasciando dietro di noi il Tatra, passiamo davanti alle stazioni di Lublino e Cracovia" (per andare a Auschwitz, dalla frontiera ungaro-russa). Ciò prova inoltre che, non conoscendo il campo di Auschwitz perché mai lo aveva visto, non poteva conoscere nemmeno la via che vi conduceva.
Eppure si è trovata a Parigi una casa editrice che ha messo in circolazione questa imbecillità.
Nell'aprile del 1951, quando gli estratti di questa testimonianza vennero pubblicati da Les Temps modernes, io scrissi all'autore. Il 24 ottobre dello stesso anno egli mi rispose per mezzo di Tibère Krémer che in effetti vi erano state "2.500.000 persone sterminate nelle camere a gas di Auschwitz"...
Nel febbraio 1961, dopo aver letto il testo integrale in Quick, scrissi a Tibère Krémer: la lettera mi è stata rimandata con questa osservazione: "non abita più all'indirizzo indicato". Allora mi sono rivolto direttamente a Quick: mi è stato risposto che non era possibile far pervenire la mia lettera al dr. Nyiszli perché era morto (!).
Nel novembre, sempre del 1961, dopo aver esaminato il testo
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integrale dell'edizione francese, mi sono rivolto all'editore Julliard, pregandolo di volere cortesemente trasmettere le già riferite osservazioni, almeno al dr. Tibère Krémer, del quale egli doveva conoscere l'indirizzo, avendo da lui ricevuto la traduzione che aveva pubblicato. E aggiungevo:

"I documenti storici hanno diritto al rispetto e non devono essere pubblicate inconsideratamente versioni che non si possono garantire. Nel caso in parola, da dieci anni, obbligatovi dai miei lavori, faccio ricerca dell'originale e nessuno ha potuto dirmi dove fosse possibile prenderne visione. I più qualificati storici del mondo ne ignorano tutto. Le versioni che ne sono state pubblicate sono divergenti e si contraddicono da una pagina all'altra. L'autore parla di luoghi che evidentemente non ha mai visti, ecc... Se dunque vi fosse possibile fornirmi elementi di certezza che mi permettessero di scrivere sulla scheda del dr. Nyiszli "documento autentico" quando mi riferisco a lui, nei miei lavori, ve ne sarò particolarmente grato."


L'otto dicembre Pierre Javet, uno dei direttori letterari dell'editore Julliard, a nome, appunto, di questi, mi rispondeva:

"Vi ringrazio vivamente per avermi fatto pervenire la copia dattilografata della vostra lettera del 16 novembre.

Oggi stesso la trasmetto a Tibère Krémer, traduttore di Medico a Auschwitz del dr. Miklos Nyiszli, affinché possa rispondervi.

Posso intanto dirvi che il dr. Nyiszli è morto, ma sua moglie è tuttora vivente. Ho d'altra parte mostrato il suo libro a parecchi deportati: ne hanno confermata l'autenticità.

Vi prego, signore, di accettare l'espressione dei migliori sentimenti. Firmato: Pierre Javet."


Sono sempre in attesa della risposta di Tibère Krémer.
E' probabile che non la riceva mai. Anzitutto, come è stato detto, il 24 ottobre 1951, Tibère Krémer mi ha trasmesso una risposta del dr. Nyiszli alla mia lettera dell'aprile 1951. Ma dopo, le ricerche alle quali continuo a dedicarmi in relazione a questo singolare testimone mi hanno valso, da New York dove il libro fu pubblicato nel 1951, un'informazione secondo la quale il dr. Nyiszli era morto molto prima che la sua testimonianza fosse pubblicata per la prima volta. Se fosse vero, questo testimone morto -- uno di più -- avrebbe avuto la prerogativa di avermi personalmente scritto dopo essere morto.
Comprensibile quindi il silenzio di Tibère Krémer.
Senza commenti.

IV. - Il testimone Kurt Gerstein

6 giugno 1961.
Il Tribunale di Gerusalemme che giudica Eichmann è al cospetto di testimonianze sugli sterminii degli ebrei, che si sostiene esser stati perpetrati al campo di Belzec. I
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giornalisti che danno i resoconti dei dibattiti alle udienze si esprimono press'a poco come l'inviato di Le Figaro (Parigi).

"Il terzo campo di sterminio del quale è stato trattato (alla udienza del 6 giugno al Processo Eichmann), quello di Belzec, tra Lublino e Lemberg, non ha lasciato che un solo sopravvissuto alla fine della guerra, morto in un secondo tempo.

Il Pubblico Ministero si vale di una serie di deposizioni fatte agli ufficiali alleati da Kurt Gerstein, luogotenente del servizio di Sanità delle Waffen SS, il quale, poi, s'impiccò nella prigione militare di Parigi. Gerstein era stato incaricato da Eichmann di fare uno studio dei veleni più rapidi" (Le Figaro, 7 giugno 1961).
E di nuovo, ecco sulla prima pagina dei giornali, come già lo fu nel gennaio 1946 al processo di Norimberga, Kurt Gerstein. Dopo il processo di Gerusalemme vi è stato recentemente riportato, in Europa, da un lavoro teatrale Der Stellvertreter o "Il Vicario" (edito da Rowohlt, Reinbeck bei Amburg - 1963) il cui autore è un certo Rolf Hochhuth. Si tratta di una storia altrettanto macabramente fantasmagorica quanto quella di Miklos Nyiszli.
Nei primissimi giorni del maggio 1945 (il 5, sembra), le truppe alleate (francesi) entrando a Rottweil (Württemberg) avrebbero trovato in un albergo e fatto prigioniero un certo Kurt Gerstein: portava l'uniforme delle SS con la testa di morto, e aveva le spalline di Obersturmführer. Fu avviato verso Parigi dove venne internato in una prigione militare, al Cherche-Midi secondo alcuni, a Fresnes, precisano altri, dove si sarebbe suicidato. Insomma non si sa con esattezza dove. Un mattino di luglio, il 25 dicono quasi tutti i commentatori, e specialmente il professor H. Rothfels (Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte [Quaderni trimestrali di storia contemporanea] n. 2 aprile 1953, p. 185), ma nulla è meno sicuro: il 10-3-1949, la vedova Gerstein avrebbe comunicato di aver ricevuto dalla Commissione per l'aiuto spirituale ai prigionieri di guerra, che ha la sede a Ginevra, il seguente lapidario comunicato sulla morte del marito:
"Purtroppo, nonostante molteplici premure non è stato possibile ottenere più esatte informazioni sulla morte di suo marito, e anche il luogo della sua sepoltura è imprecisabile."
Li per lì, nè l'arresto nè la morte dell'uomo furono resi noti. Almeno, per quanto mi risulta. Fu soltanto il 30 gennaio 1946, ossia nove mesi dopo, che esse assunsero l'uno come l'altra un carattere sensazionale per l'interesse improvvisamente attribuito loro da due insigni balordi.
Il primo e più noto dei due fu senza dubbio Dubost, Procuratore francese presso il Tribunale di Norimberga (Processo dei grandi criminali di guerra). Negli archivi della Delegazione americana, egli aveva scoperto un certo numero di fatture di Ciclon B, fornito ai campi di concentramento di Auschwitz e di Oranienburg dalla Degesch-Gesellschaft di Francoforte s/M., recanti la data del 30 aprile 1944, accluse a un racconto in francese firmato "Kurt Gerstein, Obersturmführer delle SS" relativi agli stermini degli
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ebrei nelle camere a gas dei campi di Belzec, Chelmno, Sobibor, Maidanek e Treblinka (T. VI, p. 345-47). Dopo, dice Rothfels (Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, op. cit., p. 117) questo documento è stato utilizzato, in lingua tedesca, nei suoi passi principali, come prova, dall'accusa, al Processo dei Medici a Norimberga il 16-1-1947. La parte concernente il Ciclon B e le fatture accluse servirono sempre come accusa al Processo della Degesch-Gesellschaft a Francoforte, nel gennaio 1949.
La data di questo documento è stata resa pubblica per la prima volta al Processo dei Medici: 26 aprile 1945. E fino all'articolo di H. Rothfels, su citato, si è sempre trattato di una versione francese che fu tradotta in tedesco per le esigenze degli atti giudiziari. Nel Bréviaire de la haine (Breviario dell'odio - Parigi 1961, pp. 220 sgg.), Poliakov si serve di questa versione francese, senza citare mai la data. Lo stesso fanno, nel 1959, Heydecker e Leeb in Le Procès de Nuremberg. In Der Gelbe Stern (Stella Gialla - Amburgo 1961), Schoenberner fornisce la data del 4 maggio 1945. Ma, nel 1961, la motivazione 124 della sentenza del Tribunale di Gerusalemme che ha condannato Eichmann non cita nessuna data e inoltre la versione francese che vi si trova non ha nessuna somiglianza con quella pubblicata da Poliakov nel 1951. Ma, cosa straordinaria, è proprio ancora grazie a Poliakov che noi possiamo conoscere questa seconda versione (Le Procès de Jérusalem, Parigi 1962, pp. 224 e seg.) e sembra che egli la dia apparentemente senza ricordarsi che è egli stesso ad aver dato l'altra.
E' stato necessario attendere il Processo dei Medici, il 16 gennaio 1947, quello della Degesch-Gesellschaft, gennaio 1949, e sopratutto il già citato articolo di H. Rothfels, per sapere che questo documento era finito negli archivii della Delegazione americana, dove il Procuratore Dubost l'aveva trovato (Kurt Gerstein era stato interrogato il giorno stesso del suo arresto e nei giorni seguenti, dal maggiore D. C. Evans e da J. W. Haught) e che non vi erano annesse solamente due fatture della Degesch-Gesellschaft, ma dodici, ripartite tra il 14 febbraio e il 31 maggio 1944. Nella stessa circostanza si seppe pure che alla versione francese, composta di sei pagine dattiloscritte terminate da una nota manoscritta certificante l'autenticità del contenuto, seguita dalla firma dell'autore (Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, op. cit., pag. 178), erano state aggiunte due pagine, del pari manoscritte e firmate, ma in inglese, recanti la stessa data e nelle quali è detto che non più di quattro o cinque persone, tutti nazisti, hanno potuto vedere ciò che lui ha visto; inoltre vi era una pagina nella quale egli domandava che la sua dichiarazione non fosse resa pubblica prima di aver accertato se il pastore Niemöller fosse morto a Dachau, o se fosse sopravvissuto; e ancora altre 24 pagine dattilografate in tedesco con una nota manoscritta, datata 4 maggio 1945, ma non firmata (Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, op. cit., p. 179). Sembra, almeno lo pretende H. Rothfels, che lo racconta,
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che questa versione tedesca in 24 pagine e quella francese siano "sommariamente in tutti i punti identiche". Dato che vi sono due versioni francesi che differiscono tra loro, quella pubblicata da Poliakov nel 1951 e quella che figura alla motivazione 124 della sentenza di Gerusalemme, non corriamo rischi se gli chiediamo quale delle due egli prende come termine di riferimento.
Ma torniamo a questa o a queste due versioni francesi: nel gennaio 1946 gli americani non si erano ancora resi conto dell'importanza di questo documento in partita doppia, anzi tripla -- se dobbiamo credere a H. Rothfels -- e non era stato da loro ritenuto degno di essere presentato come prova contro gli accusati, davanti al Tribunale.
Ma fortunatamente Dubost era là: il 30 gennaio 1946, egli lo estrasse dalla sua cartella e lo depositò con riferimento: PS-1553RF-350.
Ecco quello che accadde...

***

Ma prima di tutto, chi era Kurt Gerstein?
A questa essenziale domanda, la lettura dei 42 volumi del resoconto del Processo di Norimberga non permette di dare risposta. Per ragioni che il lettore non tarderà a comprendere, il Tribunale non ha, in effetti, voluto sentir parlare di Kurt Gerstein né del suo racconto. E non ha preso in considerazione, del fascio di documenti presentati da Dubost, che le due fatture in data 30 aprile 1944 riferentisi ognuna a 555 kg di Ciclon B; una per Auschwitz, l'altra per Oranienburg.
Il giorno dopo, 31 gennaio 1946, i giornali di tutto il mondo riproducevano, senza batter ciglio, ciascuno a modo proprio ma in forma tale da non permettere dubbi circa l'autenticità, questo documento, la cui lettura era stata rifiutata all'udienza della vigilia.
E' da questa "offensiva della stampa" che inizia lo sfruttamento, fatto da oltre 15 anni, da quegli eminenti storici che si chiamano: Poliakov (Breviario dell'odio), i tedeschi H. Krausnick (Documentazione sullo sterminio a mezzo gas), J. J. Heydecker e J. Leeb (Il processo di Norimberga), Gerhardt Schoenberner (Stella gialla) ecc... (chiedo scusa ma non ho letto altro, non essendo possibile leggere tutto, di questo genere di letteratura) i quali col processo Eichmann hanno fatto la loro fortuna.
Dopo un anno di pubblicità fatta attorno a quest'ultimo processo, li abbiamo visti tutti, uno dopo l'altro, risalire al vertice dell'attualità -- come la feccia scende sul fondo delle botti -- sia pure con fatica, è vero: il 1946 è lontano, e l'opinione pubblica è un poco più difficile. Per fortuna.
Kurt Gerstein era ingegnere-chimico, secondo quanto si può dedurre dagli scritti di questi brillanti storici. Nel 1938, egli ebbe
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delle noie con la Gestapo e fu internato nel campo di Welzheim. Come abbia potuto uscirne, resta un mistero. Comunque sia, nel 1941 lo si ritrova nella SS (vi si è arruolato per poter sabotare dall'interno l'opera di sterminio, così dice!) e nel 1942 nella Waffen SS, col grado di Obersturmführer nella "sezione igiene" (Abt. der Entwesung und der Entseuchung) del Servizio Sanitario Centrale (Hauptamt des Sanitaetsdienstes). In questa qualità era incaricato di ricevere le ordinazioni di Ciclon B utilizzato come disinfettante dalla Reichwehr dopo il 1924, e poi anche dalla Wehrmacht, che non avevano la fortuna di conoscere il DDT. Queste commissioni egli le trasmetteva alla Degesch-GeselIschaft di Francoforte s/M o alla filiale, la Testa, di Amburgo, con l'ordine di consegna. E naturalmente ne riceveva le fatture.
I fatti che narra -- sarebbe più esatto dire quelli che si trovano nel racconto che gli è attribuito -- accadono nel 1942.
L'otto giugno di quell'anno, dunque, egli ricevette nel suo ufficio l'SS Sturmführer Günther che gli disse di avere urgente bisogno di 100 kg di Ciclon B, per portarli in luogo conosciuto solamente dall'autista del camion.
Qualche settimana dopo, l'autista in parola si presenta accompagnato da Günther e subito caricano i 100 kg di Ciclon B e Gerstein, e partono per Praga e poi per Lublino dove arrivano il 17 agosto. Lo stesso giorno si incontrano con il Gruppenführer (generale) Globocnik, incaricato dello sterminio degli ebrei nel Wartegau, che non ha ancora trovato altro mezzo per svolgere il suo compito che l'uso del gas di scappamento dei motori Diesel (!) immesso nelle camere appositamente preparate a questo scopo.
Naturalmente, il Gruppenführer, che sembra possedere il senso della logica, comincia a dare spiegazioni. Nella regione vi sono tre installazioni per lo sterminio degli ebrei con gas Diesel: anzitutto Belzec (sulla strada Lublino-Lwow), con una capacità di 15.000 persone al giorno; Sobibor (ma egli non sa dove si trovi esattamente), con una capacità di 20.000 persone al giorno; Treblinka (a 120 Km a N-N-E di Varsavia, senza indicazione di "capacità", secondo M. Poliakov, mentre Heydecker e Leeb precisano: 20.000 persone al giorno... perché questo singolare "documento" non dice le stesse cose agli uni e agli altri!).
Ma non basta: c'è da aggiungere che una quarta installazione, Maïdanek, è in allestimento, ma nessuna indicazione è fornita sulla capacità prevista e l'ubicazione. Per essere esaurienti su questo punto, devo dire che in Stella gialla (edizione tedesca) di Gerhardt Schoenberner, questa parte del documento non è riprodotta: senza dubbio si tratta di un nuovo metodo storico. Tuttavia citando queste quattro località, Gerhardt Schoenberner fa tracciare alla penna di Gerstein una capacità totale di 9.000 persone al giorno per le quattro installazioni.
Dal Breviario dell'odio di Poliakov e da Documentazione dello sterminio con gas di Krausnick si può anche dedurre che il
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Führer era a Lublino l'anti-vigilia del 15 agosto (nelle fucine dei falsi storici evidentemente non si conoscono difficoltà!) con Himmler e che essi hanno dato ordine "di accelerare tutta l'azione". Ma questa parte del documento non è riprodotta in Stella gialla di Schoenberner e nemmeno nel Processo di Norimberga di Heydecker e Leeb.
Infine Globocnick mette -- sempre secondo i due autori ora citati -- al corrente Kurt Gerstein della sua missione: migliorare il servizio delle camere a gas, specialmente coll'uso di un gas più tossico e di un metodo meno complicato.
Poi si lasciano, dopo aver deciso di trovarsi l'indomani a Belzec.
Dopo aver riferito ciò che gli è stato detto, Gerstein racconta quello che ha visto lui...

***


Arrivato a Belzec, il 18 agosto, Kurt Gerstein ha cominciato col visitare il campo con la guida di una persona che Globocnik ha messo a sua disposizione. Poliakov non ha potuto leggere il nome di questa persona, ma con un po' di attenzione ha creduto di poter decifrare "Wirth". Più fortunato di lui, Schoenberner ha potuto leggere chiaramente "SS Hauptsturmführer Obermeyer de Pirmasens": v'è solo il guaio che, quando deve parlare del SS Wirth, che è una persona diversa da quella di cui parla Poliakov, gli affibbia il grado di "Hauptmann" che... non è mai esistito tra gli SS...
Comunque, durante questa visita, egli ha visto le camere a gas operanti con gas di scappamento Diesel, e le ha misurate: 5 x 5 = 25 m2 di superficie; 1,90 m di altezza = 45 m3, calcola lui. Non diremo nulla dei m3 2,5 di errore (nelle sei pagine scritte direttamente in francese, la superficie resta di m2 25, ma le dimensioni diventano 5 per 4). Krausnick, Heydecker, Leeb e Schoenberner, non hanno d'altronde detto nulla, nemmeno loro. Più desideroso della verosimiglianza, Poliakov ha corretto il documento (come abbiamo l'onore di dirvi!): 93 m2 di superficie, secondo la sua valutazione (Breviario dell'odio, p. 233, seconda edizione - non ho letto la prima!) senza altre indicazioni, e si è dimostrato prudente. Ma nel Processo di Gerusalemme (Parigi 1962) dopo che il Tribunale ha ammesso come prova la versione che dichiara sia 25 m2 di superficie, sia le dimensioni di 4 per 5, Poliakov, che non è in contrasto su questo punto, lo ammette anche lui.
Come ha avuto ragione di correggere il documento! Infatti Kurt Gerstein, proseguendo nel suo racconto, dice che il giorno seguente, in effetti, il 19 agosto, ha visto le camere a gas -- quattro dicono gli uni, dieci protestano gli altri -- in azione:
All'alba un treno di ebrei, 6.700 persone -- 6.000, ha letto Poliakov -- uomini, donne, bambini chiusi in 45 vagoni (da 148 a 150 persone per vagone dunque, e per coloro che conoscono i vagoni
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merci polacchi, la misura è abbondante) arriva da Lemberg alla stazione di Belzec, situata accanto allo stesso campo: non vi sono dubbi che questo treno di 45 vagoni con 6.700 persone o solamente 6.000, è stato il treno dell'incubo di tutti i treni di deportati. Sarà bene ricordare che il dr. Miklos Nyiszli non ha osato andare oltre le "5.000 persone circa" per treno. Decisamente questo Kurt Gerstein non ha senso della misura e per un ingegnere non è troppo lusinghiero.
Ma continuiamo:
200 ucraini, sferza di cuoio in mano, si precipitano sulle portiere, le strappano (!) e fanno scendere tutti, sotto sorveglianza di altri ucraini armati di fucile carico... L'"Hauptmann delle SS" Wirth dirige la manovra assistito da qualcuno delle sue SS: svestirsi completamente, farsi tagliare i capelli dopo avere consegnato i valori, e via, verso le camere a gas.
"Le camere si riempiono". Stringersi bene, ha detto l'"Hauptmann" Wirth. Ma tutta questa gente sta sulla punta dei piedi: da 700 a 800 su 25 m2, in 45 m3. L'SS ne stipa quanti può. "Le porte si chiudono" dice Schoenberner in Stella Gialla; e, con stile diverso, gli altri dicono la stessa cosa, ad eccezione di Poliakov che rimane ai suoi 93 m2 di superficie.
Sono invece tutti d'accordo circa la durata dell'operazione misurata da Gerstein, cronometro alla mano: anzitutto le 700 o 800 persone stipate nelle camere a gas hanno dovuto aspettare per 2 ore e 49 minuti che il motore Diesel si mettesse in moto, dopo di che sono occorsi altri 32 minuti perché tutti fossero morti. Ripeto: cronometro alla mano...
Questa la storia macabramente rocambolesca che Dubost -- un Procuratore, non un uomo qualsiasi, ed un Procuratore senza dubbio stimato poiché fu scelto tra i suoi pari per rappresentare la Francia a Norimberga -- ha voluto fare ammettere dal Tribunale Internazionale il 30 gennaio 1946...
Il Tribunale non si è prestato al gioco: rendiamo a Cesare... Precisando tuttavia che non si è prestato a causa dell'enormità del caso, perché in altre circostanze ha ingoiato, senza batter ciglio, rospi di calibro analogo.
Ma l'indomani, 31 gennaio 1946, la stampa mondiale ha presentato la storia, da far dormire in piedi e far piangere dormendo, di Kurt Gerstein come documento autentico e indiscutibile.
Ancora oggi -- dopo oltre 15 anni! -- uomini che pretendono il titolo di storici osano presentarla nei libri come autentica e indiscutibile, e non perdono per questo la stima e il favore della stampa di tutto il mondo.
Se ne è tenuto conto allo stesso Processo Eichmann e come ho detto precedentemente è stata di recente messa in scena in Germania, su testo scritto dal citato Rolf Hochhuth, sfrontatamente in cerca di pubblicità letteraria a mezzo dello scandalo.
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Il racconto di Kurt Gerstein al processo Eichmann è stato presentato dal Pubblico Ministero come "una serie di deposizioni fatte (dall'interessato) davanti agli ufficiali alleati". La sentenza di Gerusalemme non accenna a questa serie di deposizioni, che mai sono state rese pubbliche. Subito una considerazione: non conosciamo tutto dell'incartamento Gerstein. Perché? Temo che la risposta a questa domanda sia tutta in un piccolo fatto: nell'articolo di H. Rothfels (op. cit.) è detto che: "Manca specialmente la valutazione del numero totale di vittime, generalizzata e molto esagerata inserita nel testo francese" (p. 179) e nella nota (p. 180). "Gerstein valuta qui circa 25.000.000". ("Non solo ebrei, bensì anche polacchi e cechi"). Veramente era un po' troppo. Ma ciò che sbalordisce è che i profittatori di questo singolare documento non abbiano trovato che le camere a gas di 25 m2 di superficie (o soltanto di 20 m2, se ci si limita alle dimensioni fornite!) che potevano contenere da 700 a 800 persone, costituivano un'esagerazione di carattere ancor più scandalosa, il che è molto significativo. Ma non dimentichiamo la confessione grave secondo cui, delle dichiarazioni di Kurt Gerstein, non sono state rese pubbliche che quelle considerate obiettive ("sachlich", dice Rothfels, p. 179) e quindi vere. Dunque, un'altra testimonianza rimaneggiata. La mia opinione è che le persone incaricate di manipolare queste dichiarazioni e ne hanno ritenuto quanto è andato per la maggiore, sono semplicemente un caso psichiatrico, il che, nel caso di quelli che insegnano, è gravissimo. Nè si comprende perché i governi che li stipendiano non abbiano pensato a proteggere contro il loro evidente squilibrio mentale la sanità morale della gioventù studentesca del mondo intero.
In quanto alla commedia, sono da segnalare soltanto le garanzie di autenticità sulle quali l'autore si appoggia, per riprendere anche lui tutte le asserzioni contenute nel documento Gerstein, tale quale è stato fatto conoscere al pubblico, particolarmente: "le 700 o 800 persone asfissiate" nelle camere a gas di "20 o 25 m2 di superficie". Naturalmente, nel novero delle garanzie, figura il Pastore Niemöller (si è potuto giudicare il valore della sua testimonianza a proposito di Dachau, e della sua moralità abbiamo un congruo ritratto a pag. 32 e seg.); un certo prof. Golo Mann che attesta gli stermini in una camera a gas di Mauthausen -- dove non esistevano -- dal 1942; altre persone del medesimo valore e livello morale; articoli di giornali scritti da gente non qualificata. Chiacchiere... e perfino il vescovo Dibelius, ritenuto a mio parere -- capace di un ben maggiore discernimento. Almeno sino allora.
Tutto questo supera la comprensione. Vero è, che non ci si deve meravigliare di nulla: a questo processo Eichmann, i giudici hanno accettato per veri racconti di gente che ha visto -- visto coi propri occhi -- in azione le camere a gas di Bergen-Belsen, delle quali perfino l'Istituto di Storia contemporanea di Monaco, cam-
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pione del resistenzialismo mondiale ha dovuto convenire che... non erano mai esistite.
E, senza dubbio per fare degno riscontro al Vicario, del nominato Rolf Hochhuth, recentemente, in Francia, si è pubblicato Tragedia della deportazione (fine 1962) nel quale, con garanzie della signora Olga Wormser e di Henri Michel, persone come la signorina Geneviève de Gaulle e la dolce Germaine Tillion riaffermano l'esistenza di camere a gas e l'uso sistematico dello sterminio con questo mezzo, nell'uno o nell'altro di questi campi, nei quali, lo ripeto, l'Istituto di Storia contemporanea di Monaco afferma che non esistevano.
Con toni patetici, la grande stampa ogni giorno si stupisce per la rinascita del nazismo e dell'antisemitismo -- tra i quali non fa differenza. Ciò che invece stupisce me, è che, nonostante il rimaneggiamento dei testi di Poliakov e compagni, non sia ancor divenuto più virulento, almeno sino ad oggi, il razzismo e l'antisemitismo che prende di mira gli ebrei.
Perché, da parte loro, essi non hanno trascurato nulla per favorirlo.
Se è vero che Kurt Gerstein ha fatto la dichiarazione della quale abbiamo letto il riassunto (la si troverà per esteso in appendice a questo capitolo, nella versione francese, data due volte in due forme molto diverse da Poliakov) e sapendo che era un ingegnere, dobbiamo pensare che evidentemente quest'uomo non era più in possesso di tutte le sue facoltà, e allora è importante sapere perché. A mio avviso, a questo proposito sono rivelatrici le indicazioni fornite sulle circostanze della sua morte. Se si deve credere all'avventato H. Rothfels (op. cit. p. 185, nota 25), la vedova Gerstein sarebbe stata informata della avvenuta impiccagione del marito, con la seguente precisione: "...La morte è dovuta a impiccagione. Questo modo di procurarsi la morte non può assolutamente essere evitato in prigione". Possibilissimo. Ma costituisce una ragione di più per sapere dove è accaduto l'avvenimento e ciò che si è fatto del cadavere, e la doppia ignoranza confessata dalle autorità ufficiali mi sembra possa spiegare molte cose.
Supponiamo che i due minus habens armati fino ai denti che, come è stato detto, hanno proceduto all'interrogatorio di Gerstein, si siano trovati in presenza di un uomo che al momento in cui era stato consegnato nelle loro mani, a questo scopo, non avesse ancora scritto niente; oppure che tra la data del suo primo interrogatorio, avesse scritto unicamente quanto aveva realmente visto e che doveva essere già piuttosto orribile conoscendo il carattere selvaggio assunto dalla guerra nell'Est, da entrambi i lati della linea del fuoco: a leggere le memorie di tutti coloro che sono stati arrestati in Germania in questo periodo e nelle stesse drammatiche condizioni, è proprio ciò che generalmente è accaduto loro, invitati come lo sono stati da coloro che li avevano arrestati a scrivere le loro confessioni, e allora questa supposizione non è
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del tutto gratuita. Che Kurt Gerstein abbia scritto le sue in francese o in tedesco, non ha la minima importanza: d'altronde egli lo ha fatto nelle due lingue, come, almeno, si dice. Supposto inoltre, e non è del pari affatto gratuito conoscendo gli usi dei militari e dei poliziotti, che, cominciando dal testo francese abbiano cercato di fargli dire di prepotenza quanto è contenuto in questo documento che porta il suo nome e che rappresentava la loro opinione del momento circa gli avvenimenti in parola (nel campo degli Alleati quello era il "tema" della propaganda anti-tedesca) e conoscendo il livello intellettuale dei militari e dei poliziotti di tutti i paesi del mondo, non è sorprendente che quei due minus habens ne abbiano fatto la loro professione di fede. Allora, avrebbero personalmente proceduto alla compilazione del testo francese sottoponendolo poi alla firma di Gerstein, invitandolo a scrivere qualche riga a mano, in fondo all'ultimo foglio, per rendere indiscutibile l'autenticità. Si può immaginare la scena: ingegnere -- e un po' medico si dice -- Kurt Gerstein avrebbe rifiutato di controfirmare e di autenticare tutte queste assurdità tecniche che non resistono all'esame, e allora i due ideatori dell'intrigo gli avrebbero fatto subire il trattamento d'uso in casi come questo. Procedendovi tuttavia piuttosto rudemente, ciò che è molto probabile dato il carattere di Gerstein, generalmente presentato come uomo incapace di dire quello che non voleva dire, senza opporre resistenza. Insomma un trattamento adeguato alla sua resistenza. Medesimo gioco per il testo tedesco che si presenta più lungo, ma nello stesso modo: scritto a macchina con una nota a mano, ma non firmata. Precisazione supplementare: la nota manoscritta è più breve e inoltre vi manca la formula di certificazione per giuramento che figura nel testo francese. Ne concludo: supposto infine che Kurt Gerstein sia stato interrogato con tanta correttezza da cadere privo di sensi, o in coma, poi sia morto, prima di aver scritto la formula e firmato...
Tutto allora sarebbe chiarissimo. Morto nel corso degli interrogatori a Rottweil stessa, in seguito al trattamento che gli è stato inflitto per ottenerne delle confessioni, Kurt Gerstein non sarebbe mai stato trasferito a Parigi per esser posto a disposizione della Sicurezza Militare, e questo suo immaginario trasferimento sarebbe stato presentato come effettivo, al solo fine di far sparire il suo cadavere, sul quale, in mancanza di autopsia, un semplice esame avrebbe reso leggibili a occhio nudo le vere cause del suo decesso. E con ciò evitando l'inevitabile conseguente scandalo. Questa ipotesi spiegherebbe inoltre perché gli americani abbiano lasciato dormire il documento che porta la firma di Gerstein negli archivi della loro delegazione a Norimberga, dove il Procuratore Dubost l'ha scoperto. In tali condizioni è assai facile comprendere che essi non abbiano avuto alcun desiderio di far risalire alla superficie questo cadavere presentando la sedicente testimonianza alla sbarra del Tribunale. Rifiutandola come non probante e impe-
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dendo a Dubost, persino, di leggerla, il Presidente dell'udienza del 30 gennaio 1946 sapeva benissimo quello che faceva. Ma Dubost che non si è mai limitato a una gaffe, l'aveva comunicata alla stampa e da quel momento non vi fu più mezzo di fare marcia indietro: bisognava sostenere la sua autenticità per non perdere la faccia davanti all'opinione pubblica messa così, e in questa direzione, in allarme.
Non vi sono che altre tre ipotesi possibili:
1) a Rottweil stessa, interrogato come Kurt Gerstein è sicuramente stato, per ottenere da lui confessioni così clamorosamente in urto con le verità tecniche, egli ha potuto pensare che si sarebbe preteso che gli venisse alla sbarra d'un tribunale per confermarle, e che allora non gli sarebbe rimasta che la possibilità di esporle dichiarando come gli erano state estorte; e giudicando il trattamento che per questo gli sarebbe poi stato inflitto -- con il ricordo di quello che aveva appena subito -- in un momento di depressione ha voluto finirla con la vita, per soffrire meno, e si è suicidato. Ma era sempre indispensabile far sparire il cadavere per far sparire le tracce che portava;
2) oppure è veramente stato trasferito a Parigi, dove per fargli dire di più si è continuato a trattarlo come a Rottweil e, per la stessa ragione, come già si è detto, egli si è suicidato: per la stessa ragione come già si è detto, bisognava sempre far sparire il cadavere;
3) oppure infine a Rottweil, o a Parigi, giudicando l'impossibilità di ottenere da lui più di quanto già aveva detto, o per evitare che egli ritrattasse alla sbarra del tribunale, coloro che l'hanno interrogato l'hanno freddamente soppresso per permettere che la sua prevesa testimonianza fosse presentata dall'accusa senza correre il rischio di essere contraddetta dall'interessato; ma bisognava sempre far sparire il cadavere, date le condizioni nelle quali si trovava, che avrebbero smentito la tesi del suicidio.
In tutti i casi, come si vede, bisognava che il cadavere non fosse reperibile.
Ritengo che la più verosimile di queste quattro sole ipotesi, è la prima. Per la seguente ragione: nel luglio 1945 tutti i servizi amministrativi funzionavano di nuovo, se non alla perfezione, almeno normalmente in tutta la Francia, e in tutte le prigioni militari o civili il registro dei carcerati era aggiornato. Dunque: o il nome di Kurt Gerstein figura nel registro di una di queste prigioni nella colonna "incarcerato il...", allora la colonna "scarcerato il..." è vuota, e alla colonna "osservazioni" figurano la data, l'ora, le circostanze della sua morte, la persona o l'organismo al quale il corpo è stato consegnato e il luogo dove è stato interrato; oppure, come è il caso, non si sa nulla di tutto questo e Kurt Gerstein non è mai stato incarcerato in alcuna prigione militare o civile di Parigi. Allora questo significherebbe che, se ha lasciato
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Rottweil con destinazione Parigi, mai egli vi è arrivato. Assassinato durante il viaggio? E' possibile. E allora il più preciso di tutti coloro che ci hanno detto dove si è suicidato, è sempre l'ineffabile Rothfels che scrive: "Gerstein è trattato allora (dopo il suo arresto) in modo onorevole, col permesso di muoversi da Rottweil a Tübingen (dove abitava la famiglia). Poi venne portato a Parigi in prigione (a quale data, non dice). Là il 25 luglio 1945, nella "prigione militare della città si è dato la morte" (op. cit. p. 185).
Oltre questa libertà di movimento che fu lasciata al prigioniero mentre era ancora a Rottweil, e che costituisce un non piccolo motivo di stupore, il più curioso tratto di questo racconto è che egli si sia suicidato nella "Prigione militare di Parigi". Perché a Parigi non vi è una ma vi sono delle prigioni militari. Ognuna amministrativamente indicata dal suo nome particolare e delle quali la più celebre è la "Prigione militare del Cherche-Midi". Nel 1945, dato il numero eccezionale di persone, civili o militari, che erano finite dentro, esistevano, inoltre, delle "Divisioni militari" alla Santé, a Fresnes, ecc... Il documento amministrativo che menziona la morte di Gerstein non può dunque portare come intestazione che: "Suddivisione militare di Parigi -- Prigione militare del Cherche-Midi" (o del Fort de Montrouge, o della Caserma Reuilly, ecc... ) oppure: "Amministrazione penitenziaria -- Prigione della Santé (o di Fresnes), Divisione militare". A seconda della sezione amministrativa che ha fatto la comunicazione essa potrebbe anche avere altre indicazioni. Ad esempio: "Sicurezza militare" o "Pubblica Sicurezza Generale", ecc... ma in nessun caso: "Prigione militare di Parigi"; e se nondimeno ha tale intestazione, o se un comunicato sotto altro timbro informa della morte di Gerstein in questi termini tra virgolette, non si tratta che di un documento fabbricato per la circostanza, da non importa chi, ma in ogni caso da qualcuno che non conosceva affatto i servizi francesi di polizia e di sicurezza o di polizia militare e civile. Insomma un falso grossolano. Ancora uno!
Tutto questo, che ci ha infine portati alla scoperta di un falso fino ad oggi passato inosservato, per spiegare solamente che, se le dichiarazioni imputate a Kurt Gerstein appaiono quelle di un uomo privo del pieno possesso delle sue facoltà, quest'uomo aveva ragioni valide: secondo questa ipotesi, nel momento nel quale le dichiarazioni gli erano state presentate per la firma, era ridotto in fin di vita dai procedimenti usati per ottenerle, e egli ha avuto solo il tempo di firmare la versione francese prima di morire. Anche la forma stessa della versione francese, come è data nella motivazione 124 del Processo di Gerusalemme è a favore di questa tesi; ai miei occhi di francese che pretende di conoscere piuttosto bene la lingua materna essa assomiglia molto più a un francese scritto direttamente da un americano (o da un inglese) che a un francese "redatto" da un tedesco. Non sarei affatto sorpreso se, il giorno nel quale sarà possibile consultare questo documento,
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gli specialisti scoprissero che è stato dattilografato su una macchina da scrivere inglese o americana, perché se si giudica dal suo contenuto, il livello intellettuale di coloro che hanno voluto farlo avallare da Kurt Gerstein, sembra così basso, che essi non hanno probabilmente pensato che era indispensabile dattilografarlo su una macchina da scrivere tedesca. Vista come si presenta adesso la situazione non è nemmeno troppo azzardato chiedersi se le note manoscritte che figurano nella versione francese e in quella tedesca sono veramente della mano di Kurt Gerstein.

Avendo definito il credito che si può accordare al documento Gerstein, importa ora definire quello che Raul Hilberg gli ha accordato. Dirò subito che, una volta tanto, Raul Hilberg è molto prudente: due pagine solamente (570-572) e due pagine che riguardano, non l'operazione di sterminio alla quale secondo il documento il suo autore ha assistito; non i dati in cifre circa l'importanza degli stermini a mezzo gas, ma solamente alcune fatture di Ciclon B, che vi sono allegate e delle quali non costituiscono che un commento. Devo precisare che in base a queste fatture (in numero di dodici), e a quelle che sono state prodotte alla sbarra del Tribunale che nel 1949 ha giudicato la Degesch Gesellschaft produttrice del Ciclon B, Raul Hilberg valuta (p. 570) le quantità di questo prodotto che, nel 1943 e 1944, questa società ha consegnate all'Esercito tedesco (160 tonnellate), ed ai servizi sanitari delle SS (125 tonnellate, delle quali 12 sono andate a Auschwitz nel 1943, nessuna nel 1944, ma 7,5 tonnellate nel 1942).
Nel loro complesso queste cifre mi sembrano verosimili, in ogni caso ben proporzionate (solamente nel loro insieme): se, dal 1942 alla fine della guerra, l'Esercito tedesco ha ordinato e si è fatto consegnare 160 tonnellate di Ciclon B, è ben possibile che, giudicando dei loro bisogni in rapporto alle necessità che avevano affrontato durante la prima campagna in Russia, nel 1941, i servizi sanitari delle SS le abbiano valutate in 125 tonnellate. Ma dopo un esame più minuzioso, la nota concernente Auschwitz mi rende perplesso e un po' più cauto: effettivamente tra le dodici fatture accluse al documento Gerstein e scaglionate dal 14 febbraio al 31 maggio 1944, ve ne erano alcune concernenti Auschwitz, come hanno riferito Dubost e Rothfels; ma cosa strana, a queste date non ne figura nessuna nella valutazione di Raul Hilberg: ciò che è piuttosto increscioso per l'esattezza del calcolo.
Non sono in grado di pronunciarmi sul significato di una consegna complessiva di 19,5 tonnellate di Ciclon B, al campo di Auschwitz, tenuto conto che ne è stata consegnata una quantità superiore, poiché Hilberg ha dimenticato di aggiungere ai suoi calcoli la consegna del 1944. Non sono un esperto, ma quand'anche lo fossi mi mancherebbero troppi elementi di valutazione. Ecco quindi quello che posso dire:
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1. Il fatto che del Ciclon B sia stato consegnato a un campo di concentramento non permette di dedurne che esso doveva servire per asfissiare gli internati, poiché allora si dovrebbe concludere che anche negli altri campi è stato consegnato al medesimo fine, mentre risulta che nessuno sterminio vi è avvenuto, così come non è accaduto nell'Esercito tedesco.
2. Auschwitz era uno Stammlager (campo centrale), come dire che vi erano altri Kommandos esterni, nel numero dei quali suppongo, senza poterlo affermare, dovevano figurare: Chelmno, Belzec, Maïdanek, Sobibor e Treblinka. Dunque questa consegna complessiva non concerneva unicamente il campo di Auschwitz, ma tutti questi Kommandos esterni, qualsiasi fossero, dei quali peraltro non risulta sia mai stato pubblicato un elenco. Benché non specialista, credo di poter sostenere che 19,5 tonnellate, più le consegne del 1944, sono sempre troppe, anche secondo questa ipotesi.
3. Per poter valutare con esattezza, bisognerebbe sapere quante tonnellate di questa consegna complessiva sono state utilizzate, e quante no; quante persone sono passate in questi campi e quanti chili di CicIon B sono occorsi per disinfettare i loro indumenti, in ragione di 1.500-2.000 persone per convoglio, da trattare all'arrivo e, inseguito, quanto ne è occorso per una sia pur minima disinfezione degli indumenti di tutta la popolazione del campo ogni due settimane. Quand'anche un giorno venissimo a sapere il numero almeno approssimativo delle persone, e quello delle tonnellate di Ciclon B occorse, non si saprà mai quante di queste tonnellate furono in effetti usate, perché non essendo stato fatto un inventario, non si sa quante di esse non furono utilizzate. In queste condizioni, non sarà mai possibile stabilire il rapporto e dire se fu utilizzato Ciclon B più del necessario per le indispensabili disinfezioni -- perché in caso positivo soltanto si potrebbe parlare di sterminio con questo mezzo -- o stabilire, pressa poco, quanto ne sarebbe occorso. Bisognerà quindi cercare, fino a quando non saranno stati escogitati altri mezzi di valutazione.
4. Il Ciclon B consegnato ad Auschwitz è stato tutto utilizzato? In questo caso saremmo in possesso della prova che ne è stato usato più del necessario e dovremmo arrenderci all'evidenza; ma tale caso è escluso. Tutti i campi erano abbondantemente provvisti di questo prodotto chimico e citerò un solo esempio: il treno che mi ha portato via da Dora, che ha lasciato il campo all'ultimo momento, che ho abbandonato e poi ritrovato nelle stesse condizioni delle quali ho detto (cfr. Menzogna di Ulisse), comprendeva un vagone colmo per tre quarti di cassette cerchiate di ferro, con etichette in ogni senso che avvertivano, le une: "Blausäure" (acido prussico) scritto su fondo rosso, e le altre, su fondo bianco: "Vorsicht" (Posare piano). Sotto a questo "Vorsicht" vi erano alcune linee a caratteri più piccoli, che non ho letto. Essendo assil-
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lato da ben altre ansie che quella di preoccuparmi per sostanze annunciate pericolose, me ne sono disinteressato: cercavo uno zaino e delle scarpe che evidentemente non potevano essere là dentro. D'altronde ero ben lontano dal sospettare di che cosa si trattasse: fu più tardi, molto più tardi, dopo aver letto Kogon che feci l'accostamento... Ma ciò che volevo dire soprattutto è che non esiste alcuna ragione che impedisce di pensare che gli altri campi, a più forte ragione Auschwitz, non fossero altrettanto abbondantemente forniti come lo era Dora; dunque che la quantità totale di Ciclon B consegnata a Auschwitz non è stata completamente utilizzata, così come è accaduto a Dora. Ed eccoci di nuovo all'insolubile problema: in che misura? Se non si può dare una risposta a questa domanda, tanto vale dire che alle consegne di Ciclon B non si può conferire altro significato se non quello di prodotto per definizione non omicida, ma disinfettante, utilizzato a Auschwitz come da tutti i servizi sanitari tedeschi militari e civili, dopo il 1924. Con buona pace di Hilberg che parla di queste consegne di Ciclon B a Auschwitz con tanto compiacimento, ma ahimé, con altrettanta incompletezza. Comunque, le fatture presentate non sono argomento che permetta di superare questa constatazione senza sprofondare in supposizioni e congetture, le une come le altre assolutamente, indiscutibilmente, e per la maggior parte, scandalosamente, gratuite. Ciò che abbiamo letto, ora, sull'argomento, lo prova anche troppo.
Quindi, Hilberg ha dimostrato molto buon senso nel non prendere in considerazione né la descrizione di uno sterminio con gas, secondo la versione Gerstein (ricordiamo da 700 a 800 persone in una stanza di 20 o 25 m2 di superficie!); né i dati statistici concernenti i campi di Belzec, Treblinka e Sobibor; ha evitato così la disavventura capitata al povero Rothfels.
Ricordiamo anche i dati statistici come figurano nel testo tedesco (in quello francese incluso in Breviario dell'odio di Poliakov, non sono gli stessi e senza dubbio per le medesime ragioni di Hilberg, il Tribunale di Gerusalemme nella motivazione 124 della sua sentenza non li considera) e secondo i quali le possibilità di sterminio di questi campi erano le seguenti:

-- Belzec:15.000 persone al giorno
-- Treblinka: 25.000
-- Sobibor: 20.000

Ma Rothfels scrive (op. cit. p. 181) a questo proposito che, 600.000 persone essendo morte a Belzec, la valutazione di Gerstein a 15.000 per giorno non ha nulla d'inverosimile ("von 15.000 pro Tag nichts unwahrscheinliches"). Poiché questo campo avrebbe cominciato a "sterminare" nel marzo '42 e cessò nel dicembre dello stesso anno (Poliakov, op. cit. p. 224), sono dunque nove mesi ossia 270 giorni, quindi 15.000 x 270 = 4.050.000 persone, e non
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600.000. Questa è la qualità dei professori che insegnano nelle nostre università!
Continuiamo il ragionamento: Treblinka e Sobibor hanno ufficialmente "sterminato", dal marzo 1942 all'"autunno 1943", ossia durante 18 mesi = 540 giorni. Il conto porta:

-- per Treblinka: 25.000 x 540 = 13.500.000 persone
-- per Sobibor : 20.000 x 540 = 10.800.000 persone

Dunque solamente per questi tre campi: 28.350.000 persone. Tutti ebrei. E senza tener conto di quelle che sono state uccise con lo stesso procedimento a Chelmno che il documento Gerstein non cita e a Maïdanek che dichiara in via "di preparazione" al momento della sua visita nell'agosto 1942 (dunque senza poter valutare le sue possibilità).
Ecco quanto ci si osa presentare come una testimonianza "degna di fede"! Per completare il quadro, precisiamo che, quando si vuol riepilogare e fornirci le loro valutazioni della totalità delle persone ebree sterminate in ciascuno dei campi, coloro che ci presentano queste asinerie come cose attendibili, arrivano a cifre dell'ordine di quella che Rothfels trova per Belzec. Ecco ora un quadro che fornisce queste perdite valutate dalla Commissione polacca dei crimini di guerra (da Poliakov, op. cit. p. 224) e Raul Hilberg (op. cit. p. 572):

VALUTAZIONE DELLE PERDITE


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Campo Commissione polacca Raul Hilber

Chelmno ..................300.000 .............oltre centomila
Belzec ......................600.000 .............centinaia di migliaia
Sobibor.................... 250.000............. centinaia di migliaia
Treblinka .................700.000 ..............centinaia di migliaia
Maïdanek ................200.000 .............diecine di migliaia
_______________________________________________
Totali.................... 2.050.000............... 950.000 (11)

Ci si chiede come abbiano fatto la Commissione di Varsavia e Raul Hilberg a giungere a queste conc!usioni: è evidente che non si sono riferiti al documento Gerstein, ma non citano altre referenze documentarie degne di questo nome.
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Per Auschwitz, nello stesso quadro, Raul Hilberg arriva a un milione di morti, quando per quello che mi consta, nessuno è mai sceso al di sotto dei due (12), e la maggioranza dei testimoni parla di quattro.
Non credo di formulare un giudizio troppo severo se affermo che le referenze di base, di gente che ha la pretesa di essere qualificata, come quella che compone la Commissione polacca di crimini di guerra e come Raul Hilberg, professore all'Università di Vermont (USA), capaci di ottenere risultati tanto lontani l'uno dall'altro come i due sopra esposti, sono puramente congetturali, non sono positive e provengono da fonti differenti e superlativamente dubbie. La prova mi è data proprio da codesta Commissione e da Raul Hilberg stesso. Ho preso in esame un buon centinaio di riferimenti sui quali si basa la prima per arrivare alle cifre che appaiono, sotto la sua responsabilità, in questo quadro. Vi troviamo ad esempio: crimini tedeschi in Polonia (Varsavia 1948), un'accozzaglia di contraddizioni di persone delle quali nemmeno si può affermare l'esistenza e che vengono date come "superstiti"; oppure Testimonianza del dr. Rothbalsam (morto!) raccolta dalla signora Novitch, o ancora: Belzec (Cracovia 1946) che è un libro di ricordi del campo, di un certo Reder, dato come "superstite unico" del quale, al Processo di Gerusalemme, è stato detto che "era poi morto nel frattempo", ecc...
In quanto al libro di Raul Hilberg, ad ogni pagina o quasi, si incontrano delle note come questa: "Affidavit by Rudolf Schönberg, survivor" (p. 165, note 174 e 180); o: "Ghettoverwaltung, signed Ribbe" (p. 311, nota 14); o: "Bor Komorowski, The Secret Army (l'Armata segreta: p. 315, nota 32); o ancora una testimonianza di un altro superstite ignoto, raccolta da Cohen in Human Behaviour in the concentration camp (Comportamento umano nel campo di concentramento: p. 625, nota 22) e infine una testimonianza di altro superstite, nominato questa volta, ma altrettanto ipotetico, raccolta da un certo Friedman nel suo libro: Osviecim (p. 622, nota 8) ecc... Abbondano anche i giornali pubblicati durante la guerra o dopo la sua fine. Nel primo caso si tratta di giornali pubblicati sotto controllo tedesco: vi si trovano frammenti di statistiche non sempre concordanti tra loro, commentate o valutate da giornalisti, non da specialisti, circa le misure di spoliazione, di "ghettizzazione" o di concentramento, di cattivi trattamenti dei quali sarebbero stati vittime gli ebrei, ma non si trova mai di che giustificare l'interpretazione nel senso di assassinio o di sterminio con gas o altri mezzi. Vi è sovente ripetuta la parola: "Judenfrei", applicata a un territorio, una regione, una contrada, ma essa significa:
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"senza ebrei", e non conseguenza del loro sterminio come insinua Hilberg. Nel secondo caso si tratta di giornali liberamente pubblicati a guerra finita. Vi si possono leggere, commentati da non-testimoni, racconti fatti da testimoni, in gran parte innominati, o che, se lo sono, il più delle volte vengono dati come "morti dopo", o che se per caso ancora esistono, non è stato, né sarà mai possibile sottoporre a contro-interrogatorio di controllo da parte di persone qualificate. E non è certo più serio quanto ci proviene dalla Commissione di Varsavia. Come è possibile infatti sperare testimonianze obiettive da persone, nel caso siano ancora reperibili, che confessano di aver agito, in tutti i loro atti, dopo il ritorno dai campi di concentramento, unicamente sotto l'imperio dell'odio da essi giurato alla Germania -- come lo provano quelli di loro che sono venuti in buon numero alla sbarra del Tribunale di Gerusalemme per certificare di aver visto camere a gas nei campi dove, da tutti, è stato riconosciuto che non esistevano; e se dobbiamo credere all'Express (Parigi 20-6-1963, p. 22) anche da Simon Wiesenthal che guadagna il proprio pane dando la caccia da Linz a Vienna ai vecchi appartenenti alla NSDAP? Sono testimoni attendibili, costoro?
Questa gente non testimonia: accusa. Sono accusatori che reclamano riparazioni per ciò che hanno subito, benché già ne ricevano, e le esigono più sostanziali. In tutte le contestazioni di sterminio si incontrano accusatori, in reciproco spalleggiamento, ma non un testimone; o si reperiscono false testimonianze grossolanamente fabbricate, la cui autenticità è garantita unicamente da falsi-testimoni. E Raul Hilberg, come Rothfels di fronte al documento Gerstein, con spaventosa incoscienza e incredibile sprezzo delle più elementari regole del proprio mestiere, finge di non averlo visto. Una volta ancora siamo riportati al problema fondamentale del nostro tempo: lo spaventoso crollo intellettuale e morale delle élites.
Questo problema non investe la Commissione dei crimini di guerra di Varsavia e nemmeno Hannah Arendt: è evidente che costoro non appartengono alle élites. La prima è stata combinata oltre la Cortina di ferro, non certo allo scopo di definire una verità storica, ma per perfezionare argomenti suscettibili di essere utilizzati da una certa propaganda. Per farne parte non è necessario essere degli storici, basta essere comunisti. Proprio come al campo di concentramento, per essere medici bastava essere sterratore o montatore di professione. Ma non è forse la Russia un immenso campo di concentramento di cui la Polonia non è che un Kommando?
La seconda, è palesemente un agente del Sionismo, ossia di una propaganda parallela su questo punto, che sembra costituire il suo solo mezzo d'esistenza. Le diverse nomenclature con le quali accompagna il suo resoconto del Processo Eichmann (The NewYorker, op. cit.) si valgono di ciò che ha letto nel libro di Raul Hilberg, da lei assimilato secondo la capacità che le è propria, e sono quindi proposte ancora più maldestramente di quanto lui
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stesso non avesse già fatto. Intendo dire che ha fatto confessioni più esplicite e sostanziali. Ma Robert Kempner, vecchio commissario di polizia prussiano, che la guerra ha trasformato in Procuratore americano a Norimberga, è sì agente del Sionismo, ma di ben altro rango e non è affatto contento del modo in cui essa svolge il suo compito e gli infligge in Aufbau (Ricostruzione; Vol. XXIX - n. 15 - 12 aprile 1963) una lezione di cui raccomando la lettura. Ma torniamo al documento Gerstein e per esaurirne la questione pongo il seguente quesito: se non è vero che le camere a gas di Belzec, Treblinka e Sobibor potevano asfissiare da 15.000 a 25.000 persone al giorno; se non è vero che una camera a gas di 20 o 25 m2 di superficie al suolo può contenere da 700 a 800 persone; se non è vero che un treno di 45 vagoni può trasportarne 6.700; se non è vero che Hitler si trovava a Belzec il 15 agosto 1942, domando che cosa contiene il vero documento, dato che non contiene altro. Le fatture di Ciclon B che vi sono accluse? Forse, ma poiché non provano niente...
Di tutti coloro che hanno garantito l'autenticità di questo documento, uno e uno solo mi ha fatto pena: il vescovo di Berlino, Dibelius, del quale avevo apprezzato la bella indipendenza di spirito e la sicurezza di giudizio, particolarmente in occasione del Processo di Norimberga (cfr. Processo Eichmann). Rothfels (op. cit. pp. 18182) dice che egli avrebbe scritto all'Istituto di Storia contemporanea di Monaco una lettera in data 22 novembre 1949, in cui, dopo una serie di lodi all'indirizzo di Gerstein, si trova la frase seguente: "Perciò ero in condizione di affermare che la comunicazione di Gerstein a me diretta, in quanto riguardava la sua amicizia svedese era stata assolutamente fedele alla verità. Quindi anche la sua relazione deve essere stata veramente così".
Dagli altri, i Kogon, David Rousset, Golo Mann, Rothfels, Hannah Arendt, Raul Hilberg, ecc... dopo il caso particolare di ognuno, attentamente studiato, non mi sembra che ci si sarebbe potuto aspettare niente altro da loro.

V. - CONCLUSIONE

L'impressionante sfilata di falsi-testimoni e di documenti apocrifi o falsificati relativi alle camere a gas, che ho presentato al lettore in questo lungo studio, specialmente in questo capitolo, stabilisce indiscutibilmente un solo fatto: mai e in nessun momento le autorità qualificate del III Reich hanno previsto e ordinato stermini di ebrei con questo mezzo (13) e non ve ne sono stati in
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modo assoluto. Ve ne sono stati senza averne ricevuto l'ordine? A questa domanda che ormai da molti anni mi assilla, ciò che ho riferito della più falsa e più immorale di tutte queste testimonianze, il documento Gerstein, mi ha messo, indirettamente, in condizione di poter infine rispondere in modo preciso.
Si era in giugno, nel 1963. Il vero processo Eichmann era appena stato pubblicato in lingua tedesca con l'"occhiello": "Zum Fall Eichmann" e il titolo: "Was ist Wahrheit?... oder die unbelehrbaren Sieger" (Del caso Eichmann). Durante quindici anni, ogni volta che in un luogo qualsiasi dell'Europa, non occupata dai Sovietici, mi era stato segnalato un testimone che pretendeva di avere assistito personalmente a sterminii con gas, mi ero immediatamente trasferito sul luogo per raccogliere la sua testimonianza. E ogni volta l'esperimento aveva avuto la medesima conclusione: col mio incartamento in mano facevo al testimone molte precise domande alle quali egli non sapeva rispondere che con menzogne evidenti ai suoi stessi occhi, tanto che finiva col dichiararmi che non lui, ma qualcuno dei suoi buoni amici, morto nell'avventura ma del quale non poteva mettere in dubbio la buona fede, gli aveva raccontato la faccenda. Ho così percorso migliaia e migliaia di chilometri attraverso l'Europa.
Un giorno del mese di giugno del 1963 ho ricevuto una strana visita: un tedesco, alto, di bell'aspetto, apparentemente sulla sesantina (nel corso della conversazione ho saputo che in realtà era assai più vecchio), dal portamento militare, di una distinzione estrema e di una cortesia squisita. Nelle mani aveva il mio primo studio sul problema: la versione tedesca di: Menzogna di Ulisse. Da una pagina sporgeva un segnalibro.
Si presentò e mi espose lo scopo della sua visita, della quale desiderava che io rispettassi il carattere confidenziale. Glielo promisi, ed è questa la ragione per la quale, così come le circostanze di questo incontro e le presentazioni del personaggio si trovano qui in termini che non permettono assolutamente di identificarlo, il solo contenuto della conversazione che abbiamo avuto è rigorosamente autentico.
Ed ecco la ragione per cui non voleva che il suo nome fosse citato: durante la guerra era stato ufficiale superiore di rango molto elevato in un servizio di grande importanza. Un militare? No, un civile di questo grado per assimilazione. Il servizio in parola era d'altronde un servizio civile requisito. Non mi nascose che pur non avendo militato nel Nazionalsocialismo aveva tuttavia dato la sua adesione al partito, nel 1933. A guerra finita, era per poco
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sfuggito a Norimberga, ma era stato denazificato come tutti, e aveva perduto la sua alta posizione. Innumerevoli le noie che gli erano state procurate; ne stava appena giungendo alla fine e non voleva che ricominciassero. La verità di cui era in possesso l'opprimeva da venti anni e bisognava scusare la viltà che gli aveva imposto di tacerla sino allora. A guerra finita aveva cinque figli in tenera età cui provvedere e, a oltre cinquant'anni, tutto era da rifare.
Lo giustificai senz'altro. E sinceramente. Conosco la miseria morale -- sovente anche materiale -- nella quale hanno vissuto e ancora vivono milioni e milioni di tedeschi ridotti al silenzio. Silenzio che rompono solamente in occasione del periodico voto al Cancelliere Adenauer (14) che ritengono il solo tedesco capace di proteggerli, in parte, dalle punitive imprese di quella specie di Torquemada germanico che è il Procuratore generale Bauer. Anche se la politica di Adenauer non è di loro gradimento.
Fatte le presentazioni, accettate le condizioni del mio interlocutore, questi aprì: Menzogna di Ulisse alla pagina indicata dal segnalibro, posò il volume davanti a sè e cominciò:

"Voi assicurate, ed io vi credo, che nessuno dei testimoni che hanno preteso di avere assistito agli stermini con gas ha potuto, fino ad oggi, confermarlo in vostra presenza. Ho appena terminato la lettura del vostro ultimo studio sul problema e intuisco -- vi prego di credere che vi comprendo -- che siete prossimo a concludere che non vi sono mai stati stermini del genere. Ho pensato che sarebbe gravissimo per voi e per la Germania, date le risonanze dei vostri libri, se voi arrivaste a quelle conclusioni: non potreste evitare il discredito a più o meno breve scadenza. Non lo meritate e la Germania perderebbe di colpo il solo difensore che goda di considerazione. E' per ciò che vengo a dirvi che ho assistito a uno sterminio con gas.
"Non vi capisco più, replicai. Non mi sembra che dichiarandolo pubblicamente, possiate rischiare di essere gettato nuovamente in carcere. Il Procuratore Bauer e il Movimento sionista internazionale cercano proprio testimoni di questo genere, perché fin'ora ne hanno trovati solamente degli inaccettabili; se siete sicuro di voi, andate dunque a trovarli e vi faranno ponti d'oro."
Abbiate pazienza, m'interruppe. Per non essere gettati in prigione non basta dichiarare che si è stati testimoni di uno sterminio con gas, in Germania. Ma occorre anche descrivere con esattezza come è avvenuto, servendosi del documento o del testimone ufficialmente riconosciuti degni di fede, e questo non è il mio caso. Mi spiego e mi comprenderete: ero in missione a Lublino e stavo entrando da Globocnik, quando Gerstein si è fatto annunciare. Le circostanze hanno fatto sì che mi ritrovassi anco-
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ra con lui il giorno seguente, e se dicessi che ho assistito allo sterminio di cui testimonia il documento che gli è attribuito, sarei obbligato ad aggiungere che tutto quanto vi è detto di questo sterminio, dalla prima parola all'ultima, tutto è arcifalso, anche le condizioni nelle quali vi ha assistito, al campo di Belzec stesso e negli altri citati, anche la sua conversazione con Globocnik; e immediatamente e automaticamente sarei gettato in prigione."


Capivo sempre meno.
"Ma se tutto è falso dal principio alla fine, non vi è stato sterminio, e..." azzardai, ma fui interrotto.
"C'è stato. Ma cominciamo dall'inizio."
Dal lungo racconto, che abbrevio per non conservare che l'essenziale, risultava che:
I. Durante la conversazione che egli aveva avuto a Lublino con Gerstein in presenza di due o tre persone, delle quali il mio interlocutore aveva taciuto i nomi unicamente perché figuravano nel documento Gerstein, Globocnik non aveva parlato che di Belzec, ma non assolutamente degli altri campi citati, e in relazione alle possibilità di sterminio non aveva detto alcuna cifra. E aveva cominciato col parlare di disinfezione degli indumenti, non di "sterminio". Fu dopo un certo tempo che, deplorando le deboli possibilità di disinfezione del campo di Belzec, disse di aver trovato, lui, un mezzo spiccio che risolveva contemporaneamente il problema ebraico radicalmente: il motore Diesel di Belzec.
-- Ma, precisò Globocnik, trattandosi di installazione di fortuna, non è sufficientemente rapido: mi occorrerebbe un gas più potente, di utilizzazione più semplice, ed è perciò che ho inviato a Gerstein Günther perché ottenesse da lui quanto di meglio possiede, adatto allo scopo, così da poter procedere su vasta scala alla soluzione del problema ebraico. Se Günther e Gerstein mi portano quanto ho chiesto, si potranno far costruire dagli ebrei stessi altre installazioni supplementari.
-- Inorridii, disse il mio interlocutore. La mia qualità di non combattente faceva di me il solo uditore di Globocnik in grado di poter osare un'osservazione. E chiesi a Globocnik: Ma questo è un delitto e siete sicuro che è questo il Führer intendeva per soluzione definitiva?...
-- Ne sono sicuro! si limitò a rispondere Globocnik, alzando le spalle. E, con aria di sufficienza, senza precisare da chi aveva ricevuto l'incarico, ma in modo tale da lasciar credere che fosse dal Führer stesso, egli insistette sul suo carattere segreto, ultra segreto.
E contrariamente a quanto è scritto nel documento Gerstein, non precisò che Hitler e Himmler erano a Lublino, l'antivigilia: pura invenzione.
2. Durante la conversazione, il mio interlocutore aveva osservato che Globocnik aveva asserito di aver inviato a Gerstein
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Günther per ottenere un gas più tossico e dalla utilizzazione meno complicata. Perché non si era rivolto al servizio stesso a mezzo lettera? Ne aveva dedotto che ciò non era normale, anzi era losco. Tanto più che egli sapeva per quale motivo Globocnik era stato mandato nel Warthegau: punizione per un certo numero di malefatte e di delitti di cui si era reso colpevole durante l'esercizio della sua precedente missione di Gauleiter della zona di Vienna. A Berlino, sembra avesse pessima reputazione -- almeno così riteneva il mio interlocutore. Allo scopo di chiarire questo affare appena di ritorno a Berlino, decise, benché la sua missione non ve lo chiamasse, di recarsi a Belzec per essere in grado di parlarne con piena conoscenza di causa.
A Belzec vide il campo: un campo piccolo, qualche baraccamento che poteva contenere quattro o cinquecento persone. Le vide passeggiare in questo spazio, in buona salute e ben messe: tutti ebrei. Li interrogò: tutti si rallegrarono del trattamento loro riserbato. Vi era la stazione, piccola, nella quale su di un'unica rotaia arrivavano a intervalli vagoni stipati dei loro correligionari: gli dissero che erano incaricati di accoglierli e di sterminarli col gas Diesel, in una baracchetta, che gli mostrarono, e sulla quale una scritta annunciava, effettivamente: "Fondazione Heckenholt" -- il nome dell'ebreo incaricato di mettere in moto il motore. Raccontavano, mangiando tartine di marmellata che un nugolo di mosche tentava di prendere d'assalto e che incessantemente erano obbligati a scacciare con la mano. Un'odore infetto di tomba recentemente aperta gravava su tutto il campo: mosche e lezzo erano causati dalle massicce inumazioni alle quali si procedeva dopo ogni distruzione. Il capitano di polizia Wirth, già ufficiale della Polizia criminale di Stoccarda, comandante del campo, aveva accolto il mio interlocutore al suo arrivo e assieme a un ufficiale dell'SS, suo aiutante, l'accompagnava nella visita e non cessavano, l'uno come l'altro, di lamentarsi del Kommando al quale erano stati destinati e lo supplicavano, appena fosse tornato a Berlino, di farli destinare a altro servizio. Non potevano capire come si potesse obbligarli a simile lavoro ed erano entrambi convinti che a Berlino non si sapesse nulla di quanto accadeva lì.
-- Ma perché non sollecitate voi stessi un'altra destinazione? domandò il mio interlocutore. Dopo averla ottenuta potreste denunciare questo scandalo...
-- E' proprio quello che Globocnik sembra temere, gli risposero. Un'altra destinazione potremmo sollecitarla soltanto per via gerarchica, ossia passando precisamente per Globocnik, per il suo ufficio: temendo di venire denunciato, o non trasmetterebbe la domanda, oppure ci farebbe fucilare con un pretesto qualsiasi. Conosciamo casi simili... Per fortuna siete venuto qui e potete, e noi con voi, uscirne a mezzo delle vostre relazioni a Berlino, far cessare questo scandalo... E, ancora, fortunatamente, qui non arrivano che un piccolo numero vagoni di tanto in tanto, due o tre fino
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ad oggi (15) altrimenti anche trattandosi di piccoli convogli di qualche centinaio di persone, con gli scarsi mezzi di cui disponiamo per interrare i cadaveri, vivremmo in un autentico focolaio d'infezione generatore di tutte le malattie possibili e immaginabili... Siete giunti proprio a proposito: domani deve arrivare un certo numero di vagoni, sono annunciati per le sette circa...
3. Il mio interlocutere decise di trattenersi. Accompagnato da Wirth e dal suo aiutante SS, visitò anche la baracchetta adibita agli stermini e me la descrisse. Un pianterreno soprelevato, un corridoio con tre stanzette ai due lati, che non ha misurato ma che ritiene avessero una superficie certamente inferiore ai 5 per 5 -- forse al massimo 4 per 5 -- in ogni caso rettangolari, non quadrate. In fondo al corridoio, il locale dove era installato il motore Diesel: al centro, sopra un basamento di cemento, e a un livello inferiore del pavimento. Interrogò circa il motore e il raccordo del suo scappamento con le sei camere: era un motore di camion le cui dimensioni potevano essere: 1,50 m. di lunghezza, forse meno di 1 m. di larghezza e un buon metro di altezza, base in cemento compresa. La sua potenza non la conosceva: forse 200 CV effettivi. Gli feci notare che secondo quanto era stato detto, si trattava di un motore della marina, quindi doveva essere ben più grande essendo destinato a una nave: assolutamente no, rispose, un motore di camion -- per lo meno le sue dimensioni permettevano di immaginarlo su un camion. Si ricordava del numero dei cilindri: sei su una sola fila. Quanto al raccordo dello scappamento con le sei stanze, mi fece un disegno per fare più in fretta. Nel disegno potei osservare che il gas, più pesante dell'aria, arrivava dal basso in alto. I tecnici ai quali, come dirò più avanti, sottoposi il problema l'hanno pure notato ma hanno precisato che ciò non causava inconvenienti tecnici di rilievo, trattandosi, nel caso in parola, di gas propulsato.
-- Non mi stupisce che Globocnik abbia fatto ricerca di un mezzo più sbrigativo: doveva essere orrendamente lungo..., osservai.
-- Un quarto d'ora, insistette...
Se fino a questo punto il racconto mi era sembrato accettabile, questo quarto d'ora gravò pesantemente sul resto della nostra conversazione: ne discutemmo a lungo, vi ritornammo sopra sovente: io, per sostenere che era assolutamente impossibile, lui
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replicando che era vero. Avevo già studiato il documento Gerstein assieme a specialisti di motori a scoppio e di esperti di tossicologia e non mancavo perciò di argomenti. Lui, non ne aveva. Ma aveva visto: e dunque era effettivamente così. Invano obbiettai che pur essendo della potenza di 200 CV e anche più potente, un motore Diesel non poteva provocare, in un quarto d'ora, la concentrazione tossica indispensabile in quel volume d'aria di 250 o 300 m3; che, se a rischio di cozzare contro questa impossibilità, consistente nello stipare 700 o 800 persone -- 40 o 50 al massimo, corresse il mio interlocutore -- in circa 40 o 45 m3 di ciascuna stanza, Gerstein, proprio conoscendo le limitazioni del motore Diesel aveva voluto ridurre al minimo il volume da rendere tossico, e nonostante ciò, questo volume d'aria non era reso tossico per tutti che dopo 32 minuti; che se, Globocnik, la vigilia, aveva dichiarato, lui stesso, che questo mezzo non era rapido, ciò costituiva un'altra prova che l'operazione doveva durare a lungo; che, dopo vent'anni, la memoria di un uomo tanto scosso da simile spettacolo poteva essere infedele, ecc... Nulla. Non valse a nulla: non rinunciò a quel quarto d'ora se non ammettendo di non aver verificato col proprio orologio e riconoscendo solo la sua valutazione come approssimativa per qualche minuto. Nessun turbamento sul suo viso che non cessò mai di esprimere la più indiscutibile buona fede.
Dopo, disegni alla mano, ho interrogato molti specialisti di motori a scoppio, di combustione dei fluidi e di tossicologia: nessuno ha ammesso una durata inferiore a un'ora e mezzo, o due ore.
Devo dichiarare che nel resto della conversazione, non rilevai nulla che mi permettesse un'altra contestazione; ma l'oggetto di essa resta comunque assai importante e molto sconvolgente. Vi era anche un altro dato aberrante nel dispositivo d'asfissia: non ho capito perché colui che ne aveva avuto l'idea l'aveva distribuito in sei stanze invece di lasciarlo in una sola: sarebbe stato meno dispendioso, meno complicato e avrebbe preteso minor tempo per la costruzione; ma non insistetti.
4. Nel frattempo, Gerstein era arrivato con tre o quattro militari, il mio interlocutore non ricordava bene. Globocnik che li aveva accompagnati aveva appena accennato qualche parola. Da Globocnik, la vigilia, Gerstein aveva raccontato che il suo viaggio da Berlino a Lublino non era stato privo di incidenti: quello che trasportava, non era Ciclon B in tavolette come si potrebbe essere tentati di credere, ma acido prussico (cianidrico) liquido in bottiglie, e gli scossoni innumerevoli della strada in cattivo stato avevano provocato la rottura di uno o due di queste bottiglie nel camion. Il suo autista e lui stesso avevano avuto molta paura. Il mio interlocutore gli domandò come era stato il suo viaggio da Lublino a Belzec: buonissimo, rispose, abbiamo lasciato la mercanzia a Lublino.
-- Si rifece insieme la visita al campo e, la sera, ancora insieme,
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si mangiò, serviti da ebrei internati. L'atmosfera era pesante: il più facondo era Gerstein. Appariva sovreccitato, e tutto quello che diceva sembrava fare di lui una comparsa di Globocnik. Non ispirò fiducia a nessuno, almeno questa fu l'impressione del mio interlocutore, e quando, molti anni dopo, uno dei suoi amici che aveva avuto Gerstein in qualità di studente alla Facoltà, gli disse che si trattava di uno psicopatico, non ne fu stupito... L'indomani mattina, l'annunciato convoglio di ebrei arrivò tra le sette e le otto: un treno di quattro o cinque vagoni, da 250 a 300 persone circa, uomini, donne, bambini, vecchi, e non 6.000 o 6.700 stipate in 45 vagoni, come contraddittoriamente pretende il documento Gerstein. E del pari, i 200 ucraini del "Documento" erano in realtà ebrei del campo e il loro numero ammontava al massimo a due dozzine. Nessuna sevizia, nessuna porta strappata dai vagoni, nessun colpo di scudiscio: un'accoglienza fraterna dei correligionari evidentemente preoccupati di creare un clima di fiducia per gli arrivati.
Preparazione delle vittime al sacrificio: formazione delle file, sfilata davanti allo sportello di una specie di banca improvvisata per deporvi denaro e gioielli contro ricevuta, sosta dal parrucchiere, infine svestirsi. Questa fu l'operazione più lunga: quasi tutta la mattinata. Gli infelici interrogavano i correligionari che li ricevevano in quel modo, su quale fosse la loro sorte; sotto la distratta sorveglianza di qualche SS armato, veniva risposto loro che avrebbero subito una disinfezione e dopo sarebbero stati suddivisi nei Kommando di lavoro a seconda delle loro attitudini. Venivano dati i consigli circa il miglior comportamento durante la disinfezione: respirare a pieni polmoni... Spettacolo orrendo per chi sapeva.
Poi furono fatti entrare nella famosa baracca: si distribuirono a caso nelle sei stanze -- quaranta, cinquanta per stanza, ripetè il mio interlocutore. Le porte che davano sul corridoio vennero chiuse, e le luci spente. E allora si udì la preghiera degli sventurati. E grida di donne e di bambini... Il motore cominciò a funzionare e un quarto d'ora dopo, furono portati fuori i corpi dal Kommando degli ebrei del campo incaricati del sinistro lavoro, e immediatamente trasportati in una tomba già preparata.
-- Ma questa tomba, interruppi, devono pure averla vista, perché anche se adatta a 250 o 300 corpi, doveva essere grande.
-- No; non poteva essere vista da loro perché era scavata a una certa distanza dietro la casa. I corpi furono tolti attraverso le porte laterali di ogni stanza, che davano direttamente all'esterno: porte del genere di quelle dei garages. Le dimensioni della tomba? Penso che doveva misurare una ventina di metri di lunghezza, cinque di larghezza e appena due di profondità... E mi spiegò i pericoli di questa inumazione: Wirth gli aveva detto che in questa gigantesca tomba sulla massa dei cadaveri veniva versata della benzina per bruciarli, ma non vi si riusciva che in
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parte. Si ricopriva con terra, ma in capo a due o tre giorni questa terra si sollevava per la pressione dei gas che si liberavano e impestavano l'atmosfera che per di più si gremiva di nugoli di quelle mosche che si vedevano dappertutto.
Egli non assistette a questa operazione: avendone abbastanza, senza più attendere ripartì per il luogo dove lo chiamava la sua missione.
Tentai di riportare la conversazione sul quarto d'ora che a suo dire sarebbe occorso per la distruzione, opinando che forse le due ore e quarantanove minuti di guasto del Diesel, cui accennava il documento Gerstein, si spiegavano non col guasto, ma con l'impossibilità del motore di rendere tossica l'atmosfera in minor tempo. Niente da fare: nessun guasto, un quarto d'ora.
La missione del mio interlocutore nella regione di Lublino durò più del previsto: dovette passare per Lodz dove fu trattenuto per una buona quindicina di giorni e non potè fare ritorno a Berlino prima del 15 novembre, circa.
Senza perdere altro tempo, andò direttamente dal dr. Grawitz, suo amico e diretto collaboratore di Himmler. Al racconto del mio interlocutore, quegli sussultò spaventato e si precipitò subito da Himmler.
-- Non sono in grado di precisare bene le date, aggiunse, ma una decina di giorni dopo, il dr. Grawitz personalmente venne a felicitarsi per il mio intervento e mi disse che era in corso un'inchiesta sui fatti che gli avevo riferiti; qualche settimana dopo -- pochi giorni dopo l'Ognissanti, ricordo -- il campo venne chiuso e Globocnik trasferito una volta ancora (16). Non so altro.
Gli parlai della deposizione a Norimberga del dr. Morgen, nei giorni 7 e 8 agosto 1945 (IMT, vol. XX, pp. 520-553): la conosceva, e non le accordava il minimo credito. Il ritratto che Morgen aveva fatto di Wirth, presentandolo come un criminale privo di scrupoli non corrispondeva assolutamente a quello che lui aveva avuto la possibilità di conoscere. Morgen ne faceva il comandante di quattro campi e il deus ex-machina di tutto l'affare (op. cit. 528-29), mentre Wirth non era che il comandante, disperato, di quello di Belzec, per giunta terrorizzato da Globocnik. D'altronde egli aveva incontrato Wirth e ciò poteva essere accaduto solamente a Belzec: egli situava la data di questo incontro "alla fine del 1943" (op. cit. p. 527) mentre il campo era stato chiuso, al più tardi, nel dicembre 1942. Questo dr. Morgen era stato un personaggio importante delle SS (capo di un servizio
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di polizia criminale del Reich, con speciali poteri, molto estesi, conferitigli dallo stesso Himmler), e probabilmente aveva molto da farsi perdonare, concluse il mio interlocutore.
Non ebbi nessuna difficoltà a condividere questo punto di vista: Morgen aveva incontrato Höss, comandante del campo di Auschwitz "verso la fine del 1943, principio del 1944" (op. cit. p. 540) quando questi non lo era più dalla fine di novembre del 1943; localizzava gli stermini con gas a Monovitz (op. cit. p. 540) mentre tutti i testimoni li hanno posteriormente localizzati a Birkenau; pretendeva che Wirth ricevesse gli ordini direttamente dalla Cancelleria del Führer (op. cit. p. 531), ecc...
5. Fu a questo punto della conversazione che il mio interlocutore posò gli occhi su La menzogna di Ulisse aperta davanti a lui e alla quale, fino a quell'istante, non aveva fatto allusione.
-- Ho letto gli altri vostri libri. Il mio parere è che la vostra critica delle testimonianze e dei documenti presentati a Norimberga è impeccabile e un giorno darà i suoi frutti. Grazie. Ma ciò che m'interessa (prese il libro aperto tra le mani) è il problema degli stermini con gas, il solo a causa del quale l'onore della Germania è davvero in gioco. Ebbene, ciò che sono venuto a dirvi è questo: (mostrandomi il libro) qui ne avete dato, nel 1950, una interpretazione molto corretta quando formulando la vostra opinione avete concluso che vi erano state pochissime distruzioni di questo genere e che esse, vi cito, erano opera "di uno o due pazzi delle SS". Al vostro posto avrei detto: "uno o due criminali sadici". Credetemi, ho conosciuto bene l'ambiente: nel suo grande insieme era un ambiente corretto, ma -- come ogni ambiente sociale -- non era esente da qualche sadico capace dei più efferati delitti, e certamente Globocnik era uno di quelli. Di Höss, so solamente quello che ho sentito dire di lui, a Berlino, da persone del mio servizio che lo conoscevano: non aveva nemmeno lui una buona fama. E può essere che a Auschwitz egli si sia comportato come Globocnik nella regione di Lublino. Non ne so nulla, dico solamente che è possibile. Perché secondo quanto avete scritto di questo campo, gli era tanto più facile in quanto le sue installazioni glielo permettevano senza bisogno di dover creare delle camere a gas speciali, come fece a Belzec Globocnik.
Ne convenni facilmente, tanto più che -- a causa del poco credito che giustamente si poteva accordare agli innumeri falsi-testimoni e falsi documenti -- era una delle ipotesi che io stesso avevo avanzata per la totalità dei campi, anche se non ne avevo fatta applicazione a nessuno dei campi specialmente designati, e che tutti i miei sforzi tendevano a provare, qualora si fossero attuati stermini con gas, una possibilità ridotta a limiti estremamente piccoli in forza del vecchio adagio francese che "non c'è fumo senza fuoco", in mancanza di prove indiscutibili. Come il mio interlocutore molto opportunamente mi ricordò.
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-- Stermini con gas, ce ne sono stati, concluse, ve ne ho portato un'esempio. Non sono stati massivi e ordinati deliberatamente dalle autorità del III Reich, come pretende la documentazione creata di tutto punto, e giustificata da individui privi di scrupoli, che era stata presentata a Norimberga, ma fu opera di qualche criminale. Certo si è che ogni volta che le autorità del III Reich sono state informate di fatti del genere, vi hanno messo fine e ve ne ho portato la prova. A Norimberga, sono stati utilizzati questi rari criminali e i loro crimini individuali per costruire una verità generale e disonorare la Germania. Sarebbe come pretendere che i francesi hanno sistematicamente ucciso tutti i tedeschi che hanno fatti prigionieri durante la guerra, basandosi sul caso di Annecy del 19 agosto 1944 (cfr. Processo Eichmann). Tutti i popoli hanno i loro criminali e la guerra ne scatena gli istinti amplificandone gli effetti a dimensioni incredibili. Considerate ad esempio la Resistenza francese nella quale, coloro che disgraziatamente la Francia possiede a pari titolo e nelle stesse proporzioni della Germania o di qualsiasi altro paese, si sono precipitati a commettere le loro malefatte in suo nome e con la sua protezione... La vostra Milizia, sotto l'occupazione tedesca...
Una pausa, poi:
-- Continuate così, signore, l'onore della Germania è in gioco e sarà salvo solamente quando una volta per tutte sarà chiarito che le distruzioni con gas sono state un'eccezione, e, come ho detto, l'opera di due o tre delinquenti, subito sconfessati appena smascherati. Il resto, in verità, il resto era la guerra e in ciò siamo alla pari con gli avversari della Germania.
Lo rassicurai dicendo che se discutevo punto per punto, con ostinazione, tutti i documenti e le testimonianze su cui poggiava la mostruosa accusa di cui era vittima la Germania, e se la mia documentazione mi permetteva di affermare che si trattava di falsi volgari e rozzi, non mi permetteva però di sostenere che non vi erano state distruzioni con gas, se d'altronde l'avevo mai preteso.
-- Sono lieto di aver temuto senza motivo. Scusatemi: l'onore della Germania vi deve molto... E voi meritate veramente che essa ve lo debba fino alla fine.
L'argomento essenziale era esaurito. La discussione divagò e si perdette in considerazioni generiche alle quali tornammo a proposito del caso Globocnik di cui mettevo in dubbio il trasferimento e sostenevo che qualora fosse effettivamente avvenuto, costituiva una sanzione veramente troppo mite.
-- E' un fatto tipico dei regimi totalitari, rispose il mio interlocutore: quella gente era stata mandata molto lontana da Berlino con gli stessi poteri dei Procuratori romani. Lo Stato hitleriano era totalitario, era per di più razzista e non considerava alla stessa stregua degli altri i crimini commessi contro gli ebrei: era più indulgente verso coloro che se ne rendevano colpevoli. Lo prova, tra gli altri, il caso Koch, comandante di Buchenwald che fu fuci-
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lato per ben minori delitti commessi contro detenuti considerati ariani. Ma riflettete ad esempio allo Stato d'Israele: esige la pena di morte per tutti i Kapos che si siano resi colpevoli di delitti, nell'esercizio delle loro funzioni di guardiani nei campi di concentramento, se essi sono ariani, ma se sono ebrei li giudica meritevoli di solo biasimo, o al massimo di qualche mese di prigione, dilazionabile... perché ritiene che hanno molte scusanti.
Risparmio al lettore gli altri argomenti sui quali a più riprese ci siamo soffermati: il Trattato di Versailles responsabile del Nazionalsocialismo tedesco e quindi della seconda guerra mondiale; la stupidità del capitalismo responsabile del Trattato di Versailles, l'espansione del bolscevismo, la guerra, le guerre...
Ho voluto concludere il capitolo con questa testimonianza perché lo storico che sia degno di questa qualifica non deve nascondere niente di quanto è a sua conoscenza e inoltre perché ho potuto contestarla seriamente soltanto su un punto, e a torto o a ragione la buona fede del suo autore e la sua sincerità mi sono parse evidenti. Una delle leggi della storia stabilisce che si può rifiutare una testimonianza se essa appare incoerente su un solo punto. D'altra parte la storia non offre che rari esempi di testimonianze che siano, diciamo, coerenti. Infine l'innominato testimone rapresentava molto bene l'opinione che, dopo lo studio complessivo dei documenti e delle testimonianze presentati a Norimberga, mi sono fatto del problema dello sterminio degli ebrei coi gas.
Tutto ciò, comunque, non significa affatto la mia garanzia per questa testimonianza; un'altra legge della storia è: testis unus, testis nullus, e conosco anche troppo bene quanta saggezza dimostrino le Nazioni nell'affermare che nulla più della perfetta malafede assomiglia alla buona fede perfetta. Senza pretendere che questo aforisma possa essere applicato al mio interlocutore, del quale la conversazione mi ha dato un piacere e un interesse che sono ben lungi dal nascondere, devo tuttavia dire che, malgrado tutto ciò che perora a suo favore, malgrado la sua decisione di rivelarsi sia spiacevolmente tardiva e possa essere scusata dalle speciali circostanze, la sua testimonianza può essere presa in considerazione solo con le più ampie riserve. Si può e si deve dire che essa è molto più accettabile di quelle alle quali, fino ad oggi, ci hanno abituati e dalle quali siamo stati sommersi oltre la sopportazione. Quale sia il suo esatto valore potremo saperlo solamente quando coloro che gelosamente custodiscono sotto il moggio la verità storica a loro nota, rinunceranno alle drastiche misure con le quali impediscono che essa possa venire alla luce, favorendo infine il ritorno a un clima di libera discussione in cui tutti coloro che sanno o credono di sapere qualcosa di uno qualsiasi degli avvenimenti della guerra possano dirlo pubblicamente senza correre il rischio di essere gettati in carcere.

Note
(7) Borsista.
(8) Tener presente che la prima edizione di quest'opera uscì in Francia nel marzo del '64. - N.d.E.
(9) La motivazione n. 100 del "Processo di Gerusalemme" (Processo Eichmann) dà solo atto, però, di 52.000, per la maggior parte non francesi, alla data del 21 luglio 1943, non essendosi verificata altra deportazione dopo tale data.
(10) 3.000 per due treni.
(11) Per ottenere questo totale, mi sono valso del totale generale delle perdite ebree date da Raul Hilberg (p. 767) per i cinque campi e il campo di Auschwitz, ossia 1.950.000, e ne ho dedotto la mia valutazione delle perdite ebree a Aushwitz (p. 570), ossia 1.000.000 = 950.000. Per non trascurare niente, è bene precisare che nel suo quadro (p. 570) Maïdanek figura sotto la denominazione di "distretto di Lublino".
(12) Ad eccezione dell'Istituto di Affari Ebraici del Congresso mondiale Ebraico, in "Confederates Alleati di Eichmann e il Terzo Reich", che dice 900.000 (p. 28).
(13) Si è visto (il vero processo Eichmann) che il dr. Kubovy, direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Tel-Aviv, era d'accordo. E allora, in virtù di che cosa Hannah Arendt (The New-Yorker, op. cit. 9-4-64) si affatica inutilmente a fare dell'ordine di sterminio degli ebrei dato dal Führer il tema centrale di questa parte del suo rapporto sul processo di Gerusalemme? Le si può solo consigliare di mettersi d'accordo prima di tutto con il dr. Kubovy, questo importante personaggio del Sionismo, che una volta tanto -- inavvertenza o buona fede? -- è d'accordo con la verità storica.
(14) Dopo la pubblicazione di questo studio, il Cancelliere Adenauer è stato sostituito dal Cancelliere Ehrardt.
(15) Eravamo al 18 agosto 1942. La costruzione di questo campo, decisa in applicazione alle deliberazioni della Conferenza di Wannsee, era cominciata alla fine del mese di marzo e aveva richiesto un tempo enorme a causa soprattutto della ferrovia monorotaia che si era dovuto costruire innestandola alla più prossima. La più prossima era quella che da Budapest raggiungeva Varsavia passando per Przcmysl e Lublin, o quella da Budapest a Wilna passando per Lvov. Il mio interlocutore non ha saputo dirmi se la diramazione era stata fatta nei dintorni di Przcmysl o di Lvov: in un caso come nell'altro si trattava di almeno 50 km. e questa branca era utilizzabile solo dalla fine di luglio.
(16) Secondo fonti ebraiche, unanimi, questo campo sarebbe stato chiuso solamente al principio di dicembre dello stesso 1942. Tuttavia, se è stato chiuso non sembra che Globcnik sia stato trasferito. E quand'anche ciò fosse vero, la sanzione è stata troppo lieve. Soprattutto se la si confronta con quella con cui fu colpito Koch, il celebre comandante di Buchenwald, fucilato dagli stessi tedeschi per molto meno.

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Paul RASSINIER, Il Dramma degli ebrei, Edizioni Europa, Roma, 1967.
Edizione francese:
Le Drame des juifs européens, Paris, 1964, Sept Couleurs; rééd.: Paris, La Vielle Taupe, 1984.




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